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Autore: radioactive    31/03/2015    6 recensioni
|| FANTASY!AU ♦ NaruHina, NejiTen, Sasusaku, SaiIno (alcune meno trattate delle altre) ||
«Neji» lo chiamò piano, «lì, avanti» disse, il suo respiro si faceva più corto e i nervi attorno ai suoi occhi si ingrossavano, disegnando una rete che sembrava volerle perforare la pelle. […] La mano, fredda, si era posata su quella altrettanto pallida di lui, «dobbiamo andare a vedere» gli comunicò, «sta morendo».
Il mondo è in pezzi, distrutto dalle guerre nucleari e dalla tecnologia, avanzata inesorabilmente fino ad inghiottire ogni cosa, perfino quei tratti che si potrebbero definire umani.
Le bombe ed i fucili hanno lasciato il posto ad orrende creature che devastano e saccheggiano, capitanate da un uomo che vuole riportare la terra al suo splendore, bruciando e distruggendo ogni cosa, facendola rinascere dalla cenere.
I pochi sopravvissuti sono nomadi, altri si nascondono nelle foreste, protetti dal potere di una Dea buona e misericordiosa, decisa a porre fine a quell'inutile massacro con l'aiuto dei prescelti.
Distruggere, Costruire, e Conservare.
Ricreare una felicità che tutti ricercano, qualcosa che è rimasto nascosto sotto uno strato di cenere, neve e sangue.
→ storia partecipante al contest «Naruto versione Fantasy!» indetto da ame tsuki sul forum di EFP.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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NOTE D’AUTRICE.

Ho preferito, almeno per questo capitolo, scrivere alcune cose a inizio della fan fiction – spero che non possa essere di troppo disturbo chiedere a voi lettori di dare una sbirciatina qui prima di iniziare la lettura di questa mini-long. Cominciamo! ~

Per l’Universo della fan fiction, ho ideato un mondo distrutto da guerre nucleari ed armi biotecnologiche. Non sono scesa molto su questo aspetto, non avendo conoscenze e studi appropriati. Inoltre, non volendo caricare ulteriormente questa storia, già di per sé ricca di «concetti», ho preferito raccontare un po’ il background nelle note d’autrice, onde evitare di far risultare la storia poco chiara.

Quello che state per leggere è una sorta di distopico post-apocalittico con elementi fantasy, ambientata quindi nel futuro di un futuro (scusate il gioco di parole!) lontano dal nostro.

Dopo la Guerra sopraccitata, nel Mondo (della fic, s’intende) si sono inseriti elementi magici «donati» da due divinità, riprendendo la evergreen dicotomia tra Bene e Male (base della storia), i quali verranno poi descritti nella fan fiction. Prima della Guerra, invece, è importante ricordare che la chirurgia estetica è arrivata a livelli quasi carnevaleschi: le persone si facevano impiantare denti da cane, piume, occhi “speciali” e altri particolari del genere – l’evoluzione scientifica ha permesso che queste caratteristiche diventassero genetiche e si insediassero nel DNA della persona, in modo da tramandarlo di generazione in generazione.

Le creature “magiche” classiche, mi dispiace dirlo, non sono molto presenti: vi sono le sirene (nella versione più… dark, per così dire, come quelle di Pirati dei Caraibi ed Harry Potter) e un'altra popolazione abitante delle foreste basate sugli elfi, ma in modo meno “regale”. Non tutte queste creature prenderanno il nome con cui le conosciamo noi, ma piuttosto verranno apostrofate come fossero i clan presenti in Naruto – il motivo verrà svelato durante la lettura, o, quantomeno, spero sia intuibile. Altre creature ricorderanno, per esempio, licantropi e vampiri, ma non sono andata oltre. La maggior parte delle “creature” (specie quelle “malvagie”), in tutti i casi, verranno chiamate “mostri” o “chimere”  per via della loro particolare condizioni.

