Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: _Trilly_    02/04/2015    7 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Esattamente un mese era trascorso da quel viaggio a Venezia, un mese non di certo facile. I brutti pensieri e gli incubi avevano tormentato non solo Angie e Violetta, ma anche Angelica, che quasi si aspettavano di rivedere spuntare Marotti da un momento all'altro. Possibile che il loro incubo fosse davvero finito? Tutte e tre le donne erano state chiamate a testimoniare al processo contro l'uomo, così come Pablo e Leon, quindi avevano la certezza che ormai fosse in carcere, eppure lo stesso non riuscivano a trovare pace. La notte era per loro il momento peggiore della giornata, servivano diverse camomille per prendere sonno e il più delle volte era un sonno tormentato. Un mese era ancora troppo poco per pensare di poter tornare alla normalità. Quella domenica mattina in ogni caso, Angelica e Violetta pensarono bene di trascorrerla al cimitero. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che erano andate da German e Maria, soprattutto a causa dello shock dovuto alle ultime vicende, senza contare i tempi per il processo contro Marotti, ma ora si sentivano decisamente pronte.
“Penso che solo adesso tuo madre abbia trovato pace,” commentò l'anziana donna, mentre varcavano i cancelli del cimitero. “Già,” concordò Violetta, stringendosi maggiormente al braccio della nonna. “Ora che colui che ha rovinato le nostre vite sta finalmente scontando le sue colpe.” Lentamente raggiunsero la zona del cimitero dove si trovavano le tombe di German e Maria. Chissà se da lassù li stavano osservando, se stessero tirando un sospiro di sollievo nel sapere che fossero ormai al sicuro. “Vorrei tanto averli qui,” sussurrò la giovane, inginocchiandosi davanti alle tombe e sfiorando quelle foto ingiallite dal tempo con la punta delle dita. “Forse dovremmo cambiare le foto.” Angelica annuì, poggiandole una mano sulla spalla. “Magari possiamo sfogliare i vecchi album e sceglierne delle altre.”
“Si,” sorrise Violetta, accostando la guancia alla mano della nonna. “Su in soffitta ce ne sono tantissimi e sono sicura che troveremo le foto giuste.” Con un piccolo sforzo, Angelica si inginocchiò accanto alla nipote, prendendola per le spalle. “Vilu, tesoro, ascoltami.” La giovane sollevò il capo, così da incrociare il suo sguardo, allora lei proseguì. “Quello che hai scoperto, non ha cambiato in alcun modo le cose. German era e resta tuo padre. Lo sai, vero?” Violetta si sforzò di annuire, ma non sembrava pienamente convinta e perciò la donna riprese prontamente il discorso. “è German che ti ha visto nascere, c'era lui quando hai imparato a camminare e a parlare, lui ti ha educata e ti ha cresciuta. Tutto questo significa essere padre, il vincolo di sangue è solo un dettaglio. Lui ti amava, ti considerava la sua principessa.” Alcune lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance della ragazza. La sua mente era attraversata da numerosi ricordi di quando era bambina. German che le rimboccava le coperte e poi le raccontava la favola della buonanotte. Maria che le chiedeva di aiutarla a preparare i biscotti. Loro tre insieme al parco giochi. Gli abbracci, le risate, l'amore. “Sei una Castillo, nipotina mia. Lo eri e lo sarai sempre, nonostante tutto,” le sorrise dolcemente Angelica, accarezzandole il capo. Violetta annuì, tirando su col naso e gettandosi tra le sue braccia. Una serie di singhiozzi le sfuggirono dalle labbra, attutiti contro il petto della nonna. Ne aveva bisogno, disperatamente bisogno di sentirsi dire quelle cose. Per troppi giorni si era tormentata, convinta di non meritare la vita che aveva vissuto, di non meritare un padre come German. Lei era figlia di un mostro, ma non era come lui, lei era diversa. Solo un vincolo di sangue li legava, per il resto era cresciuta secondo gli ideali di German, suo padre era German. Sua nonna, i suoi zii, tutti non facevano altro che ripeterglielo e a poco a poco anche lei iniziava a rendersene conto. Aveva vissuto diciotto anni come una Castillo, quella rivelazione non poteva cambiare le cose. Angelica aveva ragione, il sangue era solo un dettaglio, erano i momenti insieme quelli che contavano davvero e di momenti con German ne aveva tantissimi da ricordare. “Se loro fossero qui ti direbbero la stessa cosa,” riprese la donna, continuando a stringerla a se. “Non è cambiato nulla, Vilu, tu sei sempre tu. La mia nipotina e la figlia di Maria e German, quell'uomo non c'entra niente con te, capito?” Violetta sciolse di poco l'abbraccio per poterla guardare negli occhi, poi lentamente annuì sorridendo con un angolo della bocca. “Grazie nonna, avevo bisogno di sentirmelo dire,” ammise con un filo di voce. “Lo so,” sorrise Angelica, asciugandole le lacrime con i pollici. “Erano troppi giorni che ti vedevo tormentata e non sapevo come affrontarti, ho sbagliato già tanto con te.” Lei scosse la testa, stringendole le mani con le sue. “Non è vero. Tu ti sei presa cura di me e non mi hai mai fatto mancare nulla. Se sono quella che sono è grazie a te, davvero.” La donna sospirò, scrollando le spalle. “Forse si, ma ho permesso al passato di condizionare le nostre vite. Leon non ha niente a che vedere con quell'uomo o con tuo padre, solo ora l'ho capito.” Un singhiozzo le sfuggì, stupendo non poco la ragazza. Aveva sentito bene? Sua nonna aveva cambiato idea su Leon? “Quel ragazzo ti ama davvero ed è disposto a tutto per te, ma io travolta dalla paura non l'ho capito e...mi dispiace così tanto.”
