Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Phoebus    04/04/2015    3 recensioni
Sette anni dopo la feroce battaglia, Dublino.
Un viso conosciuto, visto e accarezzato mille volte.
O semplice fantasia? Mera illusione?
Un solo obiettivo: ricordarti.
Genere: Drammatico, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia, Weasley, Il, trio, protagonista, Minerva, McGranitt, Neville, Paciock | Coppie: Ginny/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Io credo che sia lui l’Innesto puro.”
Hermione non poteva credere a quelle parole: con la testa poteva provarci, ma il cuore non gliel’avrebbe mai permesso. Harry non era l’Innesto, non per lei. Doveva esserci un’altra spiegazione.
Una cosa era certa: doveva esserci una talpa, un doppiogiochista ed era tra loro.
Ora però c’erano gli studenti Corvonero da tirare giù dalla torre, tutto il resto poteva aspettare ancora un po’. Priorità: lei aveva sempre scelto in base a ciò che era più importante.
Perciò decise senza bisogno di pensarci due volte; continuò a correre, finché un improvviso boato fermò ogni movimento, costringendoli ad ascoltare la voce che si levava decisa.
 
 
 
“Il Signore Oscuro è caduto. Potete uscire dal castello! L’ultimo baluardo del male è stato sconfitto, Voldemort è morto! Grazie a tutti voi Hogwarts è salva, anche se non del tutto intera ma per questo ci sarà tempo. Avremo tutto il tempo da qui in poi per riportarla al suo splendore. Lunga vita al mondo babbano e magico, da oggi uniti più di prima!”
Un’ovazione seguì quelle parole di gioia: urla, scalpitii, bacchette alzate che emettevano luci nel buio della sera. Il sole calava e il cuore, finalmente, si rasserenava. Incredulo ma felice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il Sonorus risuonava ancora nelle loro orecchie e in tutto lo spazioso corridoio che stavano per attraversare. A quelle parole però le loro gambe si bloccarono: fu una sorpresa smisurata. E improvvisa.
La voce proveniva dall’esterno del castello, ma Hermione e Ginevra non ebbero dubbi: era la voce di Minerva McGranitt. E stava dicendo proprio così, proprio che…
 
Che tutto era finito.
Che tutto poteva ricominciare, da capo.
Da lì, da chi c’era, da loro.
Ricominciare di nuovo.
Stavolta davvero.
 
Eppure sembrava così irreale, come poteva essere possibile?
Le due ragazze erano distanti alcuni metri l’una dall’altra sul grande varco in pietra che le avrebbe condotte alla torre di Corvonero; c’erano quasi. Ma, ora, sembrava non avere più importanza.
Niente contava più del fatto che tutto era finito, che finalmente la paura era stata disfatta. Che erano insieme e fuori pericolo, come i superstiti fuori dal castello.
 
“E’ tutto finito. – Ginevra bisbigliò più a se stessa che all’altra – Tutto finito…”
Il mantello nero continuava a circondarle le spalle. I suoi pensieri erano saldati, impossibilitati ad ogni altra mossa. Come se, di colpo, fosse giunta la consapevolezza di non aver capito nulla. Mai nulla, ma sembrava essere finita.
E’ finita.
Quella voce continuava a dirle che ce l’avevano fatta. Era finita davvero.
Ed erano vive.
Vive.
Il suo cervello faticava a crederci. Era troppo…assurdo. La ragione implorava una spiegazione sicura.
Vive.
Insieme.
Era quasi troppo facile.
 
“Ce l’abbiamo fatta, Ginny. Noi… – Hermione la raggiunse, tornando indietro sui suoi passi, quasi correndo senza che l’altra se ne accorgesse. E dimenticò la questione di Harry e tutti i discorsi amletici. Le parole sembravano non voler uscire, ma il suo profumo era inconfondibile – E’davvero finita stavolta. Vieni qui, abbracciami!”
“Herm…” – Ginevra si ritrovò a chiamarla piano, sussurrando il suo nome anche se non ce n’era bisogno, mentre la prese e la strinse.
Era lì: il resto si eclissò, oltre l’orizzonte, col sole.
L’entusiasmo che le pervadeva era troppo forte e si ritrovarono a ridere e piangere, tutto insieme, senza riuscire a spiccicare una sola parola sensata.
Tutto quello che era accaduto passò loro davanti, da tanti anni prima ad allora. E, adesso, solo adesso, tutto aveva un senso: quell’abbraccio smanioso lo racchiudeva integralmente, quasi fosse un prisma di cui finalmente avevano trovato la sequenza logica dei pezzi.
Finirono per perdersi tra i sorrisi bagnati l’una nell’altra, senza sentire altro che non fossero le loro braccia avvinghiate, le loro labbra che incappavano in un bacio e quelle grida di libertà fuori la finestra.
Cosa si può dire davanti alla fine di tutti gli anni di tormento? Cosa si può pensare davanti alla fine del doppio gioco necessario? Davanti all’apparenza di una vita che sembrava scappare e che invece adesso le aveva salvate, non sapendo nemmeno come.
Era tutto così.
Così inspiegabile. Metafisico.
Eppure bellissimo, come un attimo di un’altra epoca.
Il tempo si era fermato: il tempo non esisteva, non era reale; somigliava più a un bambino che si faceva beffa di loro da sempre, ridendogli alle spalle.
 
