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Autore: jungkookitty    06/04/2015    2 recensioni
Phil è solo un ragazzo normale, amante dell'ordine, e odia le persone piene di energia e che non stanno mai ferme. Ma Dan fa capolino nella sua vita, piuttosto rumorosamente, e la vita di Phil cambia completamente, in meglio.
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“Non so cosa ci sia di sbagliato nel tuo modo di pensare, ma dopo il primo episodio della polvere hai mandato tutto all’aria. Tutti questi scherzi, a quale scopo? Quello di farti odiare sempre di più? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? No, non rispondere nemmeno, ora non me ne frega, basta. Sei solo un bambino nel corpo di un diciottenne, e sai cosa? Sei esasperante, è per questo che non hai amici. Ecco, l’ho finalmente detto. Mi sono stancato di essere svegliato alle quattro di mattina o cinque secondi prima dell’inizio delle lezioni, mi sono stancato di dovermi preoccupare del fatto che magari nei miei vestiti ci possa essere della polvere pruriginosa, ma soprattutto, mi sono stancato di te. Sarebbe stato tutto migliore se solo non ti avessi mai conosciuto”.
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Dan Howell, Phil Lester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è dedicata a Ilaria, che anche se conosco da poco, mi ha fatto capire che in realtà non sono così sola come credo di essere.
-La tua piccina.

Everything Has Changed
 
“Phil, mi raccomando, studia anche quest’anno” lo incoraggiò sua madre, abbracciandolo stretto stretto. Stava quasi per piangere, lei, ma non voleva mettere in imbarazzo il suo bambino, che così piccolo ormai non era più.
Intorno a loro c’erano decine di famiglie, chi salutava i propri figli per la prima volta, chi –come lei- per la terza, quarta, quinta volta. Avrebbe dovuto già essere abituata, ma il dolore e la tristezza era sempre la stessa, indipendentemente dall’anno.
“Mamma, tranquilla” Phil sorrise, lisciando la sua giacchettina nera per l’ennesima volta. Non era vestito in modo comodo come tutti gli altri ragazzi, che erano in tuta o pantaloncini corti e felpa, ma era stato abituato in quel modo e non poteva farci nulla, se non sottostare ai voleri di sua madre. Da quando suo padre era venuto a mancare, non voleva dargli altri dispiaceri.
“Il mio Philip Michael” la donna finalmente si lasciò andare, al pensiero di Phil sempre via, a casa solo per le feste. Il figlio l’abbracciò –stando attento a non macchiare la giacca con le lacrime di sua madre- e le sorrise, incoraggiante.
“Andrà bene come gli anni scorsi, vedrai” e lui ne era davvero sicuro, perché uno studente modello come lui non prendeva mica voti inferiori ad A. Aveva sempre preso A e A+, tranne in terza media, nella classe di spagnolo, quando aveva preso una B+. Sua madre annuì, lasciandolo finalmente andare.
Mentre Phil si avviava verso il grandissimo edificio un pochino trasandato di quell’Università, lei gli fece un cenno di saluto con la mano più volte, l’altra davanti alla bocca per cercare di fermare i singhiozzi. tornò in macchina solo quando vide Phil varcare la soglia dell’ingresso, e, sempre piangendo, si mise al volante, guidando fino a casa.
 
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“La tua stanza quest’anno è la 113” disse Jenna, la segretaria, sorridendo a Phil. Gli appoggiò una mano sul braccio, facendo soffermare la punta delle dita sulla sua spalla. Era giovane, bionda, occhi azzurri, magra... Tutto, fuorché il tipo di Phil. A lui piacevano le ragazze serie, timide, ma intelligenti. Non gli piacevano quelle più comuni, quelle che andavano dal primo dal capitava, e se lui non ci stava, che ci provavano fino allo sfinimento. Jenna, purtroppo, era una della seconda categoria.
“Okay, è la stanza singola o quella a due letti?” sperava che fosse quella singola, non gli andava proprio di dividere le sue manie di pulizia ed igiene con una persona che poteva che poteva anche somigliare a Chris. Oh, quel Chris era stato una vera impresa per Phil.
“Quella a due letti, pure quest’anno ti tocca, scusa Phil” lei sorrise tristemente, dandogli una pacca sulla spalla. Gli fece un occhiolino prima di girare i tacchi, perché donna davvero non se ne rendeva conto, nonostante tutti i suoi rifiuti a uscite in città, o uscite in generale; lui non era interessato.
Phil, andiamo, puoi farcela. Un anno e dopo ti becchi la camera singola, su si disse, spingendo verso il basso la maniglia della stanza 113.
 
