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Autore: Sissi Bennett    24/03/2015    2 recensioni
«Questa tua costanza è assurda. Perché ti ostini a rimanere fedele a quell’arpia di tua moglie?»
«Parola chiave: mia moglie»
«Il vostro matrimonio è stato praticamente combinato, è una farsa. Tu non sei felice con lei. Che c’è di male a concedersi una piccola distrazione?»
«Chiamami antiquato, ma considero il matrimonio ancora una cosa seria, un atto di responsabilità. Non ho intenzione di rimangiarmi la parola e i miei principi per una distrazione».
«Discorso sensato se fossi innamorato di lei».
«Non sono neanche innamorato di nessun’altra. Non romperò la mia promessa se non ne varrà la pena».
[...]
Victoria e Christopher non erano una coppia atipica, erano proprio mal assortiti. Costretti dalla sorte, puniti dalle circostanze, beffati dal loro stesso egoistico interesse.
Non si amavano e non si erano mai amati.
Christopher provava indifferenza nei confronti di sua moglie, malcelata da una fredda cortesia; Victoria avrebbe voluto attaccare la testa di suo marito al muro come un trofeo di caccia.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Absence-that common cure of love

 

 

 

 

Capitolo primo: The perfect marriage

 

«Higher than the beasts, lower than the angels, stuck in our idiot Eden[1]».

Ford Madox Ford, Parade’s End

«Tua moglie è una stronza».

Proprio il commento che qualunque marito avrebbe preferito non udire o non affrontare alle quattro e un quarto di un venerdì lavorativo particolarmente intenso, al termine di una settimana lavorativa ancora più stancante.

«O scusami, forse il termine “stronza” è troppo scurrile per le tue beneducate orecchie. Riformulo: tua moglie è una strega».

Christopher Price cercò d’ignorare l’ennesima considerazione poco gentile del suo migliore amico e continuò a studiare le carte che la sua segretaria gli aveva appena consegnato. L’affare di cui si stava occupando era piuttosto ostico, perfino per uno come lui che padroneggiava numeri e statistiche con sorprendente facilità.

Christopher era un fuori classe nel suo lavoro e nessuno poteva negarlo.

Teneva un occhio sia sul mercato azionario, sia su quello reale, gli accordi da lui stipulati erano sempre più che vantaggiosi e aveva una sorprendente abilità a fiutare le fregature. La sua visione sul commercio aveva più volte centrato l’obiettivo con buona pace del consiglio di amministrazione che aveva ormai imparato ad accettare le innovazioni apportate da Christopher.

Molti lo consideravano un uomo di altri tempi: portamento fiero, eleganza composta, modo di parlare alto e cortese e un autocontrollo che i più ritenevano lodevole.

«Prima o poi qualcuno lo pungerà con un ago per vedere se è vivo o morto. Perché è questo che suggerisce la sua personalità: un morto che cammina».

Queste erano le amorevoli parole con cui sua moglie adorava descriverlo. A seguito delle sue battute sferzanti, normalmente l’interlocutore scoppiava a ridere senza cogliere il vero disprezzo che si celava dietro quei commenti sarcastici.

Christopher ormai aveva fatto l’abitudine alla repulsione che lei spesso mostrava nei suoi confronti. Nemmeno ci prestava più attenzione.

Perciò non gli serviva qualcuno che gli ricordasse quanto sua moglie fosse una persona dal carattere quantomeno difficile.

Nonostante la maggior parte dei suoi conoscenti apprezzasse la pungente ironia di sua moglie e la additasse come esempio d’intelligenza brillante, Tachery Sullivan l’aveva sempre mal sopportata, fin dai tempi del college.

E quel giorno sembrava proprio che non potesse tenere a freno la lingua.

«Che cosa ha fatto questa volta?» si arrese alla fine Cristopher, dato che mostrarsi disinteressato non aveva prodotto alcun risultato, appoggiando gli occhiali sulla scrivania.

«Sono passato da Phoebe Carlyle[2] stamattina» iniziò l’uomo.

«Non è un negozio di intimo?» si stranì Cristopher.

«Stavo prendendo un regalo a Sara».

«Non uscivi con Jane?»

«Non più, ma ti vedo interessato. Se vuoi possiamo parlare di lei, invece che di tua moglie» lo punzecchiò.

«Va’ avanti».

«In realtà non ha fatto nulla di che» ammise Tachery stiracchiandosi sulla sedia «Era lì anche lei, stava comprando non so cosa. Dovevi vederla: si credeva la padrona del negozio, mentre quelle povere commesse non sapevano più come accontentarla. Dovresti tagliarle i fondi».