Solo il corpo di Hermione era vero.
E soprattutto ora che era schiacciato contro il suo.
 
Ginevra abbandonò tutti i pensieri razionali che aveva provato a rincorrere e si fece vincere da lei, dalla sua pelle, dal suo odore misto di sudore e magia. Erano lì, sanguinanti ma insieme. Vive, entrambe. Era la migliore delle ipotesi, quella che mai avrebbe nemmeno sognato.
I suoi fianchi erano gli stessi, definiti e di linea impercettibilmente convessa. In quei capelli sconvolti e scuri affondò il viso e il bisogno di sentirla ancora di più la prese. Da tanto la aspettava e i suoi lunghi capelli glielo ricordarono. La sua schiena tesa, i suoi occhi socchiusi. E la sua bocca, che Ginevra salutò in fretta con la sua, per la paura che tutto potesse svanire ancora.
Per un attimo, pensò che dovesse essere un’illusione dettata da qualche incantesimo che doveva averla colpita mentre correva dietro ad Hermione.
“Hermione…” – continuava a non credere al sogno lì davanti e fuori. Hermione era sempre così bella, così lei.
 
E decise di spingerla, senza nemmeno rendersene conto, contro il primo muro del corridoio.
 
Hermione sussultò appena, la parete di pietra era gelida ma non importava; Ginevra la stava scaldando accarezzandole le braccia, i fianchi, stringendoli, e baciandola con tutto il fervore che aveva in corpo.
Era ancora spaventata di fronte alla possibilità che fosse solo un magnifico sogno e, per capire che non lo era affatto, dovette guardare Hermione mentre, con sguardo complice, le slacciava il mantello e le sollevava la camicia, sbuffandola dalla cintura placcata. Dovette scorgere nei suoi occhi quel barlume di lussuria, già di per sé eccitante oltre l’ennesima potenza.
Non era finto, non poteva esserlo: lei era lì, stretta, incollata come una seconda pelle. Ed era bellissima e pronta a tutto. E la stava baciando di più, mentre con le mani si impossessava del suo seno appena scoperto.
 
 
 
 
“Uno spettacolo sublime. – dall’angolo del corridoio emerse una figura scura coperta in viso – Oh, ma vi prego. Continuate, non badate a me.”
 
Ginevra si fece indietro, staccandosi dalla strega che stava per amare disperatamente e riacquistò la consapevolezza che, come le suggeriva la ragione, sembrava essere tutto troppo semplice.
“Chi sei? Fatti avanti! – richiuse la camicia ampia che le era ricaduta fin oltre la vita, stavolta luminosa, senza nessun mantello scuro a coprirla – Chi sei?”
 
Un semplice riso sogghignante fu la risposta. Capirono che doveva essere un uomo.
Hermione levò la bacchetta, pronta al primo incantesimo le venisse in mente. Ma Ginevra la sorprese: con la mano, abbassò la bacchetta tesa della Granger.
“Ginevra che fai?”
“Aspetta.”
L’uomo si fece avanti col ghigno ancora stampato in faccia.
“E’ un Mangiamorte sopravvissuto, non possiamo lasciarlo scappare.” – disse Hermione tra i denti.
Ma Ginevra continuava ad abbassarle la bacchetta.
“Voglio vedere chi è.”
 
 
L’uomo si tolse il cappuccio e la coda di cavallo rossa scintillò alla luce dell’unica torcia che illuminava il freddo corridoio.
 
“Bill…” – stavolta Hermione non ebbe bisogno di Ginevra; la bacchetta l’aveva abbassata da sola, come la volontà di attaccare quell’uomo che per anni tutti avevano creduto disperso e poi era tornato grazie ad Harry.
Harry, pensò Hermione, proprio lui che ora sembrava lontano anni luce.
Ginevra gli andò incontro, lasciando da parte Hermione.
 
 
“E così, voi due siete, come dire, molto affiatate. – disse Bill, a voce bassa ma ben udibile a causa dell’eco del corridoio vuoto – Mi dispiace di avervi interrotto sul più bello.”
 
