Dopo anni torno a pubblicare su Digimon,
sperando seguano tante altre pubblicazioni, perché amo la serie,
i suoi personaggi e finalmente ho avuto - dopo tutti questi anni - il
coraggio di conoscere il suo fandom. Con Digimon Adventure Tri alle porte spero l'ispirazione diventi mia compagna fedele, sì, ma che seduca anche tanti altri fans.
Don't always rain on my parade (ispirato alla canzone Don't rain on my parade di Barbra Streisand dal film Funny Girl)
è nata come un piccolo progetto sulla mia OTP, il
Taishiro, una raccolta, non ricercata o ambizioso, non un'avventura di molti
capitoli, ma una creaturina per
mezzo di cui volevo slegare alcuni pensieri e toccare alcuni argomenti.
Alla fine però ho preferito fosse un'unica storia con un Taichi diciottenne e un Koushiro diciassette con le
premesse dell'epilogo dello 02 incrociarsi con i sinossi di Adventure
Tri, ovvero sullo sfondo di un mondo dove i ragazzi muovono i
primi passi importanti per far convivere i due mondi e per questo
è citato il padre di Sora, Gennai e Taichi e Kou si ritrovano a
tornare da Kyoto.
La
terminologia e i nomi usati, sono quelli della serie originale e non
dell'adattamento, nel caso non vi siano familiari questa è la
spiegazione, ma nel testo troverete le note che vi serviranno per la
lettura.
Voglio ringraziare Charlie, Daniela, Valerio, Fjona e Vari,
perché in modo (per loro) più o meno inconsapevole mi
sono stati d'ispirazione e, se non è presuntuoso da parte mia
vorrei dedicargli queste righe.
Spero apprezzerete tutti e che lascerete un'opinione (anche critica!)
sul testo, in modo da offrirvi un lavoro di qualità.
Dal
finestrino dello Shinkasen1
diretto a Tokyo, Taichi vide avanzare l'imbrunire.
Il
cielo era rosso, pittoresco, poetico e Taichi sospirò.
La
giornata era stata intensa, il lungo incontro con Takenouchi-san era
stato più proficuo per il professore che per gli ormai adulti
bambini prescelti, ma
non noioso.
C'erano
tante domande che solleticavano le sue fantasie sul futuro, un futuro
diplomatico riguardo al mondo dei Digimon, una guerra da combattere
con le parole, con l'arma più potente di Yagami Taichi, il carisma.
Koushiro
sembrava aver avuto ragione riguardo le capacità oratorie di Taichi,
era portato, aveva la stoffa per la politica, ma tutto sembrava così
distante e difficile, anche se più pensava al traguardo e più ne
era eccitato. Non sarebbe stato solo, poteva farcela, Koushiro per
primo l'aveva rassicurato – che senpai
terribile
che era! – non sarebbe stato solo nella sua propaganda alla
comprensione ed accettazione del Digital World, sarebbe stato un
ottimo intermediario, così non ci sarebbero stati più incidenti.
Era parte di una rivoluzione, era un ingranaggio importante, ma non
solo, il suo non era un moto indipendente, non doveva aver timore di
nulla, dopotutto... lui possedeva lo Stemma2
del Coraggio!
Quello
che avevano davanti era grande ed importante quanto la rivoluzione
copernicana, avere una certa inquietudine era naturale quanto saggio,
l'orizzonte non era roseo perché la realtà è sempre complicata,
soprattutto se da ambo le parti c'è paura, una paura che può
diventare odio o aggressività; Taichi era in
dovere di esorcizzare quelle paure, quei pregiudizi... era in
dovere di far splendere il suo Stemma, nel nome di una bene
superiore.
Invidiava
il sangue freddo di Koushiro, la sua capacità di essere
imperturbabile che gli costava – Taichi lo sapeva – il sacrificio
di qualche emozione. Nella visione del mondo di Izumi Koushiro,
talvolta la scelta migliore
da fare costava del puro autolesionismo emotivo, questo Taichi non lo
invidiava, anzi... avrebbe voluto poter proteggere il suo migliore
amico da queste insensatezze.