«Difficile dato che questa azienda appartiene alla sua famiglia. I soldi sono suoi».

«Un’azienda che tu stai amministrando alla grande da quasi due anni. I loro guadagni sono raddoppiati grazie a te. Dovresti prenderti una pausa: questo posto e quella donna ti stanno succhiando l’anima. Sembri uno scheletro».

Cristopher si accigliò guardandosi sulla superficie a specchio della scrivania. Aveva sempre avuto le guance molto scavate, forse per via di quegli zigomi alti e marcati che davano al suo volto una forma allungata e un po’ affilata.

Addirittura uno scheletro, però!

«Vieni al club con me stasera. Si sono iscritte due russe, figlie di non ho capito che magnate…due paia di gambe impressionanti».

«Accetto la cena, declino le russe».

«Questa tua costanza è assurda. Perché ti ostini a rimanere fedele a quell’arpia di tua moglie?»

«Parola chiave: mia moglie».

«Il vostro matrimonio è stato praticamente combinato, è una farsa. Tu non sei felice con lei. Che c’è di male a concedersi una piccola distrazione?»

«Chiamami antiquato, ma considero il matrimonio ancora una cosa seria, un atto di responsabilità. Non ho intenzione di rimangiarmi la parola e i miei principi per una distrazione».

«Discorso sensato se fossi innamorato di lei».

«Non sono neanche innamorato di nessun’altra. Non romperò la mia promessa se non ne varrà la pena».

«La tua signora ha ragione: devi scioglierti un po’. Sei rigido come uno stoccafisso».

Apparentemente insultare Christopher Price era diventato il nuovo sport nazionale.

 

Victoria si spazzolò una folta ciocca di capelli scuri e mossi con fare annoiato, davanti allo specchio della sua toletta.

Sbuffò annuendo senza prestare davvero ascolto a ciò che stava dicendo l’altra persona nella stanza. Qualcosa riguardo a un nuovo cavallo.

Geoffrey Connelly sapeva essere davvero noioso, soprattutto quando cercava di rendersi interessante. Ma d’altronde era talmente facile giocare con lui che Victoria lo ripescava sempre a fasi alterne, come una garanzia.

Jeff era innamorato di lei da tempi immemori; perché non approfittarne per divertirsi un po’? Il cuore spezzato non sarebbe stato di certo il suo, quindi non le importava.

Solo che ogni volta si dimenticava di quanto Jeff fosse logorroico e pomposo. Giusto bello poteva definirsi, nessun altro pregio.

Quello passava il convento, pensò spostando la spazzola sull’altro lato della testa. Doveva accontentarsi. Per una signora della sua posizione gli svaghi erano limitati e la vita, per quanto potesse sembrare assurdo considerando il suo rango e le sue possibilità economiche, non le offriva grandi sorprese o emozioni.

Ancora la straniva chiamarsi “signora”. Aveva solo ventotto anni e si sentiva ben lontana dal ruolo che era costretta a ricoprire, ma era sposata e quell’appellativo era d’obbligo.

Sapeva di essere sprecata per quella casa, per quella situazione e per quel marito. Anche per quell’amante.

Sfiorò con un dito una guancia leggermente definita dal trucco. Non era di una bellezza convenzionale, eppure Victoria si piaceva da impazzire.

All’università qualche compagna invidiosa le aveva fatto notare che tutto sul suo volto era un po’ troppo grosso. Era vero: le sue labbra carnose catalizzavano lo sguardo e si aprivano rivelando un sorriso eccessivo. I suoi occhi erano grandi e le sopracciglia folte, dal taglio deciso.

Non era mai stato motivo di complessi per lei. Era distante dall’ideale di perfezione, ma ogni suo difettuccio la faceva sentire unica e fiera. Inoltre riteneva di possedere un’arguzia fuori dal comune e uno spirito semplicemente irresistibile. Riusciva a stregare chiunque con il suo portamento da ragazza cresciuta nell’alta società e con la sua capacità di stare al gioco e rispondere a tono.

Ma alle volte era anche scontrosa, vendicativa e scostante. Aveva un limite di sopportazione davvero molto basso e non si sforzava più di tanto di mascherarlo.

Quel giorno la sua pazienza si era esaurita prima del previsto.

Mentre Jeff blaterava ancora del suo cavallo e progettava già gite con lei nella campagna inglese, Victoria si alzò e con uno scatto avvicinò i lembi della sua vestaglia per nascondere l’intimo che aveva comprato quel giorno per l’occasione.

