Primo
Capitolo.
Un
mese prima
-Oliver,
non posso. Mio padre è qui. La
mia famiglia è qui. Tu non sei niente.- Non volevo dirlo, ma
fui costretta.
Oliver, mio fratello, arrivò fino a Corto Maltese e
provò a portarmi a Starling
City, la città dove ho vissuto dalla mia nascita. Cinque
mesi prima avevo
scoperto che mia madre mi aveva tenuto nascosta tutta la
verità, io sono la
figlia di Malcom Merlyn, l’uomo che uccise milioni di persone
per i suoi scopi.
Dopo questo avevo lasciato tutti e tutto, scomparsi per un
po’ di tempo, mi
serviva il tempo di riflettere. Riflettere sulla mia vita, quella vera
e quella
falsa. Quando seppi tutto il mio mondo crollò e con lui
tutti i miei ‘eroi’,
mio fratello, il mio Ollie, mi aveva tenuta nascosta una cosa del
genere, non
potevo perdonarlo.
–Si che puoi.
Robert, anche se non era il tuo
padre biologico, si è sacrificato per te. Si è
suicidato per farti vivere, la
stessa cosa che ha fatto mamma qualche mese fa, si è fatta
uccidere per far
vivere noi. Tutto quello che hanno fatto, lo hanno fatto solo per noi.
Io sono
tuo fratello, quello che ti ha sempre sostenuto in ogni cosa che
facevi. Ma ora
non ti appoggio, sei scappata da tutto e da tutti e mentre io ho
faticato per
riavere il Verdant e rimetterlo in funzione, lasciare a te la
proprietà e poi,
dopo aver assicurato un futuro a te, ho pensato a me. Ho ripreso il
controllo
della Queen Consolidated e ho ripreso il controllo della
città.- lo guardai
negli occhi e capii che stava dicendo la verità
più assoluta. Per un attimo
pensai a quello che aveva fatto per me, si era dato da fare per mesi e
aveva
pensato a me. Io, la sua sorellina adorata, la stessa che lo aveva
abbandonato.
-Se
tornassi a Starling City…che
accadrebbe?- domandai scrutandolo. Sorrise e mi rispose con una frase
semplicissima.
-Quello
che tu vuoi.-
Era
fatta, sarei tornata nella mia
amata città, con mio fratello al mio fianco che non mi
avrebbe mai abbandonato
di fronte alle difficoltà.
Un
mese dopo.
-Ollie,
dove hai messo il caffè?- urlai
nella speranza che mi sentisse. La nostra casa era enorme, rivestita di
legno
ma fortissima e inattaccabile. Non avevamo i soldi per pagarci la
servitù e ci
dovevamo arrangiare come potevamo. La mattina era un incubo per me, non
essendomi ancora abituata a quella routine, era difficile trovare
quello che mi
serviva senza il minimo aiuto. Ero come una bambina che stava imparando
a
camminare.
Lo
vidi entrare dalla porta principale
con in mano due bicchieri di plastica
provenienti da Starbucks, che si trovava proprio vicino
casa nostra.
Oltre i bicchieri c’era anche un piattino di plastica bianca,
dentro c’era
qualcosa da mangiare. Allora si sfamava bene quando non c’ero
io lì, con lui.
-Buon
giorno Speedy. Ti ho portato la
colazione.- mi lasciò un bacio sulla fronte, cosa che faceva
sempre, fin da
quando ero piccola. Ci sedemmo sul divano color crema del salotto e
facemmo
colazione. Ogni tanto mi sorrideva e io lo ricambiavo.
-Oggi
devi andare al Verdant, ricordatelo.-
mi rammendò e si fermò sull’uscio della
porta. –Ah, ho lasciato il comando ad
un ragazzo, lavorerete insieme al locale.- e andò via.
Bene,
mi spettava una giornata
favolosa. Fino alle sette di sera sarei dovuta rimanere lì
con lui perché
dovevo firmare i vari documenti da acquisizione del locale.
Quando
tornai nella mia stanza capì
quanto tutto quello mi era mancato. Thea Queen aveva bisogno di tutte
quelle
cose per sentirsi a casa, abiti firmati, incontri tra imprenditori e
guardie
del corpo. Non che fossi una che se la tirava, ma io avevo sempre
vissuto così
non potevo rimanere senza tutta questa ricchezza. A Colto Maltese non
avevo
tutto questo, con lo stipendio come cameriera potevo comprarmi si e no
due o
tre magliette e due pantaloncini, non potevo vivere per sempre in quel
modo.
Con la mano toccai tutti i vestiti che avevo, andavano da un vestiti
color
prugna corto a metà coscia, fino ad arrivare ad un abito
lungo di raso rosso
che avevo indossato per la festa di capodanno della mia famiglia. Ad
occhi
chiusi scelsi un vestito blu con uno scollo a V, sia davanti che da
dietro.