'Miglior
amico...tsk...' Taichi
era sempre stato un
tipo spiritoso, ma non facevano
ridere alla luce del sole definizioni che calzavano
troppo strette.
Lo
Shinkasen era in viaggio da un quarto d'ora, verso Tokyo, e
esattamente da quando aveva lasciato la stazione di Kyoto il suo
compagno di viaggio non aveva staccato gli occhi dal computer
portatile; non c'era molto da sorprendersi, ma Taichi non poteva
negare di essere un tantino seccato, nel vagone vuoto l'unico rumore
era prodotto dai tasti
toccati dalle dita di Koushiro. Quel suono senza
armonie e senza melodie non era certo il suono del basso di Yamato,
non teneva alcun ritmo, non coinvolgeva, piuttosto era estraniante,
ma quella monodia
era il suono del talento di Koushiro, un suono al
quale si era
emotivamente legato, per quanto antipatico potesse risultare.
Taichi
guardò il volto teso e concentrato dell'amico; Takenouchi-san
aspettava con fiducia il giorno in cui Koushiro si sarebbe unito ai
suoi studi, il professore confidava
molto nel giovane che era la persona con la maggior conoscenza del
Digital World,
in compagnia di Koushiro era
Takenouchi-san a diventare
l'allievo. Taichi si chiedeva se non fosse un peso per
l'amico quel continuo lavorare, ricercare e tenersi costantemente in
contato col professore,
se tutto quel lavoro non
dipendesse per caso da
qualche segreta paura di deludere qualcuno e se quel qualcuno non
fosse proprio lui.
“Taichi-san,
perdonami, lo so che tu ami davvero il calcio, ma credo che – nella
situazione in cui ci troviamo – tu debba avere obbiettivi più
alti. Il tuo futuro, nel mondo dello sport, è sprecato”.
Quanto tempo fa era
accaduto? Un mese prima? Sembravano secoli... si era davvero offeso a
quelle parole, era rimasto ferito dall'idea che fosse solo che un
idiota ai suoi occhi.
Era Taichi quello che non avrebbe
sopportato l'idea di deludere Koushiro.
“Taichi-san,
non lo dico con l'intenzione di offenderti, ma perché tu... sei
speciale rispetto a tutti noi. Tu
hai davvero le doti per diventare un leader, un leader politico
intendo, qualcuno che può davvero cambiare i rapporti tra umani e
digimon. E se per fartelo capire devo dirti che stai buttando via il
tuo talento pensando al calcio, allora sì, mi ripeterò finché non
capirai che sto parlando con tutta l'ammirazione che nutro per te
e... che vuole solo il meglio, per te, e per il Digital World”.
Amava davvero il calcio, non poteva negarlo, l'idea di poter fare
di quel hobby la sua professione l'aveva esaltato fin troppo nel
passato, portandolo a perdere di vista cose ben più importanti. In
un mondo dove i digimon erano una minaccia, mostri da sterminare -
mostri che la Sicurezza
aveva anche abbattuto quando erano comparsi nelle città dei vari
continenti - lui non poteva fare finta di nulla, non poteva essere un
vigliacco, come non poteva essere egoista; si
era comportato da bambino però, in modo pessimo, quando Koushiro era
entrato in argomento all'indomani delle iscrizioni universitarie
Taichi aveva letto in quelle parole un sottotesto mai voluto, aveva
visto quelle parole come una minaccia, aveva portato la mente a Sora
che anni prima aveva scelto Yamato, affascinata dalle molteplici
qualità del ragazzo, mentre lui era... solo Taichi.
Ne era
passato di tempo, erano cambiate così tante cose nelle loro vite,
tuttavia quel antico timore ogni tanto riaffiorava, il timore di non
valere, di non essere speciale e, a causa di ciò, ogni tanto si
comportava come uno stupido passivo aggressivo.
Lo
Shinkasen entrò
in una galleria, le colline illuminate di rosa diventarono ricordo.