Il tono fintamente dispiaciuto non intaccò la durezza dello sguardo di Hermione.
“Perché sei vestito così?” – gli chiese a bruciapelo.
“Ha cercato di passare per uno di loro. E salvare così qualcuno dei nostri. – lo precedette Ginevra, alzando il tono e rispondendo al posto del fratello – Non è vero, Bill? Non sai quanto sono contenta di vederti vivo. Fleur sarà felicissima! E tutti gli altri.”
Gli occhi di Bill si rivelarono: erano vuoti.
“Fleur. Che devota moglie, non è vero sorellina?”
“Teneva molto a te e ha sofferto tantissimo quando sei…”
“Ma poi si è consolata. L’ho saputo, sai? – la interruppe Bill, che prese a girare a passi trainanti intorno Ginevra, come sulla linea un cerchio di cui lei era il centro. Hermione, poco indietro, strinse piano le dita sulla bacchetta – E, tra tutti gli uomini esistenti, indovina con chi? Sono sicuro che lo sai benissimo.”
“Non è così, lei ti credeva morto! Non devi avercela con lei. Non adesso che sta finendo tutto finalmente! Devi parlarle, devi provare a capire.”
“Non doveva! – l’uomo si avvicinò a Ginevra, superando il cerchio immaginario, con una rabbia smisurata e mal repressa - Non doveva. Ha rovinato tutto, tutto. Ma, hai ragione, è cosa fatta ormai e non mi sconvolge più. Vieni, vieni con me Ginevra. Voglio mostrarti una cosa. L’unica che conti adesso.”
 
Hermione non sapeva che pensare. Non le piaceva Bill e quello che diceva, non le piaceva per niente. Non aveva nemmeno abbracciato sua sorella.
Lei lo avrebbe fatto: lei, se avesse avuto un fratello e avesse appena rischiato di perderlo per sempre, lo avrebbe stretto fino a piangergli addosso per la felicità di rivederlo. Ma lui no, sembrava non ragionasse così. Lo rivelavano i suoi gesti, netti.
Bill non badò alla professoressa: con Ginevra al seguito, spalancò l’ampia finestra e indicò qualcuno tra la folla che si agitava di sotto.
“Guardala. – l’indice scheletrico puntava una precisa figura – Lei è quello che conta, nient’altro. Solo lei, Victorie. – poi urlò forte - Victorie!”
La chiamò a gran voce e, come un incantesimo portentoso, la ragazzina sentì la voce del padre; levò gli occhi al castello e lo vide con la zia al fianco. Sbracciandosi a più non posso, rispose al saluto, scoppiando quasi a piangere per l’emozione. Lui le intimò di raggiungerli e lei non lo fece nemmeno finire di parlare: stava già correndo.
 
“No! – insorse Hermione, agitandosi e capendo le intenzioni dell’uomo, ma Victorie si era precipitata dentro e ormai dalla finestra non si vedeva più – Perché l’hai chiamata? Perché le hai detto di entrare? Non siamo ancora sicuri che il castello sia del tutto libero dai Mangiamorte, è stata una mossa molto stupida, Bill.”
Ginevra le andò vicino, le prese la mano e cercò di calmarla, mitigando la tensione che si era creata.
“Tranquilla Herm, fin qui non c’è pericolo. Non abbiamo incontrato nessuno e poi ci siamo noi tre. Se servisse, sapremo difenderla meglio di chiunque altro.”
“Un genitore coscienzioso non l’avrebbe fatto.”
Bill la guardò con disprezzo, da dietro le spalle di Ginevra.
“Non mi risulta che tu sia genitore, sbaglio?”
“Non lo sei neanche tu, sei solo un…”
 
“Papà!” – un gridolino acuto spezzò l’aria; Victorie li aveva già raggiunti.
Lo strano trio si voltò di scatto, lasciando ogni discussione e la piccola corse loro incontro, volando tra le braccia del padre. Lui le accarezzò i capelli.
“Vicky… - la voce di Ginevra si spezzò ad opera di un singhiozzo che provò a reprimere, con scarso risultato - …come…come stai? La nonna dov’è?”
La bambina si accomiatò dal padre e si voltò a lei; e, senza risponderle, allargò le braccia. Prima di qualsiasi vana parola, Ginevra l’aveva già abbracciata forte liberando il dispettoso singhiozzo che le faceva sobbalzare il petto ad intervalli irregolari.
 
 
Hermione non capiva: c’era nell’aria qualcosa di strano. C’era quell’insolito comportamento. E iniziò a pensare che, forse, davvero non era finita come Minerva continuava a proclamare ad alta voce dallo spiazzo.
 
 
 
 
 
“Victorie! – dal corridoio, una donna dalla fluente chioma biondo cenere correva cercando disperatamente la sua piccola - Victorie!”
E non era sola: dietro di lei, Ron le teneva il passo con difficoltà.
 
 
“Parli del diavolo...” – Bill Weasley estrasse la bacchetta, ostentandola senza sentire più il bisogno di nasconderla.
“Bill… - Fleur aveva poco fiato, ma non poteva permettere che accadesse qualcosa a sua figlia. Doveva allontanarla da quelle mura - …portiamola fuori di qui! Dobbiamo fare presto, c’è ancora qualche Mangiamorte nel castello!”
“Ah sì?”
“Sì! – si intromise Ron, i capelli scombussolati erano bagnati e attaccati alla fronte – Minerva crede che la Stanza delle Necessità sia ancora occupata dai Mangiamorte e noi non siamo riusciti a trovarla. È stata spostata.”
“Ci pensiamo io e Fleur a nostra figlia. Non serve che ti immischi, grazie Ron.”
 
“Che significa spostata?” – chiese Hermione ignorando Bill.
Ron la raggiunse.
 
