Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Eruanne    06/04/2015    2 recensioni
Un Regno circondato da montagne e brughiere desolate dimenticato da molti.
Una ragazza divenuta Regina a causa di un Fato inclemente.
Una richiesta d'aiuto contro un nemico ben noto caduta in mani lorde di sangue e sensi di colpa di un ritrovato Re sotto la Montagna.
La marcia ha inizio: porterà alla salvezza di entrambi?
Seguitemi in questo nuovo viaggio e lo scoprirete.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PREMESSA: Siccome è passato un po' di tempo di sicuro non ricorderete molto che è capitato negli scorsi, quindi eccovi un piccolo riassunto.


Thorin, ora reggente ma distrutto per la morte dei nipoti, accetta di rispondere alla richiesta di aiuto di un regno di cui nessuno era a conoscenza: quello degli Ered Mithrin, guidato dalla giovane e orgogliosa Nora. Ella si aspettava Dain, non certo Thorin, del quale non ha molta simpatia; si trova quindi a dover accettare il suo aiuto anche perché la minaccia degli orchi incombe sempre più e bisogna rafforzare le difese e pianificare un attacco. Aiutata dal fedele Hagan e dagli altri consiglieri – il viscido Fanus e il figlio Doiran, Sisil, Malir e il padre di Hagan, Ganar – Nora espone la situazione a Thorin e Dwalin. Nessuna delle due parti sembra fidarsi dell'altra, però per il bene dei rispettivi regni saranno costretti ad aiutarsi. Inoltre Thorin, percepita la rabbia nei suoi confronti, promette a se stesso di scoprire il motivo e cercare di rimediare.


Credo sia tutto, buona lettura!


A chi mi ha aiutato e dato idee per questo capitolo ^^



CAPITOLO QUATTRO



«Mia signora, stamattina preferite l'abito blu o quello verde?»

«Nessuno dei due, prendi quello nero. Fai in fretta con l'acconciatura, non ho molto tempo.»

Gilla si affaccendò ad eseguire l'ordine dettato seccamente, sbirciando più di una volta la schiena della giovane sovrana mentre le sfilava la lunga camicia da notte bianca; mantenne lo sguardo basso, imbarazzata come ogni qualvolta la sapeva nuda, e si impose di rivestirla velocemente dapprima con la sottoveste di raso e poi facendole indossare il vestito prescelto. Le allacciò il corpetto con dita agili, pregando non cambiasse repentinamente idea desiderando cambiarsi; fortuna volle che i pensieri pressanti le tenessero compagnia, e si dispiacque di quel vago senso di sollievo nel saperla troppo impegnata per notare altro – nella fattispecie il suo operato.

Una volta terminato attese si sedesse davanti alla toeletta di legno, e riprese ad occuparsi della lunga e folta chioma castana in cuor suo sempre invidiata. Raccolse la spazzola passandola sulla lunghezza delle ciocche, trattenendo il labbro inferiore tra i denti quando incontrava nodi particolarmente ostici da sbrogliare; ammirò la compostezza della sovrana durante quel lungo rituale, e trattenne qualsiasi commento quando la vide ancora assorta. Poteva quasi percepire il frastuono dei pensieri vorticanti nella sua regale testa, ed azzardò un'occhiata al riflesso nello specchio tondo appeso alla parete. Lo sguardo era perso in un punto indefinito, ed era più che certa stesse pensando ai nuovi venuti.

Il loro arrivo era passato di bocca in bocca e tutti gli abitanti degli Ered Mithrin ne erano ormai a conoscenza, anche se molti non avevano avuto il privilegio di notarli; lei, invece, era riuscita a spiarli dalla porta che separava l'ala della servitù da quella nobile, ed era rimasta affascinata e intimorita da quel gruppo di estranei, giacché era da lunghi anni che il palazzo non ospitava qualcuno.

Terminò anche la più piccola delle trecce preparandosi a raccoglierle sulla nuca come di consuetudine e sospirò pianissimo pensando alle sue, davvero misere e poche come suggeriva la sua posizione sociale.

Non mentiva a se stessa quando diceva di essere gelosa della sua regina, lo era stata fin dall'infanzia. L'una, principessina che giocava lungo i corridoi del palazzo e l'altra, figlia di un cuoco e di una serva; era praticamente facile indovinare il loro destino. Eppure si era scoperta smaniosa di conoscerla, parlarle anche per poco. Non pretendeva d'esserle amica – non era così sciocca –, voleva solo non risultare una sconosciuta ai suoi occhi. Perciò era entrata presto a servizio, colpendo talmente tanto la precedente regina da vedersi affidare il compito di affiancare la figlia. Ricordava molto bene la felicità ogni qualvolta si svegliava e ripensava all'immenso privilegio capitatole. Le sue poche amiche non erano state altrettanto fortunate, ed alcune avevano dovuto ripiegare sul matrimonio pur di trovare qualcuno che badasse al loro sostentamento; lei poteva ancora permettersi di rimanere sola, anche se era stata corteggiata da qualche ragazzo.

Non sono certo brutta, pensò, rimirandosi per lunghi secondi allo specchio mentre appuntava delle lunghe forcine perché la pettinatura reggesse. Sorrise un poco a quel momento di vanità, ma era pienamente comprensibile quando si aveva a che fare con una padrona come la sua: ogni abito la fasciava alla perfezione e il viso era incantevole benché non fosse di particolare bellezza; inoltre, qualsiasi gioiello indossasse – purtroppo pochi, anche se comprendeva la ragione della sua riluttanza – le donava un portamento ancor più elegante e regale.

La porta alle loro spalle si aprì e per poco non le cadde il pettinino di tartaruga tempestato di smeraldi, tanto era stato lo spavento; si girò frettolosamente e si inchinò, attendendo qualche secondo prima di rialzarsi.

Nora, d'altro canto, rimase seduta e volse lo sguardo allo specchio seguendo la figura finché non le si posizionò quasi alle spalle, ad un paio di passi dalla serva.

«Puoi andare, Gilla» comandò la nuova arrivata «posso terminare io.»

La giovane l'osservò titubante, indecisa di risponderle che no, non le avrebbe mai permesso di completare quel lavoro poco nobile; si trattenne, girandosi verso la regina a cercare conferma. Quella invece la congedò con un gesto, e non le rimase che lasciarle dopo essersi profusa in un altro inchino.

«Come desidera, mia signora» percorse la stanza e si chiuse la porta alle spalle, espirando. Per alcune ore si sarebbe potuta considerare libera.