“Koushiro?” senza un panorama non aveva nulla con cui
distrarsi, voleva condividere un normale viaggio tra amici, parlando
del più e del meno. Koushiro però non rispose, come se non fosse
necessario rispondere o – molto più probabile – come se non lo
avesse sentito.
Taichi sorrise e con studiata lentezza poggiò la
testa sulla spalla di Koushiro.
L'amico
geek non
staccò gli occhi dallo schermo, ma Taichi
lo
vide fremere, per una frazione di secondo ed esitare nel premere un
tasto; era stato quasi impercettibile, ma il talento atletico di
Taichi non
era certo solo merito di un fisico allenato.
“Kou-shi-roo...”
cercò
di guadagnarsi l'attenzione di Izumi canzonando
il suo nome e
trattenendo un certo divertimento per l'atteggiamento stoico
dell'altro.
“Non serve che richiami la mia attenzione
Taichi-san, vai al punto di quello che devi dirmi”.
“Allora
mi stavi ascoltando?”.
“Certo”.
“Credevo
fossi distratto”.
Koushiro
schiuse le labbra per replicare, ma non uscì suono, c'aveva
ripensato. Non era importante che Taichi sapesse che con lui non si
distraeva mai. Non poteva escluderlo dai suoi pensieri se li
occupava, era questa la verità, ma il buon senso gli aveva suggerito
il silenzio e di continuare nel suo lavoro.
“Volevo solo
dirti che alla fine avevi ragione. Nel senso che...” era seccante
che non lo guardasse, ma Taichi
era anche certo
che ogni senso fosse focalizzato su di lui, anche se non smetteva di
lavorare al computer.
“...beh, per quanto sembri tutto così
lontano dalla mia portata ed
impegnativo,
è una sfida che mi entusiasma, io... credo che è proprio quello che
voglio nel mio futuro e non vedo l'ora di raggiungerlo”.
Gli
angoli della bocca di Koushiro si distesero in un sorriso, era
rilassato, felice d'aver sentito quelle parole, come se averle
pronunciate cambiasse ogni cosa in meglio, ponendo fine a un capitolo
travagliato.
“Koushiro,
fai schifo nel gongolare, sai?”.
Rise
alle parole di Taichi.
“Perché
dovrei, Taichi-san? Non ne vedo il motivo”.
A
sua volta Taichi avrebbe riso, ma si morse l'interno della guancia
per non farlo; voleva dare un'impressione imbronciata, seccato dal
fatto che quell'aggeggio
senza
anima e cervello ricevesse più attenzioni di lui. Un inutile
comportamento infantile con Koushiro.
“Potresti
figurare da solo il motivo, non è difficile. Ma quel affare
ti
distrae”.
“Quel
affare
cosa
sarebbe, di grazia?”.
Taichi
sbuffò: “il tuo computer”.
“Sento
dell'ostilità nella tua voce” lo prese in giro, comprendendo quale
fosse il reale fastidio – sapeva che il suo lavorare al computer
infastidiva gli altri, tra cui Taichi-san, quando non era comodo –
ma fingendosi ottuso per giocare ad
un gioco che, sapeva,
Taichi apprezzava.
“Oh
sì, un'ostilità tanto forte che potrei garantirti
che se solo i finestrini si potessero aprire lo getterei via”.
Se
fosse stato un altro a dire una cosa simile, Koushiro probabilmente
sarebbe diventato aggressivo come
un
caimano e avrebbe attentato agli occhi del malcapitato ed impulsivo
compagno di viaggio, ma al suo fianco – poggiato sulla sua spalla
destra – c'era Taichi-san, l'unico a cui poteva davvero perdonare
tutto, l'unico che non riusciva a farlo arrabbiare, ma a sorridere.
“Taichi-san
sto scrivendo una relazione per Gennai-san su quello di cui abbiamo
parlato oggi, potrà darci dei consigli utili” e dopo un secondo
d'esitazione, con un lieve imbarazzo aggiunse “...lo sto facendo
anche per esserti d'aiuto”.