Riguardo i dojutsu beh, diciamo che ho dovuto un po’ stravolgere la loro natura (e me ne dispiace) per farli rientrare nella trama. Il risultato è che il Byakugan come lo conosciamo in Naruto ha avuto nuovi “poteri” e mantenuto alcune caratteristiche (involontarie), ma lo ha solamente Hinata (scusami Neji!). Lo Sharingan, invece, è come se si fosse scisso in due: quello di Sasuke non ha nulla a che vedere con quello di Obito. Nella storia, hanno una radice completamente diversa che verrà esplicitata. Spero che questo non crei confusione.

All’inizio della storia Sasuke potrebbe apparire vagamente OOC, ma faccio appello al buon senso dei lettori e alla comprensione della situazione. Cercando di non fare spoiler, diciamo che in una situazione di stress come quella subita da Sasuke nella trama di questa piccola storia, reagire diversamente sarebbe stato molto difficile ma, soprattutto, molto più fuori caratterialmente di quanto lo sia con le scelte da me prese. Vorrei ricordare che Sasuke, davanti ad una situazione che gli ha sempre fatto paura, è stato zitto e buono senza muovere un muscolo… ed era anche abbastanza impanicato.

Sulle due divinità, invece, ho scelto volutamente di tratteggiare il loro fisico prendendo in considerazione due personaggi esistenti in Naruto, ma non sono basati in alcun modo sui caratteri dei personaggi sopracitati. Lo dichiaro qui perché so perfettamente che uno dei due Dei è assolutamente OOC, ma non sono partita con l’idea di usare quel personaggio come base. Se questo può creare problemi, mi dispiace!

 

Dovrei aver detto tutto, almeno riguardo la trama in sé.

Avrei voluto svilupparla meglio, ma avendo il limite di dieci capitoli (proprio per evitare che la storia fosse troppo complessa), ho fatto quel che potevo, e questo è il risultato. Personalmente, non mi dispiace affatto il prodotto che è uscito (dopo un mese di sudore, ahah XD) e spero possiate apprezzarlo anche voi!

Gli aggiornamenti saranno – salvo problemi – il martedì e il venerdì. Quindi: prossimo aggiornamento a venerdì 3 aprile.

Buona lettura!

 

radioactive,

 

 

 

 

 

 

storia partecipante al contest «Naruto versione Fantasy!»

indetto da ame tsuki sul forum di EFP.

 

 

 

 

 

LÀ, DOVE SORGE IL SOLE

 

 

 

 

 

Capitolo 1

 

 

~

 

 

Ad ogni passo che faceva sentiva di star perdendo il controllo sul proprio corpo. L’aria iniziava a mancargli, facendosi più rarefatta fino a sembrargli inesistente. I polmoni si prosciugavano con una ferocia tale da chiudersi in dolorose fitte, si estendevano fino allo stomaco e poi sempre più giù, scivolando sui nervi delle gambe e sulle dita dei piedi.

Sasuke inciampò nella radice di una delle grosse querce e cadde a terra, proteggendosi il viso con le braccia mentre rotolava giù per quelli che gli parvero chilometri. L’ennesima fitta allo stomaco gli smorzò completamente il fiato, annebbiandogli la vista e prosciugandogli la gola. Impedendogli pure di urlare. Sentiva il grosso tronco sotto i propri addominali e le schegge della corteccia sotto le unghie, tanto cercava di aggrapparsi all’albero per non cadere ancora. Era un dolore allucinante, come se tutte quelle ferite si fossero aperte e venissero cicatrizzate all’istante con il ferro rovente. Sentiva la carne venire perforata, minuscoli nervi rompersi e vibrare, il dolore diventare fumo su una piaga aperta e scivolare all’interno del suo corpo come il bacio della morte. Era un bacio che faceva male. Era peggio dello stomaco a pezzi.

Scivolò a terra, incastrandosi tra due radici sterrate attorcigliate tra di loro, ansimando – ricordandosi di un cervo morente che aveva visto quando era ancora un bambino.

Sentiva un liquido caldo bagnargli le tempie e le mani, le gambe diventare acqua e sciogliersi assieme alla neve che ancora ricopriva la terra. Il muschio si mescolava al ferro e gli intorpidiva i polmoni.

L’ultima cosa che vide, prima di perdere conoscenza, fu il sole, frammentato dalle foglie degli alberi. La luce era talmente potente da penetrare quella ragnatela di rami, dividendosi in fasci arancioni che al tramonto rendevano la neve dorata, quasi preziosa.