Una volta sole la nuova venuta si avvicinò maggiormente, posando le mani sulle spalle della regina «Queste occhiaie non ti donano molto, mia cara. Hai avuto difficoltà a dormire?»

«Non ho proprio chiuso occhio.»

Le strinse affettuosamente una spalla, accarezzando la pelle col pollice «Trovi indecoroso che mi occupi di rifinirti le trecce e ti posi il pettinino tra i capelli?» domandò, preferendo cambiare argomento quando si accorse della risposta un poco frettolosa.

Nora scosse la testa, sorridendole «Affatto. Ricordo che quando ero bambina lo facevi spesso.»

«Finché non sei divenuta una vera donna era mio compito. Mi mancava, lo confesso» le arrotolò una piccola treccia sulla nuca ed aggiustò una forcina sul lato destro.

Allungò le dita sulla toeletta prendendo in mano il pettinino d'oro con piccole gemme preziose incastonate, rigirandoselo tra le dita «E' meraviglioso» sussurrò con tono affettuoso «Un dono degno di una regina.»

La ragazza annuì, deglutendo per scacciare il groppo alla gola «Quando me lo donasti non potei capacitarmene, poiché ne eri molto legata.»

«Così come tua nonna si dispiacque quando me lo regalò» ammise, posizionandolo con estrema cura appena sopra la treccina «ma è un passaggio necessario, tramandato da madre a figlia.»

Nora dapprima sorrise e poi si accigliò, poiché si rese conto d'aver quasi terminato quei minuti di calma.

«Immagino tu non sia qui solo per pettinarmi. C'è altro di cui devi parlarmi prima che vada?»

La Regina Madre assottigliò gli occhi, contenta d'essere giunta dritta al punto; Nora era sempre stata piuttosto perspicace, una qualità indispensabile per la sovrana di un regno.

«Sai cosa ti chiedo, ne abbiamo già parlato.»

«Passo forse per una persona orribile se rimango me stessa?»

«» disse, aumentando la pressione sulla spalla sinistra «Sono ospiti. Abiteranno sotto il nostro tetto mangiando il nostro pane e il nostro sale. Devi ricordartelo.»

Nora si voltò, aggrottando la fronte e stringendo le labbra «Rammenti chi è a capo dei nani nostri ospiti?» sibilò arrabbiata.

«In fondo non è stata colpa sua.»

La guardò allibita, schiudendo la bocca mentre una rabbia prepotente la infiammava veloce «Se non si fosse scatenata quella battaglia loro sarebbero ancora qui!»

«Ne sono consapevole, ma ormai è passato più di un anno.»

«E' troppo poco tempo, non ho ancora finito di piangerli. Al contrario di te» sbottò furiosa. Non poteva credere davvero alle parole ascoltate. Era inaudito.
Finalmente la corazza composta e calma della madre si incrinò
«Credi non li pianga? Amavo tuo fratello più della mia stessa vita. E tuo padre...» respirò pesantemente per ritrovare la calma e continuò «Tu parli ancora come la giovane principessa che eri, non come la regina che sei. Devi pensare al bene del tuo popolo, e per questo dovrai moderarti accanto a Scudodiquercia. Non possiamo permetterci se ne vada prima del tempo.»

«Questo lo so» ammise sconfitta, passandosi il palmo della mano destra sulla fronte «però non posso prometterti nulla.»

Parve invecchiare, e ciò accrebbe la morsa al cuore della genitrice, che non trovò parole di conforto.

Non stavolta. Lei era anziana – benché non volesse ammetterlo – e il rancore non faceva più parte del suo essere. Nora, al contrario, aveva ancora molto da imparare. Doveva accantonare il pregiudizio, infantile o meno, e pensare solo al futuro. La fiamma della vendetta e del risentimento bruciavano con assurda facilità nel suo cuore, così come ogni altro potente sentimento. L'amore provato nei riguardi del padre e del fratello non le avrebbe permesso di dimenticare il giorno infausto del passaggio di reggenza.

Vi sarebbe stato altro tempo per ulteriori predicozzi – di questo era fortemente convinta – poiché conosceva bene l'animo della sua bambina e, certo come la sua vita, sapeva che la convivenza con gli stranieri sarebbe stata complicata per entrambe le fazioni. Poteva almeno sperare di placare gli attriti sul fronte della propria famiglia e, con l'aiuto dei Valar, Thorin Scudodiquercia avrebbe fatto la sua parte per non infrangere quel patto d'aiuto.

Inoltre, avrebbero certamente iniziato col piede giusto se Nora si fosse presentata in tutto il suo giovane splendore «Copriti quelle occhiaie, tesoro» le disse «l'aspetto di una vera e forte regina va curato nei minimi dettagli. Ed è proprio indispensabile il vestito nero?»

Per un momento, ecco tornare la Nora adolescente; alzò gli occhi al cielo, trattenendo uno sbuffo «Certo. Non intendo cambiarlo.»

Così aveva deciso, e non avrebbe mutato idea nemmeno per tutto l'oro del mondo. Non solo riguardo lo stupido abito.



«Sei in ritardo.»

Così un irascibile Dwalin accolse il povero Nori non appena questi varcò la soglia della stanza assegnata a Thorin; il nano guerriero stringeva le braccia muscolose al petto possente, ed il solito cipiglio era maggiormente accentuato dalla scontentezza. Se c'era qualcosa che non poteva sopportare erano i ritardatari, specie in quel frangente tanto delicato e instabile.

«Di pochi minuti, per tua informazione» lo rimbeccò il ladro della Compagnia, rivolgendosi poi verso il suo sovrano «Scusami, Thorin.»

Quello agitò una mano con scarsa convinzione «Non importa, ma ora che siamo tutti qui preferirei parlare in fretta, dato che tra poco dovremo trovarci per iniziare i lavori.»

Prese fiato, raccontando dell'incontro e di quel che avevano concordato; nessuno parlò finché non terminò e solo allora Gloin espresse il suo parere.

«Tutto questo mi puzza di imbroglio. Troppe incognite, troppi raggiri e segreti!»

«Sono d'accordo con te, fratello.»
«E che proporreste? Di tirarci indietro e fuggire?»

«Sarebbe una decisione saggia, Bofur.»
«O molto sciocca, invece» ribatté il giocattolaio, infervorandosi «abbiamo dato la nostra parola e io non intendo rimangiarmela passando per bugiardo!»
«Non torneremo a Erebor» chiarì Thorin, ponendo fine al battibecco «manterremo la promessa perché è giusto. Se le parti fossero invertite non vorremmo sapere della fuga dei soccorritori.»

