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Autore: PiccolaEco    24/03/2015    4 recensioni
Maomoling è tornato all’attacco per conquistare la sua Shan-Pu e stavolta è più agguerrito che mai: il gattone cerca-moglie ha infatti architettato un nuovo piano: un farmaco che trasforma la persona che lo ingerisce in un gatto e se entro tre giorni lo sfortunato non riceverà il “bacio del vero amore” sarà condannato a trascorrere il resto della sua vita nel corpo di un felino. Purtroppo, però, il nostro spirito non ha regolato bene tutti i suoi conti…
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il grosso gatto bianco sghignazzò nel buio della sua dimora. – Con questo nuovo miaracoloso farmaco, Shan-Pu sarà finalmente miao moglie per sempre!
Lo spirito osservò eccitato la piccola pasticca, tonda e bianca, che teneva tra le zampe: apparentemente si sarebbe detta una comune aspirina. – Certo- rifletté – miao è costato un occhio della testa, mia l’importante è il risultato!
E in effetti il potente farmaco cinese, la cui tradizione risale nientemeno che alla dinastia Ming e del cui potere persino l’imperatore Hongwu aveva avuto enorme timore, non era costato poco allo spettro. –Non c’è più riguardo nemmeno per uno spirito del miao calibro! Ma dove andremeow a finire!
Con questo pensiero, tornò nel suo rumoroso e fluttuante sonaglio gigante per dirigersi al Neko Hanten, pronto ad attuare il suo nuovo, micidiale piano.

 

Shan-Pu si affrettava tra piatti, piattini, scatole e scatoline, alla ricerca di qualcosa. –Bisnonna, dov’è quel rimedio cinese che mi hai detto? – urlò alla vecchia che trafficava in cucina – Quello buono per tutti i dolori!
– Cerca sul ripiano in alto, a destra! – rispose la vecchia, cercando di sovrastare la voce del paperotto che starnazzava irrequieto ai suoi piedi. –E taci, tu!
Un colpo di bastone e un quaaaak dopo, fecero seguire il silenzio, interrotto solo dal rumore dell’acqua che bolliva.
– Trovato!- esclamò Shan-Pu vittoriosa. Posò la scatolina sul bancone e ne estrasse una pillolina bianca. Aveva appena posato il bicchiere d’acqua accanto alla pillola, quando una voce dalla cucina la invitò: – Shan-Pu, potresti venire un attimo?
La cinesina sospirò. – Arrivo, bisnonna, solo un momento!- urlò di rimando mentre portava il bicchiere e la medicina alla bocca.
– Dovresti venire subito, nipote!
Un altro sospiro. Shan-Pu capì perfettamente che il dovresti impiegato dalla sua bisnonna altro non era che un camuffato, anche non troppo bene, devi.
Armandosi di pazienza, entrò in cucina, dove Mousse riprese a starnazzare festante. – E sta’ un po’ zitto, Mousse! Oggi sei più irritante del solito!
Stavolta il paperotto si beccò un vassoio in testa, come indicò il rumore metallico.
Maomoling approfittò del momento di confusione in cucina per entrare di soppiatto – o almeno così credette lui, dal momento che non poteva sentire quale baccano facesse il suo non troppo inosservabile sonaglio – e sostituire la medicina con il farmaco magico. –Solo un altro po’ e Shan-Pu sarà finalmente miao sposa!- esclamò euforico, ridendo sotto le vibrisse.
– Bisnonna, non ti sembra di aver sentito un campanello?
Il gatto fantasma trasalì: se l’avessero scoperto il suo piano sarebbe andato in fumo!  
– Un campanello hai detto? No, non mi pare… andrò a controllare per maggiore sicurezza!
In men che non si dica, Maomoling rientrò nel suo sonaglio e si dileguò, proprio un attimo prima che Obaba uscisse nella sala zompettando sul suo bastone. Con un’alzata di spalle tornò in cucina dalla nipote. Proprio in quel momento qualcuno entrò nel ristorante e il rumore della porta che si richiudeva attirò l’attenzione di Obaba. –Spiacente, siamo chiusi, apriamo fra un’ora! Oh, ma sei tu, futuro marito! Qual buon vento ti porta da queste parti? Ti sei forse deciso a chiedere la mano di mia nipote?
Ranma alzò una mano in cenno di saluto e fece per rispondere, ma fu interrotto da una festante Shan-Pu, alla quale era bastato captare le parole “futuro marito”, “mano” e “nipote” per andare letteralmente su di giri.
– Lanmaaaaaaaa! Finalmente ti sei deciso a prendermi in moglie!
– N-no, veramente io…- cercò di spiegare il ragazzo, mentre con le mani cercava di allontanare, senza troppa convinzione, Shan-Pu che non aveva perso un secondo per gettarglisi addosso e strusciarglisi come una gatta in calore.
– Veramente  sono qui solo perché sto fuggendo da Akane!
Lupus in fabula, la diretta interessata aprì di scatto la porta: uno sguardo truce e un’aura maligna lasciavano presagire che Akane fosse molto più che su tutte le furie. Ma ciò che fece accapponare la pelle al giovane con il codino fu la pericolosissima arma che Akane reggeva nella mano destra: un vassoio di “biscotti”. –Raaaaaaaaaaaanma, sono due giorni che traffico in cucina per preparare questi maledetti biscotti e tu non hai avuto il coraggio di assaggiarne neanche uno!
– Akane, ragiona per una buona volta! Lo vuoi capire o no che i tuoi biscotti sono immangiabili! Ma quando ti deciderai ad assaggiare i tuoi piatti prima di pensare anche solo lontanamente a servirli a qualcuno!
– Prima di giudicare… PERCHE’ NON LI ASSAGGI, STUPIDO!
Ranma non seppe se quello che accadde dopo fosse stata la reazione di una ragazza furibonda o una nuova mossa ideata da Akane, fatto sta che si ritrovò, con una raffica di… no, non ce l’aveva proprio il coraggio di definire “biscotti” quei cosi orrendi e duri come la pietra (lo vedeva da un miglio di distanza)… insomma, con una raffica di quella roba in bocca. Tale fu il contraccolpo da spedirlo dritto dritto con la testa nel muro, proprio sotto il bancone sul quale era poggiato il bicchiere d’acqua con il farmaco miracoloso, che, inevitabilmente, finì in bocca al giovane o alla giovane, per meglio dire, considerate le sembianze che aveva assunto in seguito al rovesciamento del bicchiere sulla sua testa.
– Lanma, Lanma! - Shan-Pu si gettò sul corpo del povero ragazzo che giaceva a terra ancora privo di sensi. Con amorevole cura, allora, cominciò a prenderlo a schiaffi in faccia nella speranza di farlo rinsavire, poi a scuoterlo con lo stesso intento. Anche Akane, allora, vedendo il fidanzato ancora privo di sensi, si allarmò.
– Ranma, perdonami! Non pensavo di farti così male!
– Come sarebbe a dire “non pensavo di farti così male”?- attaccò Shan-Pu. –Gli hai assestato un colpo micidiale che avrebbe steso un elefante!
– Sì, ma che diamine ne sapevo io che due biscotti gli avrebbero causato quest’effetto!- protestò la giovane Tendo.
Due biscotti? Ma ha lasciato l’impronta della testa nel muro! Povero il mio ai len
Ranma strizzò gli occhi e le due ragazze smisero per un momento di battibeccare.
– Sta riprendendo i sensi!
– Lanma!
Obaba si avvicinò alla ragazza con i capelli rossi e le porse un bicchier d’acqua, insieme ad una teiera di acqua bollente. –Prendi futuro marito.
Ranma afferrò il bicchiere e lo tracannò tutto d’un sorso, fino all’ultima goccia, per togliere via il sapore tremendo d quei biscotti incommestibili, dopodiché si versò la teiera sulla testa per riprendere le sue sembianze normali. –Grazie, Obaba!
– Allora, com’erano?- chiese Akane speranzosa.
– E ME LO CHIEDI PURE?- sbottò Ranma. – Un altro po’ e sarei andato all’altro mondo per colpa di quei cosi!
– Oh, forse ti saranno capitati quelli un po’ più crudi, ma sono certa che questi sono venuti benissimo!
– FOSSI MATTO!- gridò Ranma balzando in piedi e correndo via.
–Aspetta, Ranma! Ranmaaaa!
Akane lo seguì a ruota, sotto gli occhi sbalorditi di Shan-Pu e della sua bisnonna.
– Ne ha di fegato quella ragazza per riproporgli quella roba!- commentò la cinesina.
– Credo che ne abbia di più il futuro marito ad averla ingoiata!- rispose Obaba.
Intanto in cucina un disperato Mousse combatteva tra pentole, fornelli e una catena al collo, degna da denuncia alla protezione animali.