“Non
dovresti” rispose pacato “già fai fin troppo per me e...” –
sospirò
deluso da se stesso –
“...questo
mi rende sempre più un pessimo senpai”.
Ma
Koushiro scosse la testa: “dovresti smetterla di schernirti in
quanto senpai,
Taichi-san. Se sei sempre stato il nostro leader e se hai le
potenzialità per una carriera politica è perché sei tutto fuorché
pessimo. Sei la miglior persona per ricoprire questo ruolo, ma già
te l'ho detto, no?”.
Uscirono
dal tunnel, Taichi lanciò un'occhiata fuori: c'era un paesaggio
collinare coperto dai freddi colori violacei che anticipavano la
notte, il giorno li aveva lasciati e a Tokyo li avrebbe accolti la
notte; avrebbe fatto meglio a riposare, ma non poteva, era
distratto.
“Non
dovresti sempre giustificarmi, sai? Non riesco proprio a capire
perché tu lo faccia” o forse solo non voleva capire.
“Mi
comporto da bambino e tu rivesti i panni della persona matura e mi
giustifichi, quando neanche io saprei farlo. E in questi mesi l'ho
fatto davvero tante, troppe volte” perché avere diciotto anni fa
paura, si è ragazzini, eppure si viene chiamati adulti e a
comportarsi di conseguenza.
“Sai,
è che ultimamente mi sono
domandato
quale
sia il mio posto nel mondo. Tu te lo chiedi mai?”
Koushiro
smise di far scorrere le sue dita sulla tastiera, ma non trovò il
tempo di rispondere che Taichi
si pentì per l'impulsiva domanda: “...scusa, non avrei dovuto”.
Il
diciottenne tornò
con la memoria a molti anni prima, in un'imprecisa giornata di
estate, caldo e videogame, dove – dopo una partita ad un
picchiaduro – Koushiro gli disse: “sai
Taichi-san? Io sono stato adottato, mio padre e mia madre non sono
davvero i miei genitori”.
L'aveva colto di sorpresa, non aveva saputo cosa dire Taichi, era
imbarazzato quanto triste, ma soprattutto confuso perché quelle
parole erano venute dal nulla, senza una ragione, senza un tono
adeguato al contenuto del messaggio. Koushiro gli aveva parlato di
ciò come se gli avesse comunicato l'uscita di un nuovo gioco e la
sua motivazione era stata: “perché
non voglio nasconderti nulla”,
come fosse un dovere essere trasparente con lui. Taichi gli era grato
di tanta considerazione, ma si chiese se in realtà Koushiro non
l'avesse fatto per il disperato bisogno di togliersi un peso. Se così
fosse stato, non l'avrebbe certo biasimato.
“Io
so qual'è il mio posto nel mondo”.
Con
sorpresa di Taichi, Koushiro gli rispose serio, dimentico del
computer. Lo disse quasi in tono solenne, come se la Natura stessa
gli avesse sussurrato la risposta nei giorni vissuti, mostrandogli la
via da percorrere.
“Eh?
Lo sai? E dove sarebbe? ”.
Koushiro
non era sicuro che Taichi potesse davvero comprenderlo, perché se
poteva comprendere le parole ed il loro senso, poteva ignorarne il
significato, perché quello l'aveva compreso solo vivendo. Ogni
granello di tempo, scorrendo, accumulandosi nel passato, aveva
mostrato la risposta del presente e del futuro.
