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Autore: Alice_and_Lolly    31/03/2015    4 recensioni
Dentro quelle silenti mura, in quella città di pietra di nome East City, tutto era immobile, tranne qualcosa. Figure ammantate scivolavano veloci per le strade ormai deserte e buie. Riuscivano ad orientarsi alla perfezione, svelti e furtive. Se qualcuno le avesse viste le avrebbe scambiate per scure sagome del Diavolo. Quello che stavano per fare era di certo un’accusa in più nei loro confronti. Erano due giovani uomini, che si nascondevano nella notte, cercando di evitare di fare il benché minimo rumore. Se qualcuno li avesse visti sarebbe stato un problema, un problema davvero enorme per loro. Sapevano che stavano correndo dei rischi, in gioco c’era la loro vita, tuttavia non potevano fermarsi. La causa a cui si erano votati era essenziale, forse più importante della loro stessa vita.
Edward Elric, il maggiore dei due fratelli, ne era fermamente convinto. La scienza non poteva essere fermata.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Winry Rockbell | Coppie: Edward/Winry, Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 7

Roy sedeva, in completo silenzio. Sentiva dentro di sé quegli strani sentimenti che lo avevano posseduto sino a quel momento. Erano però più soffusi, quasi spenti in quell’impeto di violenza che lo aveva posseduto. Rifletteva intensamente a quegli ultimi eventi. Ora che era di nuovo calmo, ora che era di nuovo quasi cosciente di ciò che aveva fatto, rabbrividiva terrorizzato. Ma aveva dovuto farlo, altrimenti non avrebbe mai potuto salvarla, se non avesse assunto quel comportamento non avrebbe potuto in nessun modo tentare di levarla completamente da quella situazione. Eppure se soltanto non fosse stato così accecato dalla rabbia all’arrivo di Kimblee sicuramente non avrebbe mai potuto mettere davvero in pratica quel piano. Anche se detestava ammetterlo in un certo senso doveva ringraziarlo, nonostante fossero lui medesimo e Bradley a obbligarlo a tutto quello. Scosse il capo, freddamente. Doveva trovare al più presto una soluzione. Adesso che aveva assaggiato il dolce gusto della violenza non voleva sperimentarla di nuovo, nel timore di cadere completamente in suo potere.

Si era preoccupato di ricondurre Riza nella sua cella. Magra consolazione dalle violenze che le aveva inferto. Si era preoccupato di coprirle la schiena, tremava ancora agli strani simboli che vi erano impressi. Se soltanto qualcuno li avesse visti probabilmente avrebbe trovato un’accusa in più per condannarla per eresia. Erano simboli strani che sfuggivano alla normale comprensione dell’uomo e un messaggio cifrato come quello di certo non poteva non essere aggiunto come scusa a un possibile processo. Mustang doveva velocizzare i tempi, doveva trovare un qualcosa che la potesse salvare, ma più si arrovellava più non riusciva a trovare qualcosa di plausibile. L’unico fine era la morte e sembrava inevitabile… Eppure doveva esistere un modo per gabbare Bradley e Kimblee… Si rendeva conto della pazzia del piano ma doveva trovare qualcosa, qualcosa di insolito e soprattutto senza alcun errore, altrimenti la morte avrebbe tinto per sempre le sue azioni.

Abbassò lo sguardo verso la sua debolezza, trattenendo fieramente le lacrime, tuttavia il suo volto velato da quell’aria di stentata tristezza ancora si atteggiava in una calma freddezza. In un fazzoletto teneva i capelli biondi di Riza che la sua furia avevano strappato. La stoffa era lievemente macchiata di sangue ormai tendente al rosato.

Non aveva smesso di tenerli con sé nemmeno per un secondo. Senza che lei lo avesse notato li aveva nascosti in una tasca del suo abito da inquisitore bianco e nero e li aveva ritirati fuori solo in quella completa solitudine. Il suo era un alloggio modesto, situato vicino al tribunale, in un complesso di edifici riservati per coloro che si occupavano di giustizia divina e terrena. Almeno lì dentro era sicuro che nessuno sarebbe venuto ad importunarlo.

Le parole di Zolf Kimblee erano impresse a fuoco nella sua mente. Riza e lui stesso erano ora in pericolo più che mai, tuttavia lui se lo sentiva che quella ragazza era assolutamente innocente! I simboli e le lettere tatuate malamente sulla sua schiena non bastavano a convincerlo. Di certo non aveva potuto farseli da sola, c’era sicuramente una spiegazione razionale a tutto questo, e non aveva voluto toccare l’argomento con lei in quegli attimi orrendi. L’aveva riportata nella sua cella un tale stato di semi-incoscienza...

