Serie TV > Suits
Segui la storia  |      
Autore: Arabella1897    24/03/2015    0 recensioni
Stagista alla Pearson Hardman, sopravviverà alle grinfie dei suoi avvocati? Harvey Specter sarà clemente o la lascerà brutalmente al suo rivale per eccellenza?
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harvey Reginald Specter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ho sempre vissuto con la consapevolezza che il mio paese mi stesse stretto, che la mia madre patria non era il luogo ove avrei lavorato una volta terminata quella intramontabile esperienza universitaria. Dovevo esser sincera? Ero stufa di studiare, volevo entrare nel mondo lavorativo e subito. Ahimè, avevo davanti ancora due lunghi anni prima di poter concludere quel ciclo ed iniziarne uno nuovo. La mia scelta azzardata in fatto di facoltà, o per meglio dire, la mia scelta insensata e dettata dall'irrazionalità dei 19 anni (sì, non avevo nemmeno come scusante il fatto di essere incosciente e giovane) mi aveva portata a intraprendere la vita della studiosa di legge. In molti mi avevano additata come una masochista, ma all'epoca, evidentemente, non avevano ancora letto il bestseller Cinquanta sfumature di grigio, quindi avevano ritenuto corretto definirmi come autolesionista, quando in realtà la mia scelta era stata ben peggio di quella di Anastasia Steele. Almeno lei aveva firmato un contratto per farci la figura dell'idiota, io no e pagavo pure la mia università cara e salata per torturarmi. In soldoni: Anastasia Steele era stata "furba" nella sua demenza, lei godeva nel farsi (in tutti i sensi) distruggere da quel bell'uomo di Grey, io invece venivo massacrata pagando, ricevendo innumerevoli fregature in sede di esame e dovendo farmi il mazzo. Riassumendo? Ero stata un'emerita deficiente ed ne stavo ancora pagando le conseguenze. Come faccio a sapere quei dettagli sul romanzo più hot del secolo? Beh, ho letto i primi capitoli e poi presa da un'irrefrenabile voglia di mandare a quel paese la scrittrice e la protagonista ho interrotto bruscamente la lettura. Per una volta la mia morbosa curiosità aveva fatto cilecca, lo ammetto. Ad ogni modo, il libro non c'entra nulla con me, io ero soltanto una "sfigata" studentessa di giurisprudenza di una famosa università privata italiana, la quale aveva scelto tale facoltà solo perché al primo tentativo era riuscita a passare il test selettivo. Ebbene sì, non ho mai avuto il sogno di diventare avvocato, non sono mai stata una di quei bambini che sin da giovanissima età aveva già in mente quale sarebbe stata la propria strada. Le uniche cose che ritenessi importanti, come mi ha raccontato più volte mia madre, erano, in ordine di preferenza: avere i soldi, poiché senza i soldi i giochi non si possono comprare, non mangiare e non dormire. Ho sempre mangiato di tutto, ma a dosi minuscole, per quello i miei genitori mi hanno sempre costretta a innumerevoli sport. Ero iperattiva, ma senza appetito, indi per cui mi facevano fare qualsiasi cosa. Dormire? Perché dormire quando la notte è la parte più divertente e bella del dì? Tralasciando le mie smanie di potere di bambina prepotente e amante del comando, viste le mie caratteristiche mi sarei dovuta trovare bene a giurisprudenza... Così non è stato, molte delle materie studiate mi hanno fatto ribrezzo e la fatica per studiarle è stata immane. Prendiamo diritto privato, per darlo e passare l'esame ho perso tre chili, che, per l'amor del cielo, mi avrebbe anche fatto piacere perderli, se non li avessi ripresi con gli interessi una volta essermi tolta tale orripilante materia dalle scatole. No, se avessi potuto tornare indietro non fatto quella scelta maledetta, probabilmente mi sarei data all'arte o qualcosa del genere. Sono sempre stata una