“Tusaichi è morto ma qualcuno dei suoi non si arrende ed è qui, da qualche parte. Non sappiamo che intenzione abbia, ma il castello non è davvero salvo finché sarà qui. E io credo che ce l’abbia con qualcuno di noi. Non c’è altra spiegazione.”
“E’ un’assurdità! Con chi potrebbe avercela? Noisappiamochi è morto. Non c’è altro da temere.” – Bill sembrava serio e sicuro di ciò che diceva.
 
“Dov’è Harry?” – Hermione lo ignorò di nuovo, guardando solo Ron. Si ricordò improvvisamente dell’assurda teoria di Ginevra, che in quel momento parlava commossa con la nipote senza badare a loro.
“Non lo so, non lo abbiamo trovato. Tu sai qualcosa?”
 
In quell’attimo, Fleur li stava superando mentre incurvava le labbra in un sorriso stanco rivolto al marito. Voleva raggiungerlo, voleva abbracciarlo, voleva spiegargli, voleva dirgli tante cose, tutte quelle che aveva fatto sua figlia senza di lui. Ma la bacchetta di Hermione fu più veloce e la scaraventò lontana.
“Stagli lontano, non avvicinarti! È un Inferius.”
 
Ginevra sgranò gli occhi, lasciando in sospeso la domanda che la nipote le stava facendo.
Ron puntò i suoi al fratello. I suoi occhi e quelli della sorella erano della stessa identica intensità in quel momento.
Victorie, vedendo gli zii così disorientati e la madre a terra per colpa di Hermione, provò a spiegarsi quella parola; Inferius: la definizione la sapeva, l’aveva studiata qualche mese prima.
Cadaveri riportati in vita da magia molto oscura, il cui unico scopo è quello di servire il mago che li ha creati. Così aveva detto il professor Piton, durante una lezione molto pesante.
E adesso, senza preavviso, la bacchetta di Hermione si diresse dritta su di lei.
 
 
 
 
Bill sembrò non scomporsi, come chi sa che la verità rivelata è meno distruttiva se affrontata con contegno.
 
 
 
 
In un lampo Victorie fu catapultata vicino alla madre, riportando solo un piccolo graffio alla mano: la bacchetta di Hermione fumava ancora di sottile nebbia grigiastra che ora girò a Bill.
 
 
 
“Si può sapere che diavolo fai?! – stavolta fu Ginevra ad intromettersi, fermando l’incantesimo non verbale di Hermione – E’ finita Hermione, smettila. Lo ucciderai così! Fermati!”
“Come fai a non capire? Lui è guidato da qualcun altro. Qualcuno che vuole uccidere noi! O te!”
“Non è così, non è come pensi. Io lo capisco.”
Hermione la guardava incredula.
“Cosa c’è da capire in lui che non sia chiaro?”
“Lui è stato ritrovato, ricordi? Draco l’ha ricondotto alla Tana. Come tu hai fatto con me. Io so cosa significa tornare e non ritrovare più quello che avevi. Bill è disorientato! Ma ora finalmente abbiamo di nuovo la nostra famiglia e non lasceremo che ce la portino via.”
“Lui non è tuo fratello! Bill è morto tanti anni fa!”
“Ti ho detto di smetterla! Voldemort è morto, non mio fratello. Non c’è più niente da temere, basta! Non voglio vedere altro sangue.”
 
“Molto bene, sorella. Ho sempre saputo che eri la più coscienziosa della famiglia.” – Bill le si fece vicino, sfiorandole appena la schiena. E lei sentì freddo dentro, nelle ossa.
 
 
Ron affiancò Hermione e mirò ad entrambi.
Stupeficium!” -  il suo incantesimo di schianto fu potentissimo e lanciò Ginevra contro uno dei ritratti alla parete che si staccò e le piombò addosso.
In tutto il trambusto, Bill non si era mosso. Non aveva fatto una piega. Niente.
 
 
Ginevra si rialzò subito, nera di rabbia. Questo non lo avrebbe permesso.
Se loro, suo fratello ed Hermione, avessero continuato ad insinuare tutte quelle idiozie, non si sarebbe fermata nemmeno lei.
E tese il braccio: la mano le tremò, dopo tanto tempo che non l’aveva fatto più. Il segno.
Dentro di lei, bruciò ancora il desiderio di uccidere. Il Marchio nero la richiamava all’ordine dopo mesi di calma apparente. Era una Mangiamorte, anche se da un po’ voleva dimenticarlo.
Per un attimo, ebbe paura di se stessa e di quello che avrebbe potuto fare.
 
Ron evitò per un soffio il potente gettito affatturato della sorella, grazie ad Hermione che svelta lo aveva trascinato via appena aveva scorto il tremore della mano di Ginevra.
“Ginny fermati, per tutti i troll! Hermione ha ragione, lui è un Inferius! – le urlò contro il fratello – Non vedi? L’ho colpito e non si è fatto nemmeno un graffio!”
“Vi ho detto basta!”
“Ginevra attenta!” - ma stavolta Hermione non poteva salvarla: era troppo lontana, era troppo tardi.
 