L’uomo strinse convulsamente quei capelli biondi mentre una lacrima gli rigava il viso.

Era stato costretto a farle qualcosa di terrificante, eppure qualcosa di peggio, qualcosa che non riusciva a perdonarsi in alcun modo e che lo faceva sentire sporco. Quando l’aveva posata sul pavimento della piccola prigione, delicatamente, i suoi soliti pensieri avevano iniziato a tormentarlo. Forse era troppo abituato a essere condizionato dalle bellezze femminili, forse era davvero una specie di morbo malsano che lo aveva intaccato a causa di Kimblee e della sua negatività, con la mente ottenebrata da una forza eccitatoria ed oscura. Quel corpo inerme e fragile che contrastava pesantemente con la personalità determinata, forte e inflessibile di lei lo aveva attirato come una calamita.

L’ aveva scoperta in quel momento di debolezza, aveva scostato le sue vesti lacere mentre le sue gote diventavano rubizze e bollenti, e le sue mani tremavano lievemente, febbricitanti.

Lui, estimatore implacabile di corpi di donne, aveva osservato prima il suo viso, i secchi rivoli vermigli che le sporcavano le guance e le narici, le palpebre chiuse, e subito dopo con ingordigia era passato ai suoi fianchi pallidi, alle sue costole lievemente in rilievo sotto la pelle, alle cosce scarne, al suo ventre piatto, ai suoi seni torniti e perfetti, al suo inguine virginale. Era rimasto alcuni minuti in quello stato catatonico, estasiato e accaldato, prima di rendersi conto tutto ad un tratto di quello che stava facendo. L’aveva quindi immediatamente ricoperta, mentre le sue fantasie galoppavano nella sua testa in modo quasi doloroso. Si rendeva conto che di lei avrebbe potuto fare ciò che voleva in quel momento. Aveva detenuto e assaporato un potere che mai gli era sembrato piacevole come in quegli istanti. Quella ragazza era così bella, e avrebbe potuto essere sua… Eppure il buonsenso aveva agito, anche se in ritardo, facendolo vergognare intimamente. La sua lotta interiore gli faceva pulsare il cranio. 

Si rendeva conto di mentire a se stesso, lui aveva provato sì piacere nel torturarla, aveva desiderato fare quello. Eppure non era stata la pazzia e la foga del momento a spingerlo a fare quello ma lui era stato consapevole di ciò che aveva fatto. Che avesse deciso volontariamente di torturarla lo stava facendo impazzire. Mai aveva usato una tale violenza che, seppure contenuta, non sapeva perdonarsi. Aveva usato tutta quella veemenza per la prima volta contro l’unica persona in tutta la sua carriera che voleva proteggere con tutto se stesso. Sarebbe stato tutto più facile se avesse potuto affibbiare tutta la colpa a una pazzia incontrollabile. Invece no, lei lo avrebbe temuto, lo avrebbe ritenuto come un nemico e lui avrebbe dovuto leggere quella paura nei suoi occhi, avrebbe dovuto piangere in solitudine quella repulsione che lei gli avrebbe dimostrato. Eppure lui si era pur trattenuto, non aveva ceduto completamente, rimanendo lucido per non ucciderla, ma lei non le avrebbe mai riconosciuto nemmeno quello e per sempre lo avrebbe condannato solo perché cercava disperatamente di sottrarla a qualcosa di peggio.

Avrebbe voluto non conoscerla, avrebbe voluto quasi che rimanesse per le strade, senza che si ritrovasse coinvolta in quella rivolta… Non l’avrebbe mai conosciuta certo ma non l’avrebbe vista soffrire… Per di più a causa sua.

Era completamente freddo, calmo e impassibile ma avrebbe voluto compiere atti disperati, avrebbe voluto strapparsi i capelli, avrebbe voluto urlare e piangere ma non stava facendo altro che rimanere completamente immobile, lievemente imbronciato. E con quelle immagini nella sua mente, quelle in cui vedeva Riza gemere, la sua pelle stracciarsi, il suo sangue fuoriuscire, i suoi occhi piangere, involontariamente non poteva pensare a niente che non fosse quel dolore. Avrebbe voluto trovare una soluzione, avrebbe voluto davvero trovare un modo per scagionarla, farsi in qualche modo perdonare e farle vivere in modo più o meno agiato. Ma non poteva davvero pensare a nient’altro. Era solo, solo con quella ciocca di capelli a ricordargli costantemente ciò che aveva fatto. Doveva assolutamente cercare di riprendere il controllo. Non doveva perdere se stesso, non doveva in alcun modo cedere a quella debolezza che lo avrebbe portato davvero alla follia.

