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Autore: Rubus idaeus    04/04/2015    10 recensioni
Un ritardo di consegna di un abito da sposa può essere così fatale? Oh si, decisamente fatale. Potrebbe sconvolgere completamente tutti i piani, creare problemi, scompigli, magari anche far aprire gli occhi, dare una svolta al destino.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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9 luglio, Aeroporto di Parigi. Ore 18:33


Oscar camminava trainando la propria valigia sulla superficie di lucido marmo bianco dell'aeroporto Charles de Gaulle e non riusciva a concentrarsi su niente. Niente che non fossero gli ultimi scioccanti, imprevisti, inaspettati avvenimenti.
Stringendo nella mano destra il biglietto per l'aereo intercontinentale che avrebbe dovuto riportarla a New York, raggiunse il gate e si sedette da sola sulle fredde sedie di metallo in attesa della chiamata per l'imbarco. Guardò la sua valigia accanto a lei e sospirò. Non era nemmeno stato necessario disfarla. Il vestito non aveva mai visto la luce del sole da quando lei era sul suolo francese e probabilmente non avrebbe mai svolto la sua funzione addosso a lei.
Che bizzarra situazione! Le sembrava di essere la sfortunata protagonista di una stupida telenovela per casalinghe depresse.
Un po' si sentiva vuota: alcuni pezzi di lei si erano persi irrimediabilmente, e tutto per colpa del destino o forse proprio per colpa sua. Eppure non si sentiva in colpa, era solo profondamente delusa. Non amava che le cose non andassero come aveva previsto, ma il peggio era il non riuscire a capire se davvero quella drastica svolta le fosse piaciuta o no. Forse era proprio ciò che il suo subconscio ultimamente aveva iniziato a desiderare. Ma non riusciva a concentrarsi su questo interrogativo; in quel momento si sentiva solo spaccata in due.
Guardandosi le mani po' sentiva nostalgia dello scintillio del suo anello sull'anulare e le mancava anche l'ansia di arrivare a Parigi che l'aveva accompagnata fin dall'arrivo a Marsiglia e che aveva perduto solo poche ore prima. Le mancava non aver vissuto il suo sogno di sposarsi, anche se non era nemmeno più sicura che quello fosse davvero un sogno. L'avrebbe definito piuttosto un assurdo progetto che, a ben pensarci, non sarebbe mai potuto finire bene.
Il suo istinto più feroce le suggerì di trovare un colpevole per quella sua assurda situazione e sfogarsi con lui. E quale colpevole più adatto del suo fatidico vestito?
Aprì la valigia e si fermò a guardare con il respiro sospeso quell'ammasso di seta candida. Stupido, stupido vestito. L'avrebbe strappato a brandelli se non le fosse costato una fortuna.
Chiuse la valigia e si costrinse a stare calma e a riflettere sul da farsi.
Era scappata da Parigi in fretta e furia, senza pensarci troppo, e aveva deciso sul momento di andare a prendere un aereo e tornare a casa per poter finalmente mettere una pietra sopra a tutta quella storia. Rosalie le aveva promesso che si sarebbe occupata della sospensione della cerimonia e del pagamento ad André, quindi non aveva niente di cui preoccuparsi. Poteva ben fidarsi di Rosalie, lei sì che era sempre stata una sincera amica, altro che Marie. Che troia, come aveva osato infangare così la loro amicizia e scoparsi Hans cinque giorni prima del matrimonio? Oscar lo sapeva bene che quei due erano stati insieme ai tempi dell'università e aveva spesso sospettato che la simpatia tra loro non si fosse mai estinta, ma di certo non pensava che entrambi le avrebbero affondato un coltello arroventato nella schiena appena ci fosse stata una buona occasione per farlo. Li aveva colti in flagranza di tradimento, quindi non solo non aveva nessun dubbio sulla loro infedeltà, ma ne aveva avuto persino la prova. Ah, che disgusto! Le venne la pelle d'oca a pensarci.