“Oh nonna!” Esclamò Violetta, stringendola forte a se. “Non hai nessuna colpa. Avevi ragione, quando ho iniziato a frequentarlo, Leon non era la persona giusta, lo è diventato dopo. Non hai nulla da rimproverarti, volevi solo proteggermi. Sei la nonna migliore del mondo.” Si sorrisero, emozionate, per poi abbracciarsi con ancora più enfasi. Restarono ancora un po' accanto alle lapidi dei coniugi Castillo, raccontando aneddoti e facendo preghiere con le lacrime agli occhi, finché non furono avvisate che il cimitero stesse per chiudere e perciò si incamminarono verso la macchina della donna con il cuore più leggero. Entrambe in quei giorni avevano avvertito un peso opprimente alla base del cuore, di cui pensavano non si sarebbero mai liberate, ma poi era bastato mettere piede in quel cimitero e parlarsi finalmente apertamente per avvertire una sensazione di leggerezza che da troppo le aveva abbandonate. Certo, il passato era impossibile da dimenticare e le loro ferite non si sarebbero mai rimarginate del tutto, ma quando ormai non ci speravano più avevano ottenuto giustizia e perciò in loro si era fatta strada la speranza, quella di poter ricominciare senza più tormenti o rimpianti. Davanti ai loro occhi ora c'era solo il futuro e avevano più che mai intenzione di percorrere quella strada, con la consapevolezza di essere finalmente pronte e determinate.



“Forza ragazzi, seduti! Un po' d'ordine e di disciplina, non siete scimmie da rodeo!” Gregorio Casal si aggirava come un avvoltoio tra la moltitudine di persone accorse per assistere alle tanto attese olimpiadi di matematica, alle quali sarebbe poi seguito lo show preparato dai ragazzi dello Studio. Il preside del liceo di Marco, e Antonio, proprietario dello Studio, dopo aver collaborato tutto l'anno dato che quest'ultimo aveva affittato alcune aule per preparare le olimpiadi, avevano pensato che sarebbe stato perfetto unire i due eventi. Quindi non c'era da sorprendersi se il grande cortile dello Studio era stato allestito con due palchi. La maggior parte delle persone si aggirava intorno al palco dove si sarebbero svolte le olimpiadi, dato che si sarebbe iniziato con la competizione e ovviamente nessuno prestava ascolto al sempre più isterico e intrattabile Casal. “Dovrebbe darsi una calmata, manca ancora mezz'ora all'inizio,” gli fece notare Pablo, indicando l'orologio sul suo polso. Gregorio storse il naso, borbottando cose che suonavano come 'fastidioso e sapientone', per poi sparire tra la folla e mollarlo lì da solo. Quando Angie raggiunse il marito appostato sul lato destro del palco, lo trovò a ridacchiare tra se e se. “Sei impazzito?” Si azzardò a chiedere, accrescendo la sua ilarità. “Hai visto Casal?” Le indicò l'uomo, che stava imprecando contro l'ennesimo gruppo di persone che non si decideva a prendere posto. “Avrebbe bisogno di un calmante, non si è zittito un attimo.” Quando le urla di Casal raggiunsero anche le loro orecchie, facendo voltare sconvolti almeno la metà degli invitati, anche la bionda si unì alle risate del marito. “Quell'uomo ha perso il senno, semmai lo ha posseduto.” Stavano ancora ridendo, quando videro passare un agitatissimo Marco, che troppo occupato a ripassare mentalmente le numerose nozioni per la gara, non li aveva proprio scorti. “Marco, tesoro.” Lo richiamò Angie, agitando la mano. Il ragazzo sussultò, affrettandosi poi a raggiungerli. “Non ho mai avuto tanta ansia come quest'anno,” mormorò, passandosi nervosamente una mano nei capelli. “Andrà bene, vedrai,” lo rassicurò Pablo, dandogli una pacca sulla spalla. “Per quanto ne so hai studiato tutti i libri della biblioteca della città.”
“Già,” concordò la bionda. “In queste settimane ti ho praticamente costretto a fermarti per i pasti. Ormai hai la faccia di un libro.” I tre si guardarono per alcuni istanti, seri, poi scoppiarono a ridere, stringendosi in un caloroso abbraccio di famiglia.
“Ehi, vi siete dimenticati di me?” Un divertito Diego sbucò da un gruppo di ragazzi dello Studio, raggiungendo la sua famiglia e unendosi all'abbraccio.