In quel momento sentì dei passi avvicinarsi e quasi avvertendo che si dirigessero proprio in quel modo, cercà di continuare a essere mortalmente serio. Fortunatamente con quella disciplina che gli era stata insegnata riuscì a trattenere quel controllo.

Maes Hughes, senza nemmeno bussare, tutto contento, fece irruzione nella stanza. Roy fece scivolare velocemente le ciocche di capelli nel suo abito: non poteva di certo permettere che il suo gaio amico si accorgesse anche solo lontanamente del tormento che lo stava assalendo.

Non era ancora riuscito a capire come facesse il capitano delle guardie ad essere sempre così di buon umore nonostante lo conoscesse da anni. A volte quel suo comportamento sfiorava quasi l'irritante, eppure non riusciva a non essergli affezionato. Quella sua personalità alla fine era tutto sommato perfino affascinante, ed era una delle persone più oneste e leali che conoscesse in quella città popolata maggiormente da traditori e ruffiani. Era una persona su cui avrebbe sempre potuto contare.

«Ma buon pomeriggio, Mustang!» lo salutò tutto festoso come sempre, evitando ovviamente tutti i noiosi convenevoli solitamente obbligatori tra cariche elevate «Adesso mi devi proprio dire dove ti sei cacciato in questi giorni! No, non voglio nemmeno sapere come stai, non puoi sparire in questo modo!»

Hughes si andò a sedere a grandi falcate sulla sedia di legno che stava vicino ad un piccolo scrittoio senza chiedere il permesso. Era ovviamente fintamente arrabbiato con lui, eppure sinceramente curioso di capire perché l'amico aveva iniziato a comportarsi in modo tanto strano. Si erano a malapena salutati quella mattina e non si erano scambiati nemmeno due parole.

Dal canto suo, Roy provò a sorridere facendo finta di nulla. Doveva cercare di apparire sereno, per non dare sospetti all'amico della battaglia che si stava consumando all'interno del suo cranio. Non che non si fidasse di lui, ma non era davvero il caso di metterlo al corrente di una questione tanto delicata e pericolosa. Gli avrebbe spiegato tutto a tempo debito.

«Ho avuto solo molto da fare, ho diversi casi a cui pensare e sono pieno di lavoro. » cercò di giustificarsi sempre cercando di apparire rilassato «E poi il numero di celebrazioni sta aumentando di settimana in settimana, devo presenziare, lo sai come sono fatto...»

«Sì, certo che lo so... Cosa non faresti per rifarti gli occhi su qualche pollastrella tutta elegante, genuflessa ed immersa nella preghiera... Per favore, amico mio, niente corbellerie tra noi, si vede che c'è qualcosa che non va, per questo ho preferito venire qui e parlarti in privato. C'è qualcosa che ti sta preoccupando e sono sicuro che c'entra la bella biondina che sono stato costretto ad arrestare tempo fa. Le guardie hanno il brutto vizio di parlare e di farsi sentire, sai? Peccato che io voglia sapere da te la verità. Non vorrei mai che tu ti cacciassi in qualche guaio più grosso di te, o almeno, non senza il mio aiuto. Le voci che ho sentito non sono per nulla lusinghiere nei tuoi confronti, sappilo.»

«Lo sai che il mio lavoro non è apprezzato, così come il tuo. Siamo troppo buoni, troppo idealisti, questa è la verità.» rispose l'inquisitore facendo spallucce e sedendosi sul proprio letto, puntellandosi il mento con la mano com'era solito fare.

«Ma qui non si sta parlando di idealismo o di scaramucce di poco conto, Mustang! La posta in gioco è decisamente alta! Qualche soldatino da quattro soldi è andato a fare delle confidenze a Bradley a proposito di una tua fantomatica condotta poco nobile. Vorrei semplicemente avvertirti di fare attenzione e se per caso io possa fare qualcosa per te.»

