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Autore: Megan204    05/04/2015    2 recensioni
Un biglietto per Stamford, rappresenta un futuro.
Rappresenta una crescita ed una rinascita.
Rappresenta tutto quello che è successo a loro.
Perchè Quinn Fabray e Noah Puckerman ne sanno qualcosa di rinascite e futuro.
Nonostante le loro strade abbiano molte curve, loro si incrociano sempre.
E Stamford, sembra la strada giusta.
ambientata durante e dopo la 6x02-6x03
Quick con la gentile partecipazione delle Brittana e Sweet|Unholy Trinity
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Brittany Pierce, Finn Hudson, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana, Puck/Quinn, Quinn/Santana
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rating: Giallo
Personaggi: Quinn Fabray, Noah Puckerman, Brittany S. Pierce, Santana Lopez with Beth Corcoran, Finn Hudson e Rachel Berry
Coppie: Quick, Brittana e Unholy trinity.
Note "autrice": Diciamo che è una storia che coccolo da mesi, ma solo ora lascio uscire.
Sono abbastanza soddisfatta. Lascio a voi le parole perchè non sono brava. Santana forse è un po' OOC.
L'epilogo è molto breve, ad ognuno di noi spetta il proprio.

A ticket for Stamford.
 
“You know why I want you?
 I didn’t know I was lost until you found me.
 I didn’t know what alone was until the first night
I spent without you in my bed.
 You’re the one thing I’ve got right.
You’re what I’ve been waiting for.”
 
“Sai perché ti voglio?
Non sapevo di essere perso finché non mi hai trovato.
Non sapevo quanto ero solo fino alla prima notte che ho dormito senza di te.
 Tu sei l'unica cosa giusta che ho fatto. Sei la donna che aspettavo”
-Jamie McGuire,
Beautiful disaster (Uno splendido disastro)
 
 
 
 
Quel maledettissimo capitolo non le entrava in testa.
Erano ore che Quinn Fabray vagava avanti ed indietro nella sua stanza di New Haven cercando di farsi entrare in testa quelle poche pagine che rimanevano per l’esame.
Stava per riprovare a ripetere tutto da capo, quando vide il cellulare illuminarsi sul tavolo.
Al diavolo, pensò chiudendo di botto il libro e scendendo dal letto per leggere il messaggio.
Il messaggio di Rachel.
“Torni a casa per l’Homecoming? Al nuovo Glee club serve una scossa.”
Quinn lesse il messaggio e alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
Rachel aveva riaperto il Glee, probabilmente dopo il fallimento epico del suo, essendo onesti, orribile show.
Erano mesi e mesi che non tornava a Lima, si era semplicemente concessa una breve vacanza estiva con Noah in California.
Avevano passato per la prima volta due settimane da soli, a cuocersi sotto il sole di Santa Monica.
Non sapevano neanche loro come erano riusciti ad avere le vacanze nello stesso momento, perché beh, sembrava impossibile.
Lui era impegnato nell’aereonautica, era stato anche in Afghanistan qualche mese, facendola preoccupare più del dovuto.
Il collegamento telefonico tra Afghanistan e America non era così immediato tra il fuso orario e Puck che non aveva un minuto libero.
Tuttavia quelle due settimane erano state una pausa da tutto, e con sua grandissima sorpresa non avevano discusso nemmeno una volta.
Era stata sincera, parlandole di tutti quei ragazzi milionari di Yale che la invitavano ad uscire.
Lui non aveva detto molto, ma lei che lo conosceva da così tanti anni, aveva notato quella ruga di disapprovazione tra le sopracciglia e aveva notato che a letto, quella sera, lui l’aveva stretta un po’ più forte, come se potesse scappare.
Non aveva in programma di tornare per l’Homecoming, ormai aveva staccato il cordone ombelicale da Lima.
Si ributtò sul letto pensando a cosa fare, arricciando le labbra.
Voleva rivedere sua madre e magari anche qualche ex compagno di liceo. Era dalla chiusura del Glee Club, un anno e mezzo prima, che non vedeva nessuno al di fuori di Puck.
Aveva contatti costanti e visite sporadiche con Santana e Britt, ma non era la stessa cosa.
Kathleen e Carolyn, le sue compagne di stanza  tornavano a casa ed erano eccitatissime all’idea di andare nel loro vecchio liceo.
Stava per rispondere al messaggio di Rachel quando il telefono suonò di nuovo.
“Per l’Homecoming torno a Lima. Ho un letto matrimoniale dove ci staresti anche tu.”
Il sorriso si fece sempre più largo, Puck tornava a casa.
Allora forse valeva la pena di guidare dieci ore per tornare a Lima.
Quinn Fabray tornava a casa.
 
Noah Puckerman viveva da solo in un appartamento e non essendoci per la maggior parte della giornata, l’appartamento in questione era un gran disordine.
Aveva così approfittato dell’insolita giornata libera per provare a rassettare alla meglio.
Aveva decisamente bisogno di una donna in casa.
Anzi, della sua donna.
Non vedere Quinn lo faceva diventare matto, soprattutto sapendola in un campus pieno di idioti tipo quel Biff.
Noah si fidava di Quinn, perché probabilmente la conosceva meglio di quanto conoscesse sua madre.
Quinn era strana, Puck lo sapeva e la capiva.
Aveva avuto un’adolescenza turbolenta, tra pannolini e sigarette, ma ora stava provando a trovare un equilibrio tutto suo e Yale la aiutava.
Era il suo mondo, aveva trovato il suo posto.
E più Noah scopriva piccole sfumature del carattere di Quinn, più se ne innamorava.
Passando insieme due settimane al caldo aveva scoperto l’abitudine della ragazza di bere a colazione il caffè amaro, magari con l’aggiunta di una spruzzata lieve di panna. Aveva notato che usava sempre e soltanto un bagnoschiuma alle more.
Erano cose che solo vivendo con lei avrebbe imparato.
Inutile dirlo, sentiva la distanza pesargli sulle spalle ed era stanco di vederla, quelle poche volte che accadeva, tramite Skype.
Stava piegando l’ennesima maglietta bianca, quando sentì vibrare il telefono sulla mensola.
E ora cosa diavolo voleva da lui la Berry?
“Torni a casa per l’Homecoming? Al nuovo Glee club serve una scossa.”
Il ragazzo inarcò le sopracciglia, da quando esisteva un nuovo Glee Club?
E soprattutto da quando Rachel se ne occupava?
Forse da quando dopo il suo show, andato particolarmente male, era tornata a Lima.
Beh, era ora di unire l’utile al dilettevole.
Rispose velocemente al messaggio e scrisse a Quinn, che rispose immediatamente.
“Allora ti aspetto fuori casa tua.”
Sorrise come un bambino in un negozio di caramelle, posando il telefono sulla pila di vestiti e guardandosi allo specchio di sfuggita.
Sì, ne era innamorato fino al midollo.
 