“Stupirai tutti come sempre, non abbiamo alcun dubbio,” continuò Pablo, circondando le spalle dei due figli, emozionato di vederli finalmente tutti riuniti. “Siamo orgogliosi di te,” aggiunse Angie, avvicinandosi al ragazzo e schioccandogli un bacio sulla guancia. “Mamma,” si lamentò lui, rosso in volto, mentre Pablo e Diego scoppiarono a ridere. “Non davanti ai miei amici.” Thomas, Ana, Maxi e Libi infatti, li osservavano a pochi metri di distanza con un sorrisetto stampato in faccia. La Saramego ruotò gli occhi, offesa. “Come se fossi l'unica madre che bacia suo figlio. Prima ho visto anche i tuoi amici con i genitori e non erano tanto diversi da me.” Se Marco sollevò un sopracciglio, scettico, Galindo e il figlio maggiore si scambiarono un'occhiata palesemente ironica. “Scusa tesoro, ma converrai con me che nessuno è più 'affettuoso' di te.” L'ilarità di padre e figli stizzì ancora di più la bionda, che fu seriamente tentata di cercare qualche piatto in giro per colpirli. “Bene, vorrà dire che d'ora in avanti non ci sarà più 'affetto' per voi tre ingrati.” Girò poi i tacchi e se ne andò, ignorando i loro richiami. “Dite che si è offesa?” Chiese Marco, preoccupato. Pablo scosse il capo, abbozzando un mezzo sorriso. “Se la conosco bene, sta cercando di farci sentire in colpa.” Diego ridacchiò, dando una pacca sulla spalla al padre e al fratello. “Essere l'unica donna di casa l'ha resa un po' egocentrica.”
“Un po' è dire poco,” concordò il minore, divertito. “Non mi sorprenderei se ci riservasse pane e acqua per tutta la settimana.” Galindo annuì, lasciandosi coinvolgere dalle risate dei figli. “Non diteglielo però, altrimenti ci lancia qualche oggetto.”


Nel giro di venti minuti, tutti presero posto sulle sedie di plastica sistemate di fronte al palco e la fase finale delle olimpiadi di matematica potè avere inizio. Le squadre rimaste in gara erano quella di Buenos Aires composta da Marco, Thomas, Ana, Maxi e Libi e quella del piccolo quartiere limitrofo, che comprendeva Federico, Lena, Nata, Andres ed Emma. La tensione era a mille, i ragazzi non facevano altro che ripassare e guardarsi nervosamente intorno, sapendo quanto vincere fosse fondamentale, soprattutto per la seconda squadra che aveva bisogno di liquidi per ricostruire il tetto della palestra della loro scuola. Difatti, la cosa che si notò sin da subito, furono le maggiori motivazioni degli ospiti, che tennero testa ai campioni in carica fino all'ultimo. L'ultima domanda, scandita chiaramente dal presentatore scelto per l'occasione, con la tensione come sottofondo, fu seguita da attimi di silenzio assoluto. Le due squadre confabulavano, annotando una serie di calcoli su un foglio, il tempo nel frattempo scorreva sempre più velocemente. Se nessuno avesse dato una risposta subito, sarebbe stata formulata una nuova domanda. Quando ormai il presentatore era già pronto per lo spareggio, Federico sollevò di scatto il braccio destro, attirando l'attenzione di tutti i presenti. Con un sorriso sicuro, annunciò quella che era la risposta esatta, seguita da dei fragorosissimi applausi. Incredibile, proprio i ragazzi provenienti da quel piccolo e degradato quartiere alla fine avevano vinto. Gli sconfitti, sportivamente applaudirono e strinsero la mano ai vincitori, lasciando poi il palco tutto per loro.
“Quello è il mio fidanzato!” Un'entusiasta Ludmilla salì sul palco ancheggiante, fino a raggiungere Federico, che aveva appena ricevuto la coppa. “Sono così orgogliosa,” trillò, applaudendo freneticamente. Il ragazzo sorrise, accarezzandole una guancia e baciandola poi con trasporto. Fischi di ammirazione si levarono nelle loro orecchie, facendoli ridacchiare. “Hai visto, mia Supernova? Te lo avevo detto che avrei vinto,” si vantò, sollevando la coppa al cielo, per poi cederla a Lena, che non aspettava altro che averla tra le mani. Ludmilla sorrise, allacciandogli la braccia al collo. “Ora potete ricostruire il tetto della palestra e soprattutto, puoi aiutare la tua famiglia.” Federico annuì, arricciandosi una delle sue ciocche dorate intorno all'indice. “Non vedo l'ora di dare loro la notizia, saranno felicissimi.” I genitori del ragazzo infatti, non avevano potuto permettersi i biglietti del treno per venire ad assistere alla gara, ma ora le cose sarebbero finalmente cambiate. Mentre scendeva dal palco, stringendo forte a se Ludmilla, il giovane ne era sempre più convinto, la sua vita stava avendo una svolta.


“è stata una bella gara alla fine, no?” Ana raggiunse Marco in una delle aule dello Studio, trovandolo impegnato a mettere in ordine un cumulo di fogli e appunti. “Certo, potevamo vincere, ma...”
“Ma va benissimo così,” sorrise lui, voltandosi e facendole gesto di abbandonare l'ingresso e di raggiungerlo. “Ci siamo impegnati e ci abbiamo creduto molto, ma in fondo loro lo meritavano di più. Sono stati davvero bravi e poi hanno bisogno di quei soldi.”
