Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: FairLady    25/03/2015    2 recensioni
[Bad Era]
“Che sia lei quella giusta?”
“L’ho sempre saputo che eri tu l’unico…”
* Shiner significa "occhio nero" *
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo che sospirai guardandomi allo specchio. Con un dito toccai il livido bluastro che si era formato sopra lo zigomo destro e che, sicuramente entro qualche ora, avrebbe circondato anche l’occhio. Avrei tanto voluto dispiacermi per il mio volto tumefatto, per le mie All Star praticamente nuove già da buttare e per quei cinquanta dollari che, chissà quando durante quelle due ore e mezza, avevo perso dalla tasca ora strappata dei jeans; eppure non avrei potuto essere più felice come in quel momento. O forse l’apice l’avevo toccato qualcosa come quattro ore prima?
Ripensare a quanto avevo sudato, quanto mi ero sacrificata, quanto avevo viaggiato prima di allora per riuscire a vivere quegli istanti di pura gioia mi faceva ancora tremare. I soldi che mi guadagnavo con i lavori saltuari che riuscivo a trovare quando non ero in giro per gli Stati Uniti sparivano tutti, per lui. Litigavo di continuo con mia madre: non faceva altro che denigrare la mia passione e darmi della buona a nulla perché non riuscivo neanche minimamente a contribuire alle spese di casa, ma cosa potevo farci se l’unica cosa che mi rendesse davvero felice comportava un dispendio particolare di energia, tempo e, soprattutto, denaro? Non vi avrei mai potuto rinunciare, e lei ne era consapevole.
Non avrei mai potuto rinunciare a Michael.
E quando mi mossi lentamente nel letto, sentendo le sue braccia stringermi un po’ di più e i suoi capelli neri solleticarmi la spalla, mi dissi per l’ennesima volta che tutto, ogni lacrima, ogni centesimo, ogni volta che avevo creduto di non farcela ne era valsa la pena.
 
Marzo 1988
 
La parte più dura di quel tour – del mio personale tour – fu sicuramente la second leg. Date troppo ravvicinate a distanze spesso proibitive, ma non avevo mai nemmeno accarezzato l’idea di rinunciare. A ogni chilometro morso, mi sentivo sempre più forte, più sicura. Più vicina alla meta. Ogni volta che lo vedevo sul palco qualcosa di nuovo in lui mi attirava, mi stupiva, mi ammaliava; d’altronde, come avrebbe potuto essere diversamente? Michael era sempre stato per me come un incantatore, una sorta di mago con la giusta formula magica in grado di azzerare i miei battiti cardiaci.
Avevo appena assistito al mio settimo concerto di fila in poco più di un mese, ad Hartford in Connecticut, e mentre guidavo lentamente verso Philly ancora piangevo. Lo seguivo ormai da tempo, quelli non erano certo i miei primi concerti, ed ero sempre stata convinta che lui ormai conoscesse il mio viso, ma quella sera ne avevo avuta la prova.
Ogni fan, soprattutto quelli che hanno la fortuna – e la tenacia – di arrivare sotto al palco, potrebbe dire “Mi ha guardata negli occhi, ne sono sicura!”, ma non sempre è l’esatta verità. Michael passa tra i volti, spesso li accarezza con lo sguardo dandoti l’impressione di annegare in quegli occhi profondi, ma poi passa oltre.
Quella sera, invece, i nostri occhi, per qualche breve, intenso istante furono metallo fuso e tempesta tropicale. Ricordo perfettamente quanto mi sentii quasi spossata quando, poco dopo, si volse verso l’orchestra e proseguì con la canzone. Mi aveva trapassata con il nero profondo del suo sguardo meraviglioso. E io mi ero innamorata di lui, di nuovo.
Mentre sussurrava le prima note di She’s out of my life, mi resi conto che il fatidico momento – quello che mi faceva salire sempre una rabbia incredibile – era giunto. Ogni volta provavo dentro me il presentimento che finalmente sarebbe stato il mio turno: dopo mille transenne, il mio momento tra le sue braccia sarebbe finalmente arrivato; invece no, là sopra saliva sempre qualche altra ragazza… più fortunata, più carina, più solare, e io me ne restavo con il ferro nelle costole a morire d’invidia.
Quella sera, però, qualcosa cambiò.
Michael aveva appena pronunciato le sue solite parole, quelle che ormai conoscevo sin troppo bene: Can I go down there?... e il mio cuore, come sempre, si ghiacciò nell’attesa di scoprire chi ci sarebbe stata sul palco insieme a lui, a stringerlo al posto mio. Qualcuno mi spinse, e un gomito mi colpì dritto nell’occhio facendomi perdere ogni speranza di essere scelta. Invece, improvvisamente, un energumeno fece scivolare le sue braccia tozze e potenti sotto le mie e mi alzò di peso in un attimo, con facilità estrema, come se fossi stata una bambolina di cartapesta. Lo guardai con un misto di terrore e meraviglia negli occhi spalancati, incapace per un momento di capire come poter muovere un piede davanti all’altro; poi lui urlò: «Corri! Corri sul palco!»
E fu questione di un secondo: alzai la testa verso Michael che, ignaro del terremoto interiore che mi stava scuotendo, continuava a cantare, in attesa di vedermi schizzare sulle scale per poi travolgerlo e bloccarlo nella morsa delle mie braccia; con mio – e forse anche suo – sommo stupore, non accadde nulla del genere.
Camminai a passo spedito, ma senza correre, verso le scale e le salii, sempre più lentamente; non riuscivo a capire se più per lo shock o se per la paura di vedere svanire quel momento troppo presto. Pochi istanti dopo ero davanti a lui, l’uomo dei miei sogni, l’amore della mia vita; la persona a cui avevo completamente dedicato la mia esistenza. I suoi occhi neri mi stavano studiando, mentre quelle labbra meravigliose si muovevano, accompagnando la sua voce verso suoni e colori che solo lui riusciva a creare. D’un tratto mi sorrise e, vedendo che me ne restavo lì impalata, si avvicinò per abbracciarmi: fu come essere accoccolata in un raggio di sole. Le sue note morbide che ci circondavano mi cullavano dolcemente ed ero così persa in esse da non riuscire a trovare la forza di fare alcunché. Lasciai che fosse lui a trasportarmi in quell’istante magico. Sapevo che non poteva durare, ma desiderai con ardore che non finisse. Mentre dondolavamo in quel movimento morbido e rassicurante, la mia mano poggiava delicata sul suo petto; mi sentii come se fossi nata per fare quello e null’altro. Mi sentivo a casa, mi sentivo sicura. Era tutto esattamente come lo avevo sempre immaginato.
Poco più tardi, nel manicomio che diventava sempre lo sgombero dello stadio, decisi di fermarmi un po’ ai piedi del palco ormai vuoto; solo gli strumenti, abbandonati qui e la, restavano a dar testimonianza della favola appena conclusa.
«Signorina… signorina… » una voce alle mie spalle mi richiamò all’attenzione, distogliendomi dal mio viaggio nei ricordi. Subito mi accorsi che apparteneva all’uomo che mi aveva strappata alle transenne e mi aveva regalato finalmente ciò che da tanto – troppo tempo – stavo aspettando.
«Signorina, dico a lei… » disse ancora, guardandomi negli occhi. Stava chiamando proprio me, e di nuovo la sensazione di terrore e shock mi immobilizzò le gambe.
«I… io?», per un attimo sorrisi al pensiero che quella guardia avrebbe potuto prendermi tranquillamente per una malata di mente.
«Sì, lei! Il signor Jackson vorrebbe salutarla… mi segua.»
 