Il sole, lì, solitario e in gabbia, era l’unica cosa a cui Sasuke riusciva a prestare attenzione.

Gli sembrava fatto di sangue.

 

 

L’aria quel giorno era particolarmente fresca e sapeva di fiori. Era un piacere vagare per la foresta con la primavera che si stava avvicinando.

«Sta’ attenta» disse Neji, prendendole la mano per aiutarla ad attraversare una radice sterrata, coperta dalla neve ghiacciata, «dovresti guardare a terra invece che il cielo, Hinata» le consigliò, lasciando che le dita della ragazza scivolassero via dalle sue.

«Non preoccuparti» lo rincuorò lei, «la foresta non potrebbe mai farmi del male, lo sai» e si appoggiò al tronco di un albero, sfiorandone inconsapevolmente le crepe della corteccia come se fossero le cicatrici sulle braccia di un bambino. Anche il muschio, di un verde brillante e irreale, fu soggetto alle sue attenzioni – a contatto con quelle dita, tutto sembrava diventare migliore, «non farebbe male a nessuno di noi» lo rincuorò.

«Non è la foresta che mi preoccupa» sospirò il cugino.

«E cosa, allora?». C’era sempre quella gentilezza, nella voce di Hinata, che sconvolgeva Neji –  così come sconvolgeva tutto la loro comunità. I suoi modi di fare sembravano sospesi nell’aria, tanto da farla sembrare un fantasma, una visione. Se avesse raccontato che Hinata non lasciava impronte sulla neve, tutti gli avrebbero creduto. Non c’era da stupirsi se la Dea aveva scelto lei.

Il ragazzo sospirò ancora, calciando un piccolo mucchietto di neve dura e brillante, «sto ancora pensando al tuo ultimo sogno» confessò, sedendosi con la schiena contro lo stesso albero che Hinata stava accarezzando – trattava qualsiasi cosa come se fosse una persona, come se fosse dotata di sentimenti e di anima.

«Dobbiamo solo prepararci a dovere, Neji» la voce di Hinata era vicina, vicinissima. Girando il capo, Neji si accorse che si era chinata alla sua altezza. Si perse per un attimo nei suoi occhi del colore della neve, con quelle sfumature lilla, chiarissime, che li impreziosivano, facendoli sembrare due perle. Nessuno aveva quelle sfumature, oltre a lei.

«E se la Dea si sbagliasse?» chiese, «se non avessimo abbastanza tempo? Non sappiamo nemmeno cosa dobbiamo affrontare!» e si lasciò scappare un grugnito, ammucchiando della neve tra i piedi come fosse un bambino.

Quella dita che aveva ammirato sulla corteccia si posarono sulla sua spalla, lentamente, e il corpo di Hinata affiancò il suo. Era una vicinanza che lo tranquillizzava e lo faceva stare bene – lo rendeva più sicuro di sé stesso e di un futuro migliore che, a quanto pare, sarebbe arrivato presto.  «La Dea ce lo dirà, Neji» gli disse piano, «me lo dirà», accarezzandosi le braccia, «devi solo crederci».

La voce di Hinata sparì piano, in un sussurro, mentre gli occhi di lei si fissavano in un punto lontano e non definito, che lui non riusciva a vedere. Osservò i lineamenti delicati di lei, i suoi capelli appoggiati alla spalla come le piume eleganti di un uccello nero. Aveva la bellezza delle creature dell’acqua, delle sirene, prima che diventassero pericolose e cannibali – e quella finezza, quell’eleganza delle donne ricche della città di un tempo, con le orecchie a punta e la pelle pallida. Hinata era fatta di neve che non si scioglieva mai.

«Neji» lo chiamò piano, «lì, avanti» disse, il suo respiro si faceva più corto e i nervi attorno ai suoi occhi si ingrossavano, disegnando una rete che sembrava volerle perforare la pelle. La Dea si manifestava sempre così, distorcendo quella bellezza in qualcosa di più mistico, inspiegabile, che neanche Hinata riusciva a controllare. «C’è qualcuno non molto lontano da qua, ai piedi della montagna» e poi tutto, nel suo volto, tornò normale. Gli occhi erano liquidi con quelle sfumature singolari e il viso leggermente arrossato. La mano, fredda, si era posata su quella altrettanto pallida di lui, «dobbiamo andare a vedere» gli comunicò, «sta morendo».

