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Autore: Lara Ponte    30/03/2015    8 recensioni
Mi cimento oggi in un genere "Che non mi appartiene" :)
Motivo: piccola iniziativa nel gruppo FB di cui faccio parte:
(Questo il link: https://www.facebook.com/groups/751269538242732/?fref=nf )
Ad ognuno di noi è stata assegnata una categoria per vedere cosa saremo riusciti/e a scrivere.
Nella mia storia, mi sono ispirata al più classico cinema americano...
Serial killer da fermare e poliziotti vecchi e giovani che si danno da fare insomma.
Grazie a tutti in anticipo per la lettura.
Enjoy.
Genere: Azione, Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Occhi azzurri.

 

Alan Cole aveva ormai raggiunto quell'età in cui si comincia a sentire il peso degli anni. Nonostante ne avesse viste troppe, nella sua versione più ottimistica del mondo, già pensava a come sarebbe stata la vita una volta in pensione: programmando le giornate da passare con la moglie, immaginando il matrimonio dei due figli e i giochi coi futuri nipotini.

Quel caso non gli ci voleva proprio, soprattutto ora che si era appena trasformato in una faccenda personale.

In quasi due mesi, all'interno delle strutture del campus universitario, erano già stati uccisi quattro ragazzi e l'ultimo era stato proprio il miglior amico di suo figlio. Il funerale si era volto pochi giorni prima e ancora non riusciva a levarsi dalla testa quello sguardo accusatore, come se volesse dire : 'Perché non lo hai fermato prima...'

“Perché?” Sussurrò a se stesso seduto davanti ad una scrivania ricoperta di scartoffie.

Quell'uomo, o donna che fosse, aveva colpito quasi una volta a settimana, il suo giorno preferito sembrava essere il giovedì, tuttavia l'ultimo cadavere era stato ritrovato di sabato. Tutti quei giovani avevano almeno due cose in comune: primo erano studenti e secondo gli occhi azzurri. Forse era stata una fortuna che il suo ragazzo più grande, iscritto al primo anno, avesse preso il nocciola intenso dalla madre.

 

“Ti va un caffè?”

Quella semplice domanda per poco lo fece saltare dalla sedia. Non si era nemmeno accorto di quando il capitano Cruz, la collega che lo affiancava nelle indagini, fosse arrivata in ufficio.

“Sei proprio messo male. Da quanto tempo non dormi?”

“Troppo. Dicevi del caffè?”

“Lo stavo andando a prendere adesso, doppio giusto?”

“Si, grazie.”

Anche Mindy non era più giovanissima, ma almeno lei era più vicina ai quaranta, rispetto ai suoi bei sessantacinque. Suo padre era messicano e la madre americana di origine irlandese, lei era venuta su come un bel incrocio di fisico possente e caratterino d'acciaio. Aveva perso il marito pochi anni dopo il matrimonio e nonostante non avesse bambini a cui pensare, non ne volle sapere di risposarsi.

Negli ultimi tempi lavoravano spesso assieme, era una tipa in gamba e la considerava la sua erede. Quando si sarebbe ritirato, avrebbe messo una buona parola per dare a lei il ruolo di ispettore: se si fosse sposato più giovane e avesse avuto una figlia femmina, sarebbe stata di certo una come lei.

Tornò in ufficio pochi minuti dopo, una tazza di caffè fumante in ogni mano, un fascicolo incastrato sotto al braccio.

“Come sta Tim?” Chiese dopo aver bevuto.

“Non l'ha presa bene. Arthur era praticamente il terzo figlio a casa nostra...”

“Non aggiungere altro, posso solo immaginare... Ho qui il rapporto della scientifica. Uguale agli altri delitti. Prima li stordisce col cloroformio e dopo taglia loro la gola abbandonandogli nello stesso punto dove li accoppa. Non si prende nemmeno la briga di far sparire i cadaveri.”

“Probabilmente ci sta sfidando o è talmente sicuro di se da non curarsi di nulla.”

“A parte i corpi non ha mai lasciato alcuna traccia. L'unica nota leggermente insolita, stando al patologo, è il tipo di taglio. Troppo grosso per essere un bisturi e troppo sottile per un comune coltello.”