«Jeff tesoro, temo che mi sia appena venuto un tremendo attacco di mal di testa» gli comunicò, falsamente afflitta.

L’uomo smise di gesticolare e abbassò le mani. Rimase come un allocco presso il letto, in canottiera e mutandoni. Se non avesse mandato in fumo tutta la sua scenetta, Victoria avrebbe scattato una foto per ricordo.

«Un’altra delle tue emicranie? Faresti meglio a vedere uno specialista. Cominciano a diventare frequenti» si preoccupò sinceramente e ingenuamente.

Gli aveva rifilato quella scusa molte volte, forse troppe. Tante che si era sorpresa di non averlo ancora fatto scappare.

Dicevano che l’amore fosse cieco. Ottuso di sicuro, constatò Victoria, e deliziosamente credulone.

Avrebbe potuto raccontargli qualunque cosa, combinargliene di ogni e Jeff sarebbe lo stesso tornato come un bravo cucciolo.

«Potrei chiedere a mio cognato di consigliarmi qualcuno» proseguì lui.

«Non disturbare tuo cognato per una sciocchezza, è sempre impegnato tra convegni e turni all’ospedale. Mi bastano le mie pastiglie e in un’oretta è tutto risolto» gettò un’occhiata in giro in cerca di qualche scatola di medicine da spacciare per antidolorifici. Non ne trovò e si voltò di nuovo verso Jeff, mostrandogli un sorriso rassicurante.

L’uomo sospirò affranto e trafficò con i pantaloni, infilando prima una gamba e poi l’altra. Sospettava che Victoria gli stesse mentendo, ma era talmente abituato ai suoi cambi di umore che ormai non ci faceva più caso.

Quella donna era una forza della natura e lui non aveva nessuna intenzione di ingabbiarla. L’accettava per quel che era e prima o poi sarebbe stata sua.

«Posso dire a Eloise di prepararti qualcosa» le propose.

Victoria alzò un sopracciglio. Adesso si metteva anche a dare ordini alla cameriera?

«Pastiglie e riposo» tagliò corto, dato che cominciava davvero a stufarsi.

«Ti tengo compagnia finché non ti senti meglio».

La donna imprecò a bassa voce e tentò di non perdere la calma. Sentiva che ci avrebbe messo una vita a scrollarselo di dosso.

A soccorrerla ci pensò il più inaspettato degli aiuti e Victoria non fu mai così felice di udire quella voce profonda provenire dall’ingresso di casa.

«Vicky, quello è…?»

«Christopher» confermò con un ghigno trionfante che Jeff non poté vedere dato che gli dava le spalle.

«Tuo marito?» quasi strozzò nel dirlo «Mio Dio, mi devo nascondere».

Victoria non si preoccupò di avvisarlo che probabilmente Christopher non si sarebbe scomposto trovandolo lì e che soprattutto a lei non importava di essere colta in flagrante. La situazione era davvero troppo comica per essere interrotta sul più bello.

Gli consigliò di infilarsi in bagno o nella cabina armadio, ma Jeff obiettò che l’avrebbe scovato in un secondo. Era troppo scontato.

Per un istante Victoria valutò la possibilità di non muovere un dito e lasciare che Christopher s’imbattesse in Geoffrey. Non le sarebbe dispiaciuto, comunque.

Poi un’idea le balenò in mente. Aveva tra le mani una via di fuga molto divertente, perché non approfittarne e farsi due risate a scapito dei due uomini, uno in particolare?

«Potresti sempre uscire sul balcone» disse con estrema calma.

«La tua camera non ha un balcone» replicò Jeff.

«Intendevo quello dell’appartamento di sotto. È sfitto» specificò lei, sporgendosi dalla finestra e puntando il dito verso il basso.

Jeff la raggiunse e guardò giù «Sei impazzita?»

«Non saranno nemmeno tre metri».

«Tre metri» ripeté lui ironico.

«Non praticavi il salto con l’asta al college?»

«È un po’ diverso il concetto».

«Basta che ti attacchi qui e ti cali lentamente. Ti aiuterò io» lo rassicurò.

«Come pensi di venirmi a recuperare?»

«Il portiere ha un debole per me. Mi darà le chiavi».

«Vicky, non credo che sia una buo-» provò a ribattere lui.

«Allora resta qui e discutine con Cristopher» concluse Victoria, sbattendo le ciglia con fare maligno.

Jeff deglutì «Mi terrai tu?» chiese in conferma.

«Certo».

Con qualche difficoltà Jeff scavalcò la finestra e con oculata prudenza poggiò i piedi sul cornicione. Il suo corpo era girato verso la causa di tutti quei guai che lo fissava con un’espressione poco incoraggiante. Se la conosceva bene, se la stava godendo come non mai.

