Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Segui la storia  |       
Autore: Evee    04/04/2015    0 recensioni
Talvolta, può accadere qualcosa d'imprevisto che sconvolge i tuoi piani. Normalmente si tratta di un caso isolato, ma se così straordinario da determinare un cambiamento si ripeterà ancora, fino a trasformare l'eccezione in regola. E, allora, può essere che si inizi a guardarlo con occhi diversi, e che col tempo si arrivi persino ad amarlo.
§ storia partecipante allo “Slice of life contest!” indetto da MistyEye sul forum di EFP § dal testo di ciascun capitolo: Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse... ~ Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita. ~ Lui era un panorama di cui non si stancava mai. ~ Quegli occhi, erano talmente meravigliosi che le sarebbe bastato un solo sguardo, per conquistarlo. ~ Assurdo: si era innamorata di un riflesso. ~ Lei, desiderava averla ogni giorno con sé. ~ La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata. ~ La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre. ~ “Ci siamo già conosciuti, ricordi?” § blueshipping §
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~ da quel giorno in poi

 

“Lei ti guarda negli occhi,
e tu vedi l'anima gemella che ti ha accompagnato attraverso i secoli.”
Brian Weiss

 

ImagesTime.com - Free Images Hosting

through his eyes ~

 

How can I let you know
I'm more than a dress and a voice?
Just reach me out then
you would know that you're not dreaming

 

Un giorno, finì per compiere un gesto così ridicolo e disperato che lui stesso stentò a crederci, che avesse funzionato per davvero...

E ci aveva pure messo del tempo, per idearlo. Si era arrovellato per giorni, su quale pretesto avrebbe potuto utilizzare per entrare in contatto con quella ragazza. Ma, quanto a tecniche di corteggiamento, il suo repertorio era tanto desolante quanto la sua esperienza in materia inesistente. E, ancora più a monte, non avrebbe neppure saputo come avviare con lei una qualsiasi conversazione in maniera noncurante, per cui figurarsi riuscire a sostenere un intero dialogo. Cioè, ne era perfettamente capace, ma solo se si trattava di parlare realmente. Non di imbastire un vuoto chiacchiericcio sul tempo, o su qualunque altra ovvietà alla gente piaccia discorrere pur di dare aria alla bocca. La sua, non era fisiologicamente programmata per pronunciare ipocrisie, né aveva intenzione di cambiare il proprio sistema operativo. Non avrebbe simulato interessi che non aveva, e che ancor meno desiderava avere. Non si sarebbe finto diverso, specialmente se si trattava di prendere le persone cosiddette “normali” ad esempio, perché il solo pensiero di abbassarsi al loro livello gli faceva ribrezzo: lui era fiero di non essere come nessun altro, di essere se stesso, e tale sarebbe rimasto. Voleva piacerle così com'era, per intraprendere con lei un rapporto vero, non una recita inconcludente.

Prendere o lasciare.

Era rischioso, però confidava che la sua sarebbe stata una scommessa vincente. Che una volta mostrato cosa aveva da offrirle, lei avrebbe scelto di prendere. Lui era infinitamente meglio di qualunque altro ragazzo avrebbe mai potuto conoscere, e le loro anime si appartenevano a vicenda da millenni, perciò l'avrebbe preso... giusto?

Giusto.

Peccato però che le convenzioni sociali richiedessero quantomeno dei preamboli cui, suo malgrado, era costretto ad attenersi, perché con un approccio troppo diretto avrebbe rischiato di spaventare così tanto la sua preda da farla scappar via subito a gambe levate. Al liceo era stato più e più volte testimone di quanto poco le ragazze gradiscano ricevere delle attenzioni troppo sfacciate da parte di perfetti sconosciuti, poiché nella maggior parte dei casi tendono a contraccambiarle solo con dell'indifferenza, se non con un vero e proprio sdegno quando non hanno neppure la decenza di dissimulare i loro squallidi doppi fini. Gli unici ragazzi che riuscivano nei propri intenti non erano quelli che sparavano inutilmente a distanza, ma quei pochi cacciatori esperti che sapevano attirare il loro obiettivo sotto sembianze all'apparenza invitanti ed inoffensive, e che vi gettavano la rete soltanto come seconda mossa. Quella era indubbiamente la migliore delle strategie, in quanto volta non ad intrappolare, ma ad assicurarsi una cattura di fatto già conquistata con il previo superamento della sua iniziale diffidenza.