 

– Dannata Akane, ma che diavolo le passa per la testa? Piuttosto che mangiare anche un altro solo dei suoi biscotti preferirei la morte!
Certo, di questo passo all’aldilà Ranma Saotome ci sarebbe arrivato molto presto se avesse sentito anche solo lontanamente il rivoltante odore della pietanza della sua fidanzata.
Ranma stava correndo per le strade di Nerima nella speranza di seminare la sua fidanzata (sì, l’implacabile Akanetor gli era alle calcagna come un poliziotto, nemmeno lui fosse il più inafferrabile dei fuggiaschi), quando a un tratto una poco gradevole sensazione allo stomaco lo costrinse a fermarsi. Ranma si portò una mano davanti alla bocca in preda alla nausea. –Lo sapevo che quella robaccia non mi avrebbero portato a niente di buono!
– Ranmaaaaa!
La voce squillante e alquanto furibonda della ragazza  unita al nauseante odore di quella porcheria che lei chiamava “biscotti” si aggiunse al già presente malessere.
– Oh, no, mi ha quasi raggiunto!- esclamò il codinato in preda al panico, non tanto all’idea di dover affrontare la furia della fidanzata quanto a quella di doversela vedere nuovamente con la sua pietanza. Così si infilò nel primo vicolo stretto che gli si presentò davanti e si accucciò dietro un bidone dell’immondizia. Intanto la sensazione di malessere aumentava, tanto che Ranma dovette tenersi lo stomaco tra le mani per il dolore.
Akane continuò a chiamarlo per tre minuti buoni - minuti che al giovane sembrarono un’eternità - poi decise di tornare indietro e con lei sparì anche il nauseabondo vassoio di biscotti. Intanto anche il dolore allo stomaco si era attenuato, anche se adesso Ranma avvertiva una sensazione ben più strana: era come se il mondo attorno a lui si fosse ingrandito. Quando fu certo del pericolo scampato uscì fuori e con un sospiro di sollievo esclamò: “Questa volta me la sono vista proprio brutta! Ma al posto della sua voce udì solo rochi miagolii. Rabbrividì. Si voltò indietro con cautela, sperando di non trovarsi faccia a  faccia con uno di quei cosi con i grandi occhi, la coda e i baffi: niente. Solo allora gli venne in mente di guardarsi le mani e quel che vide fu a dir poco terrificante: due grosse, paffute, pelose zampe nere con tanto di cuscinetti rosa. “No” pensò Ranma “ è un’allucinazione. Non può essere come io credo che sia”. Ma la conferma alle sue allucinazioni arrivò quando abbassando lo sguardo vide una curiosa sporgenza, la quale seguì con la coda dell’occhio fino a scoprire che terminava proprio dietro la sua schiena. Ancora incredulo provò a muovere quella strana cosa lunga e nera per avere la conferma che fosse davvero parte del suo corpo. La cosa ondeggiò.
A questo punto sudore freddo cominciò a scorrergli sulla fronte e dietro la schiena. “No, non posso essere davvero…”. Ranma non osò pronunciare – o meglio pensare – quella parola, ma doveva sapere, doveva avere la conferma definitiva ai suoi sospetti, per quanto ormai fosse solo questione di ammetterlo a se stesso. Individuò una pozzanghera poco lontano e, armato di coraggio, si avvicinò. Si prese qualche secondo per prepararsi psicologicamente, poi chiuse gli occhi e inglobò aria. Lentamente si sporse in avanti, aprì prima un occhio, poi l’altro e ciò che vide riflesso nella pozza lo pietrificò. Una grossa, affusolata testa nera con due grandi orecchie appuntite. Ranma cadde all’indietro, sbiancando. “N-no, q-que-questo è...è...è… un incubo! Io…io s-sono un…” Deglutì. “SONO UN GATTOOOOO!?” Ranma inspirò, si alzò e iniziò a passeggiare avanti e indietro, con le zampe incrociate dietro la schiena. “Dunque, riflettiamo. Ho per caso acquistato qualcosa dai poteri sconosciuti da qualche ambulante cinese? No. A parte quella sbobba che Akane continua a definire biscotti, ho mangiato ultimamente un piatto di Shan-Pu che avrebbe potuto contenere qualcuno dei suoi dannati incantesimi? Nemmeno. E anche se fosse al massimo avrebbe potuto ipnotizzarmi o cose del genere, giusto? Giusto. Un momento… l’altro ieri ho pranzato da Ucchan! Ma no, Ucchan non è il tipo da meschinità simili, non è possibile, lo escludo. E poi perché trasformarmi in una bestiaccia  piena di pulci come questa? No no, è assolutamente da escludere. E allora… PERCHE’ DIAVOLO MI TROVO IN QUESTO MALEDETTO CORPOOOOOO!”
– Mamma, guarda com’è buffo quel gatto!
– Oh cielo, un gatto che cammina su due zampe!
– E che si tiene la testa con le altre due!
Ranma si guardò intorno: senza che se ne rendesse conto una piccola folla di persone si era accalcata e lo fissava, chi con uno sguardo divertito, chi con meraviglia, chi con curiosità.
–Possiamo tenerlo, mamma? Possiamo?
I bambini più piccoli strattonavano le gonne delle loro mamme pregandole di portare a casa quel buffo gatto nero che sapeva camminare sulle zampe posteriori.
Ranma scappò a gambe – anzi a zampe – levate. “Qui finisce male!” pensò. “Ci manca solo che mi vendano ad un circo o mi sottopongano a qualche esperimento!”. Ranma pensava questo mentre correva, quando ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. “Ehi, ma quello è…”
Un piccolo porcellino nero era sbucato da un vicolo del quartiere e trascinava con sé a fatica un piccolo pacchetto di carta.
“Ryoga! Ehi Ryoga!”. Ranma riprese a correre in direzione del porcellino. “Ryoga!” chiamava sempre più forte, ma dalla sua gola non uscivano che miagolii acuti. Il porcellino però udendo quella voce si volse, ma non appena vide il grosso micione correre verso di lui, spalancò i già enormi occhi neri, sobbalzando ed emettendo un grugnito di terrore. Mise in moto le piccole zampette e cominciò a correre.
“Ehi, Ryoga! Maledetto prosciutto in miniatura, torna indietro! Che ti è passato per la testa non vorrai credere che voglia mangiarti! Ryoga!” Le zampe lunghe e affusolate di Ranma gli permisero di raggiungerlo in poco tempo, ma quando il porcellino si accorse che il gatto l’aveva quasi raggiunto, spiccò un balzo e accelerò a tal punto la sua corsa da lasciare dietro di sé una grossa nube di polvere. Ranma fu costretto a fermarsi dal momento che la polvere gli era entrata in gola attraverso le narici. “Maledetto Ryoga! Che diavolo gli sarà saltato in mente? Tsk, uno cerca di essere gentile correndo a salutare un amico e guarda come viene trattato!” Un sinistro rumore allo stomaco gli ricordò che quella mattina a causa di Akane non aveva nemmeno fatto colazione. “Dio, che fame!”.
 Ranma non seppe spiegarsi se qualcuno davvero l’avesse ascoltato o fosse stata solo un’allucinazione olfattiva, ma non appena questo pensiero si materializzò nella sua mente felina, un delizioso profumino guidò i suoi passi fino ad un locale lì vicino. La porta era aperta e Ranma entrò.
– Per me un okonimiyaki ai gamberi!
– Per me uno al tonno!  
– Per me uno ai frutti di mare!
–Arrivano!- esclamò una voce squillante da dietro il bancone.
Ranma balzò su uno sgabello libero. “Ucchan, per me un’okonomiyaki alle seppie!” esclamò alzando una zampa, già con l’acquolina in bocca.
Ranma sentì gli occhi dei presenti puntati su di lui. “Dannazione, ho dimenticato che adesso sono nel corpo di questa bestiaccia! Accidenti, non posso ordinare il mio okonomiyaki alle seppie!” Ranma precipitò nel baratro oscura della disperazione.
– Oh, ma che carino!- la voce di una dei clienti lo distolse dalla sua scena melodrammatica.
– Forse ha fame!
– Hai fame piccolo?- chiese Ukyo con la sua voce gentile. A Ranma brillavano gli occhi: sì, qualcuno doveva esistere lassù!
– Miaaaao!
– D’accordo, vado a prenderti del latte! “No, no ma che latte e latte, Ucchan!”
Ranma iniziò a protestare miagolando contrariato.
– Che cosa c’è?
– Forse non gli piace il latte- suggerì un ragazzo.
– Ma va’, a quale gatto non piace il latte, Hiroto!- lo rimbeccò la ragazza di prima.
– Ehi, non è che forse gradiresti uno dei miei deliziosi okonomiyaki? – scherzò Ukyo. Ranma, drizzate le orecchie, annuì con voga.
I presenti restarono sbalorditi.
– Questa la devo raccontare ai miei amici!- esclamò l’altro ragazzo, balzando giù dallo sgabello e uscendo.
– Un gatto che mangia un okonomiyaki! Le mie compagne di classe impazzirebbero se lo vedessero!- E così anche la ragazza e il fidanzato, trascinato per il colletto, uscirono.
–Ehi ma…
– Ti pagheremo al ritorno, Ukyo!
Ukyo si strinse nelle spalle. –Se portano altri clienti, ben venga! Quanto a te… - disse poi rivolgendosi al suo insolito cliente. –Come lo preferisci l’okonomiyaki? Alla soia, ai frutti di mare, di carne, alle seppie…
“Seppie! Seppie, seppie, seppie!”. Istintivamente, Ranma iniziò a scodinzolare dalla gioia. –Oh, sei un buongustaio! Sai, anche al mio Ranma piacciono da morire gli okonomiyaki alle seppie! Sono i suoi preferiti!
Ukyo preparò in pochi minuti la sua specialità, la depose in un cartone e la poggiò per terra, accanto allo sgabello. Ranma balzò giù e divorò letteralmente l’okonomiyaki.
– Ehi, piano! Davvero, mi ricordi il mio caro Ranma! Non sarà che in realtà tu sei Ranma, vero?
L’ultimo pezzo di okonomiyaki andò di traverso al povero codinato, il quale iniziò tossire in modo convulso. Spaventata, la giovane cuoca riempì una ciotola d’acqua e la pose davanti al micetto che la trangugiò tutta d’un sorso, aiutandosi con le zampe anteriori.
– Stavo scherzando! Tu non puoi essere di certo Ranma, che sciocchezze vado pensando! – rise sinceramente divertita e Ranma tirò un sospiro di sollievo, che durò poco all’udire la frase di poco dopo. –Resta il fatto però che sei uno strano gatto.
Ukyo lo prese delicatamente in braccio, come se stesse tenendo un neonato. –Però sei molto carino, sai? Non li avevo notati prima questi grandi occhioni azzurri - sorrise accarezzandogli la testa. Ranma chiuse gli occhi beandosi di quella piacevole grattatina. Doveva ammetterlo: essere un gatto forse non aveva tutti questi svantaggi.
– Ma dai, sul serio credi che crediamo alla storia di un gatto che mangia okonomiyaki?
– Impossibile!
– Vi dico che è vero!
O forse no. Le voci dei clienti di poco prima gli ricordarono che se non se la fosse svignata immediatamente sarebbe diventata l’attrazione del locale per chissà quanto tempo. Con una punta di rammarico, Ranma scattò via dalle braccia della sua amica di infanzia e schizzò fuori dal locale, attento a non farsi notare dal gruppo di ragazzi.
– Come è andato via?
– Già - annuì Ukyo, togliendo via la ciotola e il cartone dove non erano rimaste nemmeno le briciole. – Appena dopo aver mangiato, è scappato via. Sapete come sono questi gatti randagi: non sono abituati a stare al chiuso.
– Dici che tornerà?- chiese una delle compagne della sua cliente.
Ukyo uscì fuori dal locale e guardò in lontananza. –Beh, spero di sì. Era proprio un gatto simpatico.

