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Autore: The Writer Of The Stars    29/03/2015    4 recensioni
"Se c’era una cosa che aveva imparato durante la sua vita con Freddie, era di non guardare il mondo per come è, ma per come dovrebbe essere. Ma come si poteva guardare il mondo ora, senza i penetranti occhi scuri e carichi di emozioni del loro Re?"
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"E mentre Roger singhiozzava disperato, inzuppando la pelle nera della giacca con le sue lacrime e tutti i ricordi che sarebbero rimasti solo ricordi nel suo cuore, Brian si rese conto che è proprio vero ciò che dicono tutti; nessun “Ti amo” o robe varie. La parola più difficile da dire è “addio.”
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brian May, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“See the world not as it is, but as it should be …”
 
“I’m not afraid of moving on and letting go,
 It’s just so hard to say goodbye to what I know …”
(Glee)

THE HARDEST WORD TO SAY IS GOODBYE
 
Nessuno gli aveva insegnato cosa fosse il dolore. Ce ne era forse mai stato il bisogno? Il successo, la musica, i soldi, le ragazze … gli amici. Che bisogno c’era di sentire dolore? Quale sarebbe stato lo scopo di piangere, se non quello di passare per l’ennesima star viziata e incontentabile?  Si stava bene senza lacrime, ecco la verità. Anche adesso, non c’era bisogno di piangere. Infondo aveva solo perso il suo migliore amico. A che sarebbe servito … piangere?
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Socchiuse gli occhi, smettendo di fissare la televisione. Le parole del giornalista giungevano lontane, smodate, senza un senso logico … forse avrebbe dovuto dormire un po’. Erano giorni che non dormiva, e cominciava davvero a non capirci più niente. E si che si sarebbe lasciato andare all’oblio del sonno, se il campanello non avesse suonato improvvisamente, con quel suo scampanellio assordante e fastidioso. Sospirò pesantemente, tirandosi a sedere e alzandosi poi dal divano in pelle, aiutandosi con le braccia. Si strofinò il volto dove i segni dell’insonnia si facevano sentire, raggiungendo a passi dinoccolati il portone d’ingresso.

“Hey …” in un primo momento riconobbe solo il timbro di voce, perché dinanzi ai suoi occhi assonati si era palesata una confusa immagine scura e riccioluta.

“Brian … che ci fai qui?” chiese stancamente, nascondendo la sorpresa. Il riccio lo guardò serio, facendo una smorfia.

“Ciao anche a te …” disse con ironia velatamente irritata. Per diversi attimi nessuno dei due fiatò, restando in silenzio. Dal salotto provenivano le voci della televisione in un’accozzaglia indecifrata di parole sconnesse, di cui sempre le stesse tre si ripetevano: Queen, Freddie, Aids.

“Mi fai entrare?” chiese alla fine Brian, stanco di quella tensione inutile.  Si spostò lievemente, permettendogli di passare. Brian lo precedette fino al salone, voltandosi di tanto in tanto per controllare in che stato si trovasse il suo amico. Alle sue spalle il batterista procedeva con lentezza, con passi strascicati e impropiamente suoi.

“Come stai?” chiese ad un tratto il chitarrista, sedendosi con cautela sul divano. Roger si lasciò cadere al su fianco, sprofondando tra i cuscini. Un sorriso amaro si impossessò delle sue labbra, stonando con il viso d’angelo che aveva conquistato il mondo.

“Sei venuto qui solo per chiedermi questo?” fece con tono di velata accusa, senza guardarlo in faccia. Sentì Brian al suo fianco sospirare con pesantezza, come rare volte gli era capitato di fare. La sua risposta fu frenata dalle parol del giornalista alla televisione,che ripeteva per l’ennesima volta ciò che in quei girni aveva sconvolto il mondo intero. Afferrò con veemenza il telecomando poggiato sul tavolino da caffè dinanzi a loro, spegnendo l’aggeggio infernale con un sospiro sollevato.

“Senti, so quanto tutto questo sia difficile, siamo tutti sconvolti e … distrutti.” Cominciò, prendendo il discorso con cautela.