Un vero e proprio incubo. Che era iniziato esattamente a quando aveva varcato la soglia della suite d'albergo in cui Hans e Marie si stavano tanto divertendo. Si rese conto solo in quel momento di essere stata un vero pezzo di marmo. Li aveva osservati con disappunto per dieci secondi contati, poi aveva tossito volontariamente e allora era scoppiato il delirio. Oscar aveva voltato le spalle in silenzio ed era uscita. Hans si era rivestito alla bell'e meglio e l'aveva rincorsa per il corridoio con le lacrime agli occhi -piuttosto patetico, effettivamente- gridando il suo nome, mentre Marie, vestita di lenzuola singhiozzava con le mani sul viso sulla soglia della porta. Tutto il piano dell'albergo era uscito dalle proprie camere per vedere che succedeva e i due colpevoli quasi si scioglievano per l'imbarazzo. Oscar invece era rimasta impassibile, intoccabile e inesorabile, mentre Hans le chiedeva perdono. L'unica cosa che gli disse fu:
-È meglio se ti riprendi l'anello.
Niente di più, niente di meno, poi dopo averlo freddato così, si era voltata e si era lasciata indietro tutti. Aveva giusto rallentato il passo per sentire che cosa dicevano quelli che erano usciti dalle rispettive camere, tra i quali anche Rosalie, che dopo aver dato cordialmente della "puttana" a Marie, aveva raggiunto Oscar di corsa.
-Os, sono felice di vederti.
Le aveva detto abbracciandola.
-Non sai quanto sono sconvolta.
E aveva cominciato a piangere, cosa che non era troppo strana per una tipa come lei. Allora Oscar le aveva detto che in fondo andava bene così e che se non fosse successo quello che era successo avrebbe comunque annullato il matrimonio perché non si sentiva più sicura di ciò che voleva.
-Ho bisogno di tornare negli Stati Uniti. Più sto in Francia, più mi sento soffocare, rivoglio la vita che avevo prima. E se non ci sarà Hans, penso che sarà lo stesso.
Aveva aggiunto riabbracciando Rosalie.
-Ci penso io, Oscar. Annullo io tutto e avverto io gli invitati. Tu ora pensa a te stessa.
Ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare, là seduta all'aeroporto, era quel paio di occhi verdi, che probabilmente non avrebbe mai più rivisto.

L'unica cosa a cui riusciva a pensare era "levatevi di mezzo, cazzo". Il maggiolino non era abbastanza scattante e agile per fare slalom tra i veicoli che intasavano il traffico parigino. Per giunta era l'ora x in cui tutta la città prendeva la macchina per tornare a casa da lavoro. André ce la metteva tutta a non infrangere il codice stradale e fare ugualmente in fretta, ma era assolutamente inutile. Prese un paio di semafori rossi, tagliò la strada a una decina di macchine, non rispettò nemmeno una precedenza e calcolò di avere in lista almeno tre multe.
-Al diavolo, devo raggiungere quella ragazza prima che prenda quel maledetto aereo.
Ringhiava sterzando violentemente come un automobilista di corse.
Si sentiva un pazzo, ma doveva fermare Oscar a tutti i costi.
Aveva lasciato Alain, Joseph e Bernard nelle mani di quella ragazza con la faccia da angioletto che insisteva per dargli i soldi che Oscar gli doveva per il viaggio. Aveva preso la macchina al volo e si era buttato nel traffico sperando in un miracolo
Non aveva idea di quando sarebbe partito il suo aereo, ma sperava che gli aerei intercontinentali per NewYork fossero abbastanza rari da permettergli di raggiungerla entro un'ora al massimo.
-Sto arrivando, sto arrivando.
Sussurrava a se stesso come se parlasse con lei.

-Attenzione, il volo per l'aeroporto JF Kennedy di New York ha subito un leggero ritardo.
Annunciò dai microfoni una voce metallica mentre Oscar aveva appena finito il check-in. Lei guardò la sua valigia venire inghiottita dalle lingue nere di plastica sul nastro trasportatore e sospirò seccata. Pazienza, voleva dire che avrebbe girovagato senza meta per l'aeroporto per tutti i seguenti 90 minuti, con un caffè in una mano e una rivista in francese nell'altra.