-Quinn sei pronta?!- Urlò istericamente Carolyn dal piccolo soggiorno.
La bionda spuntò dalla porta con il suo trolley rosso al seguito, rivolgendo alla coinquilina un’occhiataccia in pieno stile Fabray.
-Non scappa il liceo Car.- Sibilò alzando gli occhi al cielo.
Le sue compagne erano entrate in un’euforia pre homecoming che la stava facendo impazzire.
Sì, era contenta di lasciare per una settimana Yale ma non così euforica.
Chiuse la porta con due giri di chiave e si diresse agli ascensori seguendo la rossa e la mora.
-Contenta di tornare a casa Quinnie?- Chiese Kathleen premendo il pulsante, facendo chiudere le porte della cabina.
Quinn ci mise qualche secondo per pensare alla risposta, vedendo galleggiare i volti di Santana, Brittany e Puck nella mente.
-Contentissima, non quanto voi due a quanto pare.- Rispose sorridendo appena.
Era contenta sì, ma la aspettavano dieci lunghissime ore d’auto e lei non amava guidare da dopo l’incidente.
Aveva sviluppato una sorta di ripudio per l’automobile e per il traffico, ma quando era necessario si armava di calma e pazienza e si metteva al volante.
Uscì nel cortile dello studentato, pieno zeppo di persone grazie al caldo sole di fine settembre.
Notò a poca distanza Biff, insieme a dei suoi compagni di corso, che la guardava di sottecchi.
Anche da lontano il suo naso sembrava un po’ più storto di prima, a dimostrazione che Noah Puckerman sapeva ancora farci nel dare pugni.
Si voltò iniziando ad ascoltare i discorsi di Car e Kathleen, quando Kat sussurrò a Quinn e Carolyn:
-E quello da dove esce?- Indicando un punto dietro Quinn.
Si voltò e notò una Jeep nera, parcheggiata nel cortile ed un ragazzo appoggiato al cofano.
Aveva una camicia di jeans, i pantaloni neri ed un’aria piuttosto familiare.
Quinn scoppiò a ridere in risposta a Kathleen, vedendo avvicinarsi quello che indubbiamente era Noah.
-E tu cosa ci fai qua?-Chiese la bionda senza riuscire a levarsi quel sorrisetto dalla faccia.
-Potrei avere chiesto a tua madre quando partivi, così ho pensato di darti un passaggio.- Rispose semplicemente il ragazzo, sorridendo a sua volta e pensando che Dio, era sempre più bella.
-Ti sei fatto sette ore di macchina dalla Virginia a qua soltanto per venirmi a prendere?- Disse sempre più stupita.
-So che non ti piace guidare.-
Quinn non attese oltre e scoppiando nuovamente a ridere buttò le braccia al collo a Puck, lasciandosi stringere forte.
Quanto le erano mancate quelle braccia intorno a se, Quinn nemmeno se lo ricordava più.
Adesso era con lui, più convinta che mai che la promessa fatta un anno prima era sempre più facile da mantenere.
Perché preferiva davvero avere una relazione difficile con lui che una relazione facile e perfetta con qualcun altro.
Poggiò la fronte contro la spalla del ragazzo, sussurrando appena:
-Dio quanto mi sei mancato.-
Noah sorrise appena.
Ne era valsa la pena di farsi così tante ore di viaggio, solo per quell’abbraccio e quelle parole.
Sentì il solito profumo di more avvolgerlo mentre lasciava un bacio casto, non assolutamente nei suoi canoni, sulle labbra della bionda.
Quinn afferrò goffamente la mano a Noah, come era accaduto un anno e mezzo prima nell’ultimo incontro del Glee, portandolo verso le sue amiche.
Lui era diverso da tutti i ragazzi di Yale.
Gli altri indossavano sempre i loro completi gessati e le loro fantasiose cravatte, mentre lui quando si toglieva la divisa tornava ad essere il semplice ragazzo di vent’anni qual era.
Lo presentò velocemente alle sue amiche, che solo ora capivano che Quinn era fidanzata.
La bionda era gelosa della sua vita privata, soprattutto di quella con Puck. Avevano così pochi momenti insieme che preferiva tenerseli per sé, come un tesoro nascosto.
Erano i loro momenti, avevano già avuto troppa gente tra di loro: Santana, Lauren, Sam, Shelby, Biff e malgrado tutto anche Finn.
Al pensiero di Finn Quinn sorrise.
Era certa che il quarterback sarebbe stato fiero di loro, nonostante tutto.
Lanciò uno sguardo al cielo azzurro, ringraziando dentro di sé il suo ex fidanzato.
Era stato grazie a lui che loro si erano riuniti, ne era fermamente convinta.
Salutò rapidamente le sue coinquiline, caricò il trolley nel bagagliaio e prese posto accanto al guidatore.
-Le tue amiche sono strane.- Esordì Noah guardandola con il suo solito ghigno.
-Ricordati che sono amica di Rachel Berry, niente è strano per me.- Rispose facendo la linguaccia.
Si accoccolò sul sedile, osservando Puck guidare.
Di tanto in tanto lui si voltava e sorrideva, accarezzandole un ginocchio.
Parlarono del più e del meno, raccontandosi tutte le cose che probabilmente si erano già detti al telefono, ma di persona era tutta un’altra cosa.
Potevano vedere il sorriso dell’altro e le espressioni disgustate di cui Quinn era esperta, si tiravano pugni quando nominavano altre persone e si baciavano di tanto in tanto.
Dopo otto ore di macchina, Quinn era praticamente addormentata quando alla radio sentì note familiari.
Guardò Noah e alzò il volume, quella era la loro canzone.
Le note di Just Give Me a Reason risuonarono nell’abitacolo, facendoli canticchiare tutti e due.
-I’ll fix it for us…-
Gliel’aveva promesso mesi prima, lui avrebbe sistemato tutto, distanza compresa.
Se lo erano promessi in una notte calda, dove nessuno dei due riusciva a dormire, tra le lenzuola.
E lei ci aveva creduto, perché lo voleva davvero.
-You’re holding it in..-
Lei teneva stretto quello che avevano, così sosteneva lui.
Come se quello che Noah faceva per loro non era abbastanza.
Lei dava il merito ad entrambi, ma lui no.
Sosteneva che era Quinn a reggere il tutto.
Ma lei sapeva che senza il suo supporto, non sarebbero andati da nessuna parte.
La bionda si allungò, dandogli un bacio un po’ più lungo degli altri, indugiando sulle labbra.
-Ti amo…- Sussurrò ancora.
E non aveva mai provato cosa più vera.

