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Autore: _eco    27/03/2015    1 recensioni
[FitzSimmons] [Accademia/I Stagione]
Impacciato, circonda la vita di Jemma con le braccia. Rimangono così per non più di cinque secondi, ma Fitz non può dirlo con certezza. La matematica gli piace, i calcoli anche, ma a volte Jemma, pure solo con uno sguardo, gli dice: “basta con i calcoli”, e lui la smette di scandire la sua vita in base a cifre infinite e perfette. Chiude gli occhi per un attimo e tutto ciò che sente è sempre lo stesso profumo di bagnoschiuma e tè verde.
Forse è vero quello che si legge in quei bigliettini anonimi e sdolcinati nei cioccolatini, che la casa non è altro che due braccia che tengono insieme i tuoi pezzi.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jemma Simmons, Leo Fitz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Io ve lo dico: se riuscite a leggervi sto mattone, siete dei santi. Non so da dove mi sia venuta fuori, ma ho cominciato a scriverla senza nessuna pretesa due settimane fa e oggi l'ho finita. Poco saggio da parte mia, visto che dovrei ripassare scienze, ma vabbé.
Comunque, buona lettura. Sentitevi liberi di ignorare del tutto sto mattone.
Baci. ♥
S.
Fitz, mi ricevi? Passo.
 
 
Leopold ha nove anni appena compiuti. Non gli piace il numero nove. Può significare anche sei, se lo metti al contrario, e a lui piacciono le cose che hanno un solo significato.
Gli piacciono le costanti, i punti fermi. Ecco perché non vede l’ora di compierne dieci.
Ciononostante, il suo recente compleanno ha portato qualcosa di buono: la mamma, con i soldi messi da parte nel giro di sei mesi, gli ha regalato un paio di walkie-talkie.
Sono l’ultimo modello, quelli che Leo si è spesso fermato a guardare lungo la strada per andare a scuola.
Profumano di nuovo, sono nero brillante, hanno un’acustica a dir poco perfetta.
Leo ne avvicina uno alle labbra, l’espressione circospetta, come se un nemico gli stesse alle calcagna, come se qualcuno potesse intercettare le sue conversazioni top-secret con Larry.
- Roger, mi ricevi? Passo. – sussurra con un fil di voce.
La risposta tarda ad arrivare, e non perché il walkie-talkie di Larry non abbia funzionato. In realtà, va che è una meraviglia, e Leo può dirlo forte, visto che Larry è a una decina di centimetri da lui, il walkie-talkie che affonda nella protuberanza che è la sua pancia e che risalta sulla sua maglia rosso vivo.
Per ottenere una risposta, Leo deve molleggiare giusto un po’ sul materasso e allungare un braccio. Larry soffre il solletico. A Leo piace pensare che sia così.
Un verso scimmiesco è l’unica risposta che capta – e in realtà non ci sarebbe bisogno di usare il walkie-talkie.
- Mh. – mugugna il ragazzino. – Lo prendo per un sì. Passo. –
 
 
 
- Oggi ho aggiustato il microonde. Mamma non poteva crederci: stava giusto per andarne a comprare un altro. Passo. – racconta con entusiasmo Leo, il walkie-talkie premuto contro le labbra, mentre con la mano libera ripone in un angolo della libreria il libro di elettronica.
Ha solo dodici anni – e mezzo -  ma il suo professore ha insistito affinché desse un’occhiata a quel manuale.
Sei un piccolo prodigio, Fitz. Non sprecare le tue potenzialità.
Il ragazzino scruta la sua libreria, gli occhi colmi d’orgoglio: tutto in perfetto ordine, libri disposti per tipologia, dimensione e colore. Maniacale, forse, ma confortante.
Leopold si volta, striscia i piedi contro il pavimento, affonda un ginocchio sul materasso cigolante e pressa il braccio morbido di Larry.
- Ben fatto, amico. –
Da qualche mese a questa parte, è riuscito a dar vita a un meccanismo con cui registrare delle risposte standard nel cervello di cotone e bambagia di Larry. Ecco, in realtà sono diversi piccolo congegni connessi tra loro, impiantati in differenti parti del suo corpo.
Premi un braccio. Ricevuto.
Premi l’altro. Ben fatto, amico.
Zampa destra. Novità?
Zampa sinistra. Ho fame.
La pancia, beh, quella emette sempre il solito, familiare, immutabile ghigno scimmiesco.
 
