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Autore: ___Page    25/03/2015    1 recensioni
"Lo vedeva spesso e quasi sempre cercava di ignorarlo.
Non lo considerava un mettere la testa sotto la sabbia, semplicemente le avevano insegnato così.
“Se dai retta a tutti, non te la cavi più”.
Era vero, sì, lo condivideva, ma la sensazione che ci fosse stato un errore a monte non la voleva abbandonare.
Lei che credeva nel karma e annessi e connessi non vedeva come fosse possibile che ci fosse gente ricca come la sua famiglia, alla quale sarebbe bastato un quarto dei soldi che avevano per vivere bene e dignitosamente, e gente che non aveva nulla, come quel ragazzo."
*Panda Day*
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Perona, Portuguese D. Ace, Satch
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Benvenuti al Panda Day, il giorno del delirio in cui da un'unica parola nascono fanfiction di ogni genere!

Perché Panda?!
Perché ci serviva un modo veloce per chiamarlo, perché 'Panda Day' suona che è una meraviglia e perché i panda sono carini e coccolosi.

Il meccanismo, se qualcuno vuole partecipare, è semplice.
Ogni settimana sceglieremo una parola aprendo a caso il dizionario e quello sarà il prompt per le varie fanfiction (tutti i generi, tutti i rating, tutti i pairing ma niente long) e basterà scrivere *Panda Day* nell'intro alla storia e il prompt della settimana in piccolo sotto al titolo sempre tra i due asterischi.
E non dimenticate la foto dei Pandaman in basso a destra!

Grazie a tutti e buona lettura!

La parola per mercoledì prossimo è: Inerzia





 
A REASON
*cassonetto*


 
Alle mie meraviglie tra genio e follia. 
Senza di voi non l'avrei mai pubblicata.



 
Lo vedeva spesso e quasi sempre cercava di ignorarlo.
Non lo considerava un mettere la testa sotto la sabbia, semplicemente le avevano insegnato così.
“Se dai retta a tutti, non te la cavi più”.
Era vero, sì, lo condivideva, ma la sensazione che ci fosse stato un errore a monte non la voleva abbandonare.
Lei che credeva nel karma e annessi e connessi non vedeva come fosse possibile che ci fosse gente ricca come la sua famiglia, alla quale sarebbe bastato un quarto dei soldi che avevano per vivere bene e dignitosamente, e gente che non aveva nulla, come quel ragazzo.
Si rifiutava di credere che avesse qualcosa di male in una vita precedente, perché sotto alla barba incolta e alle occhiaie scure c’era un viso che sembrava capace di illuminarsi a giorno se solo le sue labbra si fossero piegate in un sorriso.
E d’altra parte non credeva nemmeno di essere stata  una versione femminile di Ghandi, lei, per meritarsi quella vita agiata, la villetta nel quartiere tranquillo regalatagli dal padre per il suo diciottesimo compleanno e dove si era trasferita a vivere compiuti i venticinque.
Aveva tutto, Perona, tutto tranne qualcuno con cui condividerlo, quel tutto.
E quel ragazzo lì fuori invece, non aveva niente eppure sembrava sorridere alla vita.
Non chiedeva l’elemosina.
Se qualcuno gli dava qualcosa ringraziava e non pretendeva di più.
No quel ragazzo non sembrava essere un semplice barbone.
Sembrava più un guscio vuoto che aveva imparato a essere grato anche delle briciole e questa considerazione non faceva che stringerle il cuore.
Lui e il suo cane di taglia grossa passavano dal quartiere due volte al giorno e Perona era quasi sempre a casa.
Inizialmente l’aveva etichettata come coincidenza, il fatto di essere sempre in cucina quando accadeva, a sorseggiare una tazza di the alla liquirizia o a preparare il ragù ma aveva dovuto ammettere con se stessa che forse lo faceva inconsciamente apposta per vederlo.
Perché per quanto si sforzasse non riusciva davvero a capacitarsi di quella incredibile ingiustizia.
E si sentiva anche un po’ masochista, perché le faceva incredibilmente male vederlo camminare sempre più lentamente, il suo cane che era tutto pelo e ossa sempre e costantemente al suo fianco.
Non bastava fargli ogni tanto un po’ di spesa per placare i suoi sensi di colpa per avere sempre avuto tutto ciò che desiderava, anche le cose più superficiali.
Era come un modo per espiare il suo essere stata sempre viziata, finché andare a vivere da sola non le aveva aperto gli occhi, proprio grazie a quel ragazzo.
Era cambiata, Perona, in meglio e, anche se faceva male, non sarebbe comunque tornata indietro.
Quel giorno però era davvero una coincidenza se si trovava in cucina.
Stava mettendo a posto la spesa e preparando al contempo il pollo per cena, quando lo aveva visto arrivare, fuori orario.
Più emaciato che mai, un’espressione rassegnata e devastata sul viso coperto dalla barba incolta e dal cappello arancione.
Un’andatura che le aveva segato le gambe, che contrastava con la frizzante giornata primaverile.
Sembrava sul punto di crollare e il suo amico a quattro zampe non era da meno.
Ma era stato davvero troppo, davvero troppo vederlo rovistare nel cassonetto dell’immondizia, illuminarsi per avere trovato dei resti di cibo.
Ed era stato davvero troppo vederlo chinarsi e dare tutto al cane.
Era stato così troppo che non si era neanche resa conto di essere uscita a passo di carica, diretta verso di lui, fermandosi solo quando si era trovata a pochi passi.
Ancora accovacciato a terra, ai piedi del cassonetto, intento a far mangiare il suo cane, aveva sollevato gli occhi su di lei, interrogativo.
Della sua incrollabile allegria non c’era traccia.
Quel ragazzo era sfinito, al limite e Perona non aveva intenzione di fare lo struzzo.
-Vieni con me!- gli disse decisa, facendogli sgranare appena gli occhi -Porta anche lui!-
 