 

Miaooo che guaio!
Maomoling era nel panico. Da uno spiraglio davanti alla porta aveva spiato tutta la scena – sotto lo sguardo attonito dei passanti che restavano, non senza ragione, sbalorditi nel vedere un gatto gigante acquattato davanti alla porta di un ristorante - e non gli era sfuggito che per errore  la minuscola pasticca era finita giù nella faringe sbagliata. Era riuscito a nascondersi all’ultimo secondo prima che Ranma ricominciasse la sua folle corsa per i quartieri di Nerima, fidanzata al seguito.
– Questo è un vero disastro! – esclamò
Non voglio che Ranma Saotome diventi miao moglie! Devo escogitare qualcosa al più presto- rifletteva, sudando freddo.
Proprio quando stava per dileguarsi, però, qualcosa colpì il suo sonaglio e il Gatto Fantasma  riapparve, massaggiandosi la testa. –Chi è stato a colpirmi, eh? Chiunque sia stato assaggerà i miao terribili artigli! – disse mostrando le affiliatissime unghie.
– Sei completamente inutile, Mousse! Va’ fuori dai piedi! – urlava una voce dall’interno della cucina.
 Il gatto perse tutta la sua spavalderia quando si trovò faccia a faccia con un paperotto bianco e alquanto bizzarro, dal momento che indossava un paio di spessissimi occhiali a spirale.
– M-ma tu sei…
– Quaaaaack!
Maomoling fece per svignarsela, ma Mousse fu più agile di lui e riuscì a bloccarlo tirando fuori quattro lunghe catene dalle grandi ali. – Che cosa succede qui fuori, cos’è tutto questo baccano?
Obaba uscì saltellando sul robusto bastone di legno.  – Ma tu sei Maomoling, il gatto che cerca moglie! Che cosa ci fai qui? – chiese la vecchia amazzone con occhio indagatore. – Io? Miao niente, passavo da queste parti e volevo salutare la miao deliziosa Shan-Pu!
– Quack! Quack! Quack!
Mousse gli si scagliò contro e cominciò a beccarlo, mentre lo spirito gatto tentava, invano, di tenerlo lontano con le zampe posteriori, considerato che quelle anteriori erano bloccate dalle catene. – Tu adesso vieni dentro e ci racconti tutto per bene!
 – No!- protestò il micione bianco. – Non potete costringermiao a parlare!  
 