 
- Mi hanno preso all’Accademia. – urla tutto d’un fiato Leo.
Per poco non lancia in aria il walkie-talkie.
- Passo. – aggiunge poi, ricomponendosi.
Braccio sinistro.
- Ben fatto, amico! –
- Devo cambiarti le batterie, Larry. – borbotta il ragazzo, lasciandosi cadere sul letto con malagrazia.
Semidisteso sul vecchio materasso, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la scimmia di peluche accanto a lui, tira un sospiro di sollievo.
Ben fatto, amico.
 
 
Leo ha diciassette anni ed è alto almeno cinque centimetri in meno della maggior parte degli allievi dell’Accademia. Questo lo turba non poco. Non gli dà stabilità, e lui vive di stabilità.
Lo zaino in spalla, uno scatolo di cartone sotto il braccio destro e il manico di un trolley nella mano libera, Leo chiude gli occhi per un attimo. Inspira l’aria dell’Accademia.
Aveva immaginato qualcosa di molto più poetico e affascinante di una semplice fragranza di gelsomino effusa da chissà quale tipo di detersivo.
Tra l’altro, deve accertarsi di non essere allergico a qualcuna delle componenti chimiche del suddetto detersivo. Così, per sicurezza. Ah, e per la cronaca, nello scatolo di cartone c’è Larry, ovviamente.
 
 
Le giornate passano rapidamente, sempre uguali, talvolta soffocanti e stressanti, raramente entusiasmanti. Leo se ne sta chino sul bancone da lavoro a delineare su carta millimetrata quello che sperimenterà concretamente in un secondo momento.
I suoi test fruttano sempre risultati eccellenti. Il suo QI è di gran lunga oltre la norma, ma questo lo sapeva già. Ha grandi capacità di intuito, è molto sveglio.
Ha solo problemi di comunicazione, se si esclude il suo unico interlocutore sin dall’infanzia. Larry lo attende ogni sera, spaparanzato sul cuscino, la maglia rossa, ora un po’ sbiadita, che mette in risalto il walkie-talkie affondato nella sua pancia imbottita.
Le batterie si scaricano sempre più spesso. Dev’esserci qualcosa che non va nel congegno di Larry, perché le pile si consumano con una frequenza incredibile e Leo è costretto a farne rifornimento una volta alla settimana.
 
- È un walkie-talkie? – chiede una voce squillante.
Leo conta fino a dieci per non rifilarle una risposta scorbutica.
Sii gentile.
- Mh, mh. – replica, senza sollevare lo sguardo dai dati che hanno raccolto per l’esperimento che devono consegnare a breve.
Hanno fatto poco e niente. E il professore non poteva scegliere per lui partner meno azzeccata.
Disordinata, dalla parlantina irrefrenabile, eccessivamente curiosa, per quanto straordinariamente intelligente, Jemma Simmons ha messo a dura prova la sua pazienza già una decina di volte da quando hanno cominciato a lavorare insieme, quattro giorni fa.
Con un unico movimento, Jemma prende il walkie-talkie che – maledizione! –
Leo ha abbandonato in un angolo del tavolo da lavoro.
Il ragazzo segue i movimenti di Simmons con la coda dell’occhio, le labbra premute fra loro nel tentativo di frenarsi dall’essere il solito ragazzino geloso delle proprie cose.
- Non farlo cadere. – le dice. – L’ho appena sistemato e ho aggiunto un ricettore più sofisticato, ma molto, molto delicato. – conclude, alzando lo sguardo dai fogli spillati con ordine maniacale e puntandolo sulla ragazza di fronte a lui.
Jemma ha un enorme sorriso stampato in faccia, i capelli raccolti in una coda di cavallo, alcuni ciuffi che sfuggono e le incorniciano il viso. Gli occhi di Jemma hanno una forma particolare, né troppo grande né troppo piccola. Sono come allungati, contornati da lunghe ciglia scure, luminosi.
Sembra una pazza. E in realtà lo è, perché, diamine, Leo ha visto una sola volta la sua stanza in Accademia e non ha intenzione di rientrarci, assolutamente.
Libri posizionati a casaccio, appunti sparsi ovunque. L’Inferno dantesco è ben poca cosa in confronto. Dicono che tutti i geni sono pazzi, e, suo malgrado, Leopold deve ammettere a se stesso che Jemma è quanto di più vicino ci sia un genio, sebbene sia un passo indietro rispetto a lui.
Ovviamente.
- Agente Jemma Simmons a rapporto. – esordisce Jemma, il walkie-talkie accostato alle labbra – Stiamo lavorando da quattro giorni e… -
- Tre e mezzo. – la corregge Fitz.
- Tre e mezzo. Così mi dicono dalla regia. Grazie, agente Fitz.– ripete Jemma, roteando gli occhi.
Agente Fitz.
Seriamente?
- E non abbiamo ancora concluso nulla. – replica Leo, scoccandole uno sguardo di rimprovero. – Smettila di fare la bambina e posa il walkie-talkie. –
Jemma assottiglia gli occhi e ripone l’aggeggio sul bancone.
- Non sono io che mi porto dietro un walkie-talkie in laboratorio. – risponde.
Fitz scuote la testa e boccheggia.
- Beh… - replica, sfogliando un plico a cui ormai non presta più attenzione. – Devo mantenere i contatti con una… persona.
Jemma aggrotta le sopracciglia e fa schioccare le labbra.
- Non passi mica le nostre ricerche a Christina Evans? – insinua.
- Se avessimo delle ricerche decenti, allora avresti motivo di sospettare. – replica il ragazzo, cercando di fare ordine mentale.
Ogni qualvolta un’idea gli balena in mente, Jemma inizia a parlare e diventa di nuovo tutto confuso.
Fitz raccoglie i suoi fascicoli, li infila in borsa e solleva le spalle.
- Riprendiamo domani. – borbotta, trascinando i piedi verso l’uscita del laboratorio.
Jemma non ha il tempo di rispondere al suo non-saluto, perché Leo si è già avviato verso i dormitori.
 