Quando
si erano conosciuti Koushiro
non
aveva nulla, se non la certezza di vivere in una bugia: nessuno
voleva essere suo amico, con la scusa che era troppo intelligente per
loro; nessun insegnante era felice di essere il suo professore perché
temevano le domande di un genio, inoltre
aveva
scoperto da poco che i suoi genitori non avevano legami di sangue con
lui, ma non gli avevano detto nulla, gli sorridevano e mentivano con
naturalezza. Il piccolo Koushiro non odiava, non
ne
era incapace, tuttavia sentiva di non appartenere a nulla, di non
essere desiderato da nessuno, di essere un'esistenza di troppo che
doveva trovare il modo più silenzioso per non disturbare e non
pretendere nulla dalla vita, perché era solo un ospite, era solo una
presenza temporanea, nulla lo teneva attaccato a qualcosa e gli
ricordava quale fosse il suo posto nel mondo, ma poi aveva incontrato
Taichi-san che senza
uno
scopo era stato gentile con lui, senza guadagnarci nulla aveva voluto
essere suo amico e non si vergognava di dirlo, anzi, era contento
della sua compagnia nonostante Koushiro non avesse
fatto
nulla per guadagnarsi la sua simpatia. Ed
era seguita la loro avventura nel Digital World, poi erano seguiti
giorni in cui non era più solo, accettando l'invito di Taichi-san al
campo estivo gli era stato donato un nuovo mondo da scoprire e da
amare, reale, per quanto fosse digitale
e... bastava metterci piede per diventare in esso un insieme di dati,
non più carne e sangue e D.N.A., ma una nuova forma fedele a se
stesso; se per gli altri bambini prescelti poteva essere spaventoso,
per lui era tutto l'opposto.
C'era
solo un'assoluta e lucida certezza per Koushiro, per quanto potesse
sembrare ambigua come risposta, era l'unica che poteva dare: “io...
so solo che il mio posto è al fianco di Taichi-san”.
Il
suo posto.
Accanto
a lui.
Era... la
sua certezza?
Come
febbricitante Taichi
volle parlare, ma ad
aprir bocca non uscì suono e un semplice capriccio d'ozio lo fece
rimanere esattamente dov'era e dove Koushiro gradiva la sua
presenza.
Pensò al
piacere del gelato che scende e il cui zucchero rimane in bocca,
mentre lo stomaco accoglie lieto il dolce d'acqua. Si sentì molto
Agumon, ma era la sensazione più simile a quella che provò
e fu bello, finché le dita di Koushiro non tornarono sulla tastiera
e la sua attenzione alla relazione da spedire a Gennai.
Eppure,
almeno un silenzio, era appartenuto ad entrambi.
“Ehi,
Koushiro?”
Richiamò
la sua attenzione, mentre gli angoli della bocca si piegavano al
divertimento di una malvagia e terribile idea che solo qualcuno con
lo Stemma del Coraggio poteva proporre.
“Sì,
Taichi-san?”.
“Posso
farti una proposta indecente?”.
“Dipende
dalla sua indecenza, sai che non approvo le cose volgari”.
“È
molto indecente, ma affatto volgare” specificò Taichi sapendo che
la scelta giusta di parole avrebbe catturato la curiosità del suo
formale migliore amico.
“Allora
accetto la più strana, pudica ed unica proposta indecente che mi sia
mai stata fatta. Di
cosa si tratta?” era
curioso della proposta di Taichi, della sua fantasia, ma non in modo
così estremo come si sarebbe potuto pensare. Taichi era sempre
fantasioso, pieno di idee e voglia di divertirsi in modi singolari,
sia Koushiro che Yamato (e talvolta anche Jou) erano spesso coinvolti
nei suoi eccentrici e pudici divertimenti, ma l'invito era stato solo
per lui e il tono di Taichi-san era stato così pacato da dare
l'illusione di un timbro dolce.
Colpa
della vicinanza, doveva essere così.
Izumi
attese di sapere di quale
morte avrebbe dovuto morire,
ma Taichi non disse nulla, sembrò prendersi del tempo ulteriore,
come se l'indecenza stessa risiedesse nella paternità della
proposta, come fosse qualcosa di cui – per quanto ne sapeva
Koushiro – Taichi stesso potesse pentirsi in un futuro più o meno
prossimo.
“Taichi-san?”
Con la sua
testa da porcospino si allontanò da Koushiro tornando
eretto al suo posto a sedere, spezzando l'alchemico calore che due
corpi possono produrre dalla loro prossimità.