Se non parlerai, posso assicurarti che la tua pelliccia diventerà un morbido e caldo piumone per quest’inverno! E adesso muoviti, entra e non fare troppe storie! – minacciò Obaba, spintonando il gatto all’interno del locale “Neko hanten”.
– Un giorno chiamerò la protezione animiali, potete metterci la miano sul fuoco! – brontolò Maomoling, entrando come un condannato al patibolo, e giungendo alla conclusione che gli conveniva confessare tutto dal principio, prima che la vecchia amazzone gli facesse la pelle. In tutti i sensi.

 

Ranma si fermò quando ormai non aveva più un briciolo di fiato. Uno strano brontolio allo stomaco gli fece comprendere che quel piccolo okonomiyaki non gli era bastato a saziare la sua fame. Tutta quella corsa doveva aver smaltito in un attimo il pasto consumato poco prima. Avrebbe potuto avvicinarsi ad una bancarella di takoyaki  e fare gli occhioni dolci (diamine, se ci riusciva quando era ragazza, volete vedere che non era in grado di portare a termine il suo astutissimo piano anche in versione felina?) oppure posizionarsi davanti l’ingresso di un supermercato e iniziare a fare fusa strusciandosi vicino alle caviglie delle casalinghe che uscivano con le enormi buste della spesa. Ma che ne sarebbe stato del suo orgoglio? Era un gatto, sì, ma era pur sempre Ranma Saotome, la persona più orgogliosa di tutta la città, se non della nazione o del mondo intero.
“Ci vorrebbe un vero colpo di fortuna” pensò Ranma, sconsolato.
– Ahhhhhhh Jean-Pierre!
Non questo colpo di fortuna. Una vivace ragazzina dai lunghi capelli mossi afferrò il micetto e lo strinse a sé, fin quasi a soffocarlo. – Oh, il mio delizioso Jean-Pierre! Ma che amore che sei!
“Lasciami, squinternata! Lasciami subito, hai capito!?”
Ranma si dimenava più che poteva, facendosi forza sulle zampe anteriori e scalciando con quelle posteriori per poter sfilare via dalle braccia di Azusa appena la ragazzina avesse allentato, anche di un solo centimetro, la presa. Ma il problema è che Azusa non aveva le braccia di una qualunque ragazza di sedici anni – nemmeno di un qualunque essere umano, a dire il vero - bensì due tenaglie da ferramenta. Ma se la ragazzina era testarda nel voler tenere ben salda la presa, Ranma Saotome lo era ancor di più nel voler riconquistare la sua libertà. “Devo assolutamente svincolarmi. Non voglio finire nella collezione di questa cleptomane psicopatica!”
Ma il peggio arrivò dopo. 
– Hai di nuovo preso qualcosa che non ti apparteneva, vero Azusa?
– Mikado, guarda che amore di gatto! Non è una amore, eh? Eh eh? Eeeeeeeeeh?
Azusa piantò letteralmente il micio sulla faccia del compagno di pattinaggio. – Azusa, toglimi subito dalla faccia questa bestiaccia!
Dal canto suo, anche Ranma non è che gradisse star lì piantato sulla faccia di Mikado Sanzenin, memore ancora di quell’episodio quando il giovane dongiovanni del Cole House si prese la libertà di baciarlo. E di causargli una serie ininterrotta di conati di vomito poco dopo.
“Miaaaaaaaaaaaao!”. Irritato, Ranma dimenò tutte e quattro le zampe dalle quali tirò fuori affilatissimi artigli che deturparono il viso di Mikado.
 – Aaaaaah dannato gattaccio, il mio viso! Il mio splendido, affascinante viso!- piagnucolò Sanzenin, tastandosi la faccia dopo essersi specchiato e aver constatato il danno dei segni lasciati dal felino.
“Vendettaaaaaaa!” soffiò Ranma, mostrando i canini appuntiti.  
– Oh, hai visto? L’hai spaventato! Povero il mio piccolo Jean-Pierre! Adesso andiamo a casa, facciamo un bel bagno, mangiamo e poi passiamo tuuuuuutta la giornata a provare dei vestitini deliziosi che sono certa ti staranno d’incanto!
– Come sarebbe, adesso vuoi vedere che è colpa mia? – urlò alterato Mikado, ma la giovane pattinatrice non lo degnò  della minima attenzione.
Ranma , intanto, aveva ripreso a dimenarsi e a sgambettare, ma la furbissima Azusa Shiratori aveva un’arma letale.
– Oh, e sta’ buono, Jean-Pierre! – disse colpendolo con un martelletto di legno tirato fuori da chissà dove, senza però perdere il suo solito sorriso infantile. –Andiamo Jean-Pierre, la giornata è ancora lunga!
E se ne andò, lasciandosi dietro un Mikado Sanzenin che ancora non desisteva nella sua protesta e pretendeva di essere almeno ascoltato. Protesta che non andò avanti ancora per molto quando sentì due voci femminili confabulare alle sue spalle.
– Ma quello non è Mikado Sanzenin, il famoso pattinatore della Coppia d’Oro?
– Sì, sì, è proprio lui!
Più veloce della luce, Mikado si ravvivò il ciuffo, si passò il fondotinta per coprire i graffi e si voltò facendo ondeggiare i capelli. – Mikado Sanzenin in persona, fanciulle. Per servirvi!
Sorrise e le ragazze – alle quali poi se ne era aggiunto un numero sempre maggiore – andarono in visibilio.
Quanto a Ranma, avrebbe dovuto escogitare al più presto un piano per evadere dalla dimora degli Shiratori. Non appena avesse ripreso i sensi, chiaro.

 