 
“I never stopped believing in the words we sung.”
 
“Non ho mai smesso di credere nelle parole che cantavamo.”
This Time, Darren Criss
 
L’arrivo a Lima a sera inoltrata fu frenetico.
Dovettero fare un salto da Judy, che strinse sua figlia tartassandola di domande,per una buona mezz’ora.
Poi toccò alla signora Puckerman e alla non più tanto piccola Sarah, che accolsero Quinn in casa esattamente come una figlia, a differenza di cinque anni prima.
Puck si era comprato un piccolo appartamentino nel centro di Lima, dove sì e no stava due mesi l’anno.
Era il posto che Quinn identificava come casa loro, perché li rappresentava a pieno.
Era una casa curata fin nei minimi dettagli, e la bionda se ne prendeva il merito, dall’arredamento moderno ai soprammobili, alle fotografie che riempivano il salotto.
C’erano Quinn, Santana e Brittany nella loro uniforme delle Cheerios, Noah durante una partita, la vittoria alle nazionali, il matrimonio del clan Hummel-Hudson e del professor Shue, la foto di Beth appena nata e la foto di loro due con Finn, a inizio liceo.
Poi c’era il presente, le foto di loro due a Santa Monica e all’unica cena in casa Puckerman, poco dopo essere tornati insieme.
-Non credo di voler sapere quanta roba c’è in quella valigia.- Borbottò Noah osservando di traverso la valigia.
-Lo stretto necessario per una settimana Puckerman.- Rispose alzando le spalle in un sorrisino innocente. Puck alzò gli occhi al cielo, sapeva cosa voleva dire lo stretto necessario di Quinn Fabray.
Si avvicinò alla bionda, cingendole la vita e ghignando appena.
A sue spese, Quinn aveva imparato che quel ghigno non portava mai niente di buono. O quasi.
-La valigia la disferemo domani mattina, ho questa sensazione.- Sussurrò lui, avvicinandosi sempre di più alle labbra della fidanzata.
La risata cristallina di Quinn risuonò per il piccolo appartamentino, facendo sorridere anche lui.
-Non cambi mai, forse mi piaci anche per questo.- Rispose lei mordicchiandosi il labbro inferiore.
La frase appena pronunciata da Quinn si contraddiceva da sola.
Puck era cambiato, era cresciuto, era diventato un uomo.
Aveva lasciato da parte il ragazzo che buttava gli altri nel cassonetto, Biff era l’eccezione, per far spazio ad un militare, che proteggeva i più deboli.
L’altra contraddizione era che a Quinn piacesse Noah.
C’era molto di più tra loro, entrambi lo sapevano e ne erano spaventati.
Si erano innamorati l’uno dell’altro come due adolescenti, perché alla fine tutto era iniziato da lì, la loro adolescenza.
Si erano considerati per tanto tempo un banale errore, ma col tempo avevano capito che ad entrambi  piaceva sbagliare.
E anche adesso, mentre Quinn aveva le gambe strette intorno al bacino di Noah e stavano andando verso la camera da letto, non ci trovò niente di sbagliato.
Era perfetto, era il suo mondo, era casa.
La capo cheerleader stronza Quinn Fabray si era innamorata del giocatore di football Noah Puckerman, in barba ai perfetti ragazzi che poteva avere a Yale.
E il giocatore di football, come nei più stupidi cliché, si era innamorato della cheerleader bionda.
Tuttavia, qualche ora dopo, mentre Quinn dormiva e lui le accarezzava i capelli,  Noah si accorse guardandosi nell’enorme specchio dell’armadio, che ormai quel giocatore e quella cheerleader erano passati in secondo piano, per lasciare spazio a due persone totalmente nuove.
Nonostante questo, Puck avrebbe sempre voluto sposare quella cheerleader.
“Those emotional changes were absurd,
 but every time I tried to remove him I was terrified to really succeed.”
 
“Quegli sbalzi emotivi erano assurdi,
ma ogni volta che cercavo di allontanarlo ero terrorizzata all'idea di riuscirci davvero.”
Jamie McGuire
 Beautiful Disaster.
 
Tornare al McKinley era sempre un colpo al cuore, era come riscoprire vecchi giocattoli nascosti in un angolo della camera quando si pensava di averli persi.
Quinn prese un respiro profondo aggrottando le sopracciglia, gesto che non sfuggì a Puck.
-Ti fa sempre così effetto rientrare qui dentro?- Chiese, poggiando le mani sul volante.
-Mi sono distrutta così tante volte e ne sono rinata altrettante, qui. Sì, mi fa effetto.- Rispose la bionda voltandosi verso di lui, con faccia crucciata.
-So chi potrebbe farti stare meglio.- Ribatté Noah indicando una macchina grigia appena entrata nel parcheggio.
Quinn sorrise immediatamente, capendo a chi apparteneva.
Slacciò la cintura e scese dalla macchina, facendo una linguaccia a Puck.
Si fiondò subito sulle sagome appena scese, ritrovando finalmente il profumo dolciastro di Brittany Pierce e l’inconfondibile Narciso Rodriguez di Santana Lopez.
La bionda strinse subito Quinn, seguita dalla compagna che però non fece mancare la sua battuta velenosa.
-Fabray, sei troppo dolce. Dovrei riprenderti a schiaffi, Puckerman ti sta rovinando.- Sentenziò sorridendo.
-Grazie Lopez, apprezzo sempre i complimenti.- Ribattè Puck alle sue spalle.
Quinn si sciolse dall’abbraccio, appoggiandosi al petto del fidanzato.
-Cosa ne pensate dell’idea della Berry?-Chiese Santana, tornando seria.
-Sappiamo benissimo come funziona il regime Sue Sylvester, sarà difficile, ma ci si può provare.- Rispose Quinn, perché nessuno più di lei e San conosceva Sue Sylvester.
-L’unica cosa sicura è che non ci saranno tre persone fantastiche come noi.-
Sì, Brittany era un maledetto genio.
-Su questo puoi giurarci, Brittany.- Disse Noah, beccandosi un pugno da Quinn.
Non era gelosa delle sue migliori amiche, nonostante Noah ci fosse andato a letto, ma si divertiva a fargliela pagare.
Aveva avuto una storia con la Zizes, e quella era una delle poche cose che Quinn non aveva mai capito.
Cosa ci trovava in una lottatrice con un caratterino alquanto odioso?
E soprattutto se aveva trovato qualcosa in Lauren, cosa trovava in lei?
Sapeva che erano domande da paranoica qual era, ma ancora non le sembrava reale.
Prese la mano a Noah e gliela strinse.
Stavano per varcare quella porta, di nuovo.
Ma stavolta Quinn ebbe meno paura dei fantasmi del passato, perché con Puck accanto a sé, avrebbe sconfitto qualsiasi paura.
 