 
È un normalissimo walkie-talkie. Nero e senza un filo di polvere, due pulsanti al centro – uno di accensione, l’altro che dovrebbe essere un regolatore di frequenza –.
Jemma si rigira fra le mani l’aggeggio, chiedendosi se Fitz abbia capito di averlo dimenticato in laboratorio qualche ora fa.
Dovrebbe rivedere il suo concetto di “disordine”, visto che è lui il primo a lasciare in giro le sue preziose cose. Simmons glielo rinfaccerà con piacere ogni volta che potrà, di questo è certa.
Si siede sul letto, le gambe penzoloni a pochi centimetri dal pavimento. Senza pensarci molto, preme il pulsante di accensione e una lucina verde, proprio in cima all’altoparlante, inizia a lampeggiare.
Dall’altro lato avverte un brusio sommesso.
 
 
Fitz sta letteralmente buttando giù ogni cassetto della sua stanza alla ricerca del maledetto walkie-talkie. Non che gli serva, visto che Larry è accanto a lui in questo momento, ma il pensiero di non sapere dove si possa trovare il suo prezioso gioco d’infanzia lo turba non poco.
Ha anche acceso il walkie-talkie di Larry per cercare di captare qualche suono e intuire dove possa trovarsi il suo, sempre che sia acceso.
Dannazione.
Quando sente un “Che diavolo?” dall’altro lato, si blocca istantaneamente e lascia cadere per terra un libro di almeno duemila pagine, provocando un tonfo assordante.
Simmons, dall’altro lato, sussulta.
 
- Amico sconosciuto di Fitz, hai appena ucciso qualcuno? – chiede una voce fin troppo familiare, attutita da qualche interferenza forse causata dal forte vento invernale.
- Simmons. – digrigna i denti Fitz, prendendo il walkie-talkie che fino a poco fa se ne stava sulla pancia morbida di Larry.
- Fitz? –
- Esattamente.-
- Hai appena ucciso l’amico con cui comunicavi con il walkie-talkie? –
- Cosa? Simmons, ma che diavolo stai dicendo?! –
- Ho sentito un rumore sospetto. –  borbotta la ragazza.
- Avere un walkie-talkie fra le mani non fa di te un poliziotto. –
- Mi fa una testimone, o pseudo testimone, di quello che sembra un omicidio. –
- Un omicidio?! Ma cosa…?! Mi è caduto un libro d’ingegneria per terra! –
- O potresti averlo ucciso con un libro di ingegneria. –
- Okay, questa conversazione è del tutto folle. –
- Sei tu il folle. O hai appena ucciso il tuo amico… -
-… ma non esiste al mondo, Simmons! –
-… o hai due walkie-talkie e comunichi con te stesso. –
- Assolutamente falso. –
 
Qualcuno bussa con insistenza alla porta, e sentire lo stesso, identico rumore attraverso il walkie-talkie gli fa intuire che Simmons deve essere in piedi dall’altro lato della porta.
 