– … E questo è quanto.
Obaba sospirò. – Stavolta l’hai combinata grossa, gatto. Veramente grossa.
– Povero, ai len! Bisnonna dobbiamo fare qualcosa!
Obaba annuì gravemente. – Avanti, gatto, parla! Qual è il rimedio per rompere l’incantesimo? 
– Non ve lo rivelerò miai! Questo no! Non posso assolutamente dirvelo!
– Maomoling… - Shan Pu si avvicinò con fare suadente al grosso gatto bianco, il quale subito avvampò e sentì fremere le vibrisse. – Se ci dirai il rimedio all’incantesimo che trasforma in gatto, io potrei anche concederti un appuntamento…che ne pensi? Ci stai?
Le orecchie del micione si mossero: aveva sentito bene?
–Un appuntamento… con te?
Shan Pu annuì sorridente. Maomoling sgranò gli occhi (come se i suoi non fossero già abbastanza grandi) e assunse un’aria sognante. –Che gioia, che felicità! Questo è il giorno più bello della miao vita! 
– NO, IO NON TE LO PERMETTERÒ! - Mousse comparve improvvisamente dalla cucina, ancora fumante per l’acqua calda versatasi addosso per riprendere le sue sembianze normali,  e avanzò deciso in direzione del gatto. O almeno così credeva lui. 
– Maledetto gattaccio!- imprecò puntando il dito contro il grosso tanuki posto all’ingresso del Neko Hanten. – Maledetto, non ti permetterò ti avere un appuntamento con la mia Shan-Pu! 
Obaba lo colpì con la parte superiore del bastone. – Se vuoi fare il gradasso, almeno mettiti gli occhiali!
Mousse si sistemò gli occhiali in modo da poter mettere meglio a fuoco il mondo circostante, poi, individuato il reale rivale, gli puntò di nuovo il dito contro. – Non ti permetterò di avere un appuntamento con la mia Shan-Pu! Lei è la mia futura moglie ed è mio dovere di marito proteggerla da scocciatori come te!
Una secchiata d’acqua gelida investì il povero cinese occhialuto. – Non impicciarti, Mousse!
–Quack, quack, quack – protestò l’anatra dimenando le ali, ma con un’abile mossa Obaba intervenne ad acquietare gli animi troppo infervorati del paperotto, che cadde al suolo privo di sensi. – Allora?- chiese poi rivolgendosi allo spirito.
– Beh, è molto semplice: la maledizione del gatto si scioglierà non appena Ranma Saotome avrà ricevuto il bacio del vero amore. Ma se entro la mezzanotte di oggi Ranma non avrà ricevuto il bacio, sarà destinato a restare nel corpo di un gatto per il resto della vita!
– Oh no, ma è terribile! – esclamò Shan-Pu portandosi le mani davanti alla bocca. – Devo trovare Lanma al più presto e sciogliere l’incantesimo… non temere ai len, io ti salverò!
Shan-Pu si precipitò fuori di corsa.
– Ehi, è il miao appuntamento?
– Oh, ma io ho detto che avrei potuto concederti un appuntamento, non che te l’avrei concesso. – sorrise furba Shan Pu. – Zai jian!
– Beh, è quasi ora di aprire, meglio che mi sbrighi… dai una ripulita ai tavoli, dal momento che Mousse non è in condizione di farlo…
– Ehi, esigo rispetto! Sono pur sempre Maomoling, lo spirito del sonaglio e… 
– Taci e prendi l’acqua e uno straccio!- ordinò Obaba.
– Come miao trattate male… sono un gatto sensibile, io! Almeno slegatemi! Ehi… c’è nessuno?
Da una parte imprecisa del locale un barattolo di latta piombò sulla testa del povero Maomoling.
– Ahio! Che vita crudele la miao!

 