“Già,” annuì la bionda, aiutandolo a racimolare i fogli e a riporli in delle cartelline colorate. “Spero che la vincita basti per risolvere i problemi della loro scuola. E se tipo facessimo una colletta per aiutarli?” Propose all'improvviso, facendo di colpo voltare il moro, sorpreso. Ana non stava scherzando e nemmeno lo stava dicendo così per dire, sembrava convinta, determinata, desiderosa di fare qualcosa per quei ragazzi e senza sapere nemmeno perché, il giovane avvertì il suo cuore accelerare i battiti. “Mi sembra una bella idea,” mormorò, incapace di distogliere lo sguardo dai grandi occhi della sua amica. Era carina lei, per la prima volta sembrava rendersene conto, eppure la conosceva da anni, come aveva fatto a non notarlo prima? “Marco, va tutto bene?” Ana gli si avvicinò preoccupata, poggiandogli una mano sul braccio. “A cosa pensi? A Francesca?” Si azzardò a chiedere lei, abbassando poi lo sguardo. A Galindo non importava di aver perso la gara, perciò ai suoi occhi solo uno poteva essere il motivo del suo turbamento, Francesca. Non l'aveva dimenticata. “Provi ancora qualcosa per lei?”
Marco sgranò gli occhi, scuotendo poi prontamente il capo. “Come ti viene in mente una cosa simile? Le voglio bene, ma ormai il mio cuore non appartiene più a lei.” Ed era vero. Da tempo ormai aveva smesso di pensare alla Cauviglia in quella maniera, per lui ora era solo un'amica, la ragazza di suo fratello. “Sicuro?” Insistette la bionda. “Perchè sei così strano allora? Cosa ti turba?”
Il giovane Galindo non rispose, limitandosi a fissarla. Come poteva dirle che stesse pensando a lei? Che iniziasse a vederla non più come un'amica ma come una ragazza? Con Ana stava bene, lei sapeva sempre dire la cosa giusta, era forte, determinata, allegra e poi era bella, il suo sorriso lo abbagliava e... Era giusto pensare ciò della persona che aveva sempre considerato sua amica? “Marco?”
La bionda gli sventolò una mano davanti agli occhi, palesemente divertita. “Ehi, bello addormentato, se non fossi sicura del contrario penserei che ti piace un'altra ragazza.” Lo disse sorridendo, eppure quelle stesse parole le fecero male. Ci teneva a Marco e voleva che fosse felice, ma l'idea che potesse esserci di nuovo una persona tra di loro non le piaceva per niente. Ne aveva abbastanza di soffrire Ana, di vederlo innamorato di qualcuno che non fosse lei. Per non perderlo aveva sempre messo da parte i suoi sentimenti, ma per quanto poteva continuare così? “In realtà è proprio così,” ammise Marco imbarazzato e per la ragazza fu peggio di una pugnalata. Stava accadendo ancora, il suo amico si era innamorato e lei doveva accettarlo e incoraggiarlo. Quando si amava una persona bisognava lasciarla libera.
“Sono contenta,” mormorò, mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue per contenere le lacrime. “Vado a vedere se gli altri hanno bisogno di aiuto.” Non avrebbe resistito un altro minuto senza piangere, ne era sicura.
“Ana.” Prima che potesse poggiare la mano sulla maniglia della porta, Marco la raggiunse costringendola a voltarsi. Ora o mai più, doveva mettere le cose in chiaro una volta per tutte. “La ragazza di cui parlavo, bè...sei tu,” balbettò, vedendola avvampare di colpo. “Marco,” provò, incapace di aggiungere altro. Davvero piaceva al suo amico? Se era un sogno non voleva essere svegliata. “Se non provi lo stesso, lo capisco e...scusami...”
Ana scosse la testa, costringendolo a zittirsi. Cogliendolo poi di sorpresa, gli prese il volto tra le mani e lo baciò. “Anche tu mi piaci, tanto,” ammise con il volto in fiamme. Il ragazzo sorrise imbarazzato, grattandosi nervosamente il capo. “Davvero?”
“Davvero, davvero,” confermò lei, lasciandosi coinvolgere in un nuovo bacio, quello che sanciva l'inizio di una svolta per entrambi, che dopo aver sofferto tanto erano pronti a concedersi e godersi finalmente l'amore, insieme.



Podemos pintar, colores al alma,
Podemos gritar iee eê
Podemos volar, si tener alas…
Ser la letra en mi canción…
Podemos pintar, colores al alma,
Podemos gritar iee eê
Podemos volar, si tener alas…
Ser la letra en mi canción…
Y tallarme en tu voz.”


Il pubblico applaudiva e univa la voce a quella dei due ragazzi al centro del palco, entusiasta. Leon e Violetta si erano tenuti per mano tutto il tempo, incapaci di distogliere lo sguardo dall'altro. I cuori battevano forte, i sorrisi si accentuavano sempre di più ad ogni nota. Le loro voci si combinavano alla perfezione come accadeva ogni volta che cantavano insieme. Se poi si trattava di Podemos, la loro canzone, il risultato poteva essere solo ancora più straordinario. Con le ultime note, l'applauso si fece più fragoroso e loro, emozionati, rivolsero al pubblico un lieve inchino. Lo spettacolo dello Studio, così come le olimpiadi di matematica si stava rivelando un vero successo. Non c'erano solo genitori e amici ad assistervi, ma anche molti cittadini e diverse case discografiche, contattate da Antonio nella speranza che decidessero di investire su quei giovani talenti. I discografici occupavano le prime file e non avevano fatto altro che confabulare tra di loro, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Quale fosse il loro parere, per il momento restava un mistero. Nel frattempo, anche gli altri ragazzi avevano raggiunto Leon e Violetta sul palco, così da poter chiudere lo spettacolo con la canzone finale. Al momento di ringraziare il pubblico, Pablo, Angie, Beto e Jackie si unirono agli alunni, Antonio invece, restò accanto ai discografici, sperando di riuscire ad ottenere qualche parere.