Bill l’aveva agguantata, legandole il busto e le mani lungo i fianchi, irrigidendola e poi aveva gridato l’ennesima formula oscura. In un attimo, di Ginevra e Bill non rimase altro che fumo che saliva ai piani più alti. 
 
Hermione corse forsennatamente dove, fino ad un secondo prima, c’era lei.
“Ginevra!” – la disperazione in un grido. La tremenda paura, quell’unica tremenda paura di averla persa proprio quando l’aveva ripresa, la stava vincendo; Hermione chiuse gli occhi dicendosi che no, ora non poteva permetterselo. Non ora, non adesso. Doveva lottare, doveva crederci.
“La ritroveremo, te lo giuro. – Ron l’aiutò a farsi forza e a tornare in sé – Lei ed Harry.”
Victorie e Fleur uscirono, ad attenderle c’era la McGranitt e il resto della scuola. Alla preside non servirono parole: sapeva che da quel momento in poi, tutti loro erano nelle mani della professoressa di Incantesimi e del suo amico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ginevra riaprì gli occhi.
Quanto tempo era passato? Se lo chiese ma non seppe darsi una risposta. Forse un secondo, magari un’ora o, perché no, un giorno. Non poteva saperlo.
Sapeva solo che aveva addosso sempre quella camicia chiara macchiata su un fianco di rosso e da cui pendeva l’orologio da taschino; lo aprì.
Era rotto.
Qualcuno lo aveva fracassato e le lancette non giravano più, il quadrante era graffiato.
Il Patto di Tempo era stato infranto. Presto ne avrebbe pagato le conseguenze. Ma ora non importava.
 
 
 
 
 
 
Ginevra.”
 
 
A quel suono, si alzò di scatto. La gamba destra le faceva male. Si guardò intorno, ma non vedeva niente. Era tutto buio, buio pesto come un incubo.
Non una finestra, né uno spiffero, o una luce. Niente.
Nero.
 
“Dove sono?” – gridò.
 
 
 
 
 
 
 
 
Ma quell’insolita voce continuava solo a chiamarla.
 
 
Ginevra...”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era una nenia, una musica dolce che rischiava di ipnotizzarla. Era così bella. Era così armoniosa. Quel tono, o forse quell’accento, la stavano rapendo. Ginevra si sentì fluttuare via, lontano da ogni confine del suo corpo; eppure doveva resistere, doveva rimanere cosciente. Se lo impose.
Ma la voce continuava, ancora e ancora e ancora di più, a pronunciare solo il suo nome come il più sensuale dei canti gitani.
E a Ginevra stava per mancare il respiro.
Poi un capogiro, gli occhi le si socchiusero. La trance in cui stava per sprofondare l’avrebbe vinta presto.
 
 
 
 
“Dove…dove so… – cadde in ginocchio, le braccia inermi distese – Non…non devo chiudere gli occhi. Non devo…cedere. Resisti…non devi…non devi lasciarla entrare…”
Continuava a ripeterselo con poca convinzione; tanta, invece, era quella sprigionata da quell’armonia di sirena.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ginevra…”
 
 
Non ce la faceva quasi più, non poteva farcela ancora per molto: con l’ultima parte di forze rimasta prese il primo oggetto che trovò, un vaso smaltato, e lo scaraventò nel punto da cui proveniva il canto.
Il vaso si ruppe e produsse un suono fracassante che la ridestò. Di colpo, la voce cessò e lei ne approfittò per guardarsi intorno.
Era in una stanza che non conosceva ma che poteva essere solo una.
“Che ci faccio nella Stanza delle Necessità? Rispondimi Bill! Dove sei?”
Ma, al posto della voce di Bill, rispose ancora quella sirena avvolta nell’ombra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bill non è qui. E tu devi restare con me, per sempre…”
 
“Chi sei? Cosa vuoi da me?” – Ginevra continuò a guardarsi intorno come un animale braccato, girando su se stessa. Eppure non riusciva a scorgere nulla che non fosse una sottilissima luce avanzare. La stanza era stata addobbata a dovere. Quella poteva essere solo una vendetta.
 
 
 
 
 
 
 
Voglio amarti…”
 
 
 
 
 
 
Una vendetta crudele.
 
 
 
 
“Cosa?” – la ragazza pensò di essere impazzita.
Voglio innamorarmi di te. E voglio che tu t’innamori di me, come è scritto che deve essere...”
 
 
Poteva essere solo pazzia, quella.
 
“Fammi uscire di qui! Oppure non avrò pietà. – cercò di atteggiarsi per quello che era: forte e sola - Sono una Mangiamorte e il mio potere non…non è nemmeno lontanamente paragonabile al suono della tua voce. Sarai anche in grado di ammaliare, ma io potrei ucciderti. E lo farò, se non ti riveli e non mi lasci andare. Subito!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La voce rise.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E lo fece più forte.
Amabilmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
E va bene. Prova pure. Prova ad uccidermi…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Uno sventolio di tende.
Un vento caldo.
E finalmente un lungo abito bianco.
Un imponente strascico si disegnò dal nulla su un corpo d’alabastro definito dalla notte.
Lunghi capelli scuri si posarono sulle spalle appena apparse, fino a raggiungere la vita della donna che, a passi lenti, ondeggiava sui fianchi come divinità in attesa.
 