“Non so...un insospettabile collezionista? Difficile a dirsi. Piuttosto hai trovato qualcosa sul dipartimento di chimica dell'università?”

“Non molto. Tra docenti, studenti e personale almeno duecento persone passano ogni giorno nei laboratori. Inoltre uno degli insegnati ha detto che quel tipo di narcotico lo può preparare in casa praticamente chiunque.” Sospirò buttando la tazza vuota nel cestino accanto.

“Dannazione. Così non concluderemo nulla.”

“Non possiamo aspettare un'altra vittima. Io credo che tocchi a noi cercare di snidarlo in qualche modo.”

“Vedo dalla tua faccia che hai già un idea e non so perché ma ho il sospetto che non mi piacerà...”

“Vale comunque la pena di tentare.”

 

***

 

Justin Smith camminava lento nei viali soleggiati del campus. Aveva sempre sognato di iscriversi al college, tuttavia la sua famiglia non aveva potuto permettersi di sostenere i costi della retta, quindi dopo il diploma gli toccò cominciare presto a lavorare. Non gli era mia piaciuto troppo il clima grigio e freddo di New York, quindi coi primi soldi aveva lasciato la città alla ricerca della sua 'Terra promessa' e quasi senza accorgersene l'aveva trovata nello stato della Florida, dove infine decise di arruolarsi nella polizia di Tampa, rinomata cittadina universitaria.

'E' molto pericoloso, se non te la senti troveremo un altro modo.'

Ripensava alle parole dell'ispettore Cole, tuttavia aveva accettato senza pensarci due volte. Era il più giovane tra le reclute e prestava servizio da appena un anno. Dimostrava moto meno dei suoi venticinque ed in effetti era l'unico che potesse confondersi perfettamente tra gli studenti. Dopo che il dipartimento ebbe preso accordi coi docenti e i responsabili, iniziò a frequentare le lezioni. Con gli altri ragazzi, aveva giustificato la sua presenza ad anno inoltrato dicendo di essersi trasferito da un altro college. I suoi occhi azzurri, grandi e dall'aria innocente attiravano molti sguardi e un sorriso generoso completava quella faccia d'angelo in modo irresistibile. Almeno tre ragazze gli avevano già dato il loro numero di telefono e sospettava che a breve sarebbe stato invitato a qualche festa. Non era mai stato tipo da passare inosservato.

'Se quel bastardo cerca qua le sue vittime, non potrà non accorgersi di me.'

Aveva paura era vero, eppure moriva dalla voglia di mettere le mani addosso all'assassino. Il senso del pericolo e della sfida stimolavano sempre la sua voglia di mettersi alla prova. Se le cose fossero andate nel verso giusto, la prima promozione sarebbe arrivata presto.

 

In quella prima settimana non c'erano stati altri omicidi, sperava di esser era già riuscito a farsi notare dal criminale e che magari stesse soltanto aspettando l'occasione propizia.

Per potersi difendere gli era stata data una pistola di taglia piccola, facile da nascondere all'interno dei vestiti, ma in realtà c'erano anche altri agenti camuffati nel campus tra il personale. Uno di loro, selezionato personalmente dal capitano Cruz, lo teneva d'occhio a distanza di sicurezza.

Gli ordini erano semplici: una volta presa familiarità con la cittadella universitaria avrebbe dovuto cominciare ad aggirarsi da solo negli orari più improbabili, nella speranza che il killer cercasse di attaccarlo. Quei giorni erano stati più che sufficienti a memorizzare la mappa, decise che era arrivato il momento di tentare, ma dato che era presto si recò ai dormitori: sarebbe stata una lunga nottata, quindi pensò di fare un riposino pomeridiano. Arrivato in camera prese in mano il cellulare e avvertì il capitano con un breve messaggio. Regolò poi la sveglia per le otto quindi si buttò nel proprio letto.

Quella prima notte non successe nulla, aveva soltanto incontrato un gruppo di ragazzi ubriachi che rientravano da una festa del club di football. Uno di loro cercò di attaccar briga, tuttavia se lo fece amico in poche battute. Si ritrovò quindi a rientrare in camera con l'invito alla prossima festa, dopo aver promesso di fare il passaparola tra le ragazze del proprio corso.