–Oh Jean-Pierre, ti sta divinamente!
Ci aveva provato con tutto se stesso ma non aveva avuto scampo. Ranma Saotome era stato incastrato, alla fine. Aveva passato quasi tre ore a scappare e a nascondersi sotto i mobili, dietro le tende, dentro i vasi, ovunque ma Azusa puntualmente l’aveva trovato, nemmeno fosse il più esperto dei cani da tartufo. E alla fine, quando ormai Ranma aveva esplorato palmo a palmo tutti gli ambienti della villa degli Shiratori, Azusa era riuscita ad acciuffarlo e a fargli indossare un frac con tanto di coda e farfallino. Non si era mai sentito così ridicolo in tutta la sua vita. A parte forse quando era stato costretto a indossare il body.
– E adesso, un velo di trucco per ravvivare questo visino spento!
Azusa tirò fuori fard, mascara e rossetto e a Ranma si rizzarono i peli per il terrore.
“Basta! Devo trovare il modo di andar via di qui! Ne va della mia salute fisica e mentale!”
Come una manna dal cielo, qualcuno sembrò captare la sua disperata richiesta d’aiuto.
Il maggiordomo bussò alla porta e ricevuto il permesso di entrare, informò la padrona di casa che c’era qualcuno ad attenderla al telefono. – Oh proprio adesso? E va bene, vorrà dire che rimanderemo a più tardi il nostro maquillage, caro Jean-Pierre! Mi raccomando, non muoverti, la mamma tornerà tra un attimo!
Azusa trotterellò fuori e il maggiordomo richiuse la porta.
“ È il mio momento, ora o mai più!”
Ranma si guardo intorno, alla ricerca di un’ispirazione. Se fosse saltato sulla maniglia della porta e fosse uscito dall’ingresso principale la servitù lo avrebbe di certo visto e riportato in camera e magari stavolta avrebbe anche chiuso la porta a chiave.
Cercò ancora. La finestra!
Lesto, Ranma saltò sul davanzale, spinse con il muso la vetrata a scorrimento e guardò giù. Certo che era alto un bel po’, eh! Ma niente poteva essere più spaventoso dell’idea di far da cavia agli esperimenti di maquillage di quella psicopatica di Azusa.
Ranma tirò fuori il muso e i tiepidi raggi del sole gli scaldarono il viso. “Andiamo Ranma, è solo un po’ di altezza, che sarà mai? Questo è tutto ciò che ti separa dalla libertà!”
Il solo pensiero gli diede la carica necessaria per spiccare il primo balzo sul ramo più vicino. Da lì fu un gioco da ragazzi arrivare a terra: corse giù per il tronco per un paio di metri, poi spiccò un secondo balzo e atterrò in perfetto equilibrio sulle zampe.
“Un numero eccezionale! Sono un asso!” si autoelogiò e sarebbe rimasto lì anche per qualche minuto a complimentarsi con se stesso per la performance se la voce della giovane pattinatrice non fosse giunta alle sue sensibilissime orecchie feline. –Jean-Pierre, sto arrivando!
“Tsk, povera illusa!” pensò Ranma. “Nessuno mette in scacco Ranma Saotome e soprattutto nessuno può usarlo come cavia da trucco!”
Ranma si mise in posizione con le quattro zampe leggermente piegate in avanti e si diede uno slancio quelle posteriori, atterrando sul muretto che separava la proprietà degli Shiratori dalla strada. “Addio e a mai più rivederci, pazza psicopatica!” sorrise gioioso di aver riconquistato la sua libertà. 
Mentre correva per il quartiere, il giovane tentò di sbarazzarsi di quei ridicoli abiti per bambole e, strappando con le unghie e con i denti, alla fine non restarono che brandelli di tessuto. “Libertàààààà!” esclamò contento, ma uno scampanellare di bicicletta gli fece presagire che era troppo presto per cantar vittoria.
– Lanmaaaa! Lanma, dove sei?
“Oh no, è Shan-Pu! Ci mancava solo lei! Per oggi ho avuto fin troppi guai!” Ranma imboccò il primo vicolo che gli capitò a tiro e attese che Shan-Pu gli passasse davanti. Scampato il pericolo della cinesina, Ranma tirò un sospiro di sollievo. “E anche questa è andata!”
Ma ancora una volta aveva parlato troppo presto. Sinistri miagolii uniti a un’aura alquanto minacciosa gli fecero tremare pelo e vibrisse. Con cautela Ranma si voltò fino a incrociare una serie di sguardi che andavano dal rosso al verde al giallo. A poco a poco quella miriade di occhi diventarono qualcosa di più: musi, teste, zampe, corpi. Un centinaio di gatti  avanzarono minacciosi da ogni lato verso il gatto nero che aveva osato invadere il loro territorio. Ranma indietreggiò un passo alla volta mentre la fronte gli si imperlava di sudore. “Buoni, micetti, state buoni… sono uno di voi, no? Mi vedete? Sono un ga…un ga… “
No, proprio non ci riusciva a pronunciare quella parola. Quello che sembrava il capo lo fissò dritto negli occhi con le sue iridi giallo-verdastre. Dalla zampa destra fuoriuscirono quattro affilatissimi artigli; seguendo l’esempio del capobranco, anche tutti gli altri gatti mostrarono zanne e artigli. Ranma ricominciò la sua sfrenata corsa, trovandosi alle calcagna, stavolta, un fiume di gatti randagi che volevano fargli vedere chi comandava in quel quartiere.
“ Ma perché capitano tutte a meeee? Cosa ho mai fatto di male per meritarmi tutto questo, eh? AIUTOOOOOO, IO GATTI NON LI POSSO SOPPORTARE! QUALCUNO FERMI QUESTA MANDRIA INFEROCITA!”
Era quasi il tramonto quando Ranma, dopo aver setacciato tutte le vie del quartiere alla ricerca di un riparo, riuscì a seminare quel fiume di gatti indemoniati, trovò rifugio su di un albero. La colonia di gatti si fermò proprio sotto il suo albero, si guardò intorno e, perse le tracce dell’intruso, decise di tornare indietro, ma solo quando l’aura minacciosa di quelle dannate bestiacce sparì del tutto, Ranma si decise a scendere. Con le orecchie basse e il fiatone, il ragazzo riprese a camminare alla cieca, mentre il suo stomaco lo informava che era un po’ che non metteva qualcosa sotto i denti.
“Non mi tengo in piedi, ho troppa fame!” pensò. Sconsolato, credette che ormai fosse giunta la sua fine, quando vide l’ombra di un essere umano che arrivava alle sue spalle. – Oh, ma tu guarda che bel gattino abbiamo qui! Cosa ci fai tutto solo soletto, piccolo micino, eh?
Ranma rabbrividì. “No, vi prego. Tutto ma non questo, sarebbe troppo per il mio equilibrio psico-fisico!”.
Cosa fare? Idea: continuare a camminare. Ranma continuò come se la cosa non gli riguardasse. “Non ti voltare, Ranma. Zitto e zampetta, zitto e zampetta. Ignora la persona alle tue spalle, ecco, così.”
Ma per l’ennesima volta Ranma Saotome aveva fatto i conti senza l’oste. Un nastro rosso gli bloccò la gola e il ragazzo si sentì improvvisamente mancare la terra sotto le zampe. Due mani lo afferrarono al volo e quando lo portarono faccia a faccia con la proprietaria di quell’ombra, Ranma non nutrì più alcun sospetto: Kodachi Kuno.
Il solo nome gli fece accapponare la pelle.
– Oh, povero micino, mi sembri così affamato! Vieni, entriamo. “Entriamo?” Lo sguardò di Ranma cercò istintivamente la targa dell’abitazione davanti alla quale si era fermato: Kuno.
Magnifico, la sua solita fortuna sfacciata.
– Dì un po’ ti piace il caviale?- proseguì Kodachi.
“Lo odio.” 
– E il fois gras?
“Piuttosto una lisca di pesce!”
– Oh, per essere un randagio hai buon gusto, micetto! Ohohohoh!
“La vedo nera. Oh Kami, se la vedo nera!”
La Rosa Nera entrò nella villa trotterellando per la felicità.
–Bentornata padroncina!- Sasuke sbucò fuori all’improvviso e si prostrò davanti alla minore dei Kuno.
– AAAAAAAAAH! UN GATTO NERO!-. Sasuke tirò fuori un gohei
e cominciò a invocare le divinità affinché allontanassero gli spiriti maligni da casa Kuno. – Oh morte, oh sventura, questa casa di te non ha paura! Oh sortilegio, oh maledizioni, siano contro di voi gli antenati delle generazioni!-.
La cantilena andò avanti per una buona mezz’ora. Ranma tamburellò una zampa sul braccio di Kodachi, finché non perse la pazienza. Saltò dalle braccia della ginnasta e si avventò sul povero servitore di casa Kuno. – Ah, i demoni hanno maledetto la nostra dimora!            
– Oh, povero mio piccolo Ranma-sama!
La Rosa Nera riafferrò l’animale che – per chissà quale motivo - le ricordava l’amato Ranma.
– Sasuke! Non osare mai più trattare in un modo così scortese il mio piccolo Ranma-sama o la prossima volta…- Kodachi lasciò volutamente la frase in sospeso e lanciò un’occhiata fulminante al servitore, il quale davvero non immaginava quale altra punizione potesse riservargli la padroncina, dal momento che, a suo dire, aveva sperimentato di tutto: andare a letto senza cena, essere umiliato pubblicamente, bacchettato con una canna di bambù, senza contare i continui richiami dei fratelli Kuno. –Quanto a te, piccolo mio, adesso conoscerai un nuovo amichetto!- disse Kodachi, riprendendo il suo solito tono stucchevole.