La mattina dopo
 
«Volevo chiederti già ieri sera una cosa… » Michael scivolò sul fianco, fino ad accarezzare la spalla nuda di Dionne, e le sorrise quasi intimidito. Avevano condiviso così tanto quella notte, eppure continuava a imbarazzarsi, non appena i loro occhi si incrociavano.
«Cosa?» sussurrò lei, sempre più piccola sotto al tocco di quelle grandi mani che credeva non avrebbe più potuto lasciare andare.
«Come te lo sei procurato quell’occhio nero?», lo chiese con un tono che sembrava davvero molto preoccupato. «Avrei dovuto già domandarlo, me ne rendo conto, ma sai… mi sono fatto un po’ prendere dagli eventi e… »
Didi sorrise appena, chinando il capo per nascondere quanto fosse divertita da quelle timide scuse. Si volse completamente, per guardarlo meglio, e con le dita accarezzò con delicatezza la rasatura vicino all’orecchio; approfondì la carezza, scendendo sulla guancia, con la meraviglia nello sguardo solo al pensiero di poterlo fare. Michael si beò di quel tenero tocco, dimenticando quasi la domanda che le aveva appena posto.
«Quest’occhio nero è un trofeo – abbozzò a bassa voce, aspettando che Michael la guardasse e la facesse sentire ancora in paradiso –, è grazie a lui se sono qui. Se avessi saputo prima che sarebbe bastato così poco, me li sarei fatta pestare entrambi già anni fa…»
Una flebile risatina germogliò tra le labbra del cantante, prima di attirare Didi a sé e stringerla forte.
«L’ho capito al primo sguardo che eri diversa» le confessò con un filo di voce, sempre schermata dal velo di timidezza che lo accompagnava costantemente.
«Ma quanto ti ci è voluto per accorgertene!», rincarò lei, sorridendo con una luce sorniona negli occhi nocciola.
«Touché! Vorrà dire che ti verserò un rimborso spese, è stata colpa mia», propose lui, con la stessa luce e una consapevolezza nuova nell’espressione sicura del volto.

“Che sia lei quella giusta?”
“L’ho sempre saputo che eri tu l’unico…”

«Non serve, sei tu il mio rimborso.»


 
I cannot explain the things I feel for you 
But girl, you know it's true 
Stay with me, fulfill my dreams 

And I'll be all you'll need 

 
   
 
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