“Quei tipi mi mettono ansia,” commentò Camilla, mentre insieme al resto dei ragazzi scendeva dal palco e prendeva posto sulle sedie disposte lì per loro. “Sono d'accordo, io non riesco a smettere di tremare,” annuì Libi, aggrappandosi al suo braccio. “Naaaaa,” ridacchiò invece Leon, circondando le spalle di Violetta. “Fanno tanto i duri, ma scommetto che sono degli idioti, non è vero Dieguito?” Galindo, che fino a quel momento stava parlando sottovoce con Marco, rivolse lo sguardo verso i discografici e sorrise. “Vogliono tenerci sulle spine, ma hanno già le idee chiare, non ho dubbi.”
“Questo ci tranquillizza molto, davvero,” ironizzò Seba, aiutando Maxi a portare l'attrezzatura giù dal palco. “Speriamo che almeno uno di noi venga ingaggiato,” commentò Ponte, a sua volta molto nervoso. “Non dico che devono farci incidere subito un cd, ma almeno accettarci in qualche accademia per migliorare.”
“Ragazzi.” Un trafelato Antonio li raggiunse, ostentando un grande sorriso. “Ho una grande notizia. Hanno fatto alcuni nomi.” I giovani si guardarono uno ad uno, lasciandosi poi sfuggire gridolini entusiasti e abbracciandosi calorosamente. “Siete pronti?”
“Assolutamente si!”



“Ciao,” sorrise Violetta, raggiungendo Leon davanti all'ingresso dello Studio. Dopo la conversazione con Diego in aereo, tutto le era stato finalmente chiaro e aveva capito che non poteva e non voleva rinunciare al grande amore della sua vita. Lo aveva scelto quando era il meno raccomandabile dei pretendenti ed era convinta non sarebbe mai cambiato, come poteva perciò allontanarlo dopo tutto quello che aveva fatto per lei? Quell'intenso amore che si professavano da tempo immemore aveva cambiato entrambi, li aveva resi più forti, consapevoli, felici, non poteva rinunciare a ciò solo per paura. Diego e Angelica avevano ragione, lei era nata e cresciuta come una Castillo e sempre come tale si era innamorata di Leon. Voleva forse dare a Marotti la soddisfazione di vederla infelice e disperata? Assolutamente no, lei voleva ricominciare a vivere, voleva essere felice e poteva esserlo solo con il suo Vargas. Era ora di mettere da parte il passato.
Il ragazzo, che se ne stava appoggiato pigramente a una delle pareti dell'edificio, le rivolse un cenno del capo, allungando poi una mano verso di lei. La ragazza la strinse prontamente, permettendogli di tirarla verso di se. I loro petti si scontrarono e gli sguardi si intrecciarono, un sorriso più intenso increspò le loro labbra. “Ho ricevuto una borsa di Studio per un'accademia di musica fuori città,” sussurrò lei, allacciandogli le braccia al collo. Leon annuì. “Lo so, tu sei un talento straordinario. Nessuno lo merita più di te.” Le sorrise dolcemente, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. Violetta poggiò la mano sulla sua, abbassando però lo sguardo. “Sono felice, lo sognavo da sempre, ma poi penso che sarebbe troppo lontano dalla nonna e...da te.” Il ragazzo sospirò, sollevandole il mento con due dita così da portarla a guardarlo negli occhi. “L'accademia è a sole due ore da qui, troveremo il modo di vederci e poi... e poi è la tua occasione, non puoi lasciartela sfuggire.”
“Tu dici?” Chiese lei, scettica. Era felicissima di aver ottenuto quella borsa di studio, ma temeva troppo la lontananza. Come avrebbe fatto senza vedere sua nonna e Leon ogni giorno? E loro, ce l'avrebbero fatta senza di lei? “Vilu, amore, ascoltami.” Il ragazzo le prese il volto tra le mani, accostando la fronte alla sua. “Io e tua nonna siamo grandi e vaccinati, possiamo cavarcela da soli e comunque non andrai dall'altra parte del mondo.”
“Si, ma,” provò a protestare lei, ma lui la interruppe scuotendo il capo. Violetta non glielo aveva detto apertamente, forse perché temeva di ferirlo, ma lui aveva capito lo stesso. Pensava che lontano da lei non fosse in grado di comportarsi bene, pensava che sarebbe ricaduto nei vecchi sbagli, magari svolgendo qualche affare per suo padre. Istintivamente sorrise. Forse un tempo davvero ci sarebbe potuto essere un simile rischio, ma ora era cresciuto, gli eventi e l'amore di Violetta, che aveva seriamente rischiato di perdere, lo avevano cambiato. Ora sapeva quali fossero le cose davvero importanti, ora sapeva cosa voleva dalla vita e non di certo essere un criminale perennemente a rischio di essere arrestato. Anche lui, come la sua ragazza, aveva ricevuto una borsa di studio ma aveva deciso di rinunciarci. La musica gli piaceva, però non la vedeva nel suo futuro. Si era iscritto allo Studio per amore di Violetta, non era un sognatore come tutti quei ragazzi, lui era un realista e come tale si immaginava a svolgere un buon lavoro per costruirsi una vita con colei che amava, lontano da quello che era il destino scelto da suo padre e dai suoi amici. Leon Vargas aveva capito finalmente chi era davvero, ora aveva un'identità e tutto grazie all'amore di quella giovane dagli occhi nocciola, che gli aveva mostrato che la strada che aveva scelto non era quella che voleva davvero, piuttosto quella che gli era stata imposta dalla sua famiglia. “Tranquilla,” la rassicurò, accarezzandole il volto. “Ho parlato con mio padre, gli ho spiegato che il mio futuro non è al suo fianco e ha capito.”