Un po' era delusa che nessuno si fosse preso il disturbo di seguirla e cercare di fermarla. Né i suoi genitori, né Hans, né Marie, nemmeno André. Ma perché indugiare su questi sogni assurdi?
Oscar!
Non si trovava in un film, nessuno sarebbe venuto da lei, tanto meno André.
Oscar!
Com'era stata stupida a pensare che sarebbe potuto succedere che lui foss...
Oscar!
I suoi pensieri si annebbiarono all'istante quando si rese conto che qualcuno chiamava il suo nome. Ed era certa che non ci fossero molte altre Oscar lì in quel momento.
Quando si voltò fu sorpresa, ma più che altro felice di vedere André che le correva incontro. 
-André?
Sibilò quando lui fu abbastanza vicino. Il ragazzo non decelerò e mentre le si avvicinava sempre di più, appena prima di afferrarla e stringerla a sé come un peluche, disse con voce ferma e supplichevole:
-Non serve fuggire, Oscar. 
E per essere più persuasivo accompagnò quelle quattro semplici parole con un bacio che -mamma mia- neanche Jack Dawson di Titanic e Christian Grey di Cinquanta sfumature messi insieme. Quasi le mancò il respiro, ma sarebbe morta volentieri in quel momento, tra quelle braccia. 
Sicuramente si era ben convinta a non partire, ma mentre strappava, sorridendo, il biglietto davanti agli occhi raggianti e soddisfatti di André, le venne in mente come un fulmine in pieno giorno la sua valigia e in particolar modo il suo contenuto.
-Cristo.
Con il biglietto dell'aereo ormai in frantumi col cavolo che quegli stupidi francesi perfettini ed indisponenti le avrebbero permesso di recuperare la sua valigia.
Ecco, proprio la ciliegina sulla torta.
-Ehi, Oscar, penso che quel vestito ti abbia causato già abbastanza problemi.
Disse André ridendo, facendole passare un braccio intorno al collo.
Stretta in quel abbraccio consolatorio Oscar finalmente si rilassò.
-Hai ragione, chissà che possa servire a qualcun'altra ragazza... André, perché sei venuto?
André alzò le sopracciglia sorpreso. "Mi sembra evidente." pensò arrossendo leggermente.
-Non potevo permetterti di lasciare Parigi senza vedere la Tour Eiffel di notte. È uno spettacolo che ogni singolo essere umano dovrebbe vedere.
E presale la mano la trascinò con sé fuori dall'aeroporto fino al grande parcheggio.
-La sua limousine, madame.
Ironizzò aprendole galantemente lo sportello del maggiolino. Oscar rise pensando a come solo pochi giorni prima quella frase le fosse sembrata il campanello di inizio di un incubo. L'ironia del destino.

-Ti prego dimmi che non sto sognando.
Sussurrò languida sfiorando la mano di André mentre afferrava la manopola del cambio per inserire la terza.
-Sai mi sto chiedendo la stessa cosa.
Rispose lui con un filo di voce avvertendo dei brividi alla schiena. Non aveva mai desiderato tanto come in quel preciso momento quella bionda franco-americana che gli stava seduta accanto. 
Intanto, mentre la sera iniziava a scurire il cielo, Parigi prendeva vita con tutte le sue luci magiche.
-Come mai conosci così bene le strade di Parigi?
Chiese Oscar notando che André non si serviva di cartine per raggiungere la Tour Eiffel.
-Ci sono nato e cresciuto a Parigi.
"Come ti è saltato in mente di lasciare questa stupenda città?" Pensò Oscar alzando le sopracciglia.
-So cosa stai pensando. Parigi è Parigi, ma da quando i miei genitori sono morti, ha iniziato a starmi stretta. E inoltre è diventata una città solo per turisti e per gente che ha abbastanza soldi da spendere, io posso permettermi al massimo Marsiglia anche se non c'è confronto. Sai,
Disse voltandosi a guardarla.