Ranma avvertì una strana sensazione. Le conoscenze della famiglia Kuno andavano da presidi fuori di testa, con uno strano accento inglese a vecchie rivali di ginnastica ritmica tornate per una sfida su chi avesse il fidanzato più bello a giovani astri di majorette che combattevano a colpi di pompon. E mentre Ranma pensava a quale razza di personaggio assolutamente non sano di mente Kodachi alludesse, il mondo d’improvviso gli parve essersi capovolto.
– Adesso farai amicizia con il mio cucciolotto: Tartaruga Verde, vieni fuori! Ti ho portato un amico!
“Tart… TARTATUGA VERDE!?”
Dal laghetto sopra il quale Ranma era sospeso emersero alcune bolle sinistre, seguite pochi istanti dopo da una colonna d’acqua. Ranma riuscì a darsi una spinta verso l’alto giusto un attimo prima che un paio di fauci si chiudessero sotto di lui come tenaglie.
“KODACHI MALEDETTA PAZZA, LIBERAMI SUBITO!”
 – Oh, come si vede che andate subito d’accordo! Ohohohoh!”
“PERFAVORE, QUALCUNO MI AIUTI! CHIAMATE LA PROTEZIONE ANIMALI! IO QUI CI LASCIO LA PELLICCIA!”
– Bene, vi saluto miei adorati. A più tardi, divertitevi! Ohohohoh!
“QUESTA ME LA PAGHI, FOLLE DI UNA KODACHI!”
Ma la giovane ginnasta si era già dileguata verso la cucina e indossato un grembiule si apprestava a preparare una deliziosa cenetta per il suo nuovo cucciolotto.
“EHI QUALCUNO MI SENTE? SLEGATEMI! VOGLIO ANDARE A CASA!”
Ranma era ormai sull’orlo di una crisi isterica, quando accadde l’incredibile. In un ennesimo slancio, Tartaruga Verde addentò la corda e la spezzò mentre Ranma era ancora sospeso in aria nel tentativo di non diventare la cena del piccolo alligatore di casa Kuno. “Perfetto, è la mia occasione!” pensò, atterrando sul ramo dell’albero al quale era stato legato. Con uno scatto fulmineo balzò prima sul parapetto del ponte che dava sul laghetto, poi con un altro saltello si portò a terra. Gli occhi si illuminarono di felicità nel calcolare i metri che lo separavano dall’entrata della villa Kuno. “Ci siamo. Ancora un po’ e sarò libero. Libero. Libeeeeeerooooo!” .
Ranma già assaporava l’odore (beh, non proprio gradevole, ma comunque un odore di libertà) della strada, quando qualcosa gli si parò davanti bloccando la sua fuga. Il ragazzo-gatto ci andò a sbattere contro, rimbalzando all’indietro, e riuscì a tenere l’equilibrio solo grazie alla lunga coda che fungeva da asse. Per la seconda volta in quella giornata Ranma si sentì la terra mancare sotto le zampe.
– E tu chi saresti?
Magnifico. Eccolo là. Come aveva mai potuto, Ranma Saotome, dimenticare lui, il padrone di casa, la causa prima di tutte le sue disgrazie sia come uomo che come donna.
– Ben tornato a casa, padroncino!
Sasuke saltò alle spalle del giovane kendoka, il quale cacciò fuori un urlo non proprio virile. –Sasuke! Ti avrò detto un centinaio di volte che non devi arrivarmi alle spalle!
– Desolato padroncino! Chiamasi “deformazione professionale”!
– Lasciamo perdere. Piuttosto spiegami cos’è questo.
Tatewaki tese in avanti il braccio alla cui estremità penzolava il povero Ranma.
– E’ chiaramente un gatto, signore. – rispose Sasuke con tranquillità.
–QUESTO LO VEDO ANCH’IO!- sottolineò il Tuono Blu. – Intendevo dire che cosa ci fa qui questo gatto!
– Ah, l’ha raccolto la signorina Kodachi dalla strada.
– DALLA STRADA!?
Kuno lasciò di scatto la presa con un’espressione inorridita. – Che orrore! In questo momento sul mio corpo chissà quanti germi staranno proliferando a causa di quell’animale immondo e pieno di pulci! Urge un bagno nella mia lussuosa vasca idromassaggio!
Punto nell’orgoglio, Ranma rizzò il pelo e scattò in avanti: nessuno poteva permettersi di dargli del “animale pieno di pulci”. Un paio di zampate e il viso del senpai era ricoperto di graffi più o meno profondi.
– MALEDETTA KODACHI!- La chiamata in causa uscì proprio in quel momento sulla veranda
– Che cos’è tutto questo baccano? Tatewaki cos’hai da urlare come se fossi uno straccivendolo di campagna?
– Kodachi, tu e le tue idee assennate! Prendi quest’animale immondo e mettilo alla porta! Guarda, guarda cos’ha fatto ai miei nobili e delicati lineamenti! Con che faccia potrò presentarmi davanti alla dolce Akane Tendo o alla misteriosa Ragazza con il codino?
– Ah, il mio piccolo Ranma-sama!- Kodachi strappò il gatto dalle perfide mani del fratello. – Che cosa hai fatto al mio povero Ranma-sama, eh?
Kuno inspirò profondamente. Oltre il danno, pure la beffa.
– A… chi?
– A Ranma-sama.- ripetè Kodachi, scandendo le parole. –Guarda, non è identico al mio adorato Ranma? Ha il suo stesso sguardo!
La rabbia di Kodachi si era sciolta in uno sguardo trasognante e Ranma, in tutta sincerità, non sapeva quale delle due personalità della ginnasta fosse la più inquietante. Quanto a Kuno, se prima era inorridito alla sola idea che quel gatto potesse trasmettergli una qualche malattia ancora non attestata nemmeno dalla comunità scientifica di Tokyo, adesso una serie di spasmodiche convulsioni gli attanagliavano la bocca dello stomaco. Spada di legno alla mano, Tatewaki puntò l’arma contro il muso del felino. – Fa’ sparire quel gatto e con lui anche quell’odioso nome!
– Non osare minacciarmi, Tatewaki! Sai quanto posso diventare pericolosa! 
– E va bene, sorellina. Se vuoi la guerra, guerra sia!  -D’accordo, Tatewaki! Ma ricordati che l’hai voluto tu… in guardia! Kodachi spiccò un agile salto all’indietro, si liberò dell’ingombrante grembiule e nastro alla mano si preparò al duello.
– Oh, no, ci risiamo!- esclamò sconsolato Sasuke, il quale già immaginava quando, a fine battaglia, avrebbe dovuto risistemare il disastro che i due fratelli Kuno avrebbero combinato. Beh, se non altro in giardino i danni sarebbero stati decisamente più esigui, provò a pensare il povero giardiniere. Proprio in quell’istante una tegola del tetto lo colpì in fronte. Come non detto.
Ranma approfittò del momento di confusione per svignarsela. Era il momento di chiudere quella disastrosa giornata, sebbene non avesse trovato ancora una soluzione al suo problema principale: quello di avere le sembianze di un felino. Magari la vecchia Obaba o il maniaco avrebbero potuto aiutarlo.
Guardò in alto: ormai il sole era tramontato da un pezzo ed era scesa la sera. A casa lo stavano aspettando per la cena. “Ci andrò domani” si disse, annuendo per dare maggiore forza alla sua decisione. E a passo svelto – era troppo stanco persino per correre – si diresse verso la casa dei Tendo.
Per la stanchezza impiegò più tempo di quanto effettivamente ce ne volesse per raggiungere il dojo e quando arrivò l’ora di cena era ormai passata da un pezzo. A parte il latrato di qualche cane in lontananza, non si udiva altro rumore nel quartiere ed eccetto il fioco bagliore dei lampioni in strada, non c’erano altre fonti di illuminazione . Buio e silenzio. A quell’ora della notte Nerima diventava un posto tranquillo e desolato.
 “Forza Ranma” si incoraggiò e con quel briciolo di forze che gli restavano, balzò sul muro di cinta di casa Tendo. Furtivo, balzò nuovamente giù, al di là del muro, attento a non fare il minimo rumore, ma ignorò che qualcuno a quell’ora potesse essere ancora sveglio.
– Chi c’è là!- Akane uscì in giardino ponendo in bella vista il bastone di bambù che aveva con sé.
Ranma si rifugiò dietro un cespuglio e la osservò da lì. “Che cavolo ci fa quella con un bastone di bambù appresso? Ah, più la conosco, più non la capisco!”
Ranma si grattò un orecchio con la zampa posteriore sinistra, ma sfiorò le foglie del cespuglio. Il rumore attirò maggiormente l’attenzione di Akane.
– Avanti esci fuori, non ho paura di te! Lo so che sei dietro quel cespuglio!
Colto in flagrante, Ranma si arrese e uscì allo scoperto un passo alla volta, le orecchie e la coda basse e l’aria timida. Doveva ammettere che la recitazione era sempre stato un talento innato in lui: se non si fosse già fatto un nome come artista marziale, avrebbe giurato che si sarebbe buttato a fare l’attore.