«Da quel che ho capito non siamo ben visti» Dori prese la parola, guardandosi attorno nervoso «Questo non vi fa pensare ad una soluzione... diversa?»

«Non scapperemo» scandì il re, stringendo i pugni «Non mi importa cosa pensano, onoreremo il patto anche se non sarebbe compito nostro! Lei aspettava Dain ma sono sorte delle complicazioni. E' una nana intelligente, comprenderà e accetterà le conseguenze.»

«Non è tanto lei a preoccuparmi, forse» borbottò Dwalin, grattandosi il mento.

Come sempre, l'amico capì «Intendi i consiglieri?»

«Un po' tutto, a essere sincero. Ad esempio, dove sono gli abitanti? Perché non li abbiamo visti?»

«Parla per te.»

Dwalin girò il capo tatuato verso Nori «Cosa significa?»

«Quel che ho detto! Li ho visti durante il mio giretto di perlustrazione. Ci sono abitazioni appena oltre le grandi sale, separate dal palazzo tramite un gigantesco arco di roccia.»

«Sei uscito?»

«Diciamo sgattaiolato... ma non mi ha visto nessuno!» esclamò veloce, notando lo sguardo carico di rimprovero di Thorin «Sono stato attento.»
«E come sono?» gli domandò il fratello minore, curioso.

Si strinse nelle spalle «Come noi, che credevi? Che avessero tre braccia e fossero senza barba?»

Ori arrossì e abbassò il capo, permettendo a Nori di continuare «Hanno abitazioni modeste che hanno visto tempi migliori, ma i nani sembrano abbastanza nutriti e in salute, anche se non molto ricchi.»

«Non vi è sfarzo, qui. Non più» sussurrò Thorin «Hai notato altro?» domandò poi interessato, nonostante l'azione avventata del compagno.

«Sono strani. Molto silenziosi e circospetti nonostante vi siano molti bambini. Come se avessero timore anche solo di parlare.»
«Visto? Sono altamente sospetti! Andiamocene finché possiamo!»

«Gloin!»

Il nano dai capelli fulvi borbottò indignato.

«I loro problemi non devono riguardarci» disse duramente il capo della Compagnia «però agiremo comunque con cautela. Non desidero problemi di sorta durante la permanenza.»

«Giusto» asserì Dwalin.

Il resto annuì partecipe, e Oin prese la parola «Come ci divideremo?»

«Decidete ciò che più vi aggrada. Non vi è molta scelta, dopotutto.»

«D'accordo, Thorin.»

«Molto bene, credo sia stata detta ogni cosa. Andiamo, non facciamoli attendere; non sono nani molto pazienti, specialmente la sovrana.»

Si incolonnarono e superarono la soglia, ma il Re ne richiamò due «Nori, Ori, aspettate un attimo.»

I due si guardarono, perplessi, ma non dissero nulla attendendo fosse lui a compiere la prima mossa.

«Nori, ho bisogno delle tue capacità: perlustra gli Ered Mithrin senza farti scoprire. Intendo conoscere questo luogo, se non avrò occasione di farlo personalmente.»

«Certo, come vuoi.»

«E... Ori?»

Il giovane scrivano spostò timidamente lo sguardo sul volto del suo signore, col fiato sospeso.

«E' tempo di rispolverare un po' di Khuzdul.»




La giornata era trascorsa anche troppo in fretta. Dopo un primo momento di sospetto e diffidenza i nani dei due regni si erano rimboccati le maniche in vista di riparazioni di fortuna e forgiatura di armi; certo, non parlavano granché limitandosi all'essenziale – specie i residenti, terribilmente guardinghi –, eppure era già qualcosa. Thorin si ritrovò a lavorare fianco a fianco col giovane tirapiedi della sovrana, laggiù nelle fucine; queste erano molto diverse da quelle di Erebor – più piccole e rozze, segnate dal tempo impietoso. Dimostravano chiaramente quanti secoli avevano passato, quanti nani avevano lavorato nella fabbricazione di armi ed oggetti comuni.

Quando il Capitano – Hagar, Hanag o qualcosa del genere – si era fermato dicendogli che era quasi ora di pranzo si era limitato a scoccargli una fredda occhiata, asserendo fosse il caso di rimanere a lavorare, data la scarsità di tempo a disposizione. Il nano l'aveva squadrato con un'occhiata stranita chiedendosi forse se stesse scherzando, ma lo escluse e sentenziò che, dunque, avrebbe dovuto informarne la sua signora perché – certamente – li stava attendendo. Lui aveva scrollato le spalle ed aveva continuato il suo lavoro insufflando aria col mantice finché non era scesa proprio lei. Era stata coraggiosa, dovette ammetterlo, e quasi lo divertì il lieve battibecco con cui annunciò la sua aggraziata presenza.

Ascoltò le sue rimostranze, dato che “Siete un re e mio ospite, non mi sarei aspettata lavoraste con gli altri.” “Avrete pur bisogno di mangiare qualcosa o vi nutrirete di aria?”

Quando le fece notare – gentilmente, sia chiaro. Solo un po' seccato – che l'aiuto di un paio di braccia in più poteva creare la differenza ed accorciare i tempi così da risultare leggermente più preparati ad ogni eventualità, allora tacque. Si limitò a guardarlo mentre ci pensava, convenendo avesse ragione. Così lo lasciò tornare al suo lavoro, dicendogli – meglio, ordinandogli – di fermarsi almeno quando un servo gli avesse portato il pasto; e, ultima non meno importante faccenda, la sera avrebbe presenziato a cena.

Poté anche concederglielo, assicurandole una perfetta puntualità.

Dovette ricredersi quando capì di essersi perso.

Gli altri avevano terminato poco prima ma lui aveva perso la concezione del tempo come ogni qual volta si ritrovava a lavorare; tutto svaniva, rimanevano lui e gli attrezzi, suoi fedeli compagni. Si era estraniato e, per sua immensa sfortuna, avrebbe dovuto prestare più attenzione per scorgere quale cunicolo avessero imboccato gli altri nani.


Illuminava il cammino con la lanterna come unica fonte di luce, gettando uno sguardo di pura sufficienza alle ombre danzanti e minacciose. Sembrava volessero prenderlo per portarlo con loro nella profondità della montagna, come carcerieri desiderosi di occuparsi del più infimo dei prigionieri; lui glielo avrebbe concesso volentieri, se non fosse stato così impegnato ad imprecare e contemporaneamente tentare di ricordare la strada. Si fermò, stizzito, stringendo con spasmi rabbiosi il manico della lanterna; annusò l'aria alla ricerca di un sentore di frescura, ma l'umidità laggiù spadroneggiava al pari del peggiore dei tiranni facendogli capire di stare inoltrandosi piuttosto che star risalendo. Stavolta l'imprecazione si sparpagliò lungo i corridoi e le sale buie, accompagnandolo finché non si spense.