Taichi
guardò dal finestrino, la sera stava intensificando i
colori, era blu e facendo attenzione si potevano vedere le stelle.
Voleva vederle però
in modo diverso.
“Koushiro,
tra due settimane, a Tanabata3...”
si girò e Koushiro finalmente non guardò
più il pc, stava guardando il suo senpai
e per Taichi fu come uno di quei momento in cui il tempo viene
scandito dalle melodie di un pianoforte, dense di emotività, ma
cortesi nel riempire il silenzio, nonostante le note d'imbarazzo.
“...a Tanabata,
vieni con me a vedere i fuochi d'artificio”.
Koushiro
non fu sicuro del reale significato di quelle parole, ma sorrise a
Taichi mostrando la gratitudine che gli mostrava ogni volta che gli
permetteva di essere al suo fianco; che fosse per studio, per un
combattimento con i
loro digimon o un
pomeriggio di videogames, Koushiro era sempre grato a Taichi di ogni
cosa.
“Va
bene”.
“Con
tanto di yukata!” affermò Taichi prima di abbandonarsi al vero
imbarazzo di cui l'altro
non ne intuì la natura.
“Va
bene, ma non voglio essere il solo ad indossarlo”.
“O-ovvio”.
“Mi sento
sollevato”.
Tip-tip...
“Per gli yukata?”
fu seccante per Taichi vedere Koushiro tornare a scrivere al
computer, senza realmente estraniarsi dal discorso.
“No,
perché avevi detto che era una proposta indecente”.
La
voglia di sbattere la fronte contro il finestrino fu forte per il
più grande.
“...ho
avuto paura che fosse coinvolto il mio computer” confessò sincero,
mettendo un punto al testo che stava compilando per Gennai-san.
“Non... non
devi temere” e in quel momento di estrema e seccata sincerità,
Taichi volle essere
impavido ed andare
nel dettaglio... “voglio più di chiunque altro al mondo le tue
dita siano lontane da quel coso,
ovunque, ma non su di lui”
...ed ammutolì solo quando si
rese conto di quanto avesse detto e
delle sfumature che potevano assumere quelle frasi.
Non avrebbe voluto
entrare così nel... non poteva neanche scappare, era su un treno ad
alta velocità!
“Ok,
saranno dove vorrai tu”.
“Saranno...
dove?!”.
Non solo le guance
di Taichi si fecero scarlatte, persino le orecchie diventarono rosse
e calde come se la sua temperatura fosse al di sopra del salutare.
“Prima fai
proposte indecenti Taichi-san e poi ti imbarazzi?” lo prese in
giro, lasciando intendere che aveva volutamente ragionato sulla
scelta di parole.
“Sto
solo aggiungendo alla tua proposta l'ambiguità di una reale
indecenza”.
Koushiro
che faceva allusioni sessuali e le capiva?
Taichi non era di
certo pudico, si concedeva come tutti i maschi della sua età
conversazioni di sole volgarità e allusioni, ma fu una bastonata
sulla nuca associare quelle perle di selvaggio maschilismo a
Koushiro. Dove era il piccolo, ingenuo e probo Izumi Koushiro?
Era
cresciuto così in fretta e...
“Non
protesterò se vorrai tenermi per mano, Taichi-san”.
...e
dopotutto il piccolo, ingenuo e probo Izumi Koushiro era ancora lì,
sarebbe
sempre stato lì, al suo fianco, nel
suo posto nel mondo.
“Certo,
mano nella mano Koushiro. Sarà proprio indecente come pensavo”.
1Lo Shinkasen è il treno ad alta velocità con cui si può raggiungere Kyoto da Tokyo e viceversa.
2Stemma è la traduzione per Crest, ovvero quelle che nell'adattamento italiano sono le Digipietre.
3Tanabata è una delle cinque maggiori festività giapponesi che si celebra il 7 luglio. La tradizionale festa omaggia il ricongiungimento delle divinità innamorate Orihime ed Hikoboshi che rappresentano le stelle di Vega e Altair.