Un sorriso speranzoso increspò le labbra di Violetta. “Dici davvero?” Lui annuì. “Tra l'altro ho una piccola sorpresa per te.” Sotto lo sguardo curioso della giovane, recuperò una busta dalla tasca dei pantaloni. “Guarda qui.” Le mostrò quello che si rivelò essere un contratto di lavoro in una fabbrica di automobili. “Hai un lavoro!” Trillò emozionata lei, stringendolo forte a se. Leon ridacchiò, accarezzandole il capo. “Dai un'occhiata all'indirizzo, amore mio.”
Violetta rilesse quel foglio una decina di volte, stupefatta. “è a meno di un chilometro dalla tua accademia. Affitterò un appartamento e...praticamente ci vedremo ogni giorno.”
“Oh Leon!” Violetta gli saltò letteralmente in braccio, non potendo fare a meno di lasciarsi sfuggire un singhiozzo. “Staremo sempre insieme.”
“Te l'ho promesso,” annuì lui, accarezzandole dolcemente una guancia. “Voglio essere una persona migliore e posso esserlo solo accanto a te.”
La giovane sorrise tra le lacrime, stampandogli un bacio a fior di labbra. “Ti amo da morire, Leon Vargas.”
“E io amo te, Violetta Castillo,” soffiò Leon, prima di coinvolgerla in un lungo e profondo bacio che sigillò quella dichiarazione. Erano finiti i tempi delle incomprensioni e dei dubbi, ora sapevano cosa volevano davvero, quanto fossero profondi i loro sentimenti e avrebbero lottato per essi ogni giorno che sarebbe seguito e che avrebbero trascorso inevitabilmente insieme. Perché per loro due era sempre stato destino e ora ne avevano la certezza.



Francesca rilesse per l'ennesima volta la lettera che aveva ricevuto quella mattina, quella che per tutto il giorno l'aveva tormentata. Ormai la luna splendeva nel cielo, lo spettacolo era finito e tutti erano radunati accanto al buffet allestito per la serata. Aveva provato a mangiare qualcosa, ma poi si era rintanata nel cortile alle spalle dello Studio, persa nei suoi pensieri. Aveva due opzioni, entrambe le avrebbero potuto stravolgere la vita in positivo e forse per quello non riusciva a scegliere. Lei che di solito aveva sempre avuto le idee chiare o che al massimo si era accontentata, per la prima volta doveva scegliere e la cosa la terrorizzava. Né i suoi genitori e né Luca le avevano espresso un parere, si erano limitati a dirle che dovesse essere lei a decidere, peccato che fosse così confusa. Cosa doveva fare? “Ehi.” Diego, apparso dal nulla, procedeva verso di lei reggendo un piatto con degli invitanti profiteroles. “Cosa fai qui tutta sola?” Le chiese, sedendosi sul muretto accanto a lei. Francesca scrollò le spalle. “Pensavo.” Lui si accigliò, lanciando un'occhiata alla lettera che reggeva tra le mani. Un simbolo in particolare attirò la sua attenzione. “Quella è...?”
“Si,” confermò la ragazza. “è la risposta alla domanda per il college che feci tempo fa, mi hanno accettata.”
“Ma tu non sei felice,” constatò Diego, scrutandola attentamente. “Perchè?”
“Perchè ho ricevuto anche la borsa di studio per l'accademia di musica,” ammise, abbassando lo sguardo. “E non sai quale delle due scegliere,” concluse per lei il moro, poggiando una mano sulla sua. Francesca non rispose, non ce ne era bisogno. Era chiaro come il sole che avesse colto in pieno il problema.
“Cosa devo fare, Diego?” Sbottò all'improvviso, mentre gli occhi le si facevano lucidi. “Tu cosa faresti al mio posto?” Mai Francesca gli era apparsa tanto smarrita e bisognosa di una roccia a cui aggrapparsi, ma lui poteva essere la sua? “Io sceglierei la cosa che mi renderebbe più felice,” sussurrò, sperando di esserle in qualche modo di aiuto. Essere una coppia significava anche essere un sostegno l'uno per l'altra e lei lo era sempre stata per lui, in qualche modo doveva essere vero anche il contrario. Convinto di ciò, rafforzò la stretta delle loro mani. “Dimentica tutto il resto e pensa solo a te. Cosa ti renderebbe davvero felice? Il college o l'accademia?” La mora sollevò finalmente il capo, specchiandosi nei suoi occhi verdi. Di una cosa era sicura, Diego la rendeva davvero felice. Ora però non si trattava di quello, ma del suo futuro professionale. Cosa voleva fare? I suoi genitori probabilmente si aspettavano che andasse al college, dopotutto aveva sempre avuto una media scolastica molto alta, ma era quello che voleva anche lei? “Io ehm...io credo di voler andare all'accademia, la musica è sempre stata il mio sogno.” Diego sorrise, mangiando un pezzo del dolce. “Vedi, Bambolina? Non è così difficile scegliere.” Lei sorrise a sua volta. “No, non lo è.” Si guardarono per alcuni istanti e i loro sorrisi si accentuarono. In fondo accadeva sempre così da quando Diego era entrato nella sua vita, ogni dubbio spariva e restavano solo certezze. “Verrò all'accademia, con te.” Galindo le accarezzò la guancia con la mano libera, continuando a sorridere. “Passeremo ancora più tempo insieme.”