Si trovò davanti un disastro colossale, e ad essere sinceri stava già iniziando a rimpiangere Chris e il suo mangiare patatine praticamente sempre: due valigie gigantesche erano completamente aperte, e occupavano entrambi i letti. I vestiti erano tutti sparsi in modo, e traboccavano dalle valigie nere. Mentre contemplava tutto quel casino, un calzino gli arrivò in faccia, facendogli assumere un’espressione schifata; a quanto pare il suo nuovo compagno di stanza non si era ancora accorto della sua presenza.
“Ehm, scusami” disse, con un tono di voce ben poco amichevole.
“Mh? Oh, sì, scusa” si scusò sorridendo ragazzo dai capelli castani, mettendo in mostra una fossetta. Era più piccolo di Phil, un anno o due sicuro. “E’ che sto cercando la mia maglietta nera con la T di Tumblr e continuo a non trovarla” sospirò, passandosi una mano tra la frangia.
“Ce l’hai addosso” gli fece notare Phil, parlando lentamente, come se il suo compagno di stanza fosse completamente ritardato.
“Davvero? Oh. Dio, che bella prima impressione che ho fatto. Quanto sono stupido” l’ultima parte la sussurrò, sperando di non essere sentito da Phil. “Sì, lo sei” confermò però l’altro, sempre con quel tono acido che lo caratterizzava con la maggior parte delle persone.
“Comunque io sono Dan” sporse la mano, ma Phil la guardò e basta, senza muovere un muscolo. Dan allora la ritrasse lentamente, facendo finta di aver voluto passare la mano tra la frangia un’ennesima volta; entrambi sapevano che non era così.
“Phil”.
“Sei più grande di me, vero?” chiese il castano, ottenendo un cenno positivo del capo da parte di Phil. “Magari puoi farmi vedere intorno?”.
“Magari no” Phil si avvicinò al letto più vicino, togliendoci –abbastanza riluttante, direi- la valigia. “Qui ci dormo io”.
Dan annuì e basta, prendendo la sua valigia da terra. “Vado a fare un giro, se ti va di venire sarò probabilmente nella sala ricreativa”.
Phil non ci pensava nemmeno di raggiungere Dan, quindi lo ignorò, iniziando a disfare le valigie che aveva portato. Organizzò per bene i maglioni in una parte del suo armadio, i pantaloni in un’altra e lo stesso fece con il resto dei vestiti, attento a non stropicciarli troppo; non gli piacevano i vestiti lanciati a caso, potevano sporcarsi o stropicciarsi. Sì, lui era un perfezionista a cui non piaceva particolarmente il contatto umano con persone sconosciute, ma non poteva farci nulla, se non cercare di essere un po’ più flessibile. Dan, dall’altro lato, non sembrava farsi problemi a buttare vestiti in giro, almeno dalla prima impressione che Phil aveva avuto di lui. E credetemi, che non era affatto una buona impressione.
 