“Hermione…” - solo adesso Ginevra capì perché quella voce l’aveva incantata tanto. Solo adesso la vedeva. Solo adesso aveva un senso.
Era lei.
Era l’unica.
 
 
 
 
 
 
 
 
Uccidimi adesso, se ne sei capace…
“Ma cosa dici? Dobbiamo uscire di qui e subito!”
 
 
 
La donna non si curò del monito; e sorridendo, arrivò a pochi metri da Ginevra.
Il suo viso era quello di sempre, perfettamente ridefinito.
I suoi occhi erano bianchi.
Bianchi.
Come la sua pelle, i suoi denti e il suo vestito.
Tutto di lei era talmente bianco che fuoriusciva da lei l’unica luce che illuminava la stanza.
Era lei.
 
 
 
 
 
“Hermione muoviti, maledizione! Come siamo arrivate qui? E perché sei vestita così?! Dobbiamo uscire e trovare Bill! Forse avevi ragione tu. Ci ho pensato, forse davvero lui c’entra qualcosa con tutto questo.”
 
 
 
 
 
 
Non puoi uscire di qui.”
 
“Hermione ma che dici? Sei impazzita? – un’altra paura colpì diretta il cuore di Ginevra, come freccia lanciata da una millimetrica balestra– Ti hanno fatto qualcosa…”
 
Puoi solo scegliere. Uccidimi o amami…” – ancora quella voce. Ancora quel sussurro di sirena. Maledettamente dolce.
 
 
 
Ginevra fece un passo indietro e si portò le mani alle orecchie: non riusciva ad ascoltarla e a pensare a qualcosa che non fosse lei. Le toglieva ogni forza, ogni ragionevole obiettivo. Le faceva dimenticare che dovevano uscire e subito.
 
“Smettila, ti prego…smettila!”
Non avendo altra facoltà intatta, Ginevra decise di utilizzare l’unica cosa possibile: il suo corpo, mentre la sua volontà iniziava a piegarsi irrimediabilmente.
Prese un baule senza lucchetto, ma stavolta era troppo pesante perché riuscisse a sollevarlo e romperlo.
Le mani le tremavano.
“Maledette mani!” - allora le adagiò sul legno. Si muovevano come elettrizzate, ma concentrandosi, riuscì a farlo esplodere. Altro rumore assordante.
La voce di Hermione si interruppe di nuovo, ma lei era ancora lì a guardarla dolcemente.
Per fortuna però non parlava più. L’incantesimo sembrava infranto; forse adesso sarebbe tornata in sé.
 
 
 
 
 
 
 
Un attimo di silenzio immobile.
Un attimo di respiro.
 
 
 
 
 
 
 
Ma poi.
 
Alle sue spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ginevra.
 
 
 
 
Si voltò si scatto: la fronte era madida di sudore. Uccidere un Mangiamorte non sarebbe stato così difficile.
“Chi c’è? Dimmi chi sei e facciamola finita! Perché ci hai condotto qui? Vieni fuori e combatti, codardo!”
Ma era tutto inutile e Ginevra non l’aveva ancora capito.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ginevra. – la seconda voce di donna incalzò, prese possesso della sua mente e continuava, continuava e non sembrava volersi fermare - Non parlare così alla tua padrona.”
 
 
 
 
 
 
“Io non ho nessun padrone…vieni fuori, maledetta!” – iniziò a pensare che rispondere potesse essere l’unico modo per vedere chi l’aveva portata lì, aveva poi incantato Hermione e adesso le stava costringendo a quel gioco perverso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
che ce l’hai. E non è quella Hermione, dolce fino alla nausea, che hai appena zittito. Lei è candida e ti amerebbe di un amore pulito. Banale. Io no. Io voglio conquistarti senza pietà e vederti cadere ai miei piedi, implorandomi. Io ti voglio, Ginevra Weasley, come il vagabondo dalla gola secca prega l’acqua nel deserto. E ti avrò. Qui, davanti a lei.”
 
 
Ginevra non capì, non capì nulla; si voltò ad Hermione che era ancora lì dietro di lei, ma che continuava a stare ferma con occhi bianchi e persi. E non si muoveva, non diceva niente, non l’aiutava.
E lei non riuscì a scioglierla da quell’immobilità.
 
Anche la seconda voce la stava guidando lontano, lontano chilometri infiniti da tutto, nella terra incontaminata del piacere, fosse anche solo per l’intensità con cui pronunciava il suo nome.
“Hermione aiutami!” – fu tutto quello che riuscì a dire con la disperazione dipinta in viso.
L’azzurro nei suoi occhi vacillò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lasciala e guarda me. Guardami, Ginevra.”
 
 
 
“No…” - si portò le mani agli occhi.
Inutilmente.
Mossa sbagliata. Prevedibile più di qualunque altra.
 