In altre parole, gli serviva un'esca per riuscire ad attrarla a sé, per avvicinare la sua balena bianca abbastanza da poterla arpionare con successo.

Sfortunatamente l'ambiente circostante non gli offriva affatto molti appigli validi cui legare il proprio amo, né quegli ampi spazi di manovra di cui avrebbe necessitato per lanciare la canna da pesca... Tuttavia, un giorno ebbe modo di assistere all'esecuzione di una tecnica che faceva proprio al caso suo, perché richiedeva soltanto una lenza adeguatamente lunga e mani sufficientemente ferme nel ritirarla. Inoltre, se effettuata con tempismo e precisione era assolutamente infallibile.

Dunque, decise che sin già a partire da quello successivo si sarebbe presentato sull'abituale luogo d'avvistamento munito di tutta l'attrezzatura necessaria, e poi posizionato sul proprio molo in paziente attesa del momento più propizio per servirsene. Ovvero, doveva aspettare l'occasione in cui si sarebbe avvicinata da sola, anziché attorniata da altri banchi di pesci ben più rapidi ed affamati di lei, che avrebbero anche potuto divorare al suo posto l'unica esca di cui disponeva. Non poteva certo permettersi di sbagliare, confidando su altre occasioni: quello era un trucco di cui ci si poteva servire efficacemente per non più di una volta.

E, evento per lui più unico che raro, la sorte decise persino di andargli incontro.

Un aiuto su cui in genere non confidava neppure, preferendo appellarsi esclusivamente sulle proprie capacità, ma che comunque non guastava mai. Anzi, considerata la sua abilità pressoché nulla, si può dire che fu proprio la classica fortuna del principiante.

Prima ancora che potesse comparire dalle porte dello scompartimento si era già premurato di avere lo sguardo abbassato, fingendo di consultare la propria agenda quando, invece, era su di lei che stava tenendo rivolta tutta la sua attenzione. Non erano saliti altri passeggeri, né c'era altra gente in mezzo al corridoio, dunque vantava la migliore delle visuali e condizioni ambientali pressoché ottime, che non poteva proprio permettersi di sprecare. Attese che gli si avvicinasse abbastanza, e quando fu a pochi passi di distanza da lui passò all'azione: richiuse di botto l'agenda e la lanciò sul sedile accanto, per poi fare altrettanto con la sua stilografica. Ma, se l'appoggiò sopra la copertina, fu soltanto per poterla spazzar via nel ritirare indietro la mano. Come se il suo gesto fosse stato troppo brusco e frettoloso, ed avesse finito per farla scivolare a terra.

Per la precisione, facendola cadere in mezzo al corridoio, volutamente ai piedi della sua ragazza dagli occhi blu.

In realtà, per un orrendo attimo temette di aver sbagliato mira e di avergliela lanciata proprio sui piedi, ma dato che lei stava tenendo gli occhi abbassati e, dunque, badando a dove li stava per appoggiare, riuscì comunque ad evitarla, peraltro con una prontezza di riflessi alquanto notevole. Tuttavia neppure allora se la sentì di tirare un sospiro di sollievo, perché la sua stilografica, lungi dal fermarsi dove avrebbe voluto lui, iniziò a rotolare indisciplinata per il corridoio.

Questo era un inconveniente che non aveva affatto previsto.

Forse l'aveva scagliata con un po' troppa foga. Forse avrebbe dovuto mettere in conto una simile eventualità, ed utilizzare una qualunque, anonima penna a sfera dal corpo squadrato e dotata di cappuccio con fermaglio, anziché la sua stilografica preferita, perfettamente liscia e incapace di creare il benché minimo attrito...

Ne fissò raccapricciato il moto, che sembrava far apposta ad accelerare sempre più ad ogni suo sempre più perentorio ordine di arresto. Curando che non finisse dispersa in chissà quali meandri del vagone, ed augurandosi che non venisse raccolta da nessun altro essere di sesso femminile presente nei paraggi... Perché di certo quelle tizie che mai cessavano di ronzargli attorno non avrebbero esitato a mandare a monte il suo piano, pur di potergli saltare addosso con la scusa di restituirgliela. Quest'ultima prospettiva lo terrorizzò ancor più della prima, e quando se la prefigurò ci mancò poco che si lasciasse sfuggire dalle labbra un qualche impropero. Ma riuscì a trattenersi, e riuscì persino a sedare la ribellione di quell'anarchica, che finì per deporre le armi sotto a un sedile neanche l'avesse appena costretta a fermarsi con la forza del pensiero. E, come si era auspicato, quella ragazza gentile si affrettò a recuperargliela, raccogliendola tra le sue mani premurose.

Aveva abboccato.

Questa volta, dovette costringersi a reprimere un'esultazione. Sarebbe stato quantomai inopportuno, deconcentrarsi proprio nel momento più delicato, quello in cui doveva riavvolgere il suo filo da pesca con attenzione, per recuperare l'amo senza farsi sgusciare via quanto appena catturato. Dunque, mantenne il controllo. Continuò a seguirne i movimenti mentre si voltava e si avvicinava a lui, pronto ad approfittare di qualunque suo sguardo, gesto, parola... qualunque cosa. Non se la sarebbe fatta sfuggire, nossignore.

Così non smise un solo secondo di fissarla, quasi senza sbattere le palpebre, benché lei perseverasse nel tenere gli occhi abbassati, evitando accuratamente di guardarlo persino quando gli arrivò davanti. Si era aspettato che almeno allora lo facesse, anche solo per attirare la sua attenzione... Ma, d'altro canto, non aveva alcun bisogno di farlo: ce l'aveva già tutta, gliel'aveva fatto capire e, dunque, doveva esserne più che consapevole.

Inoltre era già piuttosto impegnata nel fissare l'oggetto che teneva ben stretto in pugno, con un'inquietudine quasi palpabile. Turbata come se qualcuno le avesse appena consegnato l'arma di un delitto che non si poteva certo permettere d'abbandonare in giro, di cui però premeva comunque liberarsi al più presto. Per un attimo fu tentato di allungare una mano per sollevarla da questo peso, di incitarla ad affidarla a lui, ma le frasi che gli vennero in mente a tale scopo gli suonavano tutte come una rivendicazione, un comando, se non una vera e propria minaccia. E nessuno di questi tre toni assomigliava neppure lontanamente a quello di cui si voleva servire con lei. Forse avrebbe dovuto pensarci prima, a quale utilizzare, ma non era sua consuetudine ricorrere a frasi fatte o espressioni preimpostate. Non gli servivano, si era sempre limitato ad esprimere i pensieri del momento, senza troppi filtri...

Però in quel caso era diverso: gli importava della persona che aveva davanti, non voleva allontanarla da sé in modo scortese, brusco o violento. E comunque non avrebbe neppure saputo quale dei suoi pensieri comunicarle, perché quand'era vicino a lei quelli gli si sovraffolavano in testa, volubili, concitati e inafferrabili. Il solo suono costante, distinguibile con chiarezza, era il battito imperioso proveniente dal suo cuore. E non come gli capitava dopo una lunga corsa, era completamente diverso: non gli stava affannando il respiro, glielo stava proprio mozzando in gola. Una condizione in cui lui non si trovava affatto di frequente, praticamente mai, ma che riuscì comunque a riconoscere all'istante.

Era agitato.

Incredibile... Quella ragazza, così semplice e modesta, deteneva su di lui abbastanza potere da metterlo in agitazione, da farlo sentire in soggezione. E non certo con i suoi modi, bensì con la sua stessa presenza. Né era lei in quanto tale a farlo sentire a disagio, ma la sua intima consapevolezza che la giovane al proprio cospetto non era affatto una popolana qualunque; a dispetto delle sembianze, quella era l'ambasciatrice di un regno, dell'unico reame che avesse mai aspirato annettere al proprio. E poiché non l'ambiva per mere velleità espansionistiche, ma perché necessario al suo benessere, non poteva conquistarlo con le armi... L'avrebbe solo distrutto, devastato irrimediabilmente, e lui non voleva né mettere a ferro e fuoco i suoi villaggi, né in fuga i suoi abitanti. Ciò che desiderava era abitarli, popolarli, convivere con essi. Era semmai consigliabile accoglierla benevolmente alla sua corte, stupirla con la munificenza del suo palazzo ed allettarla con i vantaggi che avrebbe potuto trarre dalla loro unione, finché non fosse stata lei stessa ad auspicarla per prima. Non doveva lanciarle un ultimatum di guerra, ma intavolare con lei delle trattative di pace, stipulare un'alleanza di comune accordo...

Ma, nel mettere in pratica questi suoi intenti, si era ritrovato impedito, bloccato da un problema insormontabile: pur con tutta la sua autorevolezza, lui non era altro che un despota avulso, completamente inesperto dell'arte della diplomazia.

Lei, però, sembrava padroneggiarla con una certa maestria perché, pur non osando sollevare il capo che aveva abbassato di fronte al suo trono, lo liberò dall'imbarazzo dei cerimoniali prendendo la parola per prima.

-Le è caduta la stilografica...-

Gli aveva reso omaggio in modo formale, ma privo della benché minima traccia di viscido ossequio. Cortese per pura gentilezza, non per accattivarsi le sue simpatie o per rendersi ridicola cercando di sedurlo. E gli parlò con un tono sommesso, umile, ma scandendo nitida ogni sillaba. Come se non si fosse limitata ad una banale considerazione su un fatto cui tutti i presenti avevano assistito, bensì intendesse ricordargli un avvenimento che coinvolgeva soltanto loro, e dunque mantenere quel dialogo riservato, strettamente confidenziale.

Così, grazie a quel clima d'intimità e rievocazione che lei aveva appena creato, acquisì piena consapevolezza di quanto voleva comunicarle, e di come doveva farlo.

-Ti ringrazio.-

E si era fatto suggestionare a tal punto che, subito dopo, realizzò di averla appena ringraziata per un gesto che lei non solo non aveva compiuto di persona, ma di cui non si poteva neppure ricordare, e con un trasporto davvero eccessivo per il significato più superficiale che doveva aver attribuito alle sue parole, fraintendendone il senso. Però, al tempo stesso, il solo pronunciarle nell'accezione che intendeva lui l'aveva come liberato di un peso gravoso, e gli diede l'impressione di essere riuscito ad esprimersi nel modo più adatto, col miglior tono di cui era capace. Ed ebbe la certezza che si trattava di quello giusto quando lei, in risposta, sollevò finalmente il viso e gli permise di baciare i suoi occhi con lo sguardo.

Come già si era immaginato, quel suo oceano blu dalle onde scintillanti era per davvero il mare più bello in cui avrebbe mai potuto tuffarsi.

E senza alcun bisogno di tagliarne poi a bracciate i flutti per non esser travolto, o di trattenere il respiro in apnea per non annegare nelle sue profondità, perché la corrente era così placida e l'acqua talmente limpida che riusciva a cullarlo con rassicurante dolcezza, e a convincerlo che poteva mantenersi a galla senza la minima fatica, senza alcun timore. Tutto ciò che doveva fare era abbandonarsi a lei, fidarsi del suo sostegno, lasciarsi condurre dalla marea. Godendosi la sensazione, e rimirando il baluginio di quella luce che tanto rispecchiava, senza ferirgli mai lo sguardo.

E non solo lo guardò com'era buona educazione fare, ma gli sorrise. Gli dedicò il sorriso più dolce e luminoso che gli avessero mai rivolto. Quello, non rappresentava affatto una cortesia obbligata, ma un regalo fatto col cuore. Bastò riceverlo e, all'improvviso, si sentì ripulito da tutta la salsedine che gli si era intrisa sulla pelle, ricordo sgradevole delle troppe acque salmastre in cui era stato costretto a nuotare prima di raggiungere le sue, e così ghiacciate da attraversare, talmente ostili da affrontare, che ne era riemerso con le membra completamente gelide e paralizzate. E poi, lo disperse un attimo dalle labbra per pronunciare alcune parole, per rassicurarlo che quel dono era davvero per lui.

-Di nulla: è stato un piacere.-

Ancora una volta, ebbe la netta impressione d'intrattenere con lei una conversazione in un linguaggio in codice, che si serviva delle frasi più banali per poter mettere in comunicazione le loro anime. Come se gli avesse confessato che non aveva affatto scelto di salvare la sua dal naufragio per senso del dovere, né per ricevere qualcosa in cambio, ma soltanto perché, tra tutti, ci teneva a riportare proprio lui a riva, e che il peso con cui l'aveva gravata fino a sfinirla nella traversata non l'aveva affatto sorretto con uno sforzo penoso, ma con amorevole abnegazione.

Così, riuscì a sorriderle anche lui, e lo fece dal più profondo del cuore. E, quando lei gli tese la mano, la prese salda e senza esitazioni, completamente dimentico del vero motivo per cui gliela stava porgendo. La raccolse subito senza neppure aver bisogno di abbassare lo sguardo, perché la sua vi si sovrappose alla perfezione, avvolgendola interamente ed aderendo completamente a quella pelle liscia, morbidissima al tatto.

Ma anche così infreddolita.

Tuttavia, non ebbe modo di stringergliela abbastanza per potervi porre rimedio, perché subito lei sussultò, interrompendo il loro contatto visivo per andare a concentrarsi su quello fisico che lui aveva appena instaurato, e in un modo che molto probabilmente era apparso ai suoi occhi quasi come un'invasione. Doveva interromperlo, prima che lo diventasse per davvero, e doveva farlo in fretta: se l'avesse prolungato ancora, avrebbe finito per trasformarlo in un'occupazione vera e propria.

Anche se non voleva.

Anche se non gli sembrava nemmeno di essere fisicamente in grado di separarsi da lei, proprio come gli era accaduto la prima volta che gli era stata mostrata la carta del Blue-Eyes White Dragon ed era stato costretto ad un enorme sacrificio, ad un incredibile sforzo di volontà per riuscire a restituirla al legittimo proprietario...

La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre.

Al suo posto, si dovette accontentare di una stilografica così insulsa ed insignificante che, quando lei si accomiatò per andarsi a sedere, si diede dello stupido per essersi fatto fregare in quel modo, per aver accettato quello scambio senza neppure cercare di mercanteggiare più a lungo, di spuntare condizioni migliori.

Così, non appena fece per scendere dal mezzo, lui le si rivolse insoddisfatto, pronto a manifestarle tutte le sue rimostranze al riguardo. Allora, però, quell'abile venditrice riuscì a sedare sul nascere ogni sua lamentela, perché per la prima volta lo guardò anche lei, e gli offrì persino un lieve sorriso, anticipandolo con una controproposta davvero troppo invitante per poter essere rifiutata e che, per l'appunto, accettò senza incertezze, sorridendole di rimando. E, come si vide ricambiare in modo ancora più entusiasta, realizzò di essersi sbagliato, di potersi considerare invece pienamente soddisfatto...

Aveva appena prenotato un posto nei suoi occhi luminosi, stipulato un abbonamento al suo dolce sorriso.

E quando il giorno dopo gli vennero recapitati entrambi con puntualità e precisione, ne ebbe la conferma definitiva, e seppe che avrebbe potuto confidare sulla loro consegna anche per quelli successivi. Non rischiava d'altronde alcuna disdetta improvvisa, fintantoché avesse continuato a dimostrarle per fatti concludenti quant'era interessato ai suoi preziosi servigi...

Il miglior affare che avrebbe mai potuto concludere.

 


 

N/A - H^o^la!

E così, il caro Seto è riuscito finalmente a conquistare la sua madamigella... o, almeno, questo è quello che pensa lui. Ma lasciamoglielo credere, è meglio...

By the way, è ufficiale che ho una vera e propria mania congenita per le metafore, per cui in questo capitolo ho finito per assecondarla senza risparmiarmi minimamente. Spero che la lettura sia risultata lo stesso chiara e scorrevole, ma per ogni problema di decodifica non avete altro che chiedere.

Infine, ci tengo a fare una precisazione sulla citazione con cui ho aperto il capitolo. E' tratta da “Molte vite, un solo amore”, un libro incentrato tutto sul tema delle anime gemelle che si reincarnano nel tempo. Mi ci sono imbattuta solo dopo aver già terminato la stesura, ma quando ho iniziato a sfogliarlo sono stata letteralmente folgorata nel ritrovarci dentro proprio ciò che volevo esprimere non solo con questo episodio, ma con tutta la mia storia. Dato che non posso citarlo per intero mi limito a contestualizzare la frase che ho menzionato, riprendendone il passaggio:Lui ti prende la mano per la prima volta e la memoria di questo tocco trascende il tempo, e fa sussultare ogni atomo del tuo essere. Lei ti guarda negli occhi, e tu vedi l'anima gemella che ti ha accompagnato attraverso i secoli. Ti senti rivoltare le viscere. Hai la pelle d'oca. Tutto, al di fuori di questo momento, perde importanza”.

Grazie come sempre di essere qui, e appuntamento a sabato prossimo!

XOXO

- Evee

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: Evee