persona creativa e amante dell'arte in tutte le sue forme, o quasi. Non era ciò il punto focale della vicenda, rimuginare sul passato e sulle errate scelte di vita è sempre stato insensato. Ciò che è importante è che stavo per dare una svolta alla mia vita, peccato che non ne fossi a conoscenza. Avevo appena concluso il terzo anno di università, i miei voti erano eccellenti nonostante mi mancassero gli stimoli per continuare a dare il massimo e superare me stessa e mi stavo per rovinare completamente l'estate andando in America, per la precisione a New York. Chiunque avrebbe fatto salti di gioia alti così, non io per diversi motivi: uno, c'ero già stata a New York, cinque anni prima con i miei genitori; detestavo l'inglese/americano e mi sentivo altamente incapace di parlarlo con una certa serietà; che diavolo mi serviva fare uno stage del genere se avevo ben altri scopi nella vita? Pensieri sciocchi e altamente superficiali, ma era davvero quello che pensavo mentre guardavo fuori dal finestrino del Boeing sul quale ero quasi stata messa su con la forza. Durante quel viaggio interminabile avevo guardato almeno una quarantina di volte l'orologio, maledicendolo per la lentezza con la quale scorrevano le ore; alzata almeno altrettante volte, incapace di stare ferma e seduta al mio posto; insultata mentalmente una ventina di volte o più dal mio vicino, o meglio ciò era quello che i suoi sguardi furibondi mi suggerivano; visto tre film in francese perché mi rifiutavo di dover iniziare a farmi l'orecchio con la lingua inglese. Mossa sciocca quella di dilettarsi con una lingua che non avrei parlato per tre lunghi mesi. Mi resi conto di tale idiozia quando mi alzai per l'ennesima volta per andare alla toilette, quella si trovava vicino alle tendine che dividevano noi comuni mortali della seconda classe dai ricconi della prima. La mia era pura invidia perché loro potevano distendere le gambe e trascorrere quelle interminabili ore un po' più comodi, non che li detestassi realmente. Logicamente al bagno c'era coda, il mio solito tempismo perfetto, motivo per il quale iniziai a guardarmi attorno, irrequieta, incapace di starmene ferma ad aspettare. La pazienza non era mai stata una delle mie qualità, purtroppo. A braccia conserte lasciai che il mio sguardo vagasse sui presenti, permettendo alle mie iridi verdi di indagare e catturare ogni particolare che attirasse la mia attenzione. Nulla balzò ai miei occhi, niente mi colpì a tal punto da spingermi ad avvicinarmi ad alcuno. Gente ordinaria, come lo ero io d'altronde. Una piccola turbolenza fece traballare l'aereo, inducendomi ad attaccarmi ad un sedile per evitare di cadere, peccato che tutto ciò non bastò a farmi rimanere nel punto esatto in cui mi ero aggrappata. Qualcuno dai lenti riflessi mi cadde addosso ed entrambi planammo al di là della tenda che separava l'Olimpo degli Dei dalla polis dei cittadini normali. Nell'impatto a terra la mia testa andò a sbattere contro il poggia gomito di uno dei comodi sedili di quella zona vip e sopra di me mi ritrovai la donna che mi era planata addosso per colpa della turbolenza. Era una donna di mezza età, abbastanza robusta, insomma il cui peso non era di certo quello di una piuma. Ero mezza stordita, ok, facciamo anche più di mezza, ero bella stordita, dopotutto avevo accusato un colpo alla testa e quindi se ero già rimbambita di mio con quella botta avevo perso le mie facoltà mentali, diciamo che potevo auto definirmi come incapace di intendere e di volere, legalmente parlando. Guardai con occhi stralunati la donna, cercando di aiutarla a tirarsi su. Ovviamente i miei tentativi furono un vani, il peso, ma soprattuto il fatto di essere sotto non aiutava. Lanciai uno sguardo ai presenti, fulminandoli, specialmente