Arrivava poco prima del ginocchio, non era né tanto formale,
né tanto da
discoteca, era giusto per un’occasione del genere. Non mi
truccai più di tanto,
solo un po’ di mascara e di matita nella parte interna degli
occhi.
-Thea
Queen, è ora di tornare al
lavoro.- e uscì di casa a testa alta, nessuno mi poteva
più ostacolare.
-Ehilà…c’è
qualcuno?- chiesi a voce
alta per farmi sentire, da quello che mio fratello mi aveva detto un
ragazzo
dirigeva il mio locale ora.
–Noi
apriamo alle dieci stasera, perché
sei qui?- domandò scrutandomi dall’alto verso il
basso.
–Sono Thea Queen,
la sorella di Oliver Queen.-
-Oh,
scusami tanto. Io sono Roy Harper,
dirigo questo posto ora.-
-Lo
vedo- dissi guardandomi intorno
curiosa. Qualche mese prima il locale era rosso, nonostante il nome
fosse
‘Verdant’ ora invece era verde smeraldo. Il bancone
bianco e una manciata di
sgabelli bianchi illuminati da una luce blu, fantastici. Le scale
avevano una
fascia rossa davanti, una zona privata…intelligente il
ragazzo. Anche se non
riuscivo a vedere bene, al sul secondo piano c’erano dei
tavolini e delle
sedie, illuminati proprio come il bancone e gli sgabelli, con delle
luci blu.
–Carino.-
esclamai guardando lui,
questa volta.
–Modestamente…grazie.-
-Che
fine ha fatto il mio ufficio?-
-Bhè
ora è il nostro ufficio,
visto che comandiamo
entrambi.- annuii e salimmo le scale. Dall’alto era tutto
più bello, ora aveva
veramente le sembianze di un Night Club.
–Hai
fatto un ottimo lavoro. Mi piace
tantissimo.-
-
Ero venuto diverse volte con i miei
amici qui, l’anno scorso. Anche tu avevi fatto un buon
lavoro.- entrammo in
ufficio e mi sembrò molto diverso dall’ultima
volta. C’erano due scrivanie
bianche, con il ripiano in vetro trasparente, l’una di fronte
all’altre. Sopra
ognuna di queste c’erano due iMac, anche questi bianchi. Le
sedie andavano in
contrasto, erano nere. Si poteva vedere l’interno del locale
con una vetrata
oscutata all’esterno quindi era impossibile vedere dentro del
centro del club,
ottimo.
–
E’ proprio bello.- dissi
meravigliata. Non potevo credere che il ragazzo che mi si era
presentato
davanti con una felpa rossa e un paio di jeans aderenti, avesse fatto
tutto
quello. –Chi ti ha aiutato? Voglio dire i tuoi genitori
avranno pagato tanto
per tutto questo, e non parlo solo dell’ufficio, ma del
locale intero.- mi
guardò male, ma non rispose. Si sedette alla sua scrivania,
almeno credo che
fosse la sua, e io mi accomodai di fronte a lui.
–Il
computer è un iMac di ultima
generazione e può fare tutto. Siccome non possiamo rimanere
aperti ogni giorno,
direi che nel weekend e il mercoledì ci sarà la
discoteca con il Dj. Mentre gli
altri giorni possiamo fittare il primo piano per feste
private… che ne dici?-
-Ottima
idea, andiamo a risparmiare di
meno alla fine, vero?-
-Certo,
ecco perché te l’ho proposto.- Sorridemmo
entrambi e poi ci mettemmo a lavorare sui nostri computer.
Dopo
due ore avevo capito che avevo
fatto male a lasciare gli occhiali a casa. In quel momento non vedevo
più
nulla, solo immagini sfocate.
–La
prossima volta porta gli
occhiali…sto scherzando, ovviamente.- mi sorrise.
–Dimmi
che abbiamo finito. Ti
supplico.- lui annuì e spense il suo computer, di
conseguenza io.
–Stasera
ti va se mangiamo insieme?-
-Non
hai amici con cui andare a
rimorchiare ragazze?-
-Purtroppo
i miei amici non rimorchiano
ragazzi, spacciano…droga.- rimasi in silenzio aspettando il
continuo della
frase, che arrivò poco dopo.
–Ho
un lavoro, e guadagno bene…sto
cercando di chiudere con loro.- annuii e non solo a quello.
–Stasera
a casa mia alle nove…puntuale.
Porta tu qualcosa da mangiare.- presi la borsa ed uscii dal locale. La
mia
Lancia Delta era lì ad aspettarmi, bianca come non mai e
odorava di nuovo. Era
il regalo di compleanno di mia madre per i miei diciott’anni.
Mi ricordo della
mia sorpresa quando la trovai fuori casa, stringevo così
forte mia madre che
credevo di strozzarla da un momento all’altro. Sorrisi
malinconicamente a quel
pensiero ed entrai in macchina.