Forse sarebbe dovuto rimanere alle forge, così che gli altri avessero potuto trovarlo; ma lui, cocciuto, aveva erroneamente fatto affidamento al suo senso d'orientamento dimenticando di perdersi con estrema facilità . Dopotutto, un paio di anni prima aveva trovato Casa Baggins dopo due tentativi andati a vuoto!

Anche tornare indietro era fuori discussione, poiché aveva svoltato così tante volte da confondersi. Stava decisamente invecchiando.

D'improvviso notò la sagoma di un gigantesco arco di pietra proprio davanti a lui e si avvicinò, pensando d'essere giunto in un luogo quantomeno familiare, anche se di una tale struttura avrebbe avuto memoria. L'aria divenne quasi più pulita e numerosi spifferi arrivarono a scompigliargli alcuni capelli scuri.

I pilastri a sostegno dell'arco erano in realtà due gigantesche sculture di nani – talmente grossi che per circondarli sarebbero servite quindici persone, se non una ventina –. Quello di sinistra era raffigurato in ginocchio, col volto affaticato coperto dalla lunga barba come se dovesse reggere il peso anche dell'altro, posto in piedi. Dalla corona di quest'ultimo – come una sorta di capitello – partiva l'arco rialzato, su cui campeggiavano spesse rune incise.

Erano invocazioni a Mahal, constatò senza particolare entusiasmo, poiché non era raro trovare edifici con quelle preghiere; in questo caso si chiedeva di proteggere l'integrità dei sovrani che si sarebbero succeduti nel tempo e di preservare quel luogo sacro in cui la storia era rappresentata.

Stese il braccio e puntò la lanterna in alto cosicché illuminasse un poco di più l'ambiente circostante, senza successo. Era troppo vasto e quella insufficiente. Cauto, decise comunque di inoltrarsi e curiosare, perché era cresciuto in lui un senso di aspettativa in ciò che si trovava al di là. Dopo pochi passi si accorse, ad esempio, che il suolo era mosaicato e riconobbe con stupore il nome di un villaggio nelle vicinanze degli Ered Luin.

«La mappa della Terra di Mezzo» si ritrovò a bisbigliare, sgranando gli occhi.

Continuò ad avanzare e ammirare il pavimento ricco di dettagli e luoghi – alcuni non esistevano più o avevano mutato nome – quand'ecco mostrarglisi l'imponente sagoma di un'altra colonna. Possibile fosse già finita? Cercò di illuminare meglio che poté per capire se ci fosse una porta o un passaggio che l'avrebbero condotto fuori, invece illuminò il nulla. Il buio assoluto lo inghiottiva. Decise comunque di avanzare fermandosi quasi subito quando scorse il fregio istoriato sulla lunghezza dell'intera colonna; ne seguiva l'andamento tortile e gli parve di riconoscere alcune scene di battaglia e, più giù – appena sopra la base –, si celebrava una vittoria. Si inginocchiò illuminando quel particolare e sfiorando le forme ruvide, appena abbozzate, in bassissimo rilievo; la maggior parte erano rovinate, presumibilmente dal tempo, quindi ne dedusse dovessero essere molto antiche.

Quali altre opere si celavano lì dentro?, si chiese. Una parte di lui gli rammentava di tornare indietro, o perlomeno tentare, piuttosto di rimanere imbambolato ad ammirare quell'insolito tesoro; dall'altra, bé, la curiosità premeva per essere assecondata.

Solo qualche altro passo, poi basta.




Nora odiava immensamente camminare laggiù. Era semplicemente inaudito, lo sapeva bene: un nano che aveva timore di scendere sottoterra? Praticamente un affronto.

Eppure era angoscia quella che l'attanagliava il cuore, che la sospingeva a ribellarsi e ripercorrere la strada per tornare ai suoi alloggi. Si sarebbe rintanata in camera fino al suono della lugubre campana della cena e poi sarebbe uscita come se nulla fosse successo. Si torturò le labbra mordendole con foga mentre si voltava per scoprire se qualcuno la stesse seguendo, ma il buio non le permetteva di scorgere alcunché. Inspirò per darsi coraggio e ripuntò la lanterna avanti, tremando perché l'umidità aveva raggiunto le ossa. Il cigolio prodotto fu l'unico suono tanto forte da spezzare il silenzio, tanto forte da fermarla – ancora –, da farle riguardare il percorso appena compiuto – di nuovo.

Calmati, non essere sciocca, ripeté mentalmente, è il tuo regno. Lo conosci come il tuo corpo.

Poteva asserire di conoscere altrettanto bene i suoi abitanti? Se qualcuno si fosse rintanato in un anfratto buio – e ve n'erano a bizzeffe – con l'intento di aspettarla per ribellarsi e mettere a frutto il piano di detronizzarla?

Non oserebbero. Non ora, così vicini alla guerra.

Ad alcuni non importerebbe.

Le ombre parevano più minacciose, lunghe, dagli artigli ricurvi come quelli di un rapace, sguainavano asce, spade, pugnali affilati.

Respira. Andrà tutto bene, nessuno ti ucciderà oggi.

Sei sicura?

Udiva sghignazzare, sibilare la vittoria, il suo nome sputato con astio privato della musicalità e del significato.

Sì!

Riprese il cammino, gli occhi fissi sul passaggio ancora da percorrere, piena di pensieri fino a quando non scorse il gigantesco arco del tempio. Gli antenati la scrutavano coi loro occhi scavati e privi di pupilla, sembravano porle quella difficile domanda: “Cosa ci fai tu, qui? Non è il tuo posto.” “Chi sei per entrare?” e anche lei, muta e ferma come loro, se lo chiedeva. Non aveva ancora adempiuto il suo principale dovere, ed era reggente da un anno e mezzo; eppure, ogni qual volta giungeva lì riuscendo perfino ad entrare il coraggio vacillava, l'infelicità e l'incapacità la racchiudevano. E dunque tornava indietro, sconfitta e amareggiata nell'orgoglio, sentendo sulla schiena gli sguardi severi e ammonitori dei sovrani che, ancora una volta, aveva disonorato.

Come poteva dichiararsi sovrana se non riusciva nemmeno ad assolvere quel compito, gravoso per lei?