colui che con uno, il quale era seduto vicino al punto in cui eravamo rovinate e in cui ci trovavamo ancora, ci guardava con un'espressione divertita? Parlai, in francese purtroppo. Tutti quei film in francese più la botta in testa mi avevano fuso il cervello. "Merde!" pensai, ancora in una lingua che non era la mia, ma nemmeno quella corretta ed internazionale da utilizzare, ovvero l'inglese. Nonostante quella gaffe, il tizio, ingessato in un importante completo fornito di cravatta, dai capelli che avrei volgarmente definito come "leccati da una mucca", ossia parecchio ricoperti di gel, si alzò e con fare distinto, quasi fastidioso, aiutò la signora ad alzarsi, sostenendola anche una volta che fu in piedi, onde evitare, evidentemente, una seconda caduta. Osservai la scena dal basso, vedendo come la signora stava cercando di scusarsi con me in francese, non riuscendoci molto. Le dissi in un inglese forzato, molto forzato, che era tutto a posto, sforzando pure un sorriso ed un cenno del capo. Mi toccai la nuca, ammaccata dal capitombolo appena vissuto, notando con stupore che la mano, una volta ritratta, era leggermente sporca di sangue. La rimirai giusto qualche istante, prima che lo stesso uomo, quello della mezza espressione divertita, si chinasse su di me e mi tirasse su. Mentre tutto ciò avveniva ed io lo vivevo a rallentatore, ancora disgustata dal mio sangue sulla mia mano, mi parlò, chiese qualcosa, ma non capii, lo guardai con sguardo vacuo, notando le sue labbra muoversi ancora. La sua voce risultava sempre più lontana, confusa e la sua immagine sempre più sfuocata. Che stessi svenendo? Probabile, infatti non vidi più nulla e, sinceramente, non avrei saputo dire per quanto rimasi incosciente. Di solito non svenivo per la analisi del sangue o nel vedere il sangue, sì probabilmente quello degli altri. Con il mio le volte che mi ero ferita avevo dovuto stendermi a terra per evitare ciò che invece, in quel momento, non era stato evitabile. Aprii gli occhi lentamente, sbattendo le palpebre qualche volta prima di riuscire a mettere a fuoco lo stesso uomo che mi aveva sollevata e che probabilmente mi aveva stesa di nuovo a terra, nel corridoio della zona vip. Ero stata posizionata su un fianco, il capo sotto un panno, ed ero stata coperta con qualcosa. Le mie palpebre si chiusero ancora velocemente, riaprendosi subito dopo, notando come il tizio indossasse solo la camicia ora. Voleva fare il figo? Feci per tirarmi su, ma lo stesso mi intimò con un cenno della mano di fare con calma, qualcuno da dietro mi prese sotto le ascelle e mi sollevò con lentezza, in modo da prendere le misure e ritrovare l'equilibrio. Nel mentre mi alzavo notai come un qualcosa di scuro scivolò via da me. Non capii subito cosa fosse, ma non appena l'uomo in camicia si chinò per raccogliere la mia "coperta" capii, era la sua giacca. Disse qualcosa anche allo stuart che mi stava sostenendo, il quale mi fece sedere nel posto dove probabilmente era situato il riccone prima dell'incidente. Feci per sfiorare la ferita sul capo, ma qualcuno mi bloccò bruscamente la mano, parlandomi in francese, intimandomi di non toccare il precario bendaggio. Era sempre lo stesso uomo, lo stesso che avevo visto prima di svenire come una femminuccia. Annuii distrattamente alle sue parole, mentre alzavo lo sguardo su di lui e finalmente potevo vederlo con chiarezza. Doveva avere tra i 35, massimo 40 anni, un viso dai lineamenti decisi, ma comunque armoniosi, vestito decisamente bene, elegante, fin troppo. Se fossi stata un po' più in me e meno stordita, avrei potuto definirlo persino attraente, non era quello il caso. Sorrisi riconoscente, mentre facevo per alzarmi, bloccandomi quando mi rivolse di nuovo la parola, sempre con un accento francese