 

 

Si svegliò di colpo. Spalancò le palpebre e la bocca, senza produrre alcun suono. Attorno a lui vedeva bianco e poi, lentamente, i lunghi rami degli alberi, simili a dita scheletriche, si fecero spazio nella luce. Sembravano sul punto di afferrarlo, stringergli la gola e soffocarlo.

Avrebbe voluto urlare. Lo sentiva, sul fondo dello stomaco indolenzito, quel grido che raccoglieva tutti i brandelli della sua anima a pezzi e li convertiva in un lungo, rabbioso, lacerante suono. Immaginava, mentre il dolore si faceva più palese ad ogni angolo del suo corpo, quell’urlo diventare più liquido, caldo e amaro, simile al sangue. Se avesse urlato, gli uccelli avrebbero spiccato il volo – come facevano quando un albero crollava o si sentiva un rumore troppo forte.

«Non urlare».

Bastarono quelle parole a bloccarlo, a tenerlo immobile sul letto di foglie e brandelli di tessuto lacero e vecchio. Dentro di lui la rabbia scemò, intorpidendogli i muscoli. Fissò il cielo, mentre le dita degli alberi rimanevano in agguato, pronte a stringerlo ed ucciderlo.

«Come ti chiami?».

Sasuke girò lo sguardo, abbastanza da sentire quel dolore alla testa che aveva ignorato durante la sua fuga. Chiuse le palpebre provando a dominare quel bruciore che gli attanagliava le tempie. Riaprendo gli occhi, lentamente e con le ciglia incollate tra di loro, notò la figura seduta accanto a sé, come se fosse al suo capezzale – come se lui stesse morendo.

La pelle della sconosciuta, bianchissima, si confondeva con la neve alle sue spalle, risaltava nel verde del muschio e degli alberi, fino a scomparire sotto le vesti sporche di terra e sangue. Osservò il suo sorriso gentile, simile a quello di una madre – di sua madre – e quelle orecchie a punta che facevano capolino dai capelli che sembravano le tende della notte quando il sole scompariva dietro la montagna. Gli occhi sembravano privi di pupilla e lo fissavano, intrappolandolo in quelle sfumature lavanda, irreali.

Quella ragazza lo spaventava.

«Non toccarmi» sentenziò Sasuke, aveva il sapore del sangue sulle labbra e i nervi sembravano strapparsi ogni volta che provava a muoversi. Si mise a sedere comunque, soffocando l’ennesimo gemito di dolore mentre osservava la ragazza allungare una mano verso di lui. Sasuke spalancò gli occhi, sperando che il proprio sguardo fosse abbastanza per contrastare quello di lei. Appoggiò i talloni a terra, con una forza tale che sentì sotto il proprio peso la neve affossarsi e si tirò indietro, rifiutando un qualsiasi contatto con quella creatura di cui non conosceva ancora il nome.

«Non voglio farti del male» disse, ma Sasuke non capiva il senso di quelle parole. Non le concepiva, semplicemente. Più si rendeva conto della presenza che aveva davanti agli occhi, più ne era terrorizzato ed ogni cellula del suo corpo desiderava fuggire, riattraversare la montagna, piuttosto.

Una figura comparse tra gli alberi, dietro la sconosciuta. Stessi capelli, stesse orecchie, più macchie di sangue sui vestiti e gli occhi dello stesso bianco, ma senza le striature violacee. Quelle iridi si confondevano con la pelle, facendo assomigliare il viso ad una maschera di cera senz’occhi.

«È sconvolto» disse la ragazza, alzandosi da inginocchiata che era. L’altro prese la mantella che teneva sulle spalle – una pelliccia chiara – e gliela posò sulle spalle, piano, spostandole i capelli.