***
 
Ace si guardava intorno spaesato.
Quella ragazza, quella strana ragazza dai capelli rosa e il tono autoritario lo aveva obbligato a seguirla in casa, lui e Satch che ora stava sdraiato in un angolo della cucina, gli occhi tristi e il muso tra le zampe.
Vederlo così gli faceva male.
Quando lo aveva preso con sé, tre anni prima, riusciva ancora a cavarsela con lavoretti saltuari e garantirsi almeno un pasto per sé e per lui.
Ma le cose era peggiorate e precipitate negli ultimi mesi e Ace non aveva che moscerini in tasca e mani vuote che al suo cane lupo potevano donare solo carezze, sincere ma non di certo nutrienti.
Aveva anche pensato di venderlo, quando quel tizio alla pompa di benzina glielo aveva proposto.
200 berry non erano pochi per lui e Satch avrebbe avuto finalmente una casa.
Ma era bastato uno sguardo per capire che l’animale sarebbe morto di crepacuore senza di lui e così aveva declinato, finendo con il rischiare di morire lui di crepacuore nel vederlo così debole e malmesso.
E se aveva accettato l’invito quasi perentorio di quella ragazzina lo aveva fatto solo per Satch.
Ora la osservava con diffidenza armeggiare con un mestolo e un piatto, mentre continuava a lanciargli occhiate che non capiva se fossero di preoccupazione o compassione.
Fu più forte di lui sobbalzare e scattare all’indietro quando la vide avvicinarsi e posare il piatto sul tavolo.
Osservò la zuppa con astio, spostando gli occhi dal tavolo a lei, il corpo scosso dai fremiti.
Il profumo di pollo alla provenzale lo stava torturando e aveva l’acquolina in bocca ma non riusciva a capire perché quella evidentemente ricca donna si stesse dando tanta pena per lui.
Era vero che lei a volte gli comprava qualcosa da mangiare ma nelle ultime settimane la sua sfiducia verso il genere umano aveva raggiunto picchi mai visti.
Aveva imparato a sue spese, Ace, che nessuno dava mai niente per niente.
-Cerca di mangiarne due cucchiai. Non è molto sostanziosa ma è per preparare lo stomaco. Per il pollo ci vorrà ancora un po’- disse, quasi si stesse scusando, facendogli riportare lo sguardo su di sé con un gesto secco.
La fissò trattenendo il fiato alcuni secondi poi qualcosa si spezzò in lui.
Si gettò sulla sedia e sul cucchiaio, mettendosi  mangiare senza alcun ritegno, la zuppa che gli colava sulla barba e gli occhi lucidi nel rendersi conto di che figura da disperato stava facendo.
Gli veniva da piangere, l’orgoglio urlava a gran voce di smetterla ma aveva troppa fame.
Registrò vagamente la ragazza tornare verso il bancone della cucina e spappolare degli avanzi di polpettone con una forchetta per poi darli a Satch, che guaì un paio di volte prima di mettersi a mangiare.
Fu allora che Ace sollevò la testa e quello che vide gli fermò il cuore.
 La rosa lo osservava sorridendo con genuino affetto e non c’era ombra di disgusto o repulsione nei suoi occhi.
-Ti piace?!- domandò e Ace deglutì l’ultima cucchiaiata prima di annuire lentamente -Sono contenta- affermò, gli occhi appena un po’ lucidi ma nessuna disapprovazione nello sguardo.
La vide aggrottare le sopracciglia, riflettendo, prima di concentrarsi nuovamente su di lui.
-Ti va di fare una doccia?!-
 