 Mustang lo guardò, riflettendo, completamente immerso nei suoi pensieri. Sì, avrebbe desiderato quell’aiuto, lo avrebbe desiderato come il viandante cerca un luogo in cui riposare. Ma semplicemente non poteva parlarne, non poteva confidarsi. Non perché non si fidasse del suo amico ma perché sapeva che anche soltanto il silenzio della sua anima non bastava per mantenere la segretezza. L’Inquisizione aveva occhi ovunque, la religione era un arma potente e se soltanto avesse fatto un passo falso avrebbe sofferto, orribilmente e con lui avrebbe portato alla dannazione anche agli altri. No, non poteva assolutamente permettere questo, eppure non sapeva come stroncare quell’invadenza inopportuna. Se soltanto avesse saputo come fare, se soltanto avesse saputo come agire… Di certo sarebbe stato tutto più semplice. Hughes probabilmente non conosceva neanche cosa aveva fatto quella mattina altrimenti sarebbe scappato da lui, lo avrebbe guardato con diffidenza, lo avrebbe evitato. Roy era incompreso ma al contempo non poteva neanche trovare una giustificazione alla sua violenza. Sapeva egli stesso di essere un mostro, di essere stato disumano. Sentiva quelle ciocche di capelli bruciargli irrimediabilmente nel petto, corrodendolo dall’interno. Sentiva quell’intimo dolore spossarlo e ucciderlo, tuttavia se soltanto avesse osato accennarvi, se soltanto avesse osato confessare il suo dolore ecco che tutto il mondo gli sarebbe crollato addosso.

King Bradley e Kimblee avrebbero trovato una prova alle loro accuse, Hughes lo avrebbe rimproverato della sua azione e Riza… Riza semplicemente non lo avrebbe creduto e non avrebbe mai capito il suo gesto, dopotutto aveva osato farle del male… Come poteva mai sperare che potesse comprendere le sue azioni? Non avrebbe potuto trovare comprensione, pietà o clemenza, perché lui stesso non ne aveva avute per lei quando il suo unico desiderio era stata sottrarla dalle mani di Kimblee e quindi da una morte certa, lenta e dolorosa.

In quel momento sentiva ancora la furia non completamente assopita nel suo animo tanto era agitato, sicuramente se non si fosse controllato avrebbe cacciato via il capitano. Vedeva il suo volto teso eppure sorridente e allegro, come faceva a essere così? Come poteva trovare la felicità in quel mondo tanto oscuro e tetro? Proprio non riusciva a capacitarsene. Avrebbe voluto scuoterlo, convincerlo a rivelargli il suo segreto, sì lo avrebbe anche torturato se necessario.

Si scatenò una lotta interiore in cui fieramente cercava di trattenere quell’ansia, quell’istinto che lo spingeva a quel bisogno. Come aveva solo pensato di agire in quel modo contro quell’amico che voleva soltanto salvarlo dal suo stesso stato d’animo? Non riusciva a spiegarsi ciò che stava accadendo dentro di lui ma si sentiva deperire a quel continuo assalto degli eventi. Sarebbe stato molto più semplice farsi completamente dominare da quei sentimenti piuttosto che reprimerli e controllarli con la ferma razionalità.

Ma tutto gli scorreva davanti agli occhi, no, semplicemente non poteva. C’era altro per cui combattere che lo spingeva a non arrendersi. Si sarebbe opposto contro quella tempesta furiosa, si sarebbe opposto a quel mare tempestoso. Conosceva a mala pena il prezzo da pagare ma non poteva fare nient’altro che lottare e sperare, sperare di costruire un futuro migliore.

«Ti stai preoccupando troppo.»

Quella fu l'unica frase che riuscì a pronunciare dopo una manciata di secondi in cui aveva riflettuto guardando ostinatamente il pavimento. Quella guerra che si stava scatenando furibonda nella sua testa non traspariva quasi dal suo viso su cui spiccava un'espressione quasi canzonatoria nei confronti del comandante delle guardie, che invece pareva aver preso un viso molto più serio del solito, preoccupato com'era per le sorti del suo amico. Hughes era incredulo. Non riusciva a capire se Mustang fosse davvero così avventato o se stesse veramente nascondendo qualcosa di grosso che riguardava lei. Pensava di conoscerlo abbastanza bene, eppure si stava trovando in difficoltà. Era testardo, maledizione...