Quella nuova entità era così lussuriosa, così audace, così peggio della prima, che bastò sentirla sussurrare poche sillabe per desiderare di possederla.
E possederla brutalmente.
Non avrebbe mai rivelato quel pensiero ad Hermione, nemmeno se fossero riuscite ad uscire vive da lì; ed Hermione, del resto, sembrava essere solo una statua fissa dagli occhi bianchi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lasciala al suo destino e guardami. – la seconda donna emerse dall’oscurità opposta. Il suo abito era rosso. Rosso come il fuoco - Guardami Ginevra e, se ci riesci, dimmi che non mi vuoi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Rosso come il sangue che la Mangiamorte sentì ribollirle nelle vene, troppo piene.
Rosso come l’amore che aveva abbandonato il suo cuore, lasciando il posto ad un cieco pulsare più basso. Inguinale.
Rosso come il colore delle maledizioni quando sono pronunciate da labbra carnose.
Rosso come tutto ciò che riusciva a sentire.
Rosso.
 
Non c’era strascico in quella veste troppo aderente, ma uno spacco profondo e generoso da cui non si nascondeva una gamba tesa e liscia, perfettamente forgiata e galoppante verso di lei.
Pensò di essere pazza; e, forse, lo divenne davvero.
In quel momento, Ginevra avrebbe dato tutto per sentire quella donna sotto le sue mani. Così come avrebbe dato tutto per non desiderarla. Ma più la voce echeggiava nella stanza, più il vestito rosso si avvicinava aderendo a quelle cosce, più Hermione non reagiva…e più lei si perdeva in quell’infangato bisogno pulsante.
 
Voleva quella seconda donna più della prima.
Voleva sbatterla sul primo tavolo che avesse trovato in quella maledetta stanza.
Voleva farle male, e provarci piacere.
Voleva sentirla tremare ed invocare il suo nome mentre la trapassava senza pietà.
E non l’anima: non le importava niente della sua anima.
Il corpo. Solo le gambe aperte di quella donna. Solo le sue mani. Solo il suo centro esatto.
Il baricentro del desiderio.
 
 
Così la guardò, smaniosa di sapere quanto potesse essere svergognata. Al diavolo Hermione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se la vita si potesse racchiudere in un attimo, quello sarebbe stato, fra tutti, l’attimo da dimenticare. Quello da non raccontare a nessuno, mai.
 
Decise così di guardarla, una volta per tutte.
Incrociò occhi di brace, dipinti sul volto di un’altra Hermione.
 
 
Una lama ghiacciata la attraversò dalla fronte alle caviglie.
“Non…non è…possibile…”
 
 
 
 
 
 
 
 
Sì. – continuò la voce superba e sdegnosa, tra labbra rosse anche più del vestito – Non negarlo, non chiuderti in confini avvilenti che risucchiano la tua voglia di vivere. E vivere di piacere, come tu sai fare. Tu mi vuoi, mi hai sempre voluta. Hai sempre voluto sentirmi gemere sotto di te, sotto il tuo potere, sotto la tua mano esperta. Potevi avere chiunque, ma volevi me. Solo me. Hai sempre voluto prendermi con la forza, governarmi, come un marinaio con i mari che attraversa. Ed io voglio essere il mare in cui entrerai, una volta e poi ancora e ancora, che passerai e che ti travolgerà con il suo sapore di sale. Voglio essere tua, prendimi. Sono qui. Fammi tua, Ginevra. Fammi tua.”
 
 
 
 
Le parole uccidono.
Adesso lo capiva.
 
 
“No! No, tu…tu sei solo un trucco! Un’invenzione! – Ginevra trovò la forza di scostarsi da lei, allungando un braccio che però non partorì incantesimi. Non poteva, non voleva – Stammi lontana o…”
O cosa? – la figura dalle sembianze hermionesche, tracciate in maniera perfetta, avanzava come un felino appena liberato dalle catene. Vivido e voglioso – O mi toccherai? Sai che accadrà. Non puoi evitare di desiderarmi.”
 
 
“No…Io no! – Ginevra tese ancora il braccio – Allontanati da me o stavolta non mi fermerò!”
Non ci credeva nemmeno lei. Il suo viso diceva chiaramente che quelle parole non venivano dalla sua bocca.
 
 
La donna dovette accorgersi della sua esitazione e proseguì: arrivò a Ginevra e aderì perfettamente col suo seno alla camicia della Mangiamorte, guardandola da vicino.
Troppo vicino. Un respiro.
Un respiro di distanza.
Voglio sentirti, adesso. – poi quelle labbra più vicine – Di più.”
 
Più vicine.
 
 
 
E ancora.
 
 
La nebbia avvolse tutto, ogni idea, ogni ricordo.
La matrona continuava a parlare con la voce di Hermione, a sbattere le ciglia come faceva Hermione, a sorridere come faceva Hermione. Continuava ad avere i suoi fianchi e l’abito mostrò a Ginevra che anche la curva del seno era di Hermione.
Era tutto di lei, era come lei.
Era lei.
Eppure non aveva mai sentito Hermione parlare così.
E l’altra allora? Cosa ne era dell’altra Hermione bianca?
Si girò a guardarla: era ancora ferma.
 