- Se non mi apri, i miei sospetti non faranno che aumentare. – cantilena lei.
- Per l’amor del cielo! – sbotta Fitz, abbassando la maniglia e facendosi da parte per farla entrare.
Lascia che Simmons ispezioni la stanza con lo sguardo, soffermandosi con attenzione su ogni angolo, sui vestiti rivoltati per terra e le penne sul pavimento e il libro di ingegneria – l’arma dell’ipotetico delitto – rovesciato dal lato della copertina.
- Non direi che sei una persona ordinata. – è la sua diagnosi.
- Sciocchezze. Stavo cercando… questo. – le ricorda lui, prendendole dalle mani il walkie-talkie e scrutandolo come per vedere se sia danneggiato.
Jemma scuote la testa.
- Okay, adesso che hai capito che non ho ucciso nessuno, credo sia ora di tornare in camera tua e… non toccare Larry! – sbotta Fitz, nel momento in cui Jemma si avvicina alla scimmia di peluche.
La ragazza sussulta, colta alla sprovvista. Ci mette circa tre secondi per capire. E questo permette a Fitz di rivalutare rapidamente il concetto di genio e di ammettere che, se Jemma lo è un po’ meno di lui, di certo è intuitiva quanto lui come minimo.
- Oh, Fitz. Non mi dire. – mormora.
Non è il tono canzonatorio che si sarebbe aspettato di sentire, e questo lo consola in un certo senso.
Il ragazzo fa spallucce, non sapendo come rispondere al sorriso intenerito che si fa spazio sul viso di Jemma.
- Sì, parlo con una scimmia. Di peluche. Ma è… è molto più intelligente di quanto tu possa pensare. Gli ho impiantato dei meccanismi che gli permettono di parlare e rispondere. –
- Le permettono. – lo corregge lei, poggiando il ginocchio sul letto di Fitz e sfiorando il braccio di Larry.
- E’ maschio. Una scimmia maschio. – le fa notare Fitz.
- Beh, sì, ha senso. – ammette Simmons.
Il ragazzo, contro il suo istinto di protezione nei confronti di Larry, non si oppone quando Jemma prende il peluche fra le braccia e lo osserva con tenerezza.
Il suo sguardo si sofferma su una scucitura sul fianco destro della scimmia.
- Dobbiamo sistemarlo, Fitz. – constata con naturalezza, come se adesso Larry fosse diventato un affare loro, non solo suo.
- Non è così grave. – ribatte lui, sedendosi accanto a lei – solo per controllare che non maltratti il suo amico, ovvio.
- Non ci si mette niente. Devo solo prendere ago e filo in camera mia. – spiega Jemma, adagiando Larry sulle gambe di Fitz e avviandosi verso la porta.
Anche quando Simmons è uscita dalla stanza, il suo profumo continua ad aleggiare lì dentro. Fitz non saprebbe definirlo. Sembra bagnoschiuma e qualcos’altro che sa di casa.
Solo una settimana dopo Fitz scoprirà che si tratta di tè verde – come ha fatto a non capirlo prima?
Ecco perché Jemma sa di casa.
 
 
La prima volta che Fitz le consegna – temporaneamente – il walkie-talkie è per tenersi in contatto costante nel caso a uno dei due balenasse in mente una brillante idea per il progetto di chimica. E’ il terzo che fanno in coppia in laboratorio.
Li chiamano Fitzsimmons adesso. Suona strano, ma Jemma sorride sempre quando qualcuno lo dice e entrambi si voltano di scatto, sincronizzati.
A Fitz piace essere parte di qualcosa anche qui all’Accademia.
- Fitz, mi ricevi? –
- Mh, mh. – risponde il ragazzo, ancora intorpidito dal sonno.
- Ti ho svegliato? –
- Tu che dici? –
- Scusa, non volevo! –
Fitz si stropiccia gli occhi e schiocca le labbra.
- Fa’ niente. Devi dirmi qualcosa? –
- Ho avuto un’idea. –
- Spara. –
- Potremmo fare un plastico per il prossimo progetto. –
Fitz ci pensa su per un po’. Storce il naso.
- Non credo che sia molto originale. –
- Sì, già. Ma volevo evitare il solito power point. – borbotta lei.
- Quello è ancora meno originale. –
Silenzio. Jemma si morde il labbro inferiore.
- Fitz! –
- Diamine, Simmons, mi hai perforato il timpano! –
- Beh, non dovresti tenere quel coso troppo vicino all’orecchio. –
Fitz sbuffa.
- Quanto sono eccellenti le tue conoscenze di ingegneria informatica? –
- Direi oltre l’eccellenza. –
- La modestia è in te. – commenta Jemma, sarcastica. – Comunque, potremmo fare una proiezione…-
-… digitale…-
-… tridimensionale! –
- Esatto! –
- Geniale! –
- Non credo che nessuno lo abbia mai presentato per un semplice progetto di chimica. –
- No, direi di no. –
 