“Sarà fantastico,” sussurrò lei, facendo sfiorare i loro nasi. Lentamente le loro labbra iniziarono a sfiorarsi, dando vita poi a un bacio profondo e appassionato. Le mani della ragazza si immersero nei suoi capelli, tirandoli leggermente. Quelle di lui invece le accarezzavano la schiena, stringendola ancora di più a se. “Sei un villano,” soffiò la ragazza divertita, alla fine del bacio, dandogli una leggera spinta. “Perchè? Che ho fatto?” Chiese lui confuso. Francesca indicò il piatto con i profiteroles che ancora teneva in grembo. “Sei venuto a cercarmi e non me ne hai portato nemmeno un po', hai pensato solo a te,” gli fece notare, offesa. Diego ridacchiò, mangiando di proposito un altro pezzo. “In realtà pensavo potessimo dividere questi.” Le porse la forchetta e lei subito iniziò a mangiare, lasciandolo a bocca aperta per tanta ingordigia. “Piano, lasciane un po' anche a me,” ridacchiò, beccandosi una pernacchia. “Mmm...panna e cioccolato, delizioso.” Francesca avvicinò la forchetta con un pezzo di dolce alle labbra del ragazzo, ma quando lui aprì la bocca per mangiarlo, lei ritrasse il braccio, scoppiando a ridere. “Ops, lo mangio io.”
Diego si finse offeso, ma poi non potè fare a meno di lasciarsi coinvolgere dalla sua ilarità. La risata di Francesca era uno dei suoni più piacevoli che avesse mai sentito ed esserne la causa gli trasmetteva una sensazione di benessere, che prima di incontrarla non sapeva nemmeno cosa fosse. Lentamente le tolse il piatto di mano e lo poggiò sul muretto, stringendola poi a se. Seppur sorpresa, lei ricambiò l'abbraccio, socchiudendo gli occhi. E pensare che all'inizio Galindo si irrigidiva sempre quando la ragazza cercava quelle dimostrazioni di affetto, ora invece era lui stesso a proporle. Quante cose erano cambiate.
“Questo non cambia le cose,” rise in ogni caso Francesca al suo orecchio. “I profiteroles sono miei, tu ti arrangi.” Diego sciolse di poco all'abbraccio, sollevando un sopracciglio, divertito. “Ah si? E se tipo ora dessi un calcio al piatto?” La provocò, facendole sgranare gli occhi. “Non oseresti.”
“Mettimi alla prova.” Si sfidarono con lo sguardo per quelli che parvero lunghi minuti, poi non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono a ridere. “Ti amo tantissimo, Diego,” ammise la ragazza, rossa in volto, mordendosi nervosamente il labbro. “Ti amo anch'io, Bambolina,” mormorò lui, facendole poggiare il capo sul suo petto. Alla fine anche uno come Diego Galindo che mai aveva creduto nell'amore, aveva finito per cedere a quel sentimento e se avesse potuto tornare indietro, avrebbe rifatto ogni cosa. Francesca non la pensava tanto diversamente. Aveva commesso tanti sbagli, ma se non li avesse fatti, non avrebbe mai conquistato il cuore del suo primo grande amore. Insomma, non erano per niente pentiti. Grazie all'altro avevano imparato cosa fosse l'amore e quanto potesse essere devastante e imprevedibile e allo stesso tempo, renderli immensamente felici.



“Sono esausto.” Pablo aprì la portiera della macchina e si abbandonò sul sedile, strofinandosi stancamente gli occhi. “A chi lo dici,” concordò Angie, prendendo posto accanto a lui e chiudendo lo sportello. “Non so come mi è saltato in mente di offrirmi per i preparativi, ho sgobbato come un mulo.” Mentre diceva ciò, si massaggiava le braccia che non avrebbe potuto avvertire più pesanti e indolenzite. “Non vedo l'ora di andare a casa.”
Pablo annuì, socchiudendo gli occhi. “Mi sembra quasi di sentire ancora le imprecazioni di Gregorio, proprio non riesce ad accettare di essere stato battuto.”