perfetto. Mi disse di rimanere dove ero che tanto si sarebbe seduto in quello affianco e così fece. Lo ringraziai nuovamente, ma la sua unica reazione fu un cenno del capo e poi torno a guardare il computer posizionato davanti a sé. Rimasi in silenzio per un po', posizionando poco più sopra della nuca del ghiaccio che mi era stato portato e guardandomi attorno godendomi quei pochi minuti che mi erano stati concessi in quella zona più confortevole dell'aereo. Non appena mi sentii meglio e decisamente lucida mi alzai, salutando e ringraziando di nuovo il mio "benefattore", del quale non sapevo nemmeno il nome. - Finirà il suo viaggio qui, mi sembra che lei abbia già rischiato a sufficienza oggi. - Mormorò con un tono secco e deciso, al quale, stranamente, non osai ribattere. Solitamente ero una che pur di avere l'ultima parola scatenava il putiferio, quella volta no, il suo tono era stato perentorio, non ero riuscita a dire alcunché. Mi risedetti immediatamente, cosa che non era da me e mentre stavo per chiedere ad un'hostess di portarmi le mie cose, abbandonate al mio vecchio posto, lui mi precedette. - Le chiedo se gentilmente può portare alla ragazza i suoi effetti personali, lasciati al vecchio posto, grazie. - Mi leggeva nella mente? - Sì, grazie, le sarei grata. Il trolley è sopra al mio posto, B27, è la valigia bianca e nera a fiorata, non può sbagliare. - spiegai alla ragazza, in modo da aiutarla. Quella mi rispose che il trolley mi sarebbe stato portato una volta giunti a destinazione e che si scusavano per il disagio subito. I miei effetti personali mi vennero portati subito dopo, ma nel mentre avevo deciso che mi sarei presentata. Mi voltai verso di lui, seduto alla mia sinistra, posando momentaneamente sulle gambe il ghiaccio sintetico. Tesi una mano verso l'uomo d'affari che si stava dimostrando gentile nella sua freddezza. La strinse senza esitazione, regalandomi solo un mezzo sorrisetto. - Harvey Specter - La stretta fu breve, ma intensa, segno che si trattava di una personalità forte, decisa. - Arabella - dissi semplicemente, abbandonando la sua mano e lui la mia. Mi indicò la borsa del ghiaccio sulle mie gambe, esortandomi a re-posizionarla sulla testa. Pareva che avessi recuperato le mie non troppo forti capacità di parlare in inglese e di comprendere soprattutto, dimenticando momentaneamente il francese che mi era stato tanto utile in quel pazzo viaggio. Certo che se l'avevo iniziato in quel modo, non osavo pensare a cosa sarebbe potuto succedere nei tre mesi che mi si prospettavano. Dopo quella breve presentazione rimasi in silenzio fino alla fine di quell'Odissea. Una volta atterrati, colui che si era presentato come Harvey Specter mi rivolse ancora la parola e posai così il mio sguardo sul suo viso squadrato. - L'accompagno dove deve andare, eventualmente anche in ospedale se non si sente bene. Non accetto no. - Di nuovo si trattava di un comando. La cosa mi infastidì e allo stesso tempo mi sentii lusingata poiché nessuno oltre a lui si era minimamente preoccupato di come stessi. - La ringrazio, mi sembra di non poter rifiutare il passaggio, ma essendo il mio primo giorno di una lunga permanenza preferisco conservare il jolly ospedale per un'eventuale altra volta. - Annuì solamente e una volta giù mi limitai a seguirlo silenziosa, trasportando il mio trolley da una parte e la mega valigia dall'altra. Lui aveva una misera valigia e andava spedito, sfidando il traffico umano dell'aeroporto. Si fermò giusto una volta e da gentiluomo, giusto per non smentirsi, prese la mia enorme valigia, trascinandola con il passo precedente. Faticavo a stargli dietro, ma riuscii ad arrivare fino a dove si fermò. Davanti a lui si era fermata una super macchina, ignorante in materia di automobili, non