«Ascolta, Mustang... Te lo dico chiaramente, devi fare attenzione, ma attenzione per davvero. Se hai perso la testa per quella ragazza, posso capirti, ma cerca di essere discreto nei tuoi comportamenti! Sei diventato troppo strano! Non parli più con nessuno, sei stato a messa pochissime volte, sei sempre nel tuo studio a fare non si sa bene che cosa, e intanto la ragazza se ne sta bella tranquilla nella sua cella senza che le venga fatto nulla... Se credessi a tutte le frottole che ci vengono propinate dalla Chiesa vedendoti in questo stato inizierei a pensare che quella strega abbia usato qualche sua fattura o non so cosa per friggerti il cervello e farti diventare il suo schiavo! E sai che c'è davvero un sacco di gentaglia che crede a queste stupidaggini di magie e simili... Io invece potrei capirti, sono innamorato perso della mia dolce Gracia, per me è la donna più bella del mondo! Quando l'ho conosciuta ho fatto di tutto per conquistarla, per caso te l'ho già raccontato?»

«Almeno una cinquantina di volte...»

«Sono andato sotto casa sua tutte le sere cercando di attirare la sua attenzione e le lasciavo dei fiori sull'uscio di casa, poi le cantavo le serenate e...»

«...E suo padre si era infuriato così tanto che decise di chiamare il capitano delle guardie una sera che non ne poteva più... Peccato che scoprì che si trattava proprio di quell'uomo che stava importunando la sua dolce figliola, e dopo aver compreso che il suo era un cuore nobile e il suo amore era sincero acconsentì alle nozze, eccetera eccetera... Vissero tutti felici e contenti.» cantilenò l'inquisitore imitando la voce di Hughes.

Il capitano era solito decantare le lodi della moglie e della figlia nelle circostanze più disparate e soprattutto inopportune. Mustang conosceva la storia a menadito.

« Eh sì, Gracia è adorabile, così come Elicia, che è la bambina più bella del mondo, dovresti venire più spesso a trovarci...» sospirò l'amico prima di tornare nuovamente molto serio «Ma quella Riza... Ascolta, lo so che sono stato io a portarla da te perché credevo che tu avresti potuto aiutarla... Però adesso ho paura che non troverai un modo per scagionarla purtroppo, e se non sarai tu a condannarla lo farà un altro inquisitore, magari mandandola al rogo dopo averla torturata e stuprata per giorni... Perché non la mandi in esilio e in pellegrinaggio, lo hai fatto spesso con un sacco di altri casi, non capisco quale sia il problema questa volta! E' vero che non potrai vederla mai più, tuttavia almeno l'avrai salvata... Poi lo sai che a me puoi dire tutto quello che ti passa per quella tua maledetta testa di legno, forse sono l'unico in questa dannata città di cui ti puoi fidare e che può aiutarti!”

A quelle parole, Mustang sollevò il viso, fissando Hughes dritto negli occhi. Le sue iridi nere come pece parevano quasi scintillare. Gli era venuta in mente finalmente un'idea che avrebbe potuto funzionare, grazie alle parole che il capitano delle guardie aveva appena pronunciato. Sì, era solo un pensiero, ma se l'avesse studiata nei minimi dettagli forse sarebbe stata l'unica soluzione plausibile. Avrebbe dovuto mobilitarsi in fretta però, perché tutto avrebbe dovuto svolgersi all'insaputa di tutti, di Hughes in primis, che non avrebbe dovuto sospettare nulla, così come di Riza. Era un piano troppo folle, una come lei non avrebbe mai collaborato di sua spontanea volontà, soprattutto dopo il male che le aveva fatto. Sì, non aveva alcuna scelta, anche se era terribilmente rischioso...

I suoi occhi si assottigliarono pericolosamente, Hughes a mala pena riusciva a riconoscere l’amico di sempre. L’ingegno di Mustang stava lavorando, sistemando e progettando. Sentiva quell’idea e quel progetto delinearsi sempre più nettamente nel suo cervello… se soltanto ci fosse riuscito… sì se ci fosse riuscito probabilmente avrebbe avuto la vittoria in pugno. Era folle, terribilmente folle, ma non tanto folle quanto lo era quella stessa istituzione. Non aveva tempo da perdere, sentiva gli sguardi di Kimblee e di Bradley fissi su di lui, avrebbe dovuto agire alla svelta. In tutti quegli anni aveva sempre avuto il vantaggio di non essersi mai ribellato, almeno apertamente e sfacciatamente, ai loro piani e proprio per questo forse ancora non era sospettato abbastanza. Certo, era stravagante ma in fondo aveva sempre svolto il suo lavoro senza falli.