 

Dopo due tentativi a vuoto, la terza volta si rivelò essere quella giusta. Era un giovedì e la luna piena illuminava a giorno gli stretti viali dietro l'edificio della mensa. Dopo esser stato ad una cena in camera di alcuni colleghi ed aver guardato un film, uscì che erano già le due di notte. Mentre camminava avvertì un fruscio dietro di se: qualcuno aveva pestato un ramo secco e subito una scarica d'adrenalina gli fece accelerare il passo. Prontamente schiacciò il tasto del cicalino di allarme che teneva in tasca per avvertire gli altri agenti, quindi doveva soltanto recitare la parte della vittima indifesa. In realtà il suo primo istinto era stato quello di girarsi e partire all'attacco, però non poteva rischiare di farlo fuggire.

Fece finta di avere il fiatone per lo spavento e il trucco funzionò alla perfezione. Chiunque gli stesse dietro infatti si era fermato qualche istante, ma poi riprese a seguirlo aumentando la velocità a sua volta.

'Ci siamo.' Si disse mandando giù un po' di saliva.

Sollevò lo sguardo senza muovere la testa per accertarsi che il suo 'angelo custode' fosse nei paraggi e ne riconobbe senza difficoltà la sagoma su uno dei tetti. A breve sarebbero arrivati gli altri, ma sapeva che quei pochi minuti sarebbero sembrati secoli.

La camminata veloce si era ormai trasformata in una corsa, svoltò di proposito in un vicolo cieco, facendo finta di perdersi. Quando fu poi a pochi passi dal muro, si voltò verso il killer e vedendo sopraggiungere i rinforzi rivelò la sua vera identità.

“Ti dichiaro in arresto: arrenditi immediatamente!” Intimò puntando la piccola arma.

L'uomo nel vicolo, dopo aver imprecato, si girò bruscamente per tentar la fuga, ma la strada era ostruita dal capitano Cruz e da un altro agente. Si lanciò su quest'ultimo che appariva più esile rispetto a quell'armadio di donna, ma la sola cosa che ottenne fu di essere colpito al braccio da Justin che invece non esitò a sparare.

Vedendosi impossibilitato a fuggire, con un gesto sorprendentemente veloce estrasse la propria arma e da solo si squarciò la gola accasciandosi a terra in un lago di sangue, con il manico ancora conficcato nelle carni.

 

***

 

La mattina seguente, Alan Cole traeva finalmente un sospiro di sollievo, se non altro gli omicidi erano stati fermati. Qualche giorno dopo, quando la scientifica aveva dato conferma sull'arma dei delitti, si ritrovò nuovamente in ufficio a parlare col capitano.

“Abbiamo scoperto chi era?”

“Purtroppo non ancora.” Rispose lei, scuotendo la testa.

L'uomo che si era ucciso non aveva documenti con se, tuttavia doveva essere stato ricco. Gli abiti che indossava non erano roba da grandi magazzini e l'arma con cui aveva colpito i giovani, era un raro pugnale giapponese risalente a due secoli prima. L'omicida si era rivelato un uomo di mezz'età di razza caucasica: capelli castano chiaro e volto comune. L'unica particolarità stava nel fatto che gli mancasse un occhio, mentre quello sano era di colore azzurro. Probabilmente l'unico indizio di un possibile movente della sua pazzia.

 



 

 

Pensieri a mezz'aria...

Come dicevo nella presentazione, ancora grazie per essere passati a leggere la mia storia.
In realtà devo confessare di sentirmi abbastanza in imbarazzo.
Non ho mai scritto un giallo (...e credo di essere mediamente negata.)
So bene di essere caduta in cliké e stereotipi da cinema, ma altro non mi veniva in mente.
Tuttavia, per una questione di correttezza volevo comunque mantenere la parola
data nel gruppo FB che sto seguendo in questo periodo. :)
(Vedi link nella presentazione)

Sperando comunque di avervi fatto sorridere di questo mio tentativo maldestro...
Salutoni
Lara.
A presto :)


p.s. L'ho finita e riletta all'ultimo momento, spero non mi siano scappati troppi errori.  

  
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