«È normale» sospirò l’altro, come se lui non ci fosse. Poi lo fissò, in quel modo così intenso, così trasparente, che Sasuke si sentì trapassato da parte a parte da quel nulla. E di nuovo il senso di sangue, di urla sul fondo dello stomaco che diventavano liquide e gli risalivano la gola come fossero bile da rigettare, bruciando tutto ciò che trovavano. «Hai un nome?» domandò il ragazzo, facendo un passo verso di lui.

Sasuke non aveva più la forza di muoversi, di respirare. Si lasciò cadere sulla neve fresca, sentendo i vestiti bagnarsi e i capelli diventare umidi. Il manto bianco sotto di lui recuperava con dita gentili il suo sudore freddo – era un dolore piacevole, che lo abbracciava piano, diventava persino caldo. Sentì le lacrime scendergli sulle guance e il vento tiepido del pomeriggio sferzargli il volto.

«Se non collabora morirà» sentì dire dal ragazzo, e poi dei passi nella neve.

Lontano, dall’altra parte della montagna, degli uccelli gracchiavano.

 

 

Non nevicava da un paio di giorni.

Era strano, constatò Naruto, dopo le settimane di neve, vedere il sole nel cielo – brillava di un bianco irreale, emanando luce fredda che congelava le ossa e il letto candido che ricopriva la neve e le radici sterrate in cui era inciampato più volte.

«Secondo te perché Kakashi ha sempre la faccia coperta?» bisbigliò, ritornando dritto, stando attento a dove metteva i piedi mentre si aggrappava al cappotto della ragazza al suo fianco, piantando poi gli occhi azzurri in quelli di lei, che ricordavano il prato adesso nascosto sotto la neve. L’attenzione non era abbastanza per non cadere.

Sakura si fermò di colpo, afferrando il braccio di Naruto per metterlo in piedi, prendendo le distanze da Kakashi e dal resto del gruppo di profughi, «non lo sai?» chiese sottovoce, «certo che sei proprio un cretino!» continuò.

Naruto scosse la testa, confuso, togliendosi i guanti e prendendo un mucchietto di neve con cui lavarsi le mani, era una bella sensazione, un’abitudine che aveva preso dall’amica. Sakura si guardava attorno come se avesse paura di raccontare quello che sapeva, come se qualcuno si fosse fermato ad ascoltare quello che aveva da dire. 

«Dicono che…» iniziò, bloccandosi subito dopo. Si strinse attorno al braccio di Naruto, tremando – per il freddo? – e si lasciò scappare un sospiro, «dicono che fosse amico di Obito, e che avesse…» e si passò una mano sulle labbra e sul naso, indicando la parte che Kakashi teneva nascosta, «un qualcosa, sul viso, un particolare che ad Obito interessava e…».

«Gliel’ha preso?» domandò senza delicatezza, e il viso di Sakura si contorse in una smorfia a metà tra il disgusto e il dolore immaginario.

«Non lo so» mormorò, riprendendo a camminare con Naruto sottobraccio, «nessuno lo sa. Ma gli ha fatto qualcosa, di sicuro…» e si fermò un attimo, espirando una nuvoletta di fumo bianco mentre un piccolo cumulo copriva il sole. «Nessuno lo ha mai visto in faccia» continuò, «e se lo conoscevano prima che Obito facesse quello che ha fatto… non lo hanno più riconosciuto, dicono anche che Kakashi non sia il suo vero nome» ogni volta che pronunciava quel nome – Obito – gli occhi di Sakura si chiudevano appena e le sue dita si stringevano al braccio di Naruto, solo per un istante. Quel nome aveva qualcosa di oscuro, un muro che lo divideva dal resto del mondo, lo rendeva minaccioso ed impenetrabile. Impossibile da affrontare.

Alcuni dicevano che Obito fosse il male in persona.

Non avevano torto, e Naruto lo sapeva bene.

Raggiunsero il gruppo senza dirsi più nulla, seguendo le orme che gli altri avevano lasciato – li superarono, ritornando a camminare dietro Kakashi. Sakura si sentiva come se avesse tradito la sua fiducia, raccontando  quella storia, e non aveva il coraggio di guardargli nemmeno la schiena, rigidamente dritta come al solito. Volgendo lo sguardo verso Naruto, invece, scorgeva negli occhi azzurri della curiosità nei confronti dell’uomo, e anche una malcelata tristezza, mai  superata, che riposava sempre in fondo a quei due pozzi di cielo.