The only downside of our bond of friendship was that the more time
I spent with her, the more I liked .
 
L'unico lato negativo del nostro legame di amicizia era che più tempo passavo con lei,
più mi piaceva.
Jamie McGuire
 
Era nello spogliatoio della scuola, di nuovo.
Avvolta nel profumo soffocante dei deodoranti e di detersivo con cui la Sylvester era solita far lavare le uniformi di poliestere che avevano colorato la sua adolescenza.
La bionda doveva ammettere che preferiva la sua uniforme bianca e rossa a questo, con l’enorme scritta sulla schiena Cheerios alumni.
La faceva sentire dannatamente vecchia.
Si sfiorò la pelle accanto al seno, sul fianco, seguendo il contorno del suo tatuaggio con le dita.
La storia di quel tatuaggio sembrava assurda, ma le piaceva ricordarla.
Sei mesi prima, Santana e Brittany si erano presentate alla sua porta con un’allettante proposta: passare una notte folle in città.
Avevano girato buona parte dei pub di New Haven, bevendo le cose più improbabili e appena avevano iniziato a barcollare sui tacchi, si erano trovate davanti ad un negozio di tatuaggi aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Si erano scambiate uno sguardo d’intesa e ci si erano fiondate dentro cantando le prime note della loro prima canzone, “I Say a Little Prayer”.
Il tatuatore, un uomo pieno di piercing e tatuaggi, le aveva guardate storto per qualche minuto, probabilmente anche per l’odore di vodka che avevano portato nel locale, per poi accettare ogni loro richiesta alla vista dei portafogli gonfi.
Si erano fatte lo stesso tatuaggio, nello stesso punto.
Potevano sembrare un po’ fuori di testa, ma era il simbolo del loro legame.
Puck alla vista del tatuaggio era scoppiato a ridere, meravigliato dall’atto di ribellione della fidanzata.
Si tirò su la zip della gonna quando Santana le apparve alle spalle insieme a Britt, già avvolte nella loro uniforme.
-Starting together..- Iniziò Santana sussurrando, mostrandosi per una volta la Santana dolce, quella legata alle due persone che probabilmente la conoscevano meglio al mondo.
-Ending together.- Concluse Brittany sorridendo.
Se lo erano promesse prima delle nazionali, e lo avevano mantenuto.
Ed era quella semplice frase il loro tatuaggio.
Era una promessa, scritta sulla pelle con un inchiostro indelebile per ricordarsi che nonostante la distanza, loro erano unite.
Il loro era un po’ come un matrimonio, erano insieme nella gioia e nel dolore, perché Quinn si ricordava quando alla notizia di Finn si erano ritrovate insieme in camera di lei a Lima a piangere.
Era stata inaspettatamente Brittany, la dolce e innocente Brittany, ad indurire le sguardo pieno di lacrime e a sollevare le due più forti del gruppo.
Era stata lei ad asciugare ad entrambe le lacrime, per quanto fosse difficile.
Ma era stata Santana, l’unica con un briciolo di vero coraggio, a presentarsi alla commemorazione del Glee.
Quinn si era rintanata nel suo appartamentino nel Connecticut, non uscendo dalle coperte per giorni, per poi ricomporsi pezzo pezzo, come sempre.
Brittany era rimasta all’MIT contro la sua stessa volontà, perché andare a quella commemorazione voleva significare dire per sempre addio al Finn Hudson del McKinley e lei non era brava con gli addii.
Sapeva per certo che di Finn se ne sarebbero presi cura gli unicorni, ma poco le importava.
Se c’era una cosa di cui però, in quel momento tutte e tre erano certe era questa.
Erano la Unholy Trinity e lo sarebbero sempre state.
-Andiamo a riprenderci il McKinley bellezze.-
Santana aveva ragione, stavano tornando le regine.
 
 
 
 
E anche questa volta, Puck non aveva ascoltato Quinn.
Lei gli aveva tassativamente vietato di avvicinarsi al campo da football mentre lei, Sannie e Britt facevano i loro reclutamenti, perché sapeva benissimo che la gelosia di Noah poteva arrivare ai limiti dell’impossibile.
Ma lui era testardo e conoscendo i numeri delle tre ragazze, non vedeva l’ora di rivedere la sua bionda preferita nella sua divisa da Cheerleader.
Si nascose nel suo angolo, dove al primo anno stava coi ragazzi, e con le ragazze, più grandi.
Da lì aveva un’ottima visuale verso il campo ma nessuno l’avrebbe mai notato, nonostante la divisa blu, così poco nel contesto bianco rosso del McKinley.
L’ingresso della Unholy Trinity gli fu anticipato da quei giocatori di football, che puntarono lo sguardo in un punto preciso.
Partì il sassofonista, intonando le prime note di Problem.
Quelle tre avevano talento da vendere.
Ma anche questa volta Quinn ebbe ragione, perché non appena lei si avvicinò ai giocatori di football, andando a provocarli, una bestia nel petto di Noah si svegliò ringhiando.
Avrebbe voluto prendere Quinn e portarla via da quei quattro idioti, di cui comunque lui aveva fatto parte anni prima, e rimarcare il concetto che quella cheerleader bionda era sua e basta, che nessuno sarebbe dovuto avvicinarsi a lei nemmeno per chiederle l’ora.
Sì, era decisamente troppo geloso.
Probabilmente questo era dovuto al passato, l’aveva già persa troppe volte e non voleva succedesse ancora.
Ma Quinn ormai era sua, innamorata di lui, anche se faticava a realizzarlo.
Il fattore sesso era la carta che Santana aveva voluto usare per quell’esibizione e ci era riuscita.
Era incredibile come in mezzo ad una banda e alle acrobazie delle cheerleader loro tre riuscissero a risaltare come un faro nella notte.
Le aveva frequentate, anche se solo per una notte, tutte e tre potendo affermare con certezza che erano ragazze davvero speciali, con una marcia in più rispetto alle altre.
Brittany era ironica, allegra e solare, non stupida.
Santana era decisa, furba e decisamente una donna con gli attributi.
Santana e Brittany formavano una delle coppie migliori che lui conoscesse, se non la migliore in assoluto, perché sapevano completarsi.
Dove mancava Santana, c’era Britt e viceversa.
Santana concluse la canzone, accerchiata dalle cheerleader in agitazione.
Puck si alzò, pulendosi i pantaloni, aveva visto abbastanza.
Era orgoglioso di Quinn, gliel’aveva detto più volte ma mai come ora era l’unica cosa che aveva voglia di dirle.