Alla vista di quel gattino spaurito, Akane si tranquillizzò e abbassò lentamente l’arma. – Oh, ma è solo un povero gattino!
La minore delle Tendo si accovacciò e provò ad avvicinare l’animale. – Vieni qui, non avere paura… sono tua amica! “Ma guardala come fa tutta la carina, adesso! Vorrei vedere se lo facesse anche quando sono in versione umana!” Ranma arrossì di colpo, metabolizzando il suo stesso pensiero. Che cosa voleva dire con questo? Che avrebbe voluto che Akane fosse così gentile con lui anche quando è un ragazzo? Temendo la risposta decise di non badarci troppo e di attribuire quel pensiero solo alla stanchezza di quella lunga e stressante giornata.
Ranma si avvicinò con cautela, annusò la mano della ragazza e si lasciò accarezzare. – Ti sei perso, piccolino? Sai, fortuna che Ranma non c’è, altrimenti avrebbe dato di matto, lui odia i gatti! – rise Akane e quella piccola risata le illuminò il viso. “Dovrebbe sorridere di più” pensò Ranma. “Quando sorride diventa un’altra” – Già, chissà dove si è andato a cacciare quello stupido.
“Eccola là. Deve sempre rovinare il momento, non c’è niente da fare!”.
Sulle prime, Ranma si irritò per l’appellativo poco carino – ma alquanto consueto - della fidanzata, ma subito dopo si accorse dello sguardo sinceramente preoccupato della ragazza. “Che sia preoccupata… per me?”
Akane si sedette a gambe incrociate sull’erba umida del giardino e sistemò il gatto nello spazio tra le sua gambe. – È da stamattina che non si fa vivo. E tutto solo perché non ha voluto assaggiare i miei biscotti!
Assaggiare? Ma se ci stavo rimettendo l’intero apparato digerente per quei dannati biscotti!”
– Possibile che fossero tanto terribili?
“Sì, lo erano!”
– Eppure ci avevo messo tutto l’amore possibile!
“Sì, ma devi metterci anche gli ingredienti giusti, incosciente!”
– Non è ritornato né per pranzo né per cena, chissà che fine avrà fatto. Magari sarà andato a spassarsela con le sue fidanzate…
“Senti, non parliamo della mia giornata, per cortesia! È solo da dimenticare, altro che spassarmela!”
–… e si sarà rimpinzato di okonomiyaki o di ramen, mentre io me ne sto qui a preoccuparmi inutilmente!
“Ma sentitela! Per la cronaca, a parte il misero okonomiyaki di Ukyo, non tocco cibo da stamattina!”
Akane strinse a sé il malcapitato animale con la sua forza sovrumana.
“Ahia, scema, mi fai male! Mi stai stritolando, molla la presa”
– Miaooo!- Ranma tirò fuori gli artigli e sfiorò appena la pelle della giovane, solo per monito.
– Oh, scusami piccolino, non volevo stringerti così forte! È che se solo penso che Ranma a quest’ora starà di certo facendo il cascamorto con le sue fidanzate, mi sale un…un…
Akane arricciò le ciglia e strinse i pugni.
“Punto numero uno: io non sono un cascamorto. Punto numero due. Questa si chiama gelosia, mia cara. Ge-lo-si-a. Ma d’altronde come non darti torto: con un ragazzo forte, affascinante e scaltro come me, nessuno potrebbe resistere!”
Ranma si ravvivò un ciuffo con un movimento della testa, compiacendosi dei propri elogi.
– Però…- La giovane Tendo assunse di nuovo un’aria malinconia e Ranma drizzò le orecchie nere a punta per ascoltare il seguito della frase. -… io ci tenevo che trascorresse la serata con noi. Domani è il suo compleanno e gli avevo anche preparato una torta per l’occasione. Ma certo, quello stupido preferisce andare da Ukyo, da Kodachi o da Shan-Pu che di certo sono più abili di me in cucina, ma nemmeno io me la cavo poi così male, sai?
Compleanno? Già domani sarebbe stato il suo diciottesimo compleanno. Per la miseria, erano già due anni che si era trasferito dai Tendo!
Per quanto Akane fosse completamente negata in cucina, però una cosa Ranma doveva riconoscerla: era vero che Akane metteva il cuore in ogni cosa facesse.
Sorrise senza neanche accorgersene: in fondo era stato un pensiero gentile. Certo, non era così folle da rischiare una seconda gastroenterite nell’arco di due giorni, ma avrebbe apprezzato comunque il gesto della fidanzata.
– Miaooo…
Ranma si alzò sulle zampe posteriori e allungò il corpo verso il viso di Akane, la quale, accortasi della preoccupazione del gatto, si passò il dorso della mano sugli occhi per asciugare due piccole lacrime invisibili. – Non è niente, tranquillo, sto bene. – disse, ostentando un finto sorriso. Poi lo prese per il ventre e lo sollevò in aria, con verso la luna: il bagliore argenteo di quella ne mise in risalto gli occhi. Occhi di un grigio-azzurro, insoliti per un gatto: questa fu la riflessione di Akane.
– Ma sai che sei proprio un gattino adorabile? Ti terrei volentieri con me, se solo Ranma non avesse la fobia dei gatti! Però credo che per stasera non ci siano problemi se resti qui, dal momento che Ranma non c’è. Che ne dici, ti va di restare, piccolino?
Akane avvicinò il gatto alle sue labbra e lo baciò sul musetto umido: il gesto fu tanto veloce e naturale che Ranma non ebbe nemmeno il tempo di scostarsi. L’orologio a pendolo suonò la mezzanotte. Ranma cominciò ad avvertire una strana sensazione alla bocca dello stomaco, la stessa che aveva provato quella mattina, prima di trasformarsi in un felino. “Oh no, vuoi vedere che…?” Fulmineo, sgusciò via dalle mani di Akane, balzò sul tetto e sparì dall’altra parte, prima ancora che la ragazza potesse alzarsi e fare il giro della casa per vedere dove si fosse andato a nascondere il furbo animale.
– Aspetta! – riuscì solo a gridare, scattando all’in piedi,  ma il suo confidente era già sparito oltre il tetto, nel buio della notte.
Ranma trasse un sospiro di sollievo: era riuscito a sgattaiolare nella sua stanza appena in tempo, prima che riprendesse le sue sembianze umane. Si tastò la faccia, il petto, le anche; poi si girò su se stesso per verificare che non vi fosse più traccia di quel dannato animale. – Finalmente sono tornato normale! Beh, forse “normale” non è proprio il termine adatto, ma, al diavolo, sono di nuovo un umano!
Ranma non stava più nella contentezza, al punto che non si rese conto di aver alzato un po’ troppo la voce. Un cartello di legno gli arrivò in piena fronte e un irritato panda gigante lo scrutava con uno sguardo truce, nonostante le palpebre semichiuse per il sonno.
“Hai idea di che ore sono?” recitava un secondo cartello. “Qui c’è gente che vuole dormire!” 
– Ti sembrava il caso di tirarmi un cartello in piena fronte?- si infuriò il ragazzo, cercando di contenere il tono della voce.
Genma sbatté le palpebre un paio di volte. “Perché sei nudo?” – Ah, è una storia lunga da spiegare. Non ci crederai, ma stamattina…
Tempo due minuti e Genma aveva ripreso a ronfare alla grande. Una vena cominciò a pulsare minacciosamente su una tempia del ragazzo con il codino, mentre le dita già gli scricchiolavano autonomamente, come se avessero vita propria.
In un altro momento avrebbe tirato un calcio a suo padre così forte da mandarlo in orbita, annettendogli un poco garbato accompagnamento verbale, ma quella sera era troppo stanco persino per svegliarlo urlandogli di avere almeno la decenza di ascoltare quello che aveva da dire, considerato che era stato proprio lui a porgli una domanda.
Lanciò un ultimo sguardo alla finestra e vide un’Akane indaffarata a cercare qualcosa o meglio qualcuno.
Ranma sorrise teneramente. – Grazie, Akane.
Poi, infilatisi boxer e pigiama concluse finalmente quella folle ed estenuante giornata.

 

Intanto una voce lontana risuonava nel silenzio della notte:  –Shan Pu, ma perché non miao ami, io ti renderei feliceeee! Che vita ingiusta, maramiao!

FINE


Salve, gente, è da un bel po’ che non mi faccio viva, vero? Perdonatemi, sono stata un po’ impegnata (e lo sono tuttora in verità!). Però avevo troppa voglia di tornare alla carica e così, Word alla mano, mi sono messa al lavoro! Spero abbiate gradito il mio ritorno con questa piccola storiella… siate indulgenti, sono un po’ arrugginita! ^^”
Scherzo, le critiche sono ben accette, come sempre, se costruttive!
Detto ciò, mi piacerebbe se lasciaste un segno del vostro passaggio, un piccolo commento per capire se, nonostante il tempo trascorso, sono ancora una buona scrittrice o è meglio che vada in Nuova Zelanda a piantare pomodori.
Grazie per la lettura e alla prossima! <3
J

  
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