Aveva sbagliato a farsi cogliere in quell’atto di debolezza, il rimedio che stava elaborando era drastico e purtroppo… strano. Kimblee era furbo, di certo se non avesse saputo bene fare la parte avrebbe capito il suo inganno.

Divenne cupo. Anche Hughes non poteva sospettare della sua bontà, se avesse continuato a essergli amico probabilmente allora… Sì, tutti avrebbero creduto che in lui non sarebbe cambiato niente. Il distacco avrebbe dovuto essere totale e se avesse ingannato a fin di bene il suo amico forse ce l’avrebbe fatta.

Eppure una parte di lui ancora esitava. Perché doveva privarsi anche di quel sentimento? Certo odiava quando Hughes lo interrompeva ogni volta narrandogli le peripezie della sua famiglia eppure aveva capito che era soltanto un modo per distrarlo dai suoi rigidi doveri. Avrebbe dovuto davvero ingannare anche lui? Se Hughes lo avesse capito, sarebbe stato al suo gioco? W anche se non avesse compreso, lo avrebbe perdonato dopo?

Si ritrovava in una situazione pessima e la sua presenza in quel momento lo irritava, quell’aura allegra che lo circondava gli impediva di pensare coerentemente. Per salvare Riza, se stesso e anche Hughes avrebbe dovuto ingannare tutti e diventare sporco quanto lo erano le persone che detestava? Probabilmente sì, e la risposta gli faceva davvero male. Non voleva costruire un futuro migliore su fondamenta insicure, immorali e peccaminose. Con quale autorità poi avrebbe potuto considerarsi migliore o peggiore dell’Inquisizione e del Braccio Secolare? No, non voleva tuttavia non aveva scelta e in quel momento di assoluta disperazione in cui era di nuovo sprofondato non aveva davvero altro da fare. Era l’unico modo per non tradire sul serio i suoi amici, anche se apparentemente li avrebbe disprezzati. Non avrebbe mai permesso che qualcuno avrebbe fatto loro del male, che qualcuno li avrebbe danneggiati, né Hughes, né i suoi collaboratori, quali Jean Havoc la guardia, o il giovane Kain Fury, il suo segretario…

Sì, forse non era tanto diverso dagli altri umani.  Aveva le stesse debolezze, le stesse propensioni al potere ma lui non lo faceva per egoismo, voleva proteggere chi poteva salvare.

«L’esilio? Il suo caso purtroppo non può richiedere un mezzo tanto futile. Le accuse sono gravi e il popolo stesso vuole solo una cosa: la sua morte.»

Era apparentemente calmo ma si reggeva e continuava a ostentare quell’atteggiamento solo grazie al grande nervosismo che lo reggeva e lo faceva andare avanti. Vedeva davanti a sé quel miraggio incrollabile, avrebbe solo dovuto guardare in quel punto, cercando di raggiungerlo e non corrompere e perdere la sua anima. Era terribilmente difficile ma sperava di potercela fare, ma da solo senza quei pochi sostegni e consensi che aveva in realtà si sentiva anche debole, svuotato. Avrebbe dovuto godere dei ricordi e della fiducia che loro gli riponevano dentro. Sperava, sperava ardentemente che Hughes capisse e il suo sguardo forse lasciava intravedere quella scintilla di compassione che gli emergeva involontariamente. Se soltanto Hughes avesse saputo coglierla allora… Allora forse vi era speranza anche di mantenere la loro amicizia. Ma doveva essere brusco e inflessibile.

«Ho studiato un sacco di carte, ma non ne vengo a capo. Credo che prima o poi sarò costretto ad accontentarli.» Era stato duro, sprezzante, le aveva pronunciate con un tono forte, come se volesse cacciare via quelle parole lontane da lui, infondo non le appartenevano. «Probabilmente non lo sai, ma oggi ho avuto delle conferme da lei stessa, ed io non posso ignorare ciò che mi si para davanti, devo fare ciò che va fatto. Non vi è possibilità di salvezza. Se dovrà morire non mi tirerò indietro dal fare il mio lavoro.»

Non aveva neanche il coraggio di guardare il suo amico e al solo pensiero che in pubblico avrebbe dovuto guardarlo e dirgli quelle cose orribili… no, non poteva sopportarlo.

 

 

 

 

 

   
 
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