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Autore: sinfovnia    26/03/2015    2 recensioni
Nick è un carcerato con un hobby particolare: la fotografia. Grazie a Bill, una guardia, riesce a coltivare la sua passione di nascosto.
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Ho provato a scrivere qualcosa d'originale, spero d'esserci riuscita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome EFP/Forum: nutellichael

Titolo storia: L'ultima messa a fuoco

Genere: drammatico

Rating: giallo

Avvertimenti:

Lunghezza: 719 parole

Breve introduzione: Nick è un carcerato con un hobby particolare: la fotografia. Grazie a Bill, una guardia (e suo migliore amico), riesce a coltivare la sua passione di nascosto. Ho provato a scrivere qualcosa d'originale e spero vivamente d'esserci riuscita.

Note (eventuali):

 

 

Al centro della cella ci sono io, con le mani sulle ginocchia e la testa verso l'alto. Sento freddo ma non mi lamento, cerco di riscaldarmi respirando a bocca aperta. Da qui posso sentire Joe. Sta russando, non riesce a dormire senza fare rumore con quel suo cazzo di naso. Immagino la sua enorme pancia andare su e giù al ritmo del suo respiro, coperta solo da una tuta arancione. Mi viene da vomitare.

Mi giro verso la porta di metallo e mi rendo conto che emana freddezza solo a guardarla. Sento dei passi provenire dal corridoio e mi nascondo sotto la brandina.

"Nick, sono io, muoviti."

La voce familiare di Bill mi tranquillizza e mi avvicino alla porta. Dalla piccola finestrella riesco a vedere gli occhi di ghiaccio della guardia.

Facendo meno rumore possibile, apre la porta. Insipiro l'aria soddisfatto.

"Ascoltami bene: abbiamo un'ora e mezza, poi tornerai in cella e niente di questo sarà mai successo."

Annuisco, avviandomi rapidamente verso la porta che porta al giardino. Bill prende una delle chiavi dal mazzo e la apre. Sorrido quando tirà fuori una macchina fotografica dalla felpa.

Sono le ultime ore del pomeriggio e il sole sta per tramontare. Costruisco un treppiede di fortuna con dei rami che Bill stacca da uno degli alberi.

"Nick, sono ormai vent'anni che ti accompagno in cortile di nascosto per scattare le tue maledette fotografie, vent'anni in cui mi sono sempre chiesto cosa diavolo ci trovi di piacevole nello scattare immagini di cose che vedi tutti i giorni. Quindi, dato che questo è il tuo ultimo giorno qui, ti dispiacerebbe dare una risposta al mio quesito esistenziale?"

Scuoto la testa divertito e mi faccio passare un foglietto e una penna. Non parlo più da molti anni ormai. La voce è inutile, posso esprimermi benissimo con poche righe.

Bill è il mio esatto opposto, parla tutto il tempo, non fa altro che chiacchierare del più e del meno. I suoi colleghi lo trovano stramaledettamente irritante, soprattutto quando racconta dei suoi celebri canestri ai tempi del liceo.

"Trovi noiosa la fotografia perché non hai mai guardato nulla con attenzione".

Bill legge e mi fulmina con lo sguardo.

"Questo non è vero." ribatte, fintamente offeso.

"OK, allora facciamo così: la foto di stasera la scatti tu."

"Mi lasci scattare l'ultima immagine? Ho sempre creduto che volessi tenere questo momento per te."

Sorrido lievemente, mentre ripenso al settimo compleanno di mia figlia. Ricordo che arrivai in ritardo alla festa, perché al negozio dove avevo preso il regalo c'era una gran fila. Quando aprì il pacchetto e vide la Polaroid che le avevo preso, corse ad abbracciarmi. Mia figlia è sempre stata la luce della mia vita. Aveva sempre amato la fotografia, diceva sempre che il miglior modo per capire le cose è osservarle e imprimerle nella mente.

Bill mi guarda, probabilmente ha detto qualcosa ma io non l'ho sentito.

Il sole inizia a tramontare e io faccio segno al mio amico di prendere la macchinetta.

Il cielo si tinge dei colori più belli, dal rosso acceso all'arancio, al giallo limone.

Sento un clack e mi volto verso Bill, che guarda lo schermo dello strumento come se fosse stregato.

Osservo la foto. Non è il tramonto il soggetto principale. È la mia figura, completamente buia perché in controluce. Sullo sfondo, il sole calante.

Bill si accende una sigaretta e mi guarda con i suoi occhi di ghiaccio.

"Bella foto, amico."

 

Al centro della stanza ci sono io, accanto a me ci sono delle guardie, le pareti sono di vetro e Bill mi guarda tristemente. Tra le mani stringo una fotografia, la prima scattata insieme a mia figlia. È l'immagine di una donna che tiene in braccio il suo piccolino, nella stazione della metro.

Il bambino ha in mano un gelato e si sta sporcando il viso, la madre lo guarda severa ma intenerita allo stesso tempo. Dietro di loro, le persone camminano verso la loro meta, senza curarsi dei due.

Solo un passante pare accorgersi della dolce scena e sorride verso di loro.

Giro la fotografia. Sul retro c'è scritto: "Al mio papà – Alla mia bambina".

"Due, uno, zero."

Sento l'elettricità percorrere ogni centimetro del mio corpo, il dolore è terribile ma non urlo. Penso solo che, se potessi, in questo momento mi scatterei una foto.

 

   
 
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