Alla più bella ~
«Ho sentito che hai acconsentito a uno scambio.»
«Preferisco dire che ho stretto un patto. Un patto che,
ritengo, un giorno sarà molto vantaggioso.»
A
voler tirare le somme, la loro storia poteva ricondursi a una serie finita e lineare
di prime volte.
La
prima volta che si erano visti, ad esempio, era stato un inizio di per sé
concluso. Lei aveva sedici anni e non aveva mai visto il mare. Lui era un uomo in
fuga e una sera l’aveva trovata lì, su quella spiaggia nuda, i piedi
sanguinanti di una fuga lunghissima da una casa mai stata sua e la tunica
strappata in balia dello zefiro.
Non
che fosse accaduto nulla di speciale; ma lui l’aveva visto, che lei non aveva mai visto il mare. Glielo disse più tardi,
quando era già quasi tempo dell’ultima volta. Gli occhi di una giovane donna
che vede il mare per la prima volta hanno qualcosa di magico, le disse, specie
quando ne riflettono tutti i colori e le sfumature. Lei si era voltata e lo
aveva guardato, e forse il tempo si era fermato davvero, per un po’. Finché non
era corsa via lontano, scie rosse di stanchezza e paura ai suoi piedi.
Non
era accaduto nulla di speciale, ma era stata la prima di tutte le prime volte.
Dopo
era venuto il primo scambio di parole.
«Da
dove vieni?»
«Tu
dove vai?»
Forse
c’era un motivo se si erano incontrati (due volte) sul mare. Lui s’imbarcò e la
portò con sé, e dopo accaddero tutte le cose che accadono quando si scappa
insieme.
Il
primo racconto. Il primo segreto.
La
prima volta che lui le storpiò il nome. Un suono con cui potesse chiamarla
senza chiuder bocca. Una sillaba unica, intima. Meg.
La
prima risata sfuggita dai denti. Pazzo di
un pirata.
La
prima volta che l’aveva amata era stato sulle rocce di una spiaggia diversa. Le
aveva baciato le labbra, gli zigomi, i capelli sparsi sulle spalle. Lei aveva schiuso
le gambe e aveva ansimato il suo nome. E dopo erano accadute tutte le cose che
accadono allora, la pelle bagnata, le dita strette.
La
stessa notte ci fu un terremoto, e fu quello il tempo in cui si sparse la voce
del pomo della discordia. Voce che, quando li raggiunse, causò le risa di
entrambi.
«Io
l’avrei data a te.»
«Pazzo
di un pirata.»
Erano
finiti da qualche parte insieme, e così sarebbe dovuto restare, non fosse che
le prime volte non erano ancora finite.
Il
dio degli inferi aveva occhi di brace e denti di cenere. Le aveva chiesto il
suo nome. Meg.
Sarebbe valso come il sigillo di un contratto.
(Era
la prima volta che Sinbad giungeva così prossimo alla morte, l’unica volta che
una donna avrebbe dato l’anima per lui.)
Quando
i fumi della febbre svanirono, fu il tempo della prima paura. E dell’ultima
volta.
«Perché pensi che l’abbia lasciata?»
La dea del caos ha labbra dolci di veleno e voce di
vento di tempesta. È curiosa e divertita.
«Non ne sono sicuro. E trovo frustrante il non capire
gli esseri umani.»
«Probabilmente il suo aver sfidato il destino per lui l’ha
fatto sentire troppo responsabile, non ti pare? I mortali sono così... meschini. Salvagli la vita, e non
sopporteranno di dover vivere stretti nel giogo di un tale debito.»
Il dio della morte sogghigna. «Se non conoscessi il
disprezzo, direi quasi che la tua è invidia.»
La dea ride a voce alta. Le onde sopra le loro teste si
fanno frenetiche, le navi affondano e le stelle spariscono.
«Devo andare, adesso. Ho idea che quest’uomo
eternamente in fuga possa tornarmi utile. Un po’ come te con la tua nuova puttanella,
immagino.»
Si allontana ed è fumo che svanisce nel mare, ma il dio
la richiama, le confida una verità che solo lei può capire.
«Quella mela spettava a te di diritto, tesoro.»
Un’altra risata, e in lontananza il grido di qualcuno
che è appena morto.
A
voler tirare le somme, la loro storia poteva ricondursi a una serie lineare e
finita di prime volte.
Alla
fine arrivò anche la prima in cui lei sentì parlare di lui dopo che un altro aveva preso il suo posto,
quando seppe che un’altra aveva preso
il posto di lei; e per un solo attimo si chiese quanto fosse bella, ma non ci
fu dolore, non ci fu rabbia. Soltanto diventò più facile tornare a guardare il
mare.
(Ercole,
invece, negli occhi aveva il cielo.)
[ 747 parole ]
Spazio
dell’autrice
Questa cosa senza
capo né coda è tutta per la Ecate, che mi ha detto di
volerla pur nella sua genesi completamente nonsense e quindi toh, che nonsense
sia. Spero che un minimo di senso passi though. XD
Qualche giorno fa sul
faccialibro si parlava di headcanon
crossover Disney e non-Disney. Io me ne esco con Sinbad è l’ex di Meg e da lì nasce tutto.
È una cosa su cui ho favoleggiato spesso, anche se confesso di non essermi mai
messa seriamente a riflettere sul perché
lui avrebbe potuto lasciarla – un uomo stronzo lascia senza problemi una donna
che gli ha salvato la pelle stipulando un contratto col dio dei morti in
persona, ma suvvia, noi sappiamo che Sinbad non
è stronzo e non lo è anche a prescindere dall’amore (futuro?) per Marina (basta
pensare all’amicizia con Proteo infatti). Però ho comunque realizzato che, in
definitiva, Sinbad è uno che scappa. È per questo che Eris
ha voluto usarlo, no? Ciò rendeva immediato anche l’accostamento al canon assoluto che è l’Ade/Eris, per inciso. Ed eccoci qui al risultato.
Ah, sì, il pomo
della discordia. Non so cosa debba entrarci di preciso, ma per me non si può
parlare di Eris senza citare anche solo di striscio
il pomo della discordia; il titolo stesso l’ho tratto da lì, e ho immaginato
allora Sinbad e Meg che venivano a sapere di questo
gran caos scatenato dalla dea e ci scherzavano su quando ancora tra loro era
tutto rose e fiori. Che poi, uhm, le vicende di Ercole dovrebbero essere
antecedenti alla guerra di Troia se non sbaglio che qui non ho manco citato ops, ma passatemi gli anacronismi come giustificati dal
crossover, orsù.
E... boh. Boh, spero
davvero che faccia sentire almeno un filino meglio la Ecate
che atm ha bisogno di felicità. :3
Aya ~