 
“He stared at her, knowing with certainty that he was falling in love.
He pulled her close and kissed her beneath a blanket of stars,
 wondering how on earth he'd been lucky enough to find her.” 
 
“La guardò, con la certezza assoluta di essersi innamorato.
La strinse a sé e la baciò sotto il manto di stelle,
chiedendosi come fosse mai stato possibile avere avuto la fortuna di trovarla.”
Nicholas Sparks, The last song.
 
 

Dopo quasi sette anni Quinn Fabray era riuscita a non odiare il rosso che tappezzava e colorava ogni parte ed ogni singola divisa del McKinley.
Osservava il vestito rosso sul letto, cercando di trovarci un odio represso come la maggior parte delle persone, ma nulla.
Tornò ad osservare la sua enorme libreria, alla ricerca di un libro da bruciare nel falò.
Era tornata a casa di sua madre anche per quello, per osservare le poche tracce rimaste del suo passaggio.
Non avrebbe mai bruciato i suoi libri, ci era troppo affezionata.
Osservò i testi scolastici con sguardo critico, non cercandone nessuno in particolare.
Quando stava per rinunciare notò incastrato tra il libro di matematica e di inglese un quadernetto con la copertina viola, come le pareti della sua camera.
Lo afferrò fulminea, costatando che era esattamente quello che pensava.
Il suo vecchio diario segreto.
Lo aprì, sfogliando alcune pagine e leggendone il contenuto
 
14 Aprile 2009
Da oggi sono ufficialmente la ragazza di Finn Hudson. Mi ha baciata nel cortile del liceo! Sono pronta a scalare la piramide sociale del McKinley e diventare reginetta.
Ps: Santana sostiene che Finn abbia più seno di me!
 
9 Settembre 2009
Mi sono unita a quello stupido Glee Club per impedire a quello gnomo nasone di rubarmi il mio Finn! Io, San e Britt li distruggeremo per Sue, ed io riavrò il mio ragazzo.
 
12 Settembre 2009
Ho fatto sesso con Noah Puckerman. Mi ha fatta ubriacare, dannazione a lui! Finn non lo saprà mai, non conta nulla per me.
 
30 Settembre 2009
Sono incinta.
Sono incinta.
Il test è positivo.
Aspetto un figlio.
Aspetto un bambino da Puck.
Dannazione! Non lo saprà mai nessuno, il padre è Finn.
Però mi dispiace per Noah. Si meriterebbe una chance, ma non posso essere io a dovergliela dare.
 
8 Giugno 2010
È nata.
Beth è nata. Mi hanno lasciato la culla affianco al letto, non sapendo che la darò in adozione.
Mi assomiglia, è esattamente la mia fotocopia.
È così bella e fragile. È mia figlia.
Non pensavo che qualcosa al di fuori dei Cheerios potesse rendermi così felice. Ma quest’ anno ho avuto Beth, ho trovato nuovi amici nel Glee Club e ho conosciuto meglio Noah.
Spero solo che la mia piccola abbia una vita felice e piena di gioie.
Non dovevo farlo, ma l’ho presa in braccio e me la sono sdraiata sul petto.
Sento il suo respiro e il suo cuoricino contro la mia cassa toracica.
Non voglio lasciarla andare.
 
Chiuse il diario, respirando profondamente.
Si era dimenticata di quella parte di lei che aveva sofferto così tanto.
Beth aveva cinque anni e lei non ne aveva più avuto notizie, a causa del suo comportamento con Shelby. Aveva provato a chiamarla senza ricevere mai nessuna risposta.
Puck, al contrario aveva alcune fotografie della figlia e ci aveva parlato al telefono, sentendo la sua vocina da bambina piccola.
Era rimasta una Quinn Fabray in miniatura, con la stessa vocina dolce, così aveva detto Noah.
Era come sentire il vuoto dentro, in certi momenti.
Beth era parte di lei e per quando la madre di Rachel volesse tenergliela lontana, sarebbe sempre stata lei sua madre.
Quinn Fabray era una madre, senza una figlia da crescere. Se ne vergognava perché avrebbero potuto farcela, lei e Puck, a crescere una bambina.
Sarebbe stato difficile, ma adesso sarebbero a Lima con lei.
Si sedette sul letto, prendendosi la testa tra le mani.
Respirò profondamente, cacciando indietro le lacrime.
Rivoleva sua figlia.
La mancanza la uccideva lentamente, giorno dopo giorno.
Stava per lasciarsi andare di nuovo alle lacrime quando sentì due mani sulle spalle, riconoscendo il tocco di Noah.
-Che succede Quinn?- Sussurrò apprensivo, sedendosi sul letto.
-Mi manca nostra figlia. Voglio conoscerla, vorrei averla tenuta con me quando era il momento, vorrei essere la sua unica madre, ma non lo sono.- Rispose senza alzare la testa.
Non voleva farsi vedere a pezzi per l’ennesima volta.
-Quinn, tu sei forte e puoi passare questa crisi. Sei la donna che a quindici anni ha ballato tre canzoni coi tacchi e un pancione di nove mesi, per poi appoggiarsi a me durante Don’t Stop Believin’ e dirmi che ti facevano male le gambe. Sei quella che si è rialzata da una sedia a rotelle in tempo record e ha ballato divinamente alle nazionali. Sei la ragazza che è passata da essere la più isterica della scuola ad essere la studentessa perfetta di Yale. Sei la donna migliore che conosca Quinn. E per Beth, parlerò io con Shelby e te la farò conoscere, te lo prometto. Ma tu devi sorridere ora, abbiamo già pianto abbastanza.-
E anche questa volta, Puck aveva ragione.
Quinn sollevò la testa, come aveva fatto l’ultimo anno di liceo mentre tentava di farsi mettere di nuovo incinta, con gli occhi pieni di lacrime e sorrise inconsciamente alla visione che aveva davanti.
Puck, con indosso la divisa e sopra, invece che la solita giacca blu, la giacca dei Titans, con tutte le medaglie sopra.
Era un mix tra il vecchio Noah e quello attuale.
-Ho trovato questo diario, risale ai primi anni di liceo. Voglio bruciare questo nel falò, voglio un nuovo inizio.- Dichiarò alzando il quaderno verso Puck, che lo scrutò cupo.
-Abbiamo già il nostro nuovo inizio Quinn, ma se questo ti fa stare meglio sono d’accordo. Anche se leggerei volentieri quel diario, Fabray.- Indicò con la testa quel quadernetto malefico, ghignando appena.
Quinn sorrise, alzandosi dal letto e buttando le braccia al collo al suo fidanzato.
-Non se ne parla Puckerman, nessuno ha il diritto di leggere il diario di un’adolescente.- E si lasciò abbracciare, cullata dal respiro del ragazzo.
Si toccò la tasca dei pantaloni, sentendo il rumore della plastica della busta, ma quello non era ancora il momento adatto.
-Giuro che avrai il tuo lieto fine Quinn, è una promessa.- Sussurrò accarezzandola.
Quella era la sua missione più importante.

 
“I've had a lifetime of wrong.
You're the only thing thats right.” 
 
“Ho alle spalle una vita di cose sbagliate.
Tu sei l’unica cosa giusta.”
-Jamie McGuire, Beautiful Oblivion
(Uno splendido sbaglio)
 
Lima aveva vinto.
Erano rimasti un’altra settimana, in barba agli impegni di entrambi.
Più che altro era stata Quinn, che senza fornire molte spiegazioni aveva deciso di fermarsi una settimana in più per aiutare il Glee, così diceva lei.
Ovviamente non gliela contava giusta, ma aveva deciso di lasciar correre, perché non indagare voleva dire una settimana in più a coccolarsi Quinn Fabray tra le coperte, e non gli dispiaceva per niente.
La Berry aveva indetto la settimana Jagged Little Tapestry, nonostante lei e Hummel non fossero totalmente d’accordo.
Santana, prontamente e per evitare il disastro, si era offerta di cantare con Brittany.
Stava aspettando l’inizio della perfomance, con Quinn seduta tra le gambe con un sorrisetto furbo.
Decisamente nascondeva qualcosa.
Ebbe la piena conferma mentre le due cantavano, perché Quinn sapeva esattamente in quale punto avrebbero mixato le due canzoni.
Tre giorni prima erano uscite lei e Santana per un semplicissimo caffè, ed erano state fuori cinque ore e mezza.
Quelle due stavano architettando qualcosa.
Non se ne curò molto, cantando insieme alle ragazze e facendo l’idiota con Quinn, che rise di gusto.
Finita la canzone vide Santana prendere parola e rivolgersi a Brittany, iniziando un discorso a parte, lasciando i nuovi membri perplessi.
Gli fu soltanto tutto un po’ più chiaro quando Santana tirò fuori una scatolina di velluto con un anello dentro, facendo sorridere Quinn.
Ecco dove quelle due erano finite.
Lesse l’infinita felicità negli occhi di Brittany e sentì la mano di Quinn stringersi intorno alla sua.
Era visibilmente emozionata, ma non si aspettava anche lei l’anello.
Era felice per le sue due migliori amiche ma non era ancora pronta per questo grande passo.
Anzi, non lo erano entrambi.
Come la maggior parte dei ventenni il matrimonio era ancora un tema tabù, che non avevano né ne avevano il desiderio di parlarne.
La sera si ritrovarono loro quattro nell’appartamentino di Puck, sorseggiando il miglior vino e festeggiando il matrimonio.
-Mi spiegate cosa diavolo avete fatto l’altro pomeriggio?- Borbottò Noah, appoggiando il bicchiere sul tavolino del salotto.
Quinn rise contro il suo petto, dove era comodamente accoccolata come un gatto.
-Columbus è sempre una bella città.- Rispose Santana enigmatica, accennando alla mano di Brittany.
Erano andate a comprare l’anello, insieme.
-Il lato dolce di zia Snix ogni tanto esce fuori.- Concluse Quinn, alzando il calice verso la latina, sotto lo sguardo stranito della biondina.
-Quindi vi siete fatte tre ore di macchina per un anello?- Chiese Brittany, spalancando i grandi occhi azzurri.
Santana annuì ridendo, appoggiando la testa sulla testa della compagna, che le lasciò un bacio sulla fronte.
-Proporrei un brindisi a una delle migliori coppie del McKinley. A Brittany e Santana.- Annunciò Quinn, sedendosi dritta e alzando nuovamente il calice.
-A Brittany e Santana.- La seguì Noah, alzando il suo bicchiere all’indirizzo delle future spose.
-A noi.- Sussurrarono entrambe, facendo tintinnare i calici uno contro l’altro.
-Basta, vado a prendere il gelato.- Annunciò la bionda, alzandosi dal divano e dirigendosi in cucina.
Puck la seguì con lo sguardo puntato sulle gambe lasciate scoperte dagli shorts.
-Falla soffrire e giuro che ti ammazzo.- Gli disse sbrigativa Santana, congiungendo le mani e fulminandolo con lo sguardo.
Dopo un anno e mezzo si metteva a fare le raccomandazioni da nonna?
-Non ti facevo così protettiva, Santana.- Ribattè contrariato.
-È comunque la mia migliore amica Puckerman.-
No, non l’avrebbe fatta soffrire.
Primo perché l’amava.
E anche perché non l’avrebbe mai ammesso, ma le minacce di Santana Lopez lo intimorivano parecchio.

 
 
“-Don’t even think about it, Travis. She’s like my sister.- America warned.
[…]
-You’re not her type.- she hedged.
Travis feigned insult.
-I’m everyone’s type!-
 
“-Non pensarci nemmeno Travis. È come fosse mia sorella.- Lo avvisò America.
[…]
-Non sei il suo tipo.- Assicurò lei
Travis si sentì insultato.
-Io sono il tipo di tutte!-“
Jamie McGuire, Beautiful Disaster
(Uno splendido disastro)
 
 
La partenza era ormai arrivata e con essa l’umore nero di Quinn, che faceva sempre fatica a separarsi dal fidanzato.
Stava litigando con il trolley rosso, che non ne voleva sapere di chiudersi, quando Noah fece capolino sulla porta della camera.
La bionda era entrata in un silenzio cupo da tempo, anche mentre cantavano l’ultima canzone era stata abbastanza fredda e lui anche, perché poteva sembrare strano, ma soffriva.
E poi c’era quella maledetta busta, che erano settimane che doveva darle ma non ne aveva mai avuto il coraggio.
Era stato un po’ troppo frettoloso, forse, ma era arrivato il momento di dirglielo.
-Quinn, tieni.- Prese la busta dalla tasca della giacca e gliela porse.
-Cos’è?- Chiese lei con uno sguardo interrogativo.
-Apri e vedrai.- Concluse con un cenno della testa, indicando la busta.
Si beccò l’ennesima occhiataccia, mentre lei si sedeva sul letto, aprendo quell’involucro che la stava facendo diventare matta.
Si trovò tra le mani un pezzo di carta azzurra e lesse velocemente le poche parole scritte.
-Un biglietto per Stamford? Da New Haven? Non capisco spiegami Puck.-Chiese perplessa, rigirandosi tra le mani quel pezzetto di carta.
-Okay, ma stai calma e non sentirti obbligata a fare nulla. Mi hanno trasferito in un’altra base militare, nel New Jersey. Sono due ore di macchina da Stamford, starei una settimana in casa e una in caserma. Il punto però è un altro. La casa che ho comprato, sì, l’ho comprata, dista soltanto 42 minuti da Yale. Ora, siccome non frequenti lezioni giornaliere e io sono stanco di vederti una volta ogni tanto, ti sto chiedendo, se tu vuoi ovviamente, di lasciare lo studentato e venire a vivere con me, sul mare.-Disse Puck tutto d’un fiato, prendendo alla fine un profondo respiro.
Durante il suo monologo aveva anche tirato fuori un mazzo di chiavi, con un pinguino come portachiavi.
Non credeva di avere una fidanzata con così tante espressioni.
Era passata dalla confusione iniziale, allo smarrimento totale e poi alla chiarezza e consapevolezza di dove quei biglietti l’avrebbero portata.
Lo fissava con la bocca e gli occhi leggermente spalancati, perché si aspettava tutto fuorchè una richiesta di convivenza.
Si era fatto trasferire per lei.
Si era comprato una casa in uno stato pressoché sconosciuto, per loro.
Il ricordo del ragazzo che non riusciva a stare con la stessa ragazza per più di qualche settimana era lontano, nonostante fossero passati soltanto quattro anni e mezzo.
La bionda fissò il portachiavi, quasi a cercare un aiuto da quel pinguino maledetto.
Si trovava ad un bivio, dove da un lato c’era continuare a vivere con Kathleen e Carolyn, le loro fissazioni e le valanghe di studenti di Yale, mentre dall’altra c’era diventare adulta.
Avrebbero vissuto in una villetta tutta loro, sul mare come aveva detto lui, si sarebbero visti ogni settimana, avrebbero condiviso tetto e letto, come una normale coppia non proprio alle prime armi.
La scelta sembrava così ovvia che scoppiò in una risata liberatoria, buttandosi su Noah, che le strinse i fianchi, sollevato.
-Sono maledettamente terrorizzata Puckerman, ma sì, verrò a vivere con te e prenderò questo treno una volta per tutte. Stando insieme ogni giorno sarà più difficile non litigare, ma voglio provarci. Perché preferisco sia difficile con te che semplice con qualsiasi altra persona. E nel caso non lo avessi capito, ti amo. Anche se mi fai queste sorprese da infarto.- Concluse la bionda, fissandolo intensamente.
Quello era il loro inizio.

 
 
 
“I know we're fucked up, alright? I'm impulsive, and hot tempered, and you get under my skin like no one else. You act like you hate me one minute, and then need me the next. I never get anything right, and I don't deserve you...but I fucking love you, Abby. I love you more than I loved anyone or anything ever. When you're around, I don't need booze, or money, or the fighting, or the one-night stands...”
 
"So che siamo incasinati, d' accordo?" Io sono impulsivo, irascibile e ti sento dentro come mai mi era capitato.
A volte ti comporti come se mi odiassi, un minuto dopo hai bisogno di me.
Non faccio mai niente di giusto e non ti merito... ma maledizione, ti amo Abby. Ti amo più di qualsiasi cosa o persona abbia mai amato.
Quando ci sei tu non mi servono alcol, soldi, incontri nè storie da una notte...Tutto ciò che mi serve sei tu. Sei l'unica cosa a cui penso. Di cui sogno. Sei tutto ciò che voglio."

Jamie McGuire, Beautiful disaster
(Uno splendido disastro.)
 
 
Epilogo.
 
Pochi mesi dopo, nonostante una convivenza maledettamente difficile ma anche maledettamente bella, contornata da ispezioni costanti di Santana Lopez, Quinn Fabray stava realizzando il suo sogno.
Avevano appena passato il cartello con scritto in lettere cubitali “New York” e lei non aveva ancora realizzato che stava per conoscere sua figlia, senza la presenza di Shelby.
Puck era riuscito a convincerla dopo molte chiamate e parole buone riguardo la fidanzata.
Stava per andare a prendere sua figlia all’asilo, come ogni normale madre.
Ovviamente era accompagnata da Puck, che poteva prelevare la bambina soltanto perché Shelby l’aveva designato come padre, maledetta vipera.
Quinn decise di mettere a tacere l’odio per Shelby più tutte le sue emozioni appena parcheggiarono davanti all’asilo.
-Quinn, sta tranquilla.- Disse Noah mentre si slacciava la cintura, conoscendo la fidanzata.
Scese dalla macchina, respirando una boccata d’aria fresca.
Non si accorse di attraversare il parco fino a quando non si trovò davanti ad una porta di legno massiccio, con disegnata accanto una ranocchia.
Erano arrivati.
Strinse istintivamente la mano di Puck, respirando profondamente per l’ennesima volta.
Il ragazzo se la trascinò dietro, entrando in una sala colorata di arancione.
Quinn guardò i bambini uno a uno nel giro di pochi secondi, quando finalmente incrociò quella che doveva essere Beth, avendo un sussulto al cuore.
Dire che le somigliava era riduttivo.
Era due dita più alta degli amichetti e stava seduta con la schiena perfettamente dritta e un sorriso, come quello di Noah, disinvolto.
Anche da lontano riusciva a vedere chiaramente la forma e il colore degli occhi, esattamente come i suoi. Gli occhi come la bocca sembravano fotocopiati da quelli della madre.
A contornare il viso più perfetto che avesse mai visto, c’erano dei lunghi capelli biondi.
Si vedeva che non era figlia di Shelby, notò con un briciolo di orgoglio.
Quella era la sua bambina.
Sentiva il cuore scoppiarle nel petto, e non appena la piccola si alzò dalla sedia per andare a passo saltellante verso il papà, il cuore accelerò ancora.
-Ciao piccola.- Disse Noah, piegandosi sulle ginocchia e abbracciando la bambina.
Beth sapeva che Puck era il padre, perché Shelby non aveva nessuno a cui affibbiare quel ruolo.
-Ciao papà. Chi è questa signora bionda?- Chiese la bimba, con una voce acuta, esattamente come la sua.
La bimba la squadrò attentamente, notando probabilmente una somiglianza con quella signora, che sembrava una barbie come lei.
-Questa è la mia fidanzata Beth, si chiama Quinn.- Spiegò Noah con calma, senza dire troppo.
Beth la studiò ancora a lungo per poi dire:
-Sembri una barbie, possiamo giocare insieme?-
Acconsentì, mentre dentro di sé pensava che con sua figlia ci avrebbe giocato anche tutta la vita.
 
 
Erano passati cinque anni da quel giorno che Quinn ricordava bene come pochi altri.
-Mamma!- Sentì urlare a pieni polmoni dal piano di sopra.
Alzò gli occhi al cielo, guardando male Puck che sogghignava appoggiato al bancone della cucina, salendo al piano di sopra.
-Cosa succede qua dentro?- Esordì mettendo piede in camera.
-Alex mi ruba le mie cose, ed è anche un maschio!- Disse Beth in preda alla disperazione, coi capelli biondi scompigliati.
Poteva sembrare strano, ma Beth viveva con loro da ormai quattro anni. Pochi mesi dopo averla conosciuta Shelby era stata colpita da una grave malattia, che l’aveva fatta volare via in poco tempo.
La bionda, nonostante l’odio represso, era rimasta sconvolta dalla notizia in sé, ma poi si aggiunse il testamento della madre biologica di Rachel, che chiedeva espressamente che Beth fosse lasciata al padre e alla madre naturali.
Si erano ritrovati nel Connecticut, con una bambina di sei anni che aveva perso la madre e con due carriere impegnative.
A fatica però erano riusciti a fare tutto al meglio, anche a spiegare a Beth chi davvero fosse sua madre senza troppe conseguenze.
Sarebbe andato tutto al meglio se Quinn non fosse rimasta incinta un mese dopo l’arrivo della piccola.
Come la prima volta non era programmato e soprattutto non avevano i mezzi fisici per tenerlo.
Ma questa volta aveva combattuto con le unghie e con i denti, dando al mondo Alex, a soltanto ventidue anni.
Per essere una che voleva fare le cose con calma, non andò tutto come previsto.
Un anno dopo, si era anche sposata con Puck, sotto lo sguardo soddisfatto delle madri di entrambi e di Rachel e sotto il controllo di Santana e Brittany, che avevano fatto le zie a tempo pieno per i pargoli.
A ventiquattro anni, era rimasta nuovamente incinta ed era riuscita a laurearsi con il massimo dei voti con un pancione di otto mesi ben visibile.
Stava per riprendere quel demonio di suo figlio, quando sulla porta apparve il reale colpevole del carattere irrequieto del bambino, Puck, con in braccio la piccola Madison, che ormai aveva due anni.
Se Rachel aveva vinto un Tony, Mercedes stava aprendo i concerti di Beyonce, Kurt e Blaine stavano per diventare genitori e Santana e Brittany stavano a New York, lei aveva mantenuto sempre la stessa promessa.
Preferiva fosse difficile con Puck che facile con qualcun altro.
E se essere un avvocato che viveva ormai a New York, con tre figli di dieci, quattro e due anni ed un marito nell’esercito non era difficile, non sapeva cosa poteva esserlo.
Era fiera della donna, della mamma e della moglie che era diventata.
E così era tornata, in una data così lontana come il 2020 a Lima, per salutare nuovamente il signor Shue e il vicepresidente d’America Sue Sylvester, che nonostante tutto era la donna che le aveva insegnato tanto.
Era tornata con tre figli e tanti sogni nel cassetto per loro, che avrebbe realizzato a qualsiasi costo.
Era tornata con il marito, il vecchio giocatore di football, che l’aveva fatta innamorare al liceo.
Erano tornati con i loro problemi e le loro paure, ma più forti di prima.
Erano tornati con un piccolo maschietto che di secondo nome faceva Finn, Alex Finn Puckerman, perché quello era un grazie al ragazzo migliore che entrambi avessero conosciuto.
Erano tornati con le loro due bimbe, la piccola grande Beth e quello scricciolo di Madison, che erano entrambe lo stampo della mamma.
Era tornata con la sua Unholy Trinity, perché vivendo nella stessa città avevano rafforzato quel legame che nonostante tutto avevano.
Era semplicemente tornata all’inizio, come ogni buon libro.
Lo riinizi sempre, prima o poi.
Erano pronti a lasciare con le nonne i figli e tornare nel loro auditorium, con la consapevolezza che loro avevano vissuto fino in fondo, e che come diceva la canzone, quando il momento fosse arrivato, loro avevano fatto tutto il possibile, come nelle migliori storie.
Loro erano la loro storia.




 
  
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