“Quell'uomo è troppo sicuro di se,” commentò la bionda, scuotendo il capo. “Qualcuno dovrebbe spiegargli cos'è la modestia.” Poggiò poi il capo sulla spalla destra del marito e lui la strinse a se, strofinando il volto nei suoi capelli. “Marco non l'ha presa male, la sconfitta intendo,” soffiò Galindo, dopo alcuni minuti di silenzio. Angie sorrise. “Ci teneva alla gara, ma ancora di più voleva essere accettato al college. Non mi sorprenderei se facesse incorniciare quella lettera.” Un debole sorriso increspò le labbra di Pablo, ma quasi subito si dissolse. “E che mi dici di Francesca? Credi l'abbia superata?” Chiaramente l'uomo si riferiva al sentimento che aveva legato Marco alla Cauviglia, che però appunto ora faceva coppia fissa con il loro figlio maggiore. Angie sollevò il capo, così da poterlo guardare dritto negli occhi. “Tranquillo,” lo rassicurò, accarezzandogli una guancia. “Se ci fossero ancora dei problemi, lui e Diego non avrebbero chiarito. Hai visto quanto sono complici e affiatati i nostri ragazzi ora? E poi, non so se te ne sei accorto, ma nostro figlio sembra interessato a un'altra ragazza,” sorrise maliziosamente la bionda, facendogli sgranare gli occhi. “Davvero? Chi? Come ho fatto a non accorgermene?” Non era da lui, di solito non gli sfuggiva nulla, soprattutto se si trattava di sua moglie e dei suoi figli. “Ana. Credo che tra lei e Marco inizi ad esserci del tenero.”
Un grande sorriso si distese sul volto dei due. Il minore dei loro figli aveva sofferto molto per Francesca e sapere che stesse superando la cosa, gli riempiva il cuore di gioia. “Ana è una brava ragazza, mi piace. Spero possa renderlo felice.”
Restarono abbracciati ancora per un po', mentre una leggera brezza penetrava attraverso i finestrini aperti per metà, facendoli leggermente rabbrividire. “Marco andrà al college, Diego e Vilu all'accademia. Diego e Francesca si sono innamorati. Leon ha messo in discussione i suoi ideali per amore di Vilu. Marotti l'ha pagata per tutto il male che ha fatto,” soffiò Angie contro il petto del marito. “Lo avresti mai detto che sarebbero successe tutte queste cose?” Pablo sorrise, accarezzandole teneramente il capo. “E noi due siamo ancora qui, più uniti che mai.” Le prese il volto tra le mani, specchiandosi nei suoi grandi occhi verdi. “Quanto è forte il nostro amore, eh?” Angie sorrise, poggiando le mani sulle sue. “Più forte di qualsiasi cosa e così sarà sempre. Sei la mia roccia, Pablo.” Continuando a sorridersi, si scambiarono un dolce bacio. “Non so cosa farei senza di te, Angie.” Ed era vero. Tutta la sua forza e determinazione derivavano da quell'angelo che da ragazzo gli aveva rubato il cuore e man mano che passava il tempo, quell'amore sembrava amplificarsi e renderlo ancora più dipendente. Ancora una volta lei sorrise, abbagliandolo completamente e facendolo sentire un perfetto idiota. Possibile che continuasse a fargli lo stesso effetto? Angie nel frattempo si chiedeva la medesima cosa. Sin dalla prima volta che lo aveva visto, aveva pensato che Pablo fosse l'uomo più dolce e meraviglioso del mondo e ogni giorno ne aveva la conferma. Lui era in grado di farla sentire protetta e importante, cose che da piccola data l'assenza di una figura paterna le erano sempre mancate, creando un vuoto nel suo cuore. Quando aveva conosciuto suo marito, tanto diverso da suo padre e da qualsiasi ragazzo avesse mai incontrato e che aveva colmato quel vuoto, aveva capito di aver finalmente trovato la persona giusta, colui che la completasse. Il vero amore e l'anima gemella non erano solo fantasie o illusioni, esistevano davvero e a volte poteva volerci un vita per trovarli, ma lei era stata fortunata, il suo Pablo era entrambe le cose e insieme stavano vivendo la loro meravigliosa favola. Certo, avevano incontrato molti ostacoli, ma quelli facevano parte della vita e poi avevano permesso al loro amore di rafforzarsi e perciò non avrebbe potuto essere più soddisfatta. Mentre se ne stavano in macchina stretti l'uno all'altra a guardare il cielo trapunto di stelle, Pablo e Angie pensavano che non avrebbero potuto essere più felici e che ne era valsa la pena affrontare tanti problemi se poi il loro lieto fine era quello. Loro due, sempre e comunque insieme.




Ed eccoci giunti alla fine di questa storia. Non so bene cosa provo, da una parte sono felice per essere riuscita a concluderla, ma allo stesso tempo sono anche tanto triste :( se non fosse stato per tutti voi che mi avete incoraggiata e sostenuta non sarei mai arrivata fin qui e per questo vi ringrazio infinitamente. Insieme abbiamo riso, sofferto, sclerato, abbiamo tenuto il fiato sospeso e poi... e poi bè, con il vostro affetto mi avete anche fatto commuovere tanto e non vi ringrazierò mai abbastanza. Sin dalla mia prima apparizione in questo fandom mi sono sentita come a casa, siete meravigliosi. Ringraziarvi uno ad uno sarebbe troppo complicato, anche perché mi dispiacerebbe dimenticare qualcuno, perciò il mio sarà un ringraziamento generale. Grazie a tutti voi che mi siete stati accanto capitolo dopo capitolo e che mi avete emozionata con le vostre meravigliose recensioni. Grazie a chi ha messo la mia storia tra le preferite, le seguite o le ricordate e grazie anche a chi ha semplicemente letto. Sono felice di aver affrontato questa avventura insieme a voi, siete unici *_______*
ok, ora basta sennò mi metto a piangere XD
un bacione grande a tutti e ancora grazie!! :3
Trilly
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: _Trilly_