***
 
Lo osservò mangiare il pollo con gusto, sorridendo soddisfatta per l’onore che aveva reso alla cena cucinata da lei.
Dopo aver fatto la doccia ed essersi rasato, si erano presentati e Perona gli aveva dato dei vestiti che suo fratello aveva lasciato lì per quando si fermava da lei a dormire.
Gli stavano larghi nonostante avessero chiaramente la stessa stazza a causa della denutrizione a cui Ace si era dovuto rassegnare nei mesi precedenti.
Non aveva preteso di sapere nulla di più del suo nome e di quello del cane, perché era evidente che il ragazzo che aveva di fronte non era lo stesso che sorrideva sempre.
Qualcosa si era spezzato in lui in quell’ultimo difficile periodo e ora aveva paura, una comprensibile paura.
Una paura che Perona rispettava e che si rendeva conto di non poter cancellare con qualche coscia di pollo.
Un leggero guaito le fece abbassare lo sguardo in tempo per vedere Satch posarle il muso sulle gambe, non più in cerca di cibo ma solo di qualche coccola.
-Satch! Smettila! Lasciala stare!- intervenne deciso Ace, abbandonando l’ultimo osso nel suo piatto vuoto.
-Non preoccuparti, mi fa piacere! Mi piacciono i cani!- disse la rosa, sorridendo e accarezzandolo -Ma quanto siamo belli?! Quanto?!- gli disse, cogliendo il moro alla sprovvista.
-Avrà le pulci…- mormorò a corto di fiato, facendo concentrare Perona su di sé solo un momento.
-Dici?! Non l’ho visto grattarsi!- affermò riprendendo a coccolarlo.
Ace era sconvolto.
Non capiva come potesse essere così assolutamente tranquilla dopo essersi messa in casa un perfetto sconosciuto che avrebbe anche potuto derubarla o peggio.
Non capiva come non potesse provare repulsione per lui.
-Va tutto bene?!-
La voce di Perona, preoccupata quanto il suo sguardo, lo riscosse.
Deglutì a fatica, alzandosi in piedi e cercando con gli occhi il proprio cappello.
-Io… noi andiamo adesso. Grazie davvero per… tutto, sei stata gentilissima io…-
-Puoi restare-
Ace sgranò gli occhi, sconvolto per l’ennesima volta da quella ragazzina.
Ma parlava sul serio?!
Quanto poteva essere incosciente?!
-Ho un’enorme stanza degli ospiti, con un enorme letto che non è mai stato usato se non da mio fratello un paio di volte!- proseguì, sorridendo e continuando a coccolare Satch -Se vuoi…-
-Perché lo fai?!- la interruppe, quasi arrabbiato, la mascella indurita e i pugni stretti.
Perona tornò seria per un attimo, studiandolo, prima di alzarsi a sua volta e tornare a sorridere, mentre radunava piatti e stoviglie.
-Perché è la cosa giusta da fare-
-Non hai paura di me?!- le disse, facendole sollevare la testa e incastrare i loro sguardi.
Il cuore gli perse un battito quando la vide negare con il capo.
-E allora cosa vuoi?!- insistette, guardandola poi accigliarsi.
-Di che parli?!-
-Nessuno fa niente per niente a questo mondo-
-Non voglio niente- soffiò la rosa, preoccupata dalla rabbia che leggeva negli occhi di Ace.
-Non ti credo!-
-Ace…-
-Satch andiamo!- ordinò, muovendosi deciso verso la porta della cucina.
Afferrò la maniglia e l’abbassò, pronto a spalancarla e uscire nell’aria tiepida di Aprile.
-Un sorriso!-
Si bloccò, colpito dalla voce di Perona, girandosi lentamente verso di lei, la bocca schiusa e un’espressione incredula.
-Voglio… un sorriso dei tuoi- ammise la ragazza, stringendosi appena nella spalle -Voglio solo vederti sorridere di nuovo-
 
***
 
Inspirò a pieni polmoni l’odore dell’ammorbidente che impregnava le lenzuola di quel comodo letto.
Non sapeva da quanto non dormiva su un materasso morbido e con un cuscino sotto il capo.
Satch si era sdraiato per terra e Ace ora si trovava a pancia in giù, il braccio a penzoloni per poterlo accarezzare tra le orecchie.
-Domani ti facciamo un bel bagno vecchio mio!- lo avvisò, sentendolo guaire a mo’ di protesta e sbuffando una risata -Ehi adesso abbiamo una casa! Bisogna essere puliti e in ordine!- lo ammonì, rendendosi conto che stava sorridendo.
Fu quella consapevolezza delle proprie labbra piegate all’insù.
Fu l’avere appena realizzato in quel momento che quell’agonia, quel vivere senza la certezza di arrivare a fine giornata, era finita.
Fu la gratitudine che gli fece quasi scoppiare il cuore nel petto.
Si ritrovò a piangere con la testa affondata nel cuscino, rendendosi conto che era tornato davvero a vivere.
 