“Ma ero con te quando abbiamo saputo ciò che era successo, ed ero con te il giorno del funerale … e ho notato una cosa.” Disse con serietà. Roger alzò gli occhi al cielo, con un triste sorriso esasperato.

“Cosa?” chiese allora retorico, fingendo che non gli importasse.

“Non hai mai pianto.” Roger serrò le labbra, immobile dinanzi a quelle parole.

“Che vorresti dire?” chiese ad un tratto.

“Credi che non me ne importi niente? Pensi sia un insensibile?!” accusò alzando il tono di voce, arrabbiandosi. Brian scosse il capo, facendo ondeggiare i riccioli scuri.

“Non ti sto accusando di nulla,Roger. So quanto sia dura e so anche ciò che stai facendo.” Roger voltò lo sguardo.

“Cioè? Cosa starei facendo, sentiamo?” chiese irritato.

“Non vuoi mostrarti debole. Vuoi essere la roccia di tutti quanti, di me, di John , dei tuoi figli … e non pensi per te.” Roger scosse la testa, sorridendo amaro.

“E` incredibile ciò che stai facendo, ma era il tuo migliore amico … credo che non possa andare avanti così.” Se c’era una cosa che aveva imparato durante la sua vita con Freddie, era di non guardare il mondo per come è, ma per come dovrebbe essere. Ma come si poteva guardare il mondo ora, senza i penetranti occhi scuri e carichi di emozioni del loro Re?

“Ti stai tenendo tutto il dolore dentro, e so che prima o poi arriverai ad un punto di rottura e allora non potrai fare a meno di liberarti di tutto ciò che hai qui.” Disse Brian, portandosi una mano al cuore. Roger scosse la testa debolmente, fissando un punto indefinito dinanzi a sé.

“Piangere non lo riporterà indietro!” sbottò arrabbiato, stringendo i pugni con forza.

“Lo so … vorrei solo che tu sappia che quando quel momento arriverà, io sarò lì con te.” Gli disse con solennità, conscio di quanto l’animo di uno dei suoi migliori amici fosse tormentato. Roger boccheggiò per diversi istanti, senza guardarlo in viso.

“Papà!” per la casa si espansero le voci infantili di alcuni bambini, rompendo il silenzio carico di tensione creatosi in quei secondi. Roger si alzò di scatto in piedi, lanciando un’occhiata sfuggevole a Brian.

“Devo andare … i miei figli hanno bisogno di me.” biascicò a bassa voce allontanandosi per le scale dell’enorme abitazione, mentre alle sue spalle, Brian lo fissava, chiedendosi se in realtà non fosse lui ad aver bisogno di aiuto.
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Brian si avvicinò alla porta d’ingresso, bussando con timore. Era passata una settimana dall’ultima volta in cui era passato in quella casa, e Roger non si era visto né fatto sentire. Il giorno prima lo avevano chiamato, informandolo che dalla casa di Freddie era misteriosamente scomparsa una delle sue giacche. E non una qualunque, bensì il famoso giubbetto di pelle nera di quel 1981 a Montreal, quella di cui si era denudato nel corso del concerto. Inspiegabilmente la notizia era volata fino alle orecchie dei giornalisti e ora tutto il mondo si stava chiedendo che fine avesse fatto la famosa giacca, quale ladro fosse stato tanto bravo da riuscire a rubarla senza essere scoperto. Il giorno prima ne aveva parlato con John, arrivando alla conclusione che non vi fosse risposta a quanto avvenuto. La giacca ormai era andata perduta, probabilmente nelle mani di qualche fan, e anche se avevano un’intera casa di ricordi e momenti a riportare Freddie nelle loro vite, Brian era rimasto colpito da quel fatto. Non aveva paura di andare avanti e lasciarsi indietro il dolore, per quanto possibile, ma era incredibilmente difficile dire addio a ciò che aveva di più caro … quella giacca era un po’ l’essenza di Freddie, se l’avesse annusata avrebbe percepito ancora quell’ odore misto di sudore, birra e profumo da uomo del loro Re che aveva impregnato il tessuto quasi dieci anni prima ormai. Non aveva ancora sentito Roger, perciò aveva deciso che fosse il caso di passare da lui, visto come si era conclusa l’ultima visita. Era sicuro che Roger non si fosse ancora liberato dal peso delle lacrime, oh si che ne era sicuro.