Artigliò il davanzale e si lasciò scivolare lungo il muro del palazzo. Victoria lo teneva per i polsi.

«Non mi mollare, non mi mollare» la pregò quasi piagnucolando.

«Non ti mollo» ribadì lei, ma non appena suo marito bussò alla sua porta chiamandola, lasciò la presa e piroettò su se stessa.

Sentì un tonfo seguito da una sonora imprecazione, segno che Jeff era atterrato sano e salvo sul balcone del piano inferiore.

«Chrissie!» esclamò entusiasta in direzione suo marito che nel frattempo era entrato «Non ti aspettavo a casa così presto».

Christopher parve stordito da quella accoglienza tanto calorosa. Di solito non lo salutava neppure.

«Mi fermo solo per cambiarmi. Tachery mi ha invitato a cena al club. Non ti dispiace, vero?» le comunicò.

«Assolutamente no» rispose Victoria accondiscendente.

Christopher era sul punto di aggiungere qualcosa, ma il sguardo corse per la stanza e si fermò proprio sulla giacca di Jeff, rimasta appoggiata allo schienale della poltrona.

Victoria se ne accorse e non si diede neanche la pena di inventarsi una giustificazione decente. Anzi, con un movimento veloce slegò il nodo alla cinta della vestaglia e mise in bella mostra l’intimo tutt’altro che sobrio, in modo che la circostanza fosse inequivocabile.

«C’era qualcuno qui?» domandò Christopher.

«Jeff Connelly. È passato per un saluto» disse. I suoi occhi puntati in quelli azzurri del marito lo provocavano.

E come tante altre volte, l’uomo a malapena notò il corpo praticamente nudo della donna e liquidò la faccenda con indifferenza e nonchalance.

«Tornerò tardi. Dormirò in camera mia così non ti disturberò».

Come tutte le notti. Aggiunse mentalmente Victoria.

«Ti auguro una buona serata» le disse gentilmente con un cenno del capo.

«Anche a te! E salutami Sully!» sventolò la mano finché la porta non venne chiusa; al che lasciò cadere mollemente il braccio e si tolse del tutto la vestaglia.

Un pomeriggio rovinato da due uomini senza un briciolo di ardore. Stava iniziando sul serio a dolerle la testa.

Si diresse nel suo bagno privato e si spogliò degli ultimi indumenti. Aprì l’acqua della vasca e non appena sfiorò il bordo, Victoria s’immerse.

Chiuse gli occhi nel disperato tentativo di rilassarsi. Il calore dell’acqua, il vapore e la stanchezza la cullarono dolcemente finché non si addormentò.

Fu solo parecchio più tardi, quando Eloise la svegliò per la cena, che Victoria si ricordò di Geoffrey Connelly ancora chiuso fuori, sul balcone.

E scoppiò a ridere.

 

Il mio spazio:

Sono praticamente nuova in questa sezione. Anni fa pubblicai qualche storia tra le originali – una ancora sopravvive incompleta sul mio profilo – ma alla fine le cancellai per mancanza d’ispirazione.

Ho aspettato tanto prima di cominciare di nuovo a postare tra le originali romantiche, ma credo finalmente di aver trovato la chiave giusta per scrivere.

Non so se l’argomento possa interessare, non so se il mio stile possa piacere, ma se siete arrivate fin qui vi ringrazio tantissimo.

Questa storia s’ispira al libro Parade’s End di Ford Maddox Ford, o meglio all’omonima serie televisiva prodotta dalla BBC nel 2012. Qualunque scena, battuta o passaggio tratto dallo show verrà segnalato nelle note.

Le somiglianze più evidenti le troverete nei primi tre capitoli poi la storia prenderà una piega decisamente diversa.

Tra i primi prestiti da evidenziare c’è il nome del protagonista Christopher e il suo soprannome Chrissie. Mi piacevano molto e non ho voluto cambiarli.

Il titolo Abscence- that common cure of love è un aforisma di Lord Byron. Questa informazione in realtà l’ho trovata su internet e non ho avuto modo di verificarla con più precisione, quindi prendetela con le pinze.

Mi auguro davvero che possiate apprezzare (o criticare) questa storia.

Per ora vi ringrazio,

 

Sissi Bennett

 

 

 



[1] «Più in alto delle bestie, più in basso degli angeli, bloccati nel nostro Eden idiota».

[2] Pheobe Carlyle è un vero negozio di biancheria intima a Londra.

  
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