***
 
Si sollevò di scatto, in un mare di sudore, stringendo il lenzuolo tra le mani.
Respirava affannata, gli occhi scuri sgranati nel buio a osservare il nulla.
Di nuovo quell’incubo.
Lo aveva fatto di nuovo.
Portò una mano alla bocca per soffocare un gemito disperato nel rendersi conto che stava ricadendo in depressione.
Iniziava sempre così, con quello stupido incubo che si presentava notte dopo notte, prima che il cervello crollasse, lasciandola a combattere con quegli stupidi fantasmi che non riusciva mai a sconfiggere del tutto.
Un pugno colpì il letto con rabbia.
Non era giusto!
Ormai erano tre anni che non prendeva antidepressivi e smettere era stata una tortura.
Non voleva cascarci di nuovo.
Si ritrovò a rannicchiare il corpo mentre il petto si squassava per i singhiozzi trattenuti.
Ma dove sbagliava?!
Sembrava stare andando tutto così bene!
Perché doveva stare così male?!
Perché a lei?!
Un luce nel corridoio e la porta della sua camera che si spalancava la fecero sobbalzare e voltare di scatto.
La figura di Ace si stagliava nel quadrato di luce, nuovamente in forma e pieno di energie.
-Perona?!-
Non poteva vederlo così in controluce ma gli bastò il tono della voce per sapere che era preoccupato.
Provò a parlare per calmarlo ma ciò che sfuggì alle sue labbra fu solo l’ennesimo singhiozzo e in due falcate il moro l’aveva raggiunta.
Erano passati sei mesi ormai e Ace aveva ripreso in mano la propria vita, chiedendo silenziosamente a Perona di farne parte.
Si erano raccontati tutti i loro problemi, trovando nell’altro un conforto in cui mai avevano osato sperare.
Un conforto che ora Perona cercava senza vergogna, aggrappandosi a lui e lasciandosi stringere dalle sue braccia.
-L’ho sognato di nuovo- gemette, nascondendo il viso nella sua gola e dando libero sfogo al pianto.
-Sssssh. Calma- la cullò baciandola tra i capelli -Ci sono qui io. Calma. Non ti lascerò andare a fondo-
Perona prese un profondo respiro, abbandonandosi contro di lui e rilassandosi.
Non si rese nemmeno conto di essere riaddormentata tra le sue braccia, serena come mai si era sentita prima in vita sua.
 
***
 
Sfregò le mani tra loro per pulirle, dopo avere gettato l’immondizia nel cassonetto.
Adorava quando le giornate cominciavano ad allungarsi e l’aria prendeva a profumare di fiori.
Adorava Aprile.
Si girò verso casa sua e un’improvvisa stretta allo stomaco lo colse.
Quante volte aveva guardato quella villetta da quella prospettiva?!
Quante volte si era chiesto come fosse godersi un giardino sapendo di poter rientrare al caldo se appena l’aria rinfrescava?!
E proprio lì, davanti a quel cassonetto, un anno prima, la sua vita era cambiata.
Infilò le mani in tasca, contemplandola da lontano mentre cucinava con la finestra della cucina spalancata, i cappelli rosa tirati su in una coda, la camicia bianca morbida infilata nei jeans e un sorriso sul volto.
Era così dannatamente bella.
Così dannatamente sua.
Dopo che la paura per la quasi depressione l’aveva colta quella sera, sei mesi prima, il loro rapporto era cambiato, evolvendo inevitabilmente.
Non era stato facile affrontare i pregiudizi della sua famiglia ma Perona era stata forte e lui non aveva intenzione di lasciarla andare.
Gli era immensamente grato per ciò che aveva fatto per lui ma non era la gratitudine a fargliela guardare con quegli occhi.
Si erano trovati, riportandosi a galla a vicenda ma non era nemmeno il bisogno di un ancora a cui aggrapparsi.
L’abbaiare di Satch che lo reclamava per giocare con la palla lo riscosse, facendolo sorridere e avviare verso casa.
-Arrivo sacco di pulci!- gli disse, aumentando il passo in una leggera corsa.
Perona sollevò gli occhi e sorrise nel vederlo avvicinarsi, facendogli perdere un battito.
Non c’era da stupirsi che fosse finita così.
Era generosa e altruista.
Era bella e solare.
Era forte e piena di coraggio.
Solo un pazzo non si sarebbe innamorato di lei.
E al di là di tutto, al di là del meraviglioso gesto che aveva fatto, Perona gli aveva dato molto più di una casa.
Gli aveva dato una ragione per vivere.
Gli aveva dato una ragione per sorridere.
Gli aveva dato una ragione per amare. 







 
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