Suonò il campanello per la seconda volta, attendendo di vedere la porta aprirsi e mostrargli il volto angelico di Roger con quei capelli scompigliati e gli occhioni azzurri stanchi e lucidi. Ma non accadde e alla terza chiamata senza risposta, cominciò seriamente a preoccuparsi. In quell’istante si ricordò della chiave duplicata che aveva fatto diversi anni prima, quando Roger era rimasto chiuso fuori di casa e ne aveva poi affidata una ad ognuno di loro, confidando nella loro serietà in caso di un ulteriore perdita. Palpeggiò le tasche del cappotto, ringraziando mentalmente il Signore per aver fatto si che avesse infilato le chiavi nella giacca diverso tempo prima, dimenticandosi di toglierle. Inserì la chiave nella toppa, girando per due volte, facendo scattare la serratura. Si sentì quasi un ladro ad entrare così in casa di qualcuno, ma era di Roger che parlava, e non era il momento per assurde accortezze. La casa era immersa nel buio, silenziosa.Brian mosse alcuni passi incerti nel’oscurità per poi bloccarsi di scatto, all’udire un rumore. Un lamento ovattato sopraggiunse alle sue orecchie, facendolo sgranare gli occhi. Brian riprese il suo lento incedere verso la provenienza di quei gemiti disperati. Riconoscendo la sagoma del divano si appiggiò allo stipite della porta, tastando il muro alla ricerca dell’interruttore. Lo trovò e accendendo la luce, si ritrovò immobile davanti ad una scena che mai avrebbe creduto di assistere. Roger stava seduto sul divano, il volto premuto contro la giacca nera di Freddie, singhiozzando violentemente, come un  fiume in piena. Subito Brian si avventò sul divano, sedendosi al fianco del batterista, che nonostante accortosi della sue presenza, non lo degnò di uno sguardo. Brian rimase sconvolto, incerto se preoccuparsi di più del fatto che Roger avesse rubato la giacca di Freddie o che lo stesso batterista avesse finalmente raggiunto il punto di rottura che aveva profetizzato giorni prima. D’istinto cinse Roger in un abbraccio rude, da maschio, senza dire nulla, senza cacciare fuori stereotipate frasi di condoglio che non sarebbero servite a nulla. Lo abbracciò solamente, lasciandolo sfogare sulla sua spalla, come avrebbe fatto un vero amico. E mentre Roger singhiozzava disperato, inzuppando la pelle nera della giacca con le sue lacrime e tutti i ricordi che sarebbero rimasti solo ricordi nel suo cuore, Brian si rese conto che è proprio vero ciò che dicono tutti; nessun “Ti amo” o robe varie. La parola più difficile da dire è “addio.”


Nota autrice:
salve a tutti! Permettete di presentarmi, è la prima volta che pubblico su questa sezione. Allora, sono The Writer Of The Stars (in altre circostanze semplicemente Letizia) e sono una grande fan degli anni 70/80, in particolar modo della musica. Amo tutto ciò che riguarda quest’epoca meravigliosa, e oltre ad essere fan dei Queen (Roger. Amo Roger alla follia. *-*) adoro Michael Jackson, Phil Collins, i Dire Straits,Mark Knopfler, i Police, i Beatles, Prince, Stevie Wonder, Cyndi Lauper e non sto a farvela lunga perché altrimenti non finisco più. E niente, ho voluto provare a buttarmi e a scrivere per una volta qualcosa su questa sezione, che già adoro. Non ho altro da aggiungere, se non che spero che la storia vi sia piaciuta e vi ringrazio già da ora per l’attenzione. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, fatemi sapere! ;)
Alla prossima!
un abbraccio

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