-Dicono che Parigi sia la città degli artisti, ma in realtà gli artisti fanno la fame più qui che in qualsiasi altro posto. La gente che ci abita ne ha abbastanza degli artisti e di presunti tali e poi i turisti non vengono sicuramente a Parigi per sentire un mediocre pianista di blues in qualche squallido localino malfamato di quartiere. Non che a Marsiglia stendano tappeti rossi davanti a noi liberi professionisti, ma almeno ci tollerano. Ecco guarda.
Esclamò puntando l'indice verso l'imponente sagoma nera della Tour Eiffel che si stagliava sopra i tetti delle case mentre costeggiavano la Senna.
-È meravigliosa.
Ammise Oscar in un sospiro estasiato. Proprio in quell'istante la Tour Eiffel si accese di luci colorate rosse, blu e bianche come i colori della bandiera francese e Oscar rimase letteralmente senza fiato. Quel magnifico monumento celebrava al meglio tutta la magnificenza della Francia con lo stile e l'eleganza tipici del suo Paese. In un baleno, nella mente di Oscar, Times Square o l'Empire State Building persero ogni fascino. Sentiva che l'atmosfera di Parigi le era entrata nelle vene come una dose di purissima eroina. E non ne avrebbe mai più potuto fare a meno.
Amava New York, ma sentiva che Parigi era la sua vera casa. E guardando André ne fu totalmente convinta.

Due ore dopo sentì di essere molto più che convinta. Era determinata, nel modo più assoluto. Ciò che le aveva dato Parigi nell'arco di una giornata, non gliel'avrebbe mai potuto dare New York in tutta una vita. Non se ne sarebbe mai più andata, lasciare quel paradiso terrestre era fuori discussione. 
-Ti chiedo scusa per il disordine e per la polvere, non vengo qui da secoli. 
Mormorò André accendendosi una Lucky Strike. 
-Nessun problema.
Rispose lei mentre seduta a gambe incrociate guardava fuori dall'immensa vetrata panoramica che si spalancava come un sipario davanti al piccolo letto.
-Non ti da fastidio, vero?
Domandò lui aspirando e mostrandole la sigaretta.
-No, affatto.
Disse ritornando ad ammirare il panorama da cui spiccava tutta scintillante nel suo vestito patriottico la Tour Eiffel.
-Penso che potrei trasferirmi qui.
Sospirò lasciandosi cadere di schiena sul materasso. La mano di André le accarezzò dolcemente i capelli ma lui non disse nulla. Oscar sentiva solo il suo respiro profondo e regolare e vedeva in aria gli sbuffi di fumo che si disperdevano diffondendo un piacevole ma pungente profumo di tabacco nella stanza. Ripensò ad ogni singolo attimo dell'ultima ora, cioè da quando avevano varcato la soglia di quel piccolo appartamentino di tre stanze ad allora. Non una parola, non un verso. Avevano attraversato il buio dell'ingresso in silenzio, urtando mobili, scatoloni o roba simile e infine avevano raggiunto una piccola stanza quadrata con un'immensa finestra che dava su Parigi. Allora lui l'aveva spinta su un materasso che a quel primo impatto le sembrò fin troppo morbido. Da quel preciso istante aveva perso la concezione del reale, ma si ricordava distintamente le mani esperte di André che di destreggiavano abilmente con i suoi vestiti e i suoi occhi verdi con quello sguardo erotico all'inverosimile che la fissavano senza mai interrompere il contatto visivo.
E in men che non si dica si era ritrovata vittima e carnefice allo stesso tempo. 
Ora, distesa a fissare il soffitto, ancora invasa dall'estasi, pensava solo a quanto si sentisse bene. Sentiva solo le labbra indolenzite per quante volte se le era morse. O forse quei denti voraci erano stati quelli di André? Che importava? Non avrebbe potuto sperare in un lieto fine migliore. In fondo il destino, per quanto fosse sembrato divertirsi a prendersi gioco di lei, le aveva fatto un grande, grandissimo favore. 
  
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