 
La seconda volta che Jemma tiene il walkie-talkie al posto di Larry è un giorno di inverno inoltrato.
Fitz si è beccato una brutta influenza.
- Hai preso le tue medicine? – gli chiede.
- Sì. – borbotta Fitz, indolenzito.
- E hai mangiato? –
Silenzio.
- Sì. –
- Bugiardo. –
- Non mi va di buttare giù quella minestrina schifosa. – si lamenta Fitz.
- Non puoi prendere le medicine senza mangiare! Ti ucciderai lo stomaco, Fitz! – lo rimprovera Jemma, che abbassa subito il tono di voce quando si accorge che un gruppo di ragazzi nel corridoio si è girato a guardarla.
- Simmons, pietà. – la supplica Fitz.
Jemma sbuffa e affretta il passo.
- Ti porto un tè. –
Leopold ripone il walkie-talkie sul comodino e si lascia cadere sul letto, un sorriso che balena inconsapevolmente sul suo volto pallido.
- E dei biscotti. –
 
 
La terza volta che Simmons tiene con sé il walkie-talkie di Larry è perché… in effetti, un perché non c’è.
- Così possiamo tenerci in contatto costante. – le spiega Fitz.
Jemma annuisce, incerta.
- Non dobbiamo fare nessun progetto. – gli ricorda.
- Appunto! – replica Fitz.
Quando si accorge di aver alzato la voce, si ricompone e si schiarisce la gola.
- Appunto. – ripete in un sussurro. – Il prossimo progetto che faremo insieme sarà tra un mese come minimo, quindi tieni il walkie-talkie. –
Simmons vorrebbe ricordargli che “esistono i cellulari, Fitz”, ma non lo fa.
- Oh, Fitz. -
Accetta il walkie-talkie con un sorriso e getta le braccia attorno al collo di Fitz.
Leo non risponde subito a questa improvvisa dimostrazione di affetto, ma solo perché è colto di sorpresa.
Nessun amico lo ha mai abbracciato – è sempre stato lui a stringere forte Larry – , figurarsi un’amica.
Perché è questo che è Jemma. Un’amica, giusto?
Impacciato, circonda la vita di Jemma con le braccia. Rimangono così per non più di cinque secondi, ma Fitz non può dirlo con certezza. La matematica gli piace, i calcoli anche, ma a volte Jemma, pure solo con uno sguardo, gli dice: “basta con i calcoli”, e lui la smette di scandire la sua vita in base a cifre infinite e perfette. Chiude gli occhi per un attimo e tutto ciò che sente è sempre lo stesso profumo di bagnoschiuma e tè verde.
Forse è vero quello che si legge in quei bigliettini anonimi e sdolcinati nei cioccolatini, che la casa non è altro che due braccia che tengono insieme i tuoi pezzi.
 
La quarta volta che Simmons tiene il walkie-talkie non è una quarta volta, né una quinta, né una sesta. Da quell’abbraccio spontaneo fuori dal laboratorio, lo ha sempre portato con sé. A volte parlano di come perfezionare i Sette Nani. A volte Jemma scherza sull’ipotesi di entrare a far parte dello S.H.I.E.L.D. e Leo liquida la questione con un “il laboratorio è molto più sicuro.”.
Una sera d’estate, qualche settimana dopo la loro laurea, Jemma non sembra aver voglia di scherzare. Dice sul serio.
- Oh, Fitz, potrebbe darci così tante opportunità! – fantastica con voce sognante Simmons.
Leo la immagina seduta a gambe incrociate sul letto, come una piccola indiana, gli occhi luminosi e un sorriso radiante, mentre immagina chissà quali scenari entusiasmanti, che a lui fanno solo paura.
- Anche qui potremmo averne. –
- Sarà divertente! – insiste lei.
- Non credo che l’idea alletti Larry più di tanto. –
- Sta parlando la scimmietta impaurita che è in te, Fitz. – lo rimbrotta lei in tono scherzoso.
 