D'improvviso scorse un bagliore di fiamma, come un aranciato fuoco fatuo, e si spaventò. Sentì il cuore battere all'impazzata e le mancò il respiro pensando fossero gli antenati risaliti dalle Aule di Mandos solo per punirla e maledirla fino alla fine dei suoi giorni. Provava un freddo innaturale, certamente era impallidita, lo percepiva; avrebbe voluto scappare o inginocchiarsi e supplicare di risparmiarla, di concederle altro tempo. Promise silenziosamente alla luce sempre più vicina che avrebbe svolto presto il suo dovere, che mai nessun'altra paura avrebbe intaccato la sua persona. E quando comprese che nessuno spirito l'avrebbe condannata ma che invece mostrava fattezze naniche allora, solo allora, si rilassò visibilmente; persino quando riconobbe la figura di Scudodiquercia provò un inaspettato sollievo sfociante quasi in gioia, nonostante sapesse bene di doverlo redarguire.

Lui non impiegò molto tempo a riconoscerla ed entrambi si studiarono attentamente, ad alcuni passi di distanza; i volti mostrarono un insieme di sentimenti turbinanti che mai avevano provato e mai si sarebbero ripresentati. Su tutti trasparì del conforto, il sapere di non essere soli in quell'immensa oscurità desolante e fredda.

Ma anche quel momento statico, sospeso – per quanto potesse essere un balsamo per le loro anime perdute – finì.

Toccò proprio a Nora l'onere di tornare alla realtà, e di riportarci anche l'ospite sgradito «Cosa ci fate voi qui?»

Parlò con timbro talmente flebile che se lui fosse stato anche solo due passi indietro avrebbe faticato ad udirla; per un attimo pensò di raccontarle la verità, però si ravvide in tempo.

«Passeggiavo.»

«Non dovevate avvicinarvi» disse seria, scoccandogli un'occhiata di fuoco.

Grazie alla luce delle due lanterne Thorin vide gli occhi nocciola brillare, le ombre e le luci impegnate in una danza al loro interno. Per qualche secondo si perse ad ammirarli, tralasciando il tono pregno di rimprovero con cui gli si era rivolta, come se dovesse sgridare un bambino a cui era stato proibito qualcosa.

Fu questo, probabilmente, a farlo rinsavire e sbottare «Nessuno me lo aveva detto. E le rune non specificano sia vietato visitare questo luogo, qualunque sia.»

Nora abbassò appena gli occhi. Era vero, né lei né altri l'avevano menzionato perché, sinceramente, non si aspettavano riuscissero a trovarlo. Quella gigantesca sala era per gli abitanti ancor più preziosa di qualsivoglia Stanza del Tesoro.

«Perché nascondere una tale bellezza?» si ritrovò a chiedere il nano, suo malgrado. Ricordava piuttosto bene il pavimento e le colonne scoperte, e non si capacitava dell'oscurità che, a suo parere, doveva essere bandita.

«Non lo nascondiamo. Chiunque sa del tempio, ma non ci entra.»

«E' un luogo sacro?»

Lei annuì, umettandosi appena le labbra «Talmente antico da esserlo. I re vi dimorano, e noi cerchiamo di disturbarli il meno possibile.»

«Si tratta di un cimitero? Non ho visto sarcofagi» chiese, aggrottando le sopracciglia.

«Il Tempio dei Re non è un cimitero, poiché là tutto finisce. Qui invece inizia e si perpetua» notò la confusione sul volto del nano di Erebor e, dilaniata internamente, decise di affidarsi all'istinto riguardo la mossa successiva.

Lo superò, muovendosi verso destra finché non incontrò il grosso braciere sospeso, attaccato al soffitto tramite una spessa catena d'acciaio. Lanciò la lanterna, il vetro infranto come suono solitario ad accompagnarli, e l'attimo successivo una potente fiamma arse seguita da molte altre, altri bracieri collegati al primo mediante uno stretto passaggio percorrente il muro.

Ben presto l'intero tempio scacciò le ombre per far posto alla luce calda e avvolgente che delineò il vasto perimetro in un'immagine difficile da dimenticare, per Thorin. Credeva d'aver visto praticamente tutto nella sua lunga vita, ma dovette ricredersi. La meraviglia di quel luogo ora illuminato lo lasciava senza fiato perché ora poteva ammirarlo in tutta la sua interezza e con i dovuti criteri; la colonna che prima l'aveva convinto della fine della stanza in realtà era una fra le tante che si intervallavano a distanza di svariati metri fino al termine del tempio. Ciascuna era riccamente adornata di fregi e diversa dalla precedente e dalla successiva: vi erano quelle a spirale, quelle lisce, quelle scanalate e altre a cui non avrebbe saputo dare una descrizione, una gerarchia. Sapeva soltanto ch'erano molte, e dividevano lo spazio in tre larghe navate totalmente decorate. Le volte a botte del soffitto parevano abbassarsi minacciose, fortunatamente sostenute. Ma più di ogni altra cosa furono le nicchie a colpirlo; spezzavano la staticità del muro e dei rilievi in esso raffigurati ospitando una statua diversa. Le più lontane non erano nemmeno riconoscibili.

Capì d'essere rimasto con le labbra leggermente socchiuse quando si ricordò di respirare; lanciò un'occhiata al volto di Nora – poteva leggerle compiacimento e orgoglio nel bagliore degli occhi pesantemente truccati – e si avvicinò.

«Questa è la storia del mio popolo dagli albori, mio signore. Da quando Mahal decise di crearci in nome di Eru e ordinò ai suoi figli di abitare gli Ered Mithrin.»

Si girarono verso l'arco a tutto sesto e Nora continuò «Il nano inginocchiato è Bagnar il Costruttore che, per primo, decise di ideare e creare il tempio. Secondo la leggenda impiegò trent'anni per costruirlo e morì prima di vederlo compiuto. Gli succedette il figlio, Kagnus il Paziente. Il piccone che tiene in mano diede l'ultimo colpo alla pietra finale.»

Cambia atteggiamento quando parla di queste cose, si ritrovò a pensare Thorin. In effetti, Nora aveva abbandonato il cipiglio serio e gravoso per uno appassionato, e le parole trovavano facile accesso in lei poiché partivano dal cuore; non le era mai capitato di spiegare a qualcuno il significato del tempio e delle sue statue intimidatorie, però le risultò estremamente facile: doveva soltanto lasciarsi trasportare dall'amore per la storia e per l'arte, di cui erano da sempre stati padroni.

Nessuno parlò finché non raggiunsero la prima nicchia, dalla quale partivano dei bassorilievi – grandi quasi ad altezza naturale – fino alla successiva, dove si fermavano e ne cominciavano altri.

Thorin si avvicinò a li osservò «Sono scene di vita quotidiana.»

«Ogni lastra rappresenta un momento importante della vita dei re. La costruzione di nuove ali del palazzo, l'ideazione delle serre, scambi commerciali con altri popoli, la venuta dei grandi Draghi del Nord e la conseguente distruzione delle vallate seguita dalla cacciata dei miei avi» strinse le labbra, conducendolo in profondità.

I pannelli tra le nicchie mutarono notevolmente in base all'abilità del realizzatore; da bassorilievi divennero alti, altissimi rilievi in cui alcune parti delle figure – ora elaborate finemente, talmente lisce da essere lucide – sporgevano completamente, emergendo dalla linea del piano di fondo in movimenti in alcuni casi concitati. Il periodo di maggior importanza degli Ered Mithrin era attestato dall'inserimento di inserti d'oro o di ferro nel caso di armi, oppure legno, argilla, osso, avorio nei primi fregi.

Ad un certo punto il nano si bloccò, costringendo anche la giovane accompagnatrice ad arrestarsi e puntare gli occhi verso l'alto; sul muro rovinato campeggiavano segni di lunghi e larghi artigli. Non gli fu difficile intuire il colpevole di tale crudeltà.

«Draghi» spiegò Nora, con una voce stranamente tranquilla «Per fortuna non danneggiarono altro quaggiù, al contrario dell'intero regno. Come potete vedere sono presenti solo questi graffi. I Valar protessero il nostro tesoro più prezioso» gli lanciò un'occhiata sfuggente che lui non notò, troppo occupato a maledire quell'immonda razza di bestie perché avevano causato tanto dolore e scempio «Sembra così irreale, eppure calcarono gli stessi ambienti che vedo ogni giorno, che conosco da quando ho memoria.»

«Ne parlate quasi con ammirazione» disse, secco «Vi ricordo che uccisero molti vostri compaesani.»

«Questo lo so benissimo, ma è innegabile provare una sorta di timore... reverenziale. So che non siete d'accordo» ribatté, quando udì lo sbuffo contrariato di Thorin «e pensate pure ciò che volete. Ma questi giganteschi e astuti animali vissero qui per un periodo e–»

«Se eravate così tanto curiosa di vederne uno potevate recarvi a Erebor; fino all'anno scorso il mio regno era l'abitazione di un drago.»

Il silenzio calò come una pesante cappa, solo il crepitio dei fuochi scandiva i secondi interminabili in cui Nora contenne a malapena una rabbia inaudita. La tranquillità si frantumò di fronte alla frase sarcastica e la giovane si pentì d'avergli dato confidenza, di avergli mostrato il cuore delle Montagne Grigie. Il desiderio di rispondergli sgarbatamente e lasciarlo marcire in uno dei contorti corridoi prese il sopravvento.

«Il vostro regno ha già causato abbastanza sofferenza al mio» si ritrovò a sibilare, mordendosi subito le labbra.

Thorin assottigliò gli occhi mentre faville bruciavano negli occhi blu; avanzò qualche ipotesi puramente campata in aria, forse arrivando nelle vicinanze della verità che giusto il giorno prima aveva promesso di scoprire. Ora non ne era tanto certo dato che, molto probabilmente, l'addentrarsi in questo campo li avrebbe portati al punto di rottura.

«E' molto lontana la fine di questo tempio?»

Nora sbatté le palpebre all'udire il cuore riprendere a battere normalmente; aveva galoppato talmente rapido da schizzarle via dal petto. Accolse con gratitudine quel cambio d'argomento anche se non lo dimostrò, scuotendo appena la testa bruna.

«Qui è dove riposa l'ultimo antenato e là, addossato alla parete di est, si trova l'altare.»

Da una tasca nascosta nella gonna nera prese un rametto di lavanda; il profumo aleggiò brevemente nell'aria, e Thorin ritornò con la memoria a vasti campi violacei ai piedi delle Montagne Azzurre, quando il suo popolo era esiliato e distrutto nell'orgoglio. Ricordò lunghe passeggiate in mezzo ai fiori, inebriato e stordito da quella dolcezza che era riuscita ad accantonare per poco la rabbia e il desiderio di rivalsa. Rivide i bambini rincorrersi e ridere coi capelli scompigliati dal vento per poi raccogliere mazzolini da portare alle madri; udì la voce di Dìs mentre richiamava Fili e Kili perché rincasassero e loro la pregavano di aspettare ancora un poco “finché il sole non fosse caduto del tutto”.

Anche Nora era persa nei suoi pensieri; aveva bruciato il rametto e l'aveva posato ai piedi della scultura di gesso talmente ben levigata nei punti lisci e sbozzata nelle vesti da risultare quasi reale e palpabile, da non rendersi conto delle lacrime pronte a scendere sulle guance. Chiese molte cose a suo nonno, quel nano burbero che aveva avuto la fortuna di conoscere e capire, dei cui racconti si beava prima d'andare a letto e delle scene ricreate con i fratelli quando decidevano di giocare insieme – quelle rare eppure indimenticabili volte.

A lui domandò consiglio nei riguardi del regno ma soprattutto degli stranieri, così diversi nonostante l'appartenenza alla medesima razza. Lo guardò negli occhi alla ricerca di un segno, ma il volto spigoloso dai tratti severi e marcati rimase immobile, tristemente muto. Sospirante, chinò il capo in segno di rispetto e portò le dita a sfiorare le palpebre abbassate per poi fletterle in avanti; solo allora rialzò la testa e incrociò lo sguardo curioso di Thorin.

«Che significa quel gesto?»

«E' un saluto. Vuol dire che vedo nel tuo cuore, nella tua anima, e tu puoi fare altrettanto se mosso da buone intenzioni.»

«Trovo sia molto appropriato» disse, cercando di capire se fosse l'aggettivo corretto «Se ogni sovrano ha scolpito ci saranno sicuramente anche delle vostre opere.»

Il silenzio aleggiò a lungo, o così parve a Thorin.

La giovane regina era impallidita e puntava lo sguardo ovunque tranne che sul suo viso; strinse le labbra e le umettò prima di rispondere con un esile «Non ancora.»

Le sembrò piena di vergogna e, per un momento, volle quasi rassicurarla. Ma l'attimo successivo, quando piantò gli occhi nocciola sui suoi, non scorse traccia di negatività; era tornata la donna imperscrutabile ostentata con tanto impegno, come fosse una maschera protettiva contro il resto del mondo. Doveva aver lottato a lungo per mantenersi sul trono e forse ancora adesso non era pienamente accettata dai sudditi.

Così giovane ma così provata, pensava il nano. Non provava pena – era sicuro che Nora l'avrebbe aborrita – eppure gli si strinse il cuore.

Lentamente, senza alcuna fretta, lasciarono il tempio e i re alle loro spalle perché, come gli confidò, non era bene attardarsi a lungo per non disturbare il loro riposo. Non ci furono parole, nemmeno quando la regina riaccese l'unica lanterna rimasta e gliela porse; solo quando oltrepassarono l'arco dei costruttori – la sala alle loro spalle ancora illuminata – venne formulata un'altra domanda.

«Prima avete detto che i re vivono nel tempio. Esattamente che intendevate dire?»

«Voi cosa avete intuito?» gli rispose invece, curiosa di udire la sua risposta.

«Parlavate dei loro spiriti.»

«Non solo. I re vivono davvero laggiù. O meglio, i loro corpi.»

Thorin ancora non capiva.

«Le sculture furono realizzate col gesso fuso sui loro sudari.»

Il volto del nano esplorò una vasta gamma di emozioni, su tutti lo sbigottimento «Sono all'interno

«È tradizione per i re adornare il Tempio con il proprio corpo divenuto statua. Non ci sono tumuli per loro, al contrario degli altri abitanti. Da voi non è usanza?»

«No. Ognuno ha il suo sarcofago in una grande cripta nel cuore della montagna.»

Nora annuì, assimilando l'ennesima diversità. Svoltarono in un corridoio mai calcato prima e Thorin pensò fosse una scorciatoia; d'improvviso sentiva il bisogno di risalire e tornare nelle stanze assegnategli poiché non avrebbe retto ad altre scioccanti rivelazioni su cadaveri e sculture.

«L'ultima statua... era vostro marito?»

Nora si fermò di colpo, gli occhi sgranati «No. No, non sono sposata.»

Per l'ennesima volta le sopracciglia si aggrottarono «Perdonatemi, devo aver frainteso. È che la vostra pettinatura lascia intendere siate vedova»

Stavolta fu il turno della ragazza di mostrarsi perplessa «Non capisco.»

«La nostra tradizione spiega che una nana è vedova se porta i capelli raccolti sulla nuca, come i vostri.»

«Per noi è una questione di rango, anche se la leggenda non è dello stesso parere. Maggiori sono le trecce maggiore è la tua importanza; le serve solitamente ne portano una arrotolata, anche perché non posseggono abbastanza fermargli ed hanno poco tempo per acconciarli come si conviene. In ogni caso non c'entrano... con il matrimonio» terminò in un sussurro, le guance rosate; se per indignazione o pudicizia non avrebbe saputo dire.

Thorin non poté impedire alle labbra di piegarsi leggermente verso l'alto in una specie di sorriso, anche quando notò un grande arazzo sulla parete sinistra; lo catturò il colore rosso scuro, sbiadito così come le rune nere e dorate tra le quali spiccava il nome di Nora alla sua fine.

«Il vostro albero genealogico?»

Quando la vide annuire si avvicinò per studiarlo meglio, stupendosi sempre più delle sue azioni; in quella mezza giornata si era lasciato incantare dalle decorazioni del palazzo, vedendolo sotto una luce diversa. Ancora non capiva quel popolo, né le sue tradizioni o credenze, ma era indubbio ne apprezzasse l'arte, come in quel particolare caso: l'arazzo non era nulla di sfarzoso o complicato – solo nomi e linee arzigogolate che li univano – però gli parve estremamente bello e particolare.

«Avete preso il posto di vostro padre?»

Per la seconda volta la rabbia schiumò ad una velocità impressionante «Siete molto curioso.»

«Voi non lo siete nei miei confronti?»

«No» rispose furiosa, muovendo alcuni passi nella speranza che la seguisse e la smettesse d'impicciarsi di affari che non lo riguardavano. Né adesso né mai.

A quel punto fu impossibile anche per lui mantenere la pazienza imposta «Quale azione ho compiuto per meritare un simile disprezzo?»

Ecco, era giunto il momento tanto atteso. Ogni minuto della precedente stramba e inaspettatamente calma conversazione era stato un accumularsi di minuti in preparazione a quella determinata conversazione.

«Davvero non lo capite?»

«No.»

La regina trattenne a stento un fiume di parole in Khuzdul «Una certa battaglia non vi dice nulla?»

Thorin schiuse la bocca mentre i pezzi iniziavano a combaciare uno per volta anche se alcuni punti erano ancora oscuri; ad esempio, come era stato possibile se solo Dain e i suoi soldati erano arrivati in loro soccorso? Il cugino non aveva mai menzionato l'aiuto dei nani degli Ered Mithrin dopo la Battaglia. Bé, nemmeno i reciproci contatti durante gli anni precedenti.

«Vostro padre ha combattuto.»

Non una domanda, ma una semplice e concisa constatazione alla quale Nora non riuscì a rispondere a causa del groppo formatosi in gola e talmente stretto da risultare doloroso. Ebbe appena la forza di chiudere gli occhi mentre una miriade di ricordi sgomitavano per mostrarsi e, quando li riaprì, deglutì per ritrovare una parvenza d'umanità.

«Sarebbe reggente, ora, così come mio fratello sarebbe il suo erede.»

Tutti abbiamo perso qualcuno quel dannato giorno.

Glielo disse, ma la risposta tagliente gli penetrò il cuore colpendolo con una punta affilata e invisibile.

«Non sarebbe successo se non fosse stato per causa vostra.»

A questo, Thorin davvero non seppe come replicare.





Quando Nora chiuse la porta degli appartamenti alle spalle emise un sospiro talmente straziante da sembrare un singhiozzo. L'altra nana presente nella stanza le si avvicinò preoccupata, allungando una mano nella direzione di Nora, che l'afferrò senza indugiare e strinse cercando di calmarsi, cercando di sbattere velocemente le palpebre per ricacciare le lacrime.

«Per favore, almeno tu dimmi che faccio bene a comportarmi così con gli estranei. Per favore» pregò di nuovo la reggente, stravolta.

Ancora ricordava il precedente dialogo con Scudodiquercia, e più ci ripensava più concordava col fatto che sfiorasse l'assurdo; non solo l'aveva condotto alla scoperta di un luogo normalmente precluso persino agli abitanti, troppo spaventati per scendere ad onorare gli antichi sovrani, ma aveva lasciato che la rabbia le afferrasse il cuore rivelando più di quel che avrebbe dovuto. Dèi, aveva persino parlato del padre e del fratello!

Chiuse gli occhi e gemette, sconsolata come mai in vita sua. L'altra nana la condusse verso una sedia e le porse un corno di legno perché si dissetasse e calmasse con un po' d'acqua.

«Cosa è capitato, Nora?»

«I bambini dove sono?»

«Non temere per loro» la rassicurò con un sorriso «Sono con Garan a studiare i primi re.»

La regina bevve lentamente e appoggiò il corno in grembo, seguendo le linee che lo adornavano sia con gli occhi sia con l'indice, decidendo in parte di mentirle perché non sapeva come avrebbe potuto reagire se le avesse raccontato del tempio.

«Non potrò sopportare Scudodiquercia ancora a lungo. Ha chiesto come sono diventata regina, ha menzionato papà.»

«Ha visto l'arazzo?»

«Sì. Probabilmente si era perso perché fino al tardo pomeriggio era alle fucine. Deve averlo trovato per caso.»

«Capisco. Cosa gli hai risposto?»

Le raccontò in breve lo scambio di battute e attese in silenzio una replica, ma l'altra taceva «Maera, cosa devo fare?»

«Buon viso a cattivo gioco, sorellina.»

«E' un assassino.»

«Lo so» concordò Maera, stringendole una mano «ma abbiamo bisogno di lui. Sopportalo fino allo scontro.»

«Se ci sarà» studiò quel volto simile al suo anche se tra loro intercorrevano sei anni e si sentì rigenerata nel notare un luccichio rabbioso; anche lei non aveva ancora dimenticato i famigliari e il periodo buio che ancora adesso le perseguitava ma, al contrario di Nora, non era sola ad affrontarlo perché si era creata una nuova famiglia.

A stento riuscì a sorriderle, riuscì a sentirsi più leggera non appena si tolse la corona dal capo e la poggiò sul tavolino alla sua sinistra.

«Ti senti meglio?»

Nora annuì e chiuse gli occhi quando Maera le baciò una guancia «Credi deciderà d'andarsene?» chiese in un soffio, timorosa anche solo di dirlo per paura di concretizzare il pensiero. Sarebbe scoppiato il finimondo in quel caso.

«Non pensare a lui ora. Cerca di concentrarti sui lavori e su te stessa; non hai una bella cera.»

«Sono stati giorni impegnativi, e le notti non sono state da meno. Ma hai ragione, devo occuparmi delle difese.»

«A quelle possono sempre pensarci i consiglieri, lo sai.»

«Preferisco partecipare.»

«Lo so» ribatté la maggiore senza dar peso al tono improvvisamente secco quando accennavano ai nani; e come biasimarla?

D'un tratto le porte si aprirono rivelando la presenza di Doiran; non appena si accorse della sua regina chinò il capo e mostrò un accenno di sorriso al di sotto dei baffi castani «Maestà. Non credevo di trovarti qui.»

«Non è raro trovarmi in compagnia di tua moglie, vista la parentela» rispose sarcastica.

Si alzò e guardò il figlio di Fanus raggiungere Maera e donarle un bacio a fior di labbra per poi servirsi con un boccale di birra. Infine si sedette e la guardò, ragguagliandola sugli ultimi sviluppi.

«Grazie ai nani di Erebor la manodopera non ci manca, anche se stiamo procedendo come se avessimo i mannari alle calcagna! Non dico sia un male» si affrettò ad aggiungere, notando le sopracciglia di Nora scattare verso l'alto in un muto rimprovero «Finiremo certamente prima.»

«Hai coordinato i lavori?»

«Certo, mia cara» trangugiò un sorso di birra e si pulì la bocca con il dorso della mano «e ho conosciuto meglio i nuovi venuti. Trovo siano nani molto capaci, non è così Nora?»

L'interpellata strinse di più le braccia al petto e cercò di capire quali pensieri si nascondessero dietro gli occhi scuri del cognato, troppo stanca per riuscirci.

«Non l'ho mai dubitato, Doiran. Dopotutto sono figli di Durin. Se volete scusarmi, ora vi lascio; domani mattina dovrò alzarmi presto per parlare con Hagan del lavoro alla forge.»

«Parla anche con mio padre» la fermò il nano, posando una mano sulla spalla destra di Maera come a volerla proteggere – da chi, poi? Nora provò quasi disgusto – e le sorrise di nuovo, di un sorriso sinistro e sbilenco, o così le sembrò «Si trova a capo della ristrutturazione di una delle porte segrete.»

Sulle labbra le si dipinse un falso sorriso cordiale che non raggiunse gli occhi «Non temere, so perfettamente quali sono i miei compiti. Sono pur sempre la regina.»

L'aria divenne pesante, l'improvvisa voglia di uscire più forte; recuperò la corona e si avviò sicura verso la porta, aprendola. Prima di uscire del tutto si girò verso la sorella «Salutami i bambini e dì loro che in tarda mattinata mi raggiungano nello studio.»

«Certo. Buonanotte Nora, vedi di dormire questa notte.»

«Buona notte mia regina» aggiunse Doiran, inchinandosi profondamente.

Nora annuì appena e chiuse la porta, tornando a respirare. Di una cosa era assolutamente certa in quel momento: sarebbe stato difficile dormire con tutti quei pensieri.






CANTUCCINO DELL'AUTRICE


Buona Pasquetta a tutti voi e Buona Pasqua in ritardo! Ebbene sì, non posso crederci di essere tornata a pubblicare! Sembra che l'ispirazione – almeno per questo capitolo – sia tornata; scusate se è lungo, ma volevo concedere un po' di spazio al confronto tra Nora e Thorin e volevo introdurre altri due personaggi: la madre e la sorella della regina. Oltre ad uno scorcio su Gilla e Doiran.

Inoltre come vedete non ho aspettato chissà quanti capitoli per rivelarvi il motivo della rabbia nei confronti di Thorin, e qui si spiega, anche se non ho detto tutto ;).

Vorrei ringraziare dal profondo del cuore tutte le ragazze che mi hanno sostenuta, spronata, aiutata e che ho avuto la fortuna di conoscere il mese scorso *.* <3 E' stato meraviglioso, sapevatelo XD!

Alla prossima, sperando di non metterci troppo tempo!

Intanto mando un grossissimo bacione a tutte, vostra

Anna



  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Eruanne