avrei saputo dire di che marchio fosse, ma poco importava, l'unica cosa che c'era da dire era che era da ricchi sfondati. Sontuosa, dalle linee aggressive, ma belle, insomma una Macchina con la M maiuscola. Da essa scesa un uomo che salutò con gioia e rispetto Specter. - Dobbiamo accompagnare la ragazza. - L'autista annuì velocemente e prese le mie cose, mettendole con cura nel bagagliaio. Salii dopo che mi fu aperta persino la portiera, ringraziai visibilmente sorpresa. E pensare che quello Specter mi aveva del tutto fatto dimenticare un insegnamento fondamentale di mia mamma, ossia "non parlare con gli sconosciuti", io non solo ci avevo parlato, ma ero addirittura salita sulla macchina di costui. Che razza mi passava per la testa? Ero visibilmente tesa, resomi conto della possibile cavolata fatta. Ormai dovevo solamente attendere e confidare in Harvey Specter. Indicai l'indirizzo dell'accomodation in cui avrei risieduto per quei tre mesi di stage. - Ha detto che rimarrà qui a lungo, le dispiace se le chiedo cosa l'ha porta qui in America? Mi pare di aver capito che non è americana, ma nemmeno francese. - Era così pessima la mia pronuncia francese? Lo guardai spostandomi una ciocca di capelli dal viso, desiderosa sempre più di uscire da quel luogo. Mi sentivo in soggezione. - Sono qui per uno stage lavorativo e sono italiana - Non avrei svelato in che ambito e per chi, non mi sembrava corretto fornirgli tale informazione, ovvio, a meno che non fosse stato lui a domandare ancora. Annuì pensieroso, rivolgendomi uno sguardo veloce prima di parlare ancora e chiedermi che tipo di stage. - In uno studio legale, me lo impone la mia università. - In America il sistema universitario era del tutto diverso da quello italiano, io per prima non sapevo appieno le differenze. Assorto mi rispose solamente con un "Good luck" proprio mentre l'automobile si fermava davanti alla mia accomodation. Scesi e l'autista tiro giù le mie valigie. Ringraziai nuovamente con sincerità e mi incamminai verso l'entrata, contenta di essere scesa sana e salva, sì salva più o meno, diciamo con un probabile bernoccolo in testa. Quel giorno mi lavai in fretta, sistemai le mie cose in quel buco di stanza che avevo a disposizione e mi addormentai provata dal jet leg e dalle mie avventure. Passai il weekend ad ambientarmi, ripensando raramente all'incontro fatto in aereo. Mi godetti New York e mi preparai psicologicamente per il mio primo giorno lavorativo da stagista. Il lunedì mi presentai alla Pearson Hardman vestita di tutto punto, molto formale, ma pur dimostrando la mia giovane età. Una volta presentatami, una ragazza molto affabile e gentile, una certa Rachel Zane se non andavo errando, mi mostrò l'intero posto di lavoro, spiegandomi cosa dovevo e non dovevo fare, chi era il personale e eventuali consigli per sopravvivere a ciò che aveva definito come "stage infernale". Proprio mentre mi stavo per accingere a porle una domanda, mi ritrovai faccia a faccia con Harvey Specter, il quale mi sfilò affianco senza nemmeno fermarsi. Un angolino della sua bocca leggermente piegato, a sfoggiare un lieve sorriso divertito? Proseguì diretto, salutando solamente Rachel, mentre io lo osservavo sorpresa e incuriosita.

NOTE AUTRICE: Chiedo venia per qualsiasi errore commesso perché è un mondo nuovo per me, almeno nel pubblicare le storie. Spero vi sia piaciuto questo intro :) se avete consigli, critiche io accetto tutto :) 
Ah e vi consiglio vivamente se siete ragazze di sostiuire il nome "Arabella" col vostro, così da potervi immedesimare meglio nella storia, dopotutto a chi non piacerebbe passare del tempo con Harvey Specter xD
Bacioni
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Suits / Vai alla pagina dell'autore: Arabella1897