 
Sono passate due settimane dalla proposta di Jemma, quando Fitz la coglie mentre sta osservando un giornalino in cui si illustra il piano di lavoro dello S.H.I.E.L.D., la sua gerarchia, le regole – oh, Jemma adora le regole – e le prerogative da possedere per entrarvi a far parte.
Fitz aguzza lo sguardo oltre le spalle di Jemma.
- Non potremmo mai essere degli agenti addestrati per un combattimento. – commenta.
- Forse no. – risponde lei. – Ma potremmo essere d’aiuto a quegli agenti. – aggiunge.
Fitz si porta le mani sui fianchi. Questa posa, che assume sempre più spesso, suscita in Jemma una strana sensazione di divertimento e tenerezza.
- Possiamo provare, Fitz. Facciamo solo un tentativo. – insiste lei.
Fitz non capisce se stia mettendo in atto la tattica “occhi da cucciolo”, e se non lo sta facendo, sta comunque riuscendo a persuaderlo.
Il ragazzo sospira rumorosamente, e da questo Jemma capisce già di aver vinto.
- D’accordo. – acconsente il ragazzo, forzando un sorriso. – Ma portiamo Larry con noi. – precisa poi.
Jemma sorride, minuscole fossette si modellano agli angoli delle sue labbra.
- Gli prenotiamo un posto in aereo. – promette.
Ancor prima che Fitz apra bocca per obiettare, aggiunge: - E’ una scimmia maschio, ricordi? –
Leopold Fitz scoppia letteralmente a ridere, forse per la prima volta negli ultimi anni. Jemma può giurare che sia la prima volta che lo sente realmente ridere così spontaneamente.
 
 
Usare i walkie-talkie in aereo è difficile. Quando si trovano a quote particolarmente alte i suoni sono del tutto frammentari.
Dev’esserci qualche impostazione da perfezionare per adattarlo al loro nuovo stile di vita.
Fitz ci sta lavorando da settimane, ed è assurdo che non sia ancora riuscito a capire cosa provochi tutte queste interferenze.
Il suo walkie-talkie resta sul suo comodino, così come quello di Simmons.
 
 
Fitz ha aggiustato il walkie-talkie la sera prima che Simmons ha la felice idea di quasi uccidersi.
Quella notte – e le notti a seguire – entrambi stentano a prender sonno.
Jemma preme il tasto di accensione.
- Fitz, mi ricevi? –
Un brusio confuso, di lenzuola arrotolate e qualcos’altro che Jemma non riesce a identificare.
- Affermativo. Passo. –
- Ti ho svegliato? – chiede lei, accendendo la luce nella minuscola stanza che è loro concessa sul Bus.
- No, tranquilla. – replica lui.
Simmons sospira e, poggiando i gomiti sul materasso, si sistema con la schiena contro il muro.
- D’accordo. – dice Fitz dall’altro lato, poggiando il walkie-talkie all’orecchio.
- Non tenerlo troppo vicino, Fitz. – lo rimprovera bonariamente lei, come se lo avesse visto.
Il ragazzo sorride divertito.
- Idrogeno. -  
- Uno. –
- Ossigeno. –
- Sedici. –
- Potassio. –
- Diciannove. –
- Tungsteno. –
- Settantaquattro. –
La gente normale conta le pecore per conciliarsi il sonno, ma era chiaro fin dall’inizio che loro due andavano oltre il normale.*
Jemma risponde sempre più lentamente, la voce impastata dalla stanchezza.
Quando Fitz le chiede quale sia il numero atomico del carbonio, tutto ciò che sente è il suo respiro calmo e regolare.
 
Jemma deglutisce rumorosamente. Ha la gola secca, anche se ha bevuto più di un litro d’acqua nelle ultime due ore. La schiena è rigida per tutto il tempo in cui è stata seduta immobile, le spalle curve in avanti e la mano su quella cerea di Fitz.
Due scorci di arido deserto al posto degli occhi, Simmons fatica persino ad abbassare le palpebre.
Tiene lo sguardo fisso sul volto di Fitz, bianco come la neve. Gli ha appena sistemato la medicazione alla testa. Nulla di grave. Solo un paio di graffi e un taglio più profondo per cui ha dovuto mettergli dei punti.
Forza le labbra in un sorriso asettico.
Fitz, mi ricevi? Passo.
Silenzio.
Fitz, ti ho svegliato?
Silenzio.
Fitz, ti disturbo, forse?
Silenzio.
Fitz, dov’è finito il tuo walkie-talkie?
Niente.
 
 *ci tengo a dire che questa idea l'ho presa da un headcanon che ho letto tempo fa su tumblr, ma non ricordo la ragazza che lo scrisse. :/
  
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