Kakashi si fermò all’improvviso, facendola quasi sbattere contro le sue spalle. Si fermò di fianco a lui, mentre Naruto si metteva alla sua destra, guardandosi intorno con movimenti troppo veloci e confusionari, senza posare davvero lo sguardo su qualcosa. Dalle sue spalle, un brusio iniziava a diffondersi per la foresta, mettendola in agitazione.

«Che cosa c’è?» domandò a Kakashi, osservandolo respirare da sotto la sciarpa.

Prima che lui potesse rispondere, due grossi cespugli alla loro sinistra si mossero in modo troppo evidente perché fosse una brezza o un animale di piccola taglia. In un unico, fluido gesto, tre persone uscirono dall’intreccio di foglie e ghiaccio.

Sakura era incantata, non riusciva a distogliere lo sguardo da quella pelle bianca. Sembravano fatti di neve, come nati dal sangue versato sul manto candido su cui  loro marciavano da giorni.

«È lui» disse la ragazza al centro. Focalizzandosi su di lei, Sakura notò che attorno agli occhi bianchi le vene erano leggermente ingrossate e le sue guance iniziavano a prendere colore. Un ragazzo, poco più grande della giovane che aveva parlato, fece un passo avanti.

Sakura si sentì trascinare indietro mentre Kakashi la teneva per un braccio, mettendosi al suo posto. Naruto la affiancò subito, stringendole il polso in una morsa protettiva. «Cosa diavolo sono?» le domandò, assottigliando lo sguardo, cercando di sembrare quasi minaccioso.

«Chiediamo asilo» disse Kakashi, scandendo le parole e aprendo le braccia, mostrando di non avere nessun tipo di arma tra le mani. La sconosciuta sembrò sussultare e trattenere il respiro. Il rigonfiamento attorno ai suoi occhi sparì e il suo corpo barcollò un attimo – di fianco a Sakura, Naruto si mosse appena, agitato, forse preoccupato per lei?

«Abbiamo smesso di dare asilo ai nomadi» disse il giovane, quasi ringhiando, avvicinandosi di un altro passo. Le iridi vitree riflettevano la figura di Kakashi, immobile, come se il suo unico occhio bastasse a tenere a bada quello sguardo feroce e irreale, quasi selvaggio, dello sconosciuto.

«Neji» chiamò l’altra. Ora il viso di lei era dipinto con sfumature rosse, trasparenti come petali di rose, e gli occhi erano liquidi, assomigliavano a due perle viste oltre lo specchio dell’acqua. Tutto in lei aveva una sfumatura regale, di una bellezza che la faceva star male. Non immaginava ci fossero ancora creature degne di essere dette belle, nel Mondo. Si sentì male, ricordando il suo ventre incavato e gli spigoli del suo corpo – come presa in causa, colpevole di non essere bella, anche se nessuno aveva il tempo per pensare a quel tipo di cose. Osservando la ragazza, però, si accorse di come le sue braccia fossero magre, come le caviglie sembrassero due leggeri rami intenti a sostenere un mucchio di neve bagnata, pesante. Era gracile tanto quanto Sakura stessa, e debole. Il suo corpo non sembrava l’unica cosa che le sue gambe e i suoi piedi nudi dovessero sorreggere, un peso più grosso le gravava sulle spalle spigolose.

Sembrava tremare.

«Il ragazzo» disse a voce più bassa, indicando con la mano sottilissima oltre le spalle di Kakashi. Sakura si chiese come potesse sopravvivere una creatura così gracile nella foresta, come potesse addirittura muoversi senza spezzarsi.

Seguì con gli occhi lo sguardo di lei, immaginandolo come una linea rossa, visibile, che si faceva spazio nella tensione del momento, nel corpo di Kakashi che proteggeva loro due e le decina di fuggitivi dietro di loro.

«Ti chiami Naruto, vero?» domandò gentile. Di fianco a lei, Naruto aveva gli occhi spalancati, incatenati a quelli della sconosciuta, entrambi trattenevano il respiro.



   
 
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