Poi tutto precipitò.
 
L’erotica Hermione le prese una mano; Ginevra era del tutto inerme ormai: non poteva niente contro di lei. Niente.
Non ci poteva essere magia che tenesse.
Hermione le succhiò l’indice con lentezza asfissiante, baciò il palmo con troppa lingua e se lo portò sul seno, superando l’ostacolo rosso della veste.
La sua pelle era calda.
Bollente.
Tutto urlava il bisogno di stringere.
 
 
E Ginevra, assuefatta della sua droga prediletta, strinse.
 
 
 
 
 
 
 
A quel tocco, così tanto provocato quanto voluto, la stanza parve farsi poco più luminosa; si formarono figure nuove, tutte intorno.
La prima Hermione riprese vita e portò avanti il suo strascico; al suo fianco, decine di altre Hermione si avvicinarono per congiungersi poi verso centro, dove la regina delle controfigure aveva raggiunto il suo obiettivo.
 
 
 
 
 
La donna vestita di bianco arrivò alle spalle della dama rossa. Aveva un calice in mano.
 
 
 
 
Aspetta Hermione. Prima che ti possegga, lascia che Ginevra riacquisti le forze necessarie e possa così soddisfarti come meriti.
 
Ginevra mosse gli occhi per vedere cosa accadeva intorno.
Avrebbe preferito perdere i sensi una volta per tutte e non essere condannata a ricordare per sempre quella scena: era il peggiore dei sogni e il più bello degli incubi.
 
La matrona rossa non si oppose alla richiesta; cedette il posto alla dama bianca che, dopo aver tolto la mano di Ginevra dal vestito rosso, le porse il calice.
Ginevra non ragionava più. Tutto intorno girava e lei vedeva solo quella dama rossa che aveva tutto di Hermione, unita a tanta eccitante sfrontatezza.
Bevi e saremo tutte tue. L’assenzio ti darà la forza…
A quelle parole, un ricordo si accese nella sua mente. E il cuore tornò a picchiarle in petto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Erano cadaveri di uomini e donne, di Mangiamorte che si erano sacrificati per provare a farla fuori.
Era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto.
Uccidere Hermione tante volte.
Così tante volte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La torre di Corvonero era vuota. Almeno in apparenza.
Eppure lì doveva esserci l’ingresso: ne erano sicuri, avevano studiato ogni zona della torre e quella era l’unica possibile. La migliore per scegliere di non essere trovato troppo facilmente. Il miglior posto per un nascondiglio o, peggio, una stanza d’esecuzione.
 
“Eccoci, è questa! Ne sono certo.”
Ron martellò sulla porta di imponente legno nobile. Per essere un ingresso da tenere nascosto, dava parecchio nell’occhio.
“Ginevra!” – Hermione lasciò ogni prudenza ed urlava, mentre colpiva con tutte le sue forze quel legno. Ma capì presto, e molto prima di Ron, che non sarebbero riusciti ad entrare facilmente.
Provò anche con la magia, ma non servì a molto. La porta ebbe solo qualche taglio.
“Ginny! Ginny!” – nemmeno la forza di Ron fu sufficiente, né la sua voce.
La porta della Stanza delle Necessità era chiusa dall’interno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nessuno poteva sentirli, oltre lui. Erano soli.
Bill Weasley era in piedi di fronte ad una finestra che dava sul cortile. Vedere tutta quella feccia esultare come se avessero veramente vinto gli faceva saltare i nervi.
Con la mano destra impugnò la bacchetta, con il piede destro premeva sulla gola di Ginevra.
Lei, dal canto suo, non rispondeva. Era svenuta.
 
“Non preoccuparti, sorellina. La tua ora è quasi giunta. – e, con evidente eccitazione, premette ancora di più.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Non si apre Hermione, è inutile. Non si apre!”
“Ci deve pur essere un modo! – scalpitava la strega – Ginevra è lì dentro!”
Ron si spostò i capelli dal volto; iniziavano ad essere troppo lunghi.
“Non si sente niente!”
“Ti ho detto che è lì!”
“Potrebbe essere ovunque.”
“No, è lì! Io lo so. – disse Hermione, scandendo ogni parola come se fosse l’ultima di tutta una vita – E la tirerò fuori a qualunque costo.”
 
 
 
 
“Spostatevi! Toglietevi di mezzo!”
 
 
Ron si voltò al rimbombo della voce di Draco che gli raggiunse improvvisamente il timpano.
Il ragazzo biondo correva verso di loro brandendo la bacchetta.
 
Ma non fu per lui che Weasley spalancò gli occhi.
 “Harry…”

Al sussurro di quel nome, anche Hermione tornò alla ragione. La ragazza girò su se stessa e li vide arrivare.
Dopo tutti gli anni trascorsi, Draco Malfoy ed Harry Potter continuavano ad essere un’accoppiata veramente difficile da capire.

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Phoebus