Dopo che ebbe finito si sedette sul letto appena fatto e sospirò; forse doveva sistemare anche le cose di Dan. Non ce la faceva proprio a vedere tutti quei vestiti dappertutto, senza essere ordinati.
Si alzò di nuovo e si avviò verso quello che sarebbe stato il letto di Dan, ed iniziò a riordinare le magliette, questa volte in ordine di colore; in fondo, non sapeva ancora secondo quale criterio Dan metteva in ordine le proprie cose, quindi ovviamente Phil aveva deciso di optare per quello più comune. Gli scappò una risatina quando s’imbatté in un paio di boxer dei Pokémon, ma si mise a tacere appena i boxer di Sonic che sua madre gli aveva regalato per Natale gli tornarono alla mente.
Probabilmente stava facendo la cosa sbagliata, non avrebbe mai dovuto toccare le cose di Dan senza il suo permesso, ma quel disordine era come se gli dicesse ‘dai, vieni a riordinarmi’.
Dopo aver finito –per la seconda volta- si guardò intorno soddisfatto, e vedendo che non c’era niente fuori posto, si concesse un sospiro di sollievo, che però venne smorzato quando sentì la porta aprirsi.
“Hey Phil, ho incontrato un- PHIL?” urlò, spalancando gli occhi. Il ragazzo più grande si girò lentamente, senza mostrare la minima emozione –se non contiamo la freddezza, ovvio. “Ti ho sistemato tutto in rodine di colore” affermò, monotono.
“Lo vedo anche io, ma con il permesso di chi?” Dan aggrottò le sopracciglia; perché mai qualcuno dovrebbe iniziare a sistemare cose –non proprie, aggiungiamolo- in ordine di colore? “Oh, aspetta, sei uno di quelli che adorano la pulizia e l’igiene, vero? Quelli che hanno il disturbo... Non mi viene il nome... Disturbo...” aggiunse, portandosi di nuovo la mano ai capelli, cercando di sistemarli.
“Disturbo ossessivo compulsivo? Probabile. Che c’è, ti dà fastidio?” Phil iniziò a sentirsi a disagio, perché ogni persona che sapeva delle sue abitudini lo trattava come un malato. Cosa che non era, o almeno così credeva; non aveva mai fatto controlli al riguardo, quindi non poteva sapere se era affetto da quel disturbo. Sapeva solo che odiava il disordine.
“Uhm... Non credo, no. Però apprezzerei se mi dicessi se hai intenzione di frugare tra le mie cose per metterle a posto” Dan si chiuse la porta alle spalle e gli sorrise, incoraggiante.
Forse questo Dan non è poi così male, pensò Phil, sistemandosi la giacca ancora una volta, ma non sapeva che si sarebbe pentito amaramente di averlo anche solo pensato.
 
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“DAN!” dopo aver visto l’orario Phil si alzò di scatto, trovandosi davanti proprio la persona che stava cercando: Dan.
“Dimmi tutto” il castano era seduto all’estremità del proprio letto, con le braccia incrociate al petto e un sorrisino furbo stampato in faccia.
“Sono le 8 meno un quarto” Phil prese in mano la sveglia in modo che anche Dan leggesse l’ora. “E non vedo il problema” il più piccolo stava ancora sorridendo, con le mani appoggiate al materasso del letto.
“Il problema è che tu hai spento la mia sveglia, io ho la prima lezione dell’anno tra un quarto d’ora e sono ancora in pigiama!” esclamò Phil, riferendosi al pigiama dei Pokémon che aveva addosso. Mentre Dan se la rideva, lui iniziò a correre per la stanza, sveglio di colpo, iniziando a vestirsi velocemente. Non sapeva nemmeno da che parte iniziare; pantaloni? Calzini? Maglietta?
Dan continuava a ridere, steso a pancia in su sul letto e con le mani sullo stomaco –la sua prima lezione sarebbe iniziata alle dieci- Phil si stava lavando i denti, infilando i pantaloni e sistemando i capelli tutto contemporaneamente. Risultato: un Phil Lester in boxer che saltella in un piede per la stanza.
“Calmati Philly, mancano solo otto minuti!” Dan rise più forte, soprattutto per il nomignolo, mentre Phil gli lanciò un’occhiataccia. “Non sfei affatfo diferfenfe”.
“Te lo meriti eccome, ieri hai frugato tra le mie cose senza nemmeno chiedere il permesso” il castano alzò un sopracciglio con fare di superiorità, mentre l’altro si allacciava i bottoni della camicia. “Sei fortunato solo perché ho preparato tutti i libri nella borsa ieri sera, se no ti avrei già strozzato”.
“Caio ciao!” Dan gli fece un cenno della mano mentre lui usciva dalla stanza in fretta e furia, con la borsa tracolla messa di traverso che quasi gli cadeva sulla gambe, la cravatta allacciata male e la camicia abbottonata anche peggio.
“Hey Phil!” Jenna lo salutò con la sua voce acuta e fastidiosa, distraendolo. Andò a finire contro una ragazza che si stava avviando tