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Autore: aniasolary    04/04/2015    6 recensioni
Natalie Truman, diciannove anni, buone intenzioni e scarsa capacità a far andare le cose come vorrebbe, non ha paura della vita. Tra sogni difficili, l’amore per un ragazzo irraggiungibile, impropri pasticci e situazioni imbarazzanti, il desiderio di diventare grande e sentirsi grande si fa sentire, rendendo il suo nido famigliare sempre più opprimente.
Il mondo è ai suoi piedi.
Al tempo stesso, quel mondo può caderle addosso.
L’unico modo per affrontarlo è cominciare a camminare con le proprie gambe, sperando di non inciampare nelle sue stesse scarpe.
«Un po’ per volta, il dolore se ne andrà. Non dimenticherai niente, ma starai bene. È un po’ come ricominciare a scrivere una melodia, ma senza cancellare le note precedenti. Con l’esempio del vecchio, puoi metter su davvero qualcosa di nuovo e migliore.»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Another people in another places
 
#UNO.
Arthur Philip Benkinson
Just a castaway
An island lost at sea
Another lonely day
With no one here but me
More loneliness
Than any man could bear
Rescue me before I fall into despair
Message in a bottle - Police


 
Guardo il foglio giusto il tempo di un pensiero, sette, otto, nove secondi. Nella mente la soluzione si svela semplicemente, in fasi veloci che devo solo spiegare. Dieci secondi.
«Perfetto.» Faccio un piccolo colpo di tosse. «Si esplicita, in quest’equazione, una delle variabili o in generale, una stessa quantità, ottenendo così di poter eguagliare i secondi membri che risulteranno indipendenti dalla variabile esplicitata per la proprietà transitiva dell'uguaglianza, l’abbiamo studiata la settimana scorsa, no? L'equazione così composta la potrai riscrivere al posto di una delle due precedenti, ottenendo un sistema equivalente. Facile.» Comincio a tracciare le varie fasi con la matita. «Hai capito, Nat?» Sollevo il volto a guardarla.
Natalie, quindici anni compiuti da poco, i capelli sollevati per comodità ma con qualche ciocca castana a sfiorarle lo zigomo, mi guarda con la mano posata sotto il mento, gli occhi allungati verso l’esterno, le ciglia scure che sembrano quasi perdersi – come a volte mi perdo anch’io – nel marrone profondo dei suoi occhi.
«Mhm?» Muove di poco le labbra, sottili ma a forma di cuore, lucide alla luce del lampadario.
«Natalie… ti ho chiesto se ti è chiaro.»
Sbatte le palpebre, come interdetta. «Oh… oh, certo,» fa lei.
«Allora vuoi provare tu a risolvere il sistema?»
A Natalie cade la penna di mano, come se avesse le dita di cioccolato; mentre la plastica tintinna sul legno lei si mette più composta sulla sedia. «Eh… ehm, ecco, magari se lo fai prima tu ed io guardo come fai, capisco meglio.»
Storco la bocca nell’incertezza e mi carezzo il mento. Stamattina ho dimenticato di farmi la barba, devo sembrarle davvero uno scappato di casa, attraente al massimo per un cieco. E sono un idiota, perché il parere di Natalie è l’unico che conti davvero per me e mi chiedo, chissà a cosa pensa quando le sono accanto, chissà come mi ricorda quando io non ci sono, chissà se ha davvero bisogno di me come io ho bisogno di lei. In altre circostanze le cose succedono senza che io muova un dito, senza che io l’abbia chiesto: è come star seduto a una tavola imbandita in cui una portata è più buona dell’altra ed io sono sazio, mangio ma senza gustarmi nulla, ho nausea di tutto questo cibo. Quando chiedo dell’acqua, la mia eco si diffonde per lo spazio senza che io riceva risposta. Sono circondato dal deserto: tutto quello che mi fa resistere e alzarmi da tavola e camminare  – e correre, correre a perdifiato – non è altro che il miraggio di una sorgente.
Ed io morirò di sete.
 «Ne sei sicura?» le chiedo.
«Certo che sono sicura.»
Natalie mette entrambe le mani sotto il mento, con i gomiti sul tavolo, e si solleva leggermente per avvicinare il viso al foglio; sta sorridendo come mai ha sorriso di fronte a un elenco di esercizi.
Sta sorridendo e per un attimo mi sembra di non essere più assetato.
Il ciuffo dei suoi capelli mi sfiora la fronte mentre io chino la testa per mettermi a lavoro, eppure l’immagine di lei mi resta impressa più di qualunque ragionamento logico.
Sta diventando grande ed io voglio fermare il tempo – è un uomo? Un animale? Un concetto fisico? Un tempo era Jade… Jade era tutto il Tempo che avevo – qualunque cosa sia voglio tagliargli la strada e dirgli “fermati! Ti prego, fermati! Non farla crescere… non farla crescere… succhiami via l’anima ma non farla crescere.”
Vorrei che tutto nella sua vita sia già risolto. Avere i fogli con tutti i problemi che incontrerà e darle già la soluzione.
«Ho chiesto a mamma di cucinare l’arrosto, stasera,» mormora lei, con una voce da bambina. «Sono stanca della cucina francese! Con quei piatti piccolissimi… io la sera ho fame, porca puzzola.»
Mi metto a ridere, scuoto la testa, potrei ascoltarla e guardarla per ore senza mai avvertire stanchezza.
«Ho chiesto anche di preparare la crostata alle fragole. Perché ti piace,» aggiunge.
«Non posso restare a cena stasera. Scusami, Natie,» dico, con sforzo.
Sospiro affranto.
«Hai un appuntamento? » mi chiede, con una risata acutissima, e gira la testa.
Non riesco più a vederle il volto. «Sì, ho un appuntamento,» dico tutto d’un fiato.
«Ah.» Natalie mi guarda negli occhi e mi sento indagare, da quello sguardo e da lei, nel modo più puro che esiste; eppure dentro ci colgo un disagio, un senso di malore, di sbagliato, che non riesco a risolvere. «È una bella cosa.»
Un’equazione impossibile.
«Sì,» le dico. «Magari te la presento.»
«Ed è molto carina?» mi chiede, sbattendo le ciglia, un sorriso in volto, gli occhi ora lucidi forse per il riso. «Come quelle modelle di intimo con le tette grosse che si vedono sui cartelloni? Com’è che si chiamano… gli angeli di Victoria’s Secret… anche detti assassini dell’autostima di povere adolescenti tra cui Natalie Truman…»
Rido ancora, a volte sa essere così sfacciata che non so proprio come risponderle. «Tu sei bellissima. E se è per questo, non l’ho vista in reggiseno.»
«Ma lo farai, no? Vi toglierete tutti i vestiti.»
Questo riesce a farmi smettere di ridere quasi all’istante, finisco a fare un po’ di tosse per salvarmi dal silenzio. Perché il silenzio sembra quasi l’unica alternativa, adesso.
Qualche anno fa ero indeciso se regalarle barbie magia delle feste o le monster high, adesso accenna al sesso.
«Non dovremmo parlarne,» le dico, e spero che non capisca quanto mi imbarazza glissare su un argomento che non sarebbe dovuto venire fuori.
«Perché non dovremmo parlarne?» insiste.
«Perché sono qui per aiutarti a studiare.»
«Ma non sono una bambina e so come vanno le cose.» Distoglie il suo sguardo dal mio, ha le guance arrossate. «Tanto nessuno riesce a rendersene conto,» continua, si passa una ciocca di capelli dietro le orecchie. «Okay, sei qui per aiutarmi a studiare, allora continuiamo a studiare…»
«Non sono qui solo per aiutarti a studiare,» sbotto. Vorrei tanto scuoterla per le spalle e dirle che mi ha in pugno, anche se non lo sa. Non so come può, così piccola, avere controllo, potere, così tanta influenza su di me. «Sono qui perché ti voglio bene. Ti seguirei fino all’inferno se dovessi trovarti solo lì.»
Natalie torna a guardarmi, una crepa mi si apre nel cuore. Sta diventando così bella.
«Se continuo per questa strada dovrai venirmi a prendere davvero dall’inferno,» mormora.
«E perché? »
«Se vengo rimandata in Matematica mamma mi uccide.»
La tiro verso di me, una mia mano sulla sua spalla ed ora l’altra sua spalla contro il mio petto, il suo maglioncino contro la mia camicia. Il calore della pelle. «Se lo vuole fare, io faccio da scudo umano.»
«Okay,» dice con una voce sottile sottile.
«Ehi, ti ho stretto troppo?» Sciolgo l’abbraccio, piano, finisco per accarezzarle i capelli e non mi resta altro che aria. «Scusami,» le dico con un sorriso.
«Sto bene.»
La guardo, senza la minima intenzione di dedicarmi ad altro per il resto di questo lungo minuto. «E questo è l’importante.»
Che Natalie stia bene.
***
Il mio gruppo d’uscita è di venti persone ma io parlo a mala pena con la metà di loro. Ora c’è anche un’altra ragazza – e spero che resti, spero di farcela, spero di riempire lo spazio bianco che mi ha lasciato la vita con qualcosa che di dolore ha solo il non essere: la sua assenza.
Mentre cammino tenendole la mano mi torna alla mente il pensiero di come Liverpool possa essere una città gioiosa, nonostante i vari disastri che hanno preso me e prendono tanti altri ogni giorno. È logico: lo sfondo fa sempre la sua parte nelle tragedie, tutto perché il ricordo resti vivo, immortale come solo il passato può essere.
«Eh già, dovrò proprio rassegnarmi all’idea di avere un ragazzo pensieroso.» Volto la testa verso di lei, che fa un’alzata di spalle e mi riserva un sorriso tirato. Mi piace guardarla. Non mi fa pensare a niente.
«Scusami, mi hai chiesto qualcosa?»
«Non ti ho chiesto niente, ti stavo solo guardando,» ammette.
Focalizzati. Guardala meglio. Provaci. Ha una fossetta alla guancia destra, si vede sempre; imparerò a ricordarmene. Quando mia madre mi chiederà com’è questa ragazza me ne ricorderò.
«Sei bellissima,» le dico. Lei arrossisce.
«Indovina chi suona stasera al pub?» mi chiede.
«Chi?»
«La cover band dei Police!» mi rivela, elettrizzata. «La tua band preferita, giusto?»
Per un attimo mi sento un ragazzo normale con una ragazza normale, a entusiasmarsi per nient’altro che musica. «Veramente?»
«Non ci sarà il vero Sting ma ehi, non ho la bacchetta magica!» Ride. Una risata normale.
Che dimentico appena smette.
«Come lo sai che mi piace? »
«Me l’hai detto prima di baciarmi, al venerdì universitario… ti ricordi?»
Oh, no, non mi ricordo. Avevo bevuto, non ricordo nemmeno come ti ho baciato, perché ti ho baciato, che cosa hai fatto perché io ti baciassi.
Non capisco, povera estranea innocente, vittima di quello che non mostro, non capisco come puoi darmi così tanta corda nella farsa che è diventata la mia vita.
«Oh, ma certo,» mento, e mi odio così tanto, non so davvero come faccio ad alzarmi al mattino e a convivere con quel bastardo che mi fissa nello specchio ogni giorno.
Nient’altro che me stesso.
La cingo con un braccio, sorrido mentre guardo altrove e la mia visuale abbraccia anche il mio migliore amico.
«Arthur.» Cenno della testa. I vivaci occhi a mandorla, i capelli neri sparati in un ciuffo ingombrante, la pelle marroncina, il sorriso bianchissimo.
Lui c’è.
Grazie a un Dio in cui non credo, c’è.
«Bradley.» Lo saluto allo stesso modo. Entriamo tutti insieme e ci sediamo al bancone, ordino una Henekein, lei beve alla mia destra, un mio compagno di corso alla mia sinistra, Bradley se ne sta in piedi rincorrendo un ragazzo con un cappello pieno di piume, la cover band suona message in a bottle mentre scoppiano luci psichedeliche, la chitarra e la batteria ad accompagnare le parole.
“Ancora più solitudine che qualunque uomo sia in grado di sopportare.
Salvatemi prima che io crolli nella disperazione.”
«Sono bravi, vero?» esclama lei.
“Invierò un SOS al mondo.”
Annuisco, la guardo, cerco in ogni modo di non essere ingrato.
«Sì, sono dei grandi!» fingo entusiasmo.
Mentre la musica suona e si fa più alta e lei scende in pista e mi lascia qui da solo, la gente che ci circonda ride come ratti, il barista versa drink che ci lasciano assuefatti e le luci paiono oscurarsi: le vite degli altri vanno a rallentatore – non esiste, nell’esistenza umana, il tasto rewind – e tutti sembrano marionette a fili, chi le comanda si è stancato le braccia e va a inerzia, tanto l’anima è il peso minimo che serve a farci rotolare nel mondo, senza sosta.
All’infinito.
Chi è che comanda me?
Non può essere Dio.
Dio non può esistere se permette tutto questo.
Jade?
Cancellala.
Jade?
Ignorala.
Non posso, io non posso…
Jade?
«Arthur.»
No, non è possibile.
«Per favore, guardami.»
No.
«Sei solo frutto della mia immaginazione.»
Mi carezza il viso e le sue mani sono fatte di sole, bruceranno il ghiaccio che ho dentro anche se solo per un istante. «È vero: mi stai immaginando. Non farai quello che ti hanno chiesto gli adulti, tu non mi dimenticherai.»
Perché Jade è qui, ha ancora solo diciassette anni, le sue mani da musicista a sfiorarmi il volto, gli occhi azzurro chiaro – cielo terso –, i capelli castani che le scendono morbidi e sottili – li carezzavo tra due dita, profumavano – profumano? – sempre di margherite –  sulle spalle bianche da statua greca.
«Jadie…»
La sua voce si accartoccia sulla mia pelle. «Tu mi ricordi, Arthur
«Certo che ti ricordo.» Trattengo un singulto in gola, sembra reale. «Non riesco a smettere di amarti.»
«Nel passato mi amerai sempre. Io, da dove sono, ti amerò per sempre. Ma non puoi vivere nel passato.»
La mia voce si spezza in mille frammenti di desideri che mi sono caduti per strada ma che io ho raccolto ostinato, come giocattoli rotti che un tempo amavo. Che mi ricordano chi sono stato.
«Tu eri il mio futuro,» mormoro.
«Avrai un altro futuro. Stai costruendo il tuo presente, riesci a trovare il tempo per Natalie, le dai quello che solo io avrei potuto darle… Non avrei potuto fare niente di meno se non amarti, Arthur Benkinson.» Avvicina le sua labbra alle mie.
La mano di Bradley fa svanire la sua immagine, un secchio d’acqua scaraventato su un quadro dai colori ancora freschi che ora si mischiano un’altra volta, formano la realtà.
«Amico, stai bene?» mi chiede.
Annuisco, incontro i suoi occhi profondi di tristezza, come pozzi.
Distolgo lo sguardo dal suo e faccio quello che mi aiuta a sopravvivere: fingo.
«Certo che sto bene.»
***
Bradley mi ha trascinato fuori tra musica e risate, brindisi e canti.
Abbiamo fumato insieme la nostra prima sigaretta, a quattordici anni, e continuiamo imperterriti in questo rito anche se non lo facciamo più per sentirci grandi. Io vorrei solo tornare a quel tempo in cui grande non ero, ed avevo l’ardire di pensarmi come una persona migliore in un futuro che è diventato oggi.
Prendo una sigaretta dal pacchetto.
«Che cazzo stai facendo, Arthur?» sbotta, attirando il mio sguardo su di sé. La maglietta leggermente strappata sulle spalle, gli occhi tirati e pieni di risentimento; le braccia dai muscoli tesi, aperte ad accogliere il nulla. «Non la vuoi, quella ragazza, vero? È una presenza anonima, il tuo ennesimo bastone da passeggio per sopportare meglio il peso del mondo.»
Resto un attimo fermo,un blocco nella mente e nel corpo. Perché sì, sant’Iddio, sto cercando di convincere tutti gli altri e me stesso per primo che le cose possono andare meglio. Potranno. Dovranno.
«Bradley...»
«A chi vuoi far credere che vada tutto bene? A tua madre e a tuo padre? Alla famiglia Truman? A Natalie? A me? Con me non funziona
Bradley inclina la testa, appoggia entrambe le mani sull’auto parcheggiata davanti a lui e sospira. «Arthur, ammettere di stare male è una cosa giusta. Posso aiutarti.»
«Non puoi aiutarmi.»
Scoppia a ridere, senza gioia, con preoccupazione. «Sei un campione,» sbuffa, come di fronte a un vaso rotto, è scivolato, si è rotto, non si può fare più nulla. «Delle olimpiadi di matematica. Del golf. E dell’infelicità.»
Mi cade la sigaretta nella pozzanghera davanti ai miei piedi.«Merda!» Do un calcio disperato al nulla. «Non puoi capire quello che provo, non puoi capire, non puoi aiutarmi!» mi viene fuori, insieme a tutta l’esasperazione e il disagio che ho trattenuto dall’inizio. «Non ho tempo per curarmi il dolore! La vita non ti aspetta per farti andare in terapia! Prego, signor Benkinson, si prenda il suo tempo per non soffrire e torni quando sta meglio.» La gola si secca, carta vetrata sulle corde vocali, un nodo stretto alla lingua. «Non smetterò mai di soffrire. Non starò mai meglio. Quello che è successo…»
Cancellala, Arthur.
Deglutisco.
Ignora che sia mai esistita.
«Non l’hai mai superato,» mi interrompe, fermo nelle sue parole come io sono solo nel silenzio. «Ecco perché… ecco perché non sei crollato: non l’hai ancora fatto. Andava sempre tutto bene… Andava troppo bene... Non è mai andato tutto bene.»
«Lo so.»
«E allora perché non ne parli?» continua.
«Se ne parlo ci penso, se non ci penso è come… è come se non fosse mai successo.»
«Vuoi dimenticarti di lei? Della tua Jade?»
«No!» esplodo. Jade. Jadie. La mia Jadie… «No! Mai…»
 «Allora stai solo prendendo in giro te stesso,» sentenzia, e sembra di sentire il rumore di una lapide fissata nella terra, come quel giorno, quel pomeriggio gelido anche se era estate, al tramonto del sole. «Voglio solo che tu stia bene, Arth.»
Mi passo una mano tra i capelli, faccio un respiro profondo, ingoio il rospo amaro della ragione.
Ma devo restare nel torto.
«Se ne parli, non sto bene,» insisto. «Se continui a torturarmi, non sto bene.»
«Perfetto allora. Torna dalla ragazza di cui dimenticherai presto il nome. Ma poi non venirmi a dire che io non ci ho provato.»
«Provato a far cosa?»
«A farti capire che stai vivendo nel modo sbagliato. Sei cambiato,» dice piano. «E torni te stesso solo quando ti prendi cura di una ragazzina. Se non ci fosse Natalie, ti avrei perso anni fa.»
Prendo un’altra sigaretta, l’accendo e comincio a fumare, impaziente, frenetico. Chiudo gli occhi. Tutto gira come su una giostra assassina di stomaci. Pensieri. Ricordi. «Mi dispiace.»
«È la prima cosa vera che dici in tutta la serata,» mi dice lui. «Ti conosco da quando avevamo sei anni. Prendesti un brutto voto in Inglese e all’uscita da scuola tuo padre ti parlò, ed io ascoltai, ti disse che chiunque valga veramente qualcosa non smette mai di provarci. L’ha insegnato a te, a quel suo modo strano, e l’ho imparato anch’io.» I suoi occhi sono lucidi. «Non starò a guardare il mio migliore amico che vive da morto. Non so quanto tempo ci vorrà, ma stai sicuro che un giorno vedrai quello che vedo anch’io.»
Faccio un’altra boccata, il fumo copre l’immagine di Bradley. «E che cosa vedi?»
Scrolla le spalle, una luce verde dietro le sue spalle, Liverpool città di mare, nave ferma che aspetta di partire. Deglutisco ed aspetto la sua risposta.
Arriva così, in un sussurro deciso. «Un mare di nuove possibilità.»
 
Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia... e una bella mattina...
Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.

 
Il grande Gatsby – Francis Scott Fitzgerald 
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Another people in another places, altre persone in altri posti: nessun altro titolo mi sembrava all'altezza di questo per una racconta di missing moment su questa storia, spero che vi piaccia :3
Con questo capitolo extra semplicissimo su Arthur Benkinson vi voglio augurare una buona Pasqua con tanto cioccolato e tanta serenità <3 Non so quando pubblicherò i prossimi capitoli extra, ma è sicuro che la prossima volta che sentirete la voce di Arthur sarà in un altro posto, ovvero in una storia tutta sua. Ci vorranno almeno un paio di mesi per pensare alla pubblicazione e spero che ci sarete <3
Grazie di cuore a tutti voi e colgo l'occasione per ringraziarvi per le recensioni splendide che mi avete lasciato all'epilogo - a poco a poco rispondo a tutti :)
Un grande bacio,
Ania <3
 
 
Potete trovare online il prequel de La volpe di Liverpool, il passato di Arthur ed il preludio a quella che sarà la sua storia in questo presente, che prenderà il nome de La Fenice di Rio.
 
   
 
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