-Ollie…ti
ho detto di non
preoccuparti…ci vediamo dopo…si, rimaniamo a
casa.- chiusi la chiamata e gettai
il cellulare sul letto. Il mio armadio era spalancato e i vestiti tutti
per
aria, alla fine avevo deciso di indossare una maglia sbracciata con
delle
frange sulla pancia, perciò quando mi muovevo e mi sedevo
quelle si spostavano
scoprendomi quella parte del corpo. Sotto di essa un paio di jeans neri
aderenti, ma comodi e un paio di Vans che andavano dal blu al viola, le
mie
preferite; anche se in casa preferivo rimanere scalza, mi sentivo
più libera. Stavo
per cambiarmi la maglia quando il campanello suonò, era
arrivato Roy.
-Bene,
la pizza…mi piace questa idea!-
esclamai sorridendo. Entrò in casa e si posizionò
di fronte a me.
-Dove
mangiamo?-
-Ti
risponderei in camera mia, però è
in disordine. Quindi…in salotto?- le sue labbra si
incurvarono in un sorriso.
-E
se ti aiuto a mettere tutto in
ordine?-
-Andata,
lascia le pizze in cucina e
seguimi-
-Davvero
tu indossi queste cose?- rise,
di nuovo. Il mio limite di sopportazione era arrivato alle stelle per
colpa
sua. Lo guardai e lo fulminai. Aveva in mano un top nero, che quelle
poche
volte indosso a me mi aveva fatta sembrare un’altra persona.
L’avevo abbinato
con un paio di pantaloncini corti e un paio di Converse nere.
-Si,
l’ho indossato a volte, qual è il
tuo problema?- mi guardò e lo poggiò al suo posto
nell’armadio.
-Vorrei
vedertelo addosso al club
qualche volta. Magari domani, le serata dedicata a te.-
-Oh,
no. Non lo farò mai. Sei un
pervertito di prima categoria.- lo schernii dandogli uno schiaffetto
sulla
spalla destra.- I tuoi genitori ti hanno dato la serata libera?- lui
non
rispose, ma si allontanò da me.- I-io non volevo
o-offenderti. Lascia stare.-
uscii dalla camera e andai a prendere le pizze dalla cucina.
Chissà
perché si rabbuiava quando gli
parlavo dei suoi genitori, avrò evitato
l’argomento sapendo la sua reazione.
Sapevo cosa si provava a perdere i proprio familiari davanti ai propri
occhi.
-Perché
stai piangendo?- per poco non ebbi
un infarto a causa dello spavento. Roy era dietro di me e poi si
spostò
davanti.
-Mi
hai fatto spaventare!- disse
cercando di sviare l’argomento. Mi guardò e
intuì dal mio sguardo che non
volevo parlarne.
-Ok,
lasciamo stare l’argomento.
Andiamo a mangiare?- annuii e salimmo tra risate e battute.
Durante
la cena non spiccammo parola,
ma capii dal suo sguardo che aveva qualcosa di dirmi, una domanda
probabilmente.
-Che
cosa devi dire?- lui si accigliò
–Capisco dal tuo sguardo che c’è
qualcosa che devi dire. Dì-
-Promettimi
di non arrabbiarti.- annuii
nuovamente e lui proseguì –Che cosa provi ad
essere figlia di Malcom Merlyn?-
Lo
guardai per qualche secondo e poi
risposi:-Bhè…di certo non ne sono fiera. Sono
rimasta per cinque mesi su
un’isola, avevo bisogno di riflettere su tutto. I miei
genitori mi hanno
mentito per diciannove anni, decisamente troppo tempo. Anche il mio
padre
biologico si e nascosto e quando è morto ha lasciato in
eredità a me soldi che
ha guadagnato uccidendo persone innocenti…mi sento molto
male.- piangevo a
dirotto mentre dicevo tutto questo. Finalmente avevo parlato con
qualcuno di
tutto quello che mi era successo, finalmente mi ero aperta a qualcuno
che non
facesse parte della mia famiglia.
-Vieni
qui.- mi disse prendendomi tra
le sue braccia. Il pezzo di maglia sotto al mio viso, nel giro di
qualche
minuto, divenne fradicio. –Liberati, sono qui per questo.-
sorrisi e lo strinsi
maggiormente a me.
Roy
continuava ad accarezzarmi i
capelli, eravamo stesi sul mio letto da qualche minuto. Dopo il mio
sfogo di
quasi un’ora, mi fece stendere su di lui in modo che potesse
asciugarmi il
viso, rigato dalle lacrime.
-Sono
soffici.-
-Si,
lo sono.-
-A
che pensi?-
-A
niente.- dissi voltandomi verso di
lui. Annuì e si avvicinò a me, chiusi gli occhi.
Sentivo il suo fiato caldo sul
mio collo, si stava avvicinando alle mie labbra e io non avrei fatto
nulla per
fermarlo.
Angolo
Autrice:
Salve
a tutti, sono nuova in questa
categoria. L’ispirazione mi è venuta guardando
Arrow…amo questo telefilm.
Ora
devo andare, ma fatemi sapere, con
una recensione, che ne pensate.
Vi
amo tutti.