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Autore: Shainareth    06/04/2015    2 recensioni
Mi ero spesso chiesta come fosse quella sensazione di gioia che si prova quando hai la possibilità di dare il buongiorno al ragazzo che ami con un bacio. Lo scoprii quella mattina, quando, scesa di casa per andare a scuola, trovai Kentin ad aspettarmi davanti al parco.
Brevissima long (di soli due capitoli) ambientata dopo la shot Equilibrio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexy, Armin, Dolcetta, Kentin, Rosalya
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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RAGAZZACCI - CAPITOLO SECONDO




Al suono della campanella, anziché seguire tutti gli altri in mensa, mi precipitai verso il mio armadietto e lo misi letteralmente a soqquadro, rispondendo a casaccio a chi mi chiedesse cosa diamine stessi facendo. Quando fu Kentin ad avvicinarsi per sapere se volevo seguire lui e gli altri in mensa, per poco non mi schiacciai una mano nell’anta nel tentativo di impedirgli di guardare fra la mia roba. Non che non volessi condividere con lui i miei segreti, anche perché in realtà aveva visto più di una volta il contenuto del mio armadietto, ma adesso che ero divorata dal sospetto di aver nascosto lì qualcosa che lo avrebbe mandato su tutte le furie, preferivo evitare che lo rifacesse.
   «Vi raggiungo fra poco», gli assicurai, cercando di essere il più convincente possibile.
   Non se la bevve, perché mi fissò con aria inquieta. «È per via di quella faccenda?» mi domandò, vincendo un’iniziale ritrosia.
   «Quale faccenda?» domandai, questa volta senza aver bisogno di mentire circa il mio stato d’animo. Kentin arrossì, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, in evidente stato di disagio. Quella reazione indusse il mio povero neurone a girare come un criceto nella ruota impolverata che si trovava nella mia scatola cranica ed io finalmente compresi il suo imbarazzo. «Ah…» balbettai, non sapendo bene dove posare lo sguardo. «Rosalya mi ha illuminata al riguardo», spiegai. «Sono proprio senza speranza, eh?» tartagliai, con un vago sorriso sulle labbra.
   «Se può farti star meglio», prese a dire lui, pur con voce malferma, «non faccio quelle cose.»
   Cos’era, un santo?
   Si morse un labbro. «Beh, non sulle tue foto», aggiunse per amor di onestà.
   Aggrottai pericolosamente la fronte e, nonostante la vergogna che mi stava divorando, piantai gli occhi nei suoi. «Usi le foto di qualcun’altra?» non mi trattenni dal chiedergli.
   L’espressione che mi regalò Kentin in quel momento fu epica. Sul serio, vorrei aver avuto la prontezza di agguantare il cellulare e scattargli una foto. Magari avrei persino puntato ad un selfie.
   «Ma ti pare?!» mi ringhiò contro, all’apice dell’imbarazzo. E poiché si rese conto di aver alzato troppo la voce, si passò una mano sulla faccia nel tentativo di darsi una calmata. «Non dire scemenze», riprese dopo un attimo, con maggior pacatezza, mentre anch’io cercavo di scacciare la rabbia e la gelosia che mi avevano offuscato la ragione.
   Compresi che stavamo per inoltrarci in un discorso troppo delicato e personale. Anche se adesso stavamo insieme e prima o poi certi argomenti avremmo dovuto affrontarli, non potevamo certo discuterne lì, nel bel mezzo del corridoio della scuola.
   Abbassai lo sguardo, mortificata. «Scusa.»
   «No, scusami tu», bofonchiò lui, lasciandosi andare ad un sospiro. «Noi maschi siamo piuttosto…»
   «Non fa niente, davvero», lo interruppi, risparmiandogli la ricerca di una parola che potesse descrivere l’idea che aveva in testa. «Va bene, è una cosa naturale.»
   A dispetto della maturità con cui accettai la faccenda, mi resi conto di essere sul punto di morire per la vergogna. Sperai di potermi fare due risate insieme a lui, una volta immagazzinata a dovere quella verità troppo audace per il mio povero animo innocente.
   «Lo sapevi che anche le ragazze fanno certe cose?» mi venne spontaneo domandargli a quel punto, nel tentativo di smorzare la tensione.
   Kentin mi guardò perplesso. «Immagino di sì…» balbettò, stupito da quella mia osservazione.
   «Io invece non ne avevo idea», ammisi, quasi imbronciata con me stessa per la mia totale ignoranza in materia.
   Lui ridacchiò, forse intenerito dalla mia ingenuità. «Andiamo?» mi esortò, preferendo accantonare del tutto l’argomento in favore di una bella mangiata in mensa. Non che il cibo fosse sempre ottimo, lì, ma a quell’età eravamo capaci di ingurgitare qualsiasi cosa.
   Quando fummo in mensa ci eravamo già dimenticati di tutto – beh, per lo meno l’intenzione di farlo c’era da entrambe le parti. Il guaio accadde quando, cercando i soldi nella borsa e non trovando alcuni spiccioli, mi accorsi di un taschino interno, invisibile a primo acchito, del quale difatti mi ero persino dimenticata. Pensando di poterci trovare qualche monetina, vi frugai dentro, ma tutto ciò che ne ricavai fu quello che credetti essere un foglio di carta lucida. Quando lo tirai fuori, per di più sotto al naso di Kentin che stava facendo la fila insieme a me davanti al bancone della mensa, mi si rizzarono i peli sulla nuca: era la foto di Nathaniel. Mi tornò in mente che l’avevo messa lì in attesa di stabilire a quale fine destinarla, senza però riuscire mai a prendere una decisione in merito e rimuovendone completamente l’esistenza dalla testa.
   «Che diavolo è?» fu l’ovvia domanda che mi sentii porre un nanosecondo dopo, mentre Kentin mi scippava la foto di mano per osservarla meglio.
   In preda al panico, non potei far altro che capitolare e raccontargli di come Rosalya me l’avesse regalata per averla aiutata a riconciliarsi col suo ragazzo e che non mi era stato possibile rifiutarla in alcun modo. Precisai anche che non ci pensavo più da una vita e che non mi interessava nella maniera più assoluta, ma il silenzio di Kentin ed il suo sguardo adombrato, che ancora fissava l’immagine di Nathaniel appisolato sui libri di scuola, mi indussero a credere che lui non fosse affatto convinto della verità che gli avevo appena rivelato.
   Al momento di pagare, s’infilò la foto in tasca e saldò il conto anche per me. Quindi, tenendo il vassoio in bilico su una mano sola e trascinandomi lentamente per il polso verso il tavolo a cui erano già accomodati i gemelli, mi domandò: «Se non la volevi, perché non l’hai buttata via?»
   Era una curiosità più che legittima. Meno sensata fu la mia risposta, che pure fu onesta. «Mi dispiaceva fare un torto a Nathaniel», pigolai, inducendolo a fermarsi di botto e a guardarmi con aria irritata. Sia il mio che il suo vassoio, in precario equilibrio, rischiarono di rovesciarsi in terra. «Insomma, di solito si buttano o si strappano foto di persone che non contano niente, per noi, o verso le quali siamo arrabbiati, no?» cercai di spiegargli, sentendomi in trappola nonostante avessi la coscienza pulita. «Nathaniel non c’entra nulla, è tutta colpa di Rosalya.»
   «Avresti potuto restituirgliela», mi fece notare Kentin, ancora visibilmente infastidito.
   «Ci ho provato, ma è scappata come un fulmine per raggiungere Leigh.»
   «Allora avresti potuto darla a Nathaniel stesso.»
   La trovai un’idea ridicola. «Non potevo certo andare da lui e dirgli: Ehi, guarda! C’è qualcuno che ti fa le foto di nascosto e poi le rivende o le regala ad amiche e conoscenti!»
   «Sarebbe stato più onesto.»
   «Ma anche più imbarazzante, perché magari mi avrebbe chiesto perché anch’io ne avessi una.»
   «Sarebbe stato troppo difficile inventarti di averla ottenuta per vie traverse?» Nel momento stesso in cui lo disse, Kentin scosse il capo e sbuffò, ben sapendo che non sarei mai stata in grado di fornire una spiegazione convincente.
   «Mi dispiace…» mormorai, temendo seriamente che la nostra neonata relazione amorosa potesse essere minata sin da subito da uno stupidissimo equivoco.
   Mi lanciò un’occhiata paziente e riprese a camminare, conducendomi con sé verso il tavolo dal quale Armin e Alexy ci facevano segno da lontano.
   Più che mangiare con appetito, divorai il pranzo per colpa del nervosismo. Adesso Kentin sapeva tutto e, in aggiunta, mi aveva sequestrata la foto. Non che mi importasse della fine che le avrebbe riservato, ma non potevo fare a meno di torturarmi al pensiero che tutto il nostro sogno rosa, fatto di amore, fiducia e tante altre cose zuccherose e sbaciucchiose, fosse già sul punto di svanire a causa di quel brutto, traumatico risveglio.
   La pausa pranzo finì troppo in fretta, per i miei gusti, ma a giudicare dal tempo che si prese Kentin per alzarsi da tavola, assicurando ai nostri amici che ci avrebbe raggiunti subito in aula, supposi che per lui i minuti non erano affatto volati come per me. Armin e Alexy si accodarono a tutti gli altri studenti e pian piano la mensa iniziò a svuotarsi.
   «Non vai con gli altri?» mi domandò Kentin, vedendomi ancora seduta accanto a lui. Se ne stava abbandonato svogliatamente sulla sedia, con un gomito sul tavolo e la guancia sorretta dalla mano chiusa a pugno.
   «Preferisco rimanere con te, se non è un problema», risposi, non sapendo esattamente cosa aspettarmi da quel suo comportamento.
   Non mi spiegò nulla, ma volle sincerarsi di un’altra cosa. «Perché proprio la foto di Nathaniel?»
   A quel punto non aveva davvero più senso che gli mentissi. «Come sai, mentre eri alla scuola militare, io e lui abbiamo fatto amicizia.»
   «E lui ti piaceva», concluse per me, atono, gli occhi nei miei.
   Mi strinsi nelle spalle. «Credevo di sì.»
   «Che vuol dire credevo?» ribatté, accigliandosi. «Oltretutto appena ieri mi hai detto che sono io, quello che ti è sempre piaciuto», ci tenne a ricordarmi, lievemente stizzito all’idea che potessi avergli detto una bugia.
   «È vero», gli garantii con decisione. «Me ne sono resa conto solo dopo, quando sei tornato.»
   «Perché ho tolto gli occhiali e sono diventato più alto e muscoloso?» m’accusò Kentin, risentito.
   Quelle parole mi ferirono molto più di quanto si aspettasse. «Mi credi davvero così superficiale?» replicai, spazientendomi a mia volta. «Se è così che la pensi, mi spieghi per quale dannato motivo ti piaccio?» non potei fare a meno di chiedergli. «Tanto vale che tu ti metta con una come Ambra, che almeno è bella e piena di soldi», aggiunsi prima che riuscissi a controllare la gelosia ed i complessi di inferiorità che, almeno sotto un punto di vista estetico, ben sapevo di avere nei confronti di una ragazza avvenente quanto lei. Senza contare che tempo prima Kentin l’aveva anche baciata, e quella consapevolezza bruciava ancora da morire.
   Eravamo davvero una coppia di stupidi.
   Vergognandomi di ciò che avevo detto, mi alzai di scatto e cercai di guadagnare l’uscita il più velocemente possibile. Kentin mi fu subito dietro e tornò ad agguantarmi per un braccio, facendomi rallentare. «Vieni», mi disse soltanto, accompagnandomi lui stesso fuori e costringendomi a seguirlo verso il corridoio d’ingresso della scuola.
   Non mi opposi né fiatai, reputando molto più importante chiarire le cose con lui piuttosto che arrivare puntuale alla lezione successiva. Tanto, ormai, la mia condotta scolastica era stata più volte compromessa dalle diavolerie di Ambra e delle sue amiche – per non parlare della parentesi Debrah, che mi aveva persino messa contro tutti i compagni di classe.
   Mentre Kentin mi trascinava via con sé, faticai a stento a reprimere le lacrime. Stava accadendo proprio ciò che avevo temuto. La nostra amicizia sarebbe sopravvissuta a quella discussione? Non volevo litigare con lui, non volevo neanche essere inutilmente gelosa per un qualcosa che non esisteva, visto che ero certa di ciò che Kentin provava per me. E lui, invece, era consapevole che il mio non si limitava ad essere un semplice interesse, ma era piuttosto un’emozione molto più forte e intensa, e che lui era capace di condizionare il mio umore soltanto con uno sguardo, un sorriso o una parola?
   La campana della ripresa delle lezioni suonò, eppure Kentin non cambiò direzione. Ci fermammo nei pressi degli armadietti e si guardò intorno, in attesa di qualcosa che non potevo immaginare. Quindi, il corridoio andò gradualmente svuotandosi e lui si avvicinò furtivo all’armadietto di Nathaniel. Mise una mano in tasca e ne estrasse la foto, che iniziò ad infilare in una fessura dell’anta chiusa, cercando al contempo di non rovinarla. Osservai i suoi movimenti senza fiatare, stupita e incapace di capire. Questo avrebbe certamente risolto la questione della foto, ma noi, invece, come saremmo rimasti?
   Quando il ritratto di Nathaniel scomparve all’interno dell’armadietto, Kentin si allontanò da lì e tornò da me, guardandomi con espressione sorniona. «Non ci voleva poi molto», mi fece notare.
   Misi il muso come una mocciosa. «D’accordo», borbottai, intrecciando le braccia sotto ai seni. «Sei più intelligente di me, e allora?»
   Lui rise e, senza che riuscissi ad anticipare le sue mosse, mi passò un braccio attorno alle spalle per attirarmi a sé e baciarmi sulla bocca. Nonostante la semplicità di quel gesto apparentemente innocente, fu capace di comunicarmi tutta la passione e la tenerezza che sentiva per me. Lo fissai meravigliata e lui, senza distogliere gli occhi dai miei, dichiarò: «Non azzardarti mai più a dubitare di questo.»
   «Lo stesso vale per te», affermai un attimo dopo, pur sentendomi ancora in imbarazzo per quel genere di effusioni che ancora mi sembravano così strane per noi due. Diamine, stavo con il mio migliore amico e ancora non riuscivo a metabolizzare la faccenda, benché l’avessi sognato per tanto tempo.
   L’eco di due colpi di tosse si propagò per il corridoio deserto e noi sussultammo, allontanandoci rapidamente l’una dall’altro e osservandoci attorno guardinghi. Qualcuno ci aveva visti? Poco più in là, da un corridoio laterale, spuntò il nostro professore, ma sembrava non averci neanche notati. Era in ritardo anche lui, a quanto pareva, per cui ci affrettammo a raggiungerlo, a salutarlo al volo, e a proseguire rapidamente verso l’aula.
   Anche se non scambiammo più una parola, prima di entrare in classe, Kentin mi riservò uno sguardo ed un sorriso che mi rasserenarono al punto che tornai a sedermi accanto a Rosalya con il cuore più leggero e un’espressione allegra in volto.
   Lei mi guardò stupita e non poté fare a meno di osservare: «Siete arrivati tutti e due in ritardo.»
   «Dovevamo parlare di una cosa», risposi vaga.
   «Sai», iniziò Rosalya dopo un attimo, mentre il professore entrava in aula e si scusava per l’attesa, «mi stavo chiedendo se non dovessi tornare a mettermi in affari.» E al mio sguardo interrogativo rispose: «Non ho foto di Kentin: vendendole ad Alexy, ci farei una fortuna.»
   Ringraziai la tosse del nostro insegnante che, venendo fuori proprio in quel momento, coprì la sonora imprecazione che sbottai all’indirizzo della mia compagna di banco, facendo scoppiare a ridere tutti, meno che il professore, che ci guardò confuso, tentando di capire cosa fosse accaduto di così divertente mentre era impegnato a tossire.
   Ragionandoci su, continuando con tutte quelle battute da parte degli altri e quelle scenate di gelosia che da sempre rischiavano di incrinare l’armonia del nostro rapporto, sarebbe stato difficile nascondere a lungo la relazione fra me e Kentin. Tuttavia, quando mi aveva baciata di nascosto nel corridoio, pochi minuti prima, avevo avvertito un brivido inaspettato che mi aveva fatto scoprire quanto potesse essere eccitante il rischio di essere scoperti da qualcuno.
   Santo cielo, ponderai fra me, ignorando quel povero professore raffreddato che aveva iniziato la sua spiegazione. Sto diventando una ragazzaccia!












Sto ancora cercando di capire se la mia Dolcetta è tremendamente ingenua, tremendamente bacchettona o tremendamente cretina. Propendo per quest'ultima ipotesi, ma pazienza. *Le fa le carezzine*
Confesso che, quando ho iniziato a scrivere questa storia, avrebbe dovuto essere una shot; solo che poi è venuta fuori più lunga di quanto credessi, e così l'ho divisa in due parti.
Confesso anche che non mi aspettavo che questi due imbecilli arrivassero (per colpa di altri) a dirsi cose tanto private così in fretta. Okay, sono amici da anni (in un'altra shot ho scritto che si conoscono dalle medie), ma personalmente non ho mai fatto questo genere di confidenze al mio migliore amico (che dopo dieci anni di conoscenza è diventato il mio ragazzo, lol).
Tornando alle mie storie, non è la prima volta che mi capita che i personaggi decidano di muoversi e di parlare da soli, senza che io faccia nulla. Mi era già successo con la shot in cui Kentin e la Dolcetta si sono baciati per la prima volta, e anche con l'ultima che ho postato, quella sull'intervista di Peggy: lì doveva essere lei a prendere in giro lui e basta, e invece quel disgraziato s'è preso la rivincita nel finale. Good! Pare che anche ChinoMiko abbia affermato che Kentin ha deciso da sé che è ghiotto di biscotti al cioccolato. È inquietante, 'sta cosa. :'D
Basta, la smetto qui, ché se no continuo a scrivere a vanvera per ore.
Buona giornata e grazie a tutti i lettori! ♥
Shainareth





  
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