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Autore: balakov    20/12/2008    5 recensioni
"D’improvviso intravidi una sagoma scura in lontananza. Mi veniva incontro. “Senz’altro suggestione” pensai. Ma non era così. Una donna bellissima stava percorrendo il mio stesso tragitto". Una storia allucinata ed onirica, con un finale shock!
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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dedicata a Fujiima e a Furbacchina, che mi hanno inserito tra i loro autori preferiti. Grazie


I SOGNI


La notte scese a coprire le articolazioni fredde e reumatizzate del cielo. La luce finta dei lampioni dava un senso alle strade, le infinite strade che percorrono il buio. Ad ognuno tocca la propria. La mia (non che io sia uno solito a criticare il fato…) era però più scura, o forse meno illuminata. Insomma, era meno finta. D’improvviso intravidi una sagoma, scura (ovviamente), in lontananza. Mi veniva incontro. “Senz’altro suggestione” pensai. Ma non era così. Una donna bellissima, acerba in una bellezza intoccabile ma già sfiorata con la mente, stava percorrendo il mio stesso tragitto. Le sorrisi. Certo un sorriso da lontano, nel buio, non tange. Ma si sente, comunque. Lo so, sono sicuro che anche lei, beffarda, quasi per gioco, mi rispose con un altro sorriso: più vissuto, malizioso e forse anche più autentico del mio. Poi tutto tacque. Anche il buio.

Mi ritrovai, con il fiatone e il cuore battente, tutto sudato, nel letto della mia semplice stanza. Le palpebre, che raramente tendono ad aprirsi così di getto, fendevano ad ogni battito l’indeciso colore cupo, da serranda abbassata, che riempiva la mia camera. Il rumore ripetuto, matematico ed incessante del mio respiro torturava i miei timpani, che fino ad un istante prima erano immersi nell’atavico silenzio. Neanche una bestemmia, una di quelle che fanno aprire il cielo, sarebbe riuscita a colmare il divario tra realtà e sogno. Mi alzai, asciugandomi la fronte, e mi diressi, con indosso il mio pigiama ridicolo, in cucina. Il frigo non mi riservava che latte. Scaduto. Presi un bicchiere e lo riempii con l’acqua del rubinetto. Bevetti tutto d’un sorso ed incominciai stupidamente, tentato dal sonno, ad appannare alitando il vetro del bicchiere.

Senza nemmeno fare rumore, dalle mie spalle, giunse un profumo di rose e di arance che mi coprì il capo come la cenere in tempo di Quaresima. Voltandomi di scatto, sapendo già cosa avrei trovato, la rividi lì, ad un palmo da me, che mi fissava con quegli occhi di madreperla. Ero il suo bicchiere. Cominciò con il suo respiro ad appannarmi i sensi, a sradicarmi dalle percezioni che congiungono ogni uomo al proprio mondo. Mi sentii inebetito, pallido nel fuoco del desiderio che mi consumava. E chiusi gli occhi strizzandoli con violenza, per scindere la bellezza dalla tentazione di quel volto etereo che non concedeva niente alla mia ragione.

Riaprii gli occhi ed ero ancora in cucina, con il capo chino sul tavolo: innanzi il bicchiere, vuoto. Mi ero nuovamente addormentato. Portai indice e pollice della mano sinistra al principio del naso, assumendo una posa meditativa. Ma non c’era nessuno che mi avrebbe potuto immortalare in una foto, ed il pensiero – oggi – non è fatto che per farsi applaudire in un teatro. E poi, su cosa avrei dovuto meditare?… sul sonno, il sonno elefante che mi perseguitava dalla sera prima, complice una nottata in bianco? No, non c’era niente su cui riflettere, ed allora decisi di tornarmene a letto, per dormire finalmente, sperando di poter dimenticare anche i sogni nel sonno. Ma l’oblio che mi ero proposto non mi sorvegliò che per il breve tragitto che conduceva dalla cucina alla mia stanza. Una volta lì, rimasi impietrito accanto alla porta. Nel mio letto dormiva lei, quella donna che mi aveva disturbato il sonno. Quella maledetta vergine terrena che mi aveva tolto l’ossigeno nei sogni. Ed allora, preso da un’insopprimibile ira, con un ghigno di assoluta violenza, afferrai tra le mani il cuscino e soffocai quell’insostenibile tentazione.


Io amavo mia moglie. L’avevo sempre amata. Eppure, quando con gli stessi occhi provi a guardare lo stesso mondo, ma lo scopri diverso da come te lo ricordi, beh…allora non puoi fare altro che scegliere una delle strade che il fato ti ha offerto, e distruggere l’altra. Resta infine, però, un canto, un canto di sirene in lontananza, che ti rammentano l’occasione perduta. Che ti perseguitano, ricordandoti che non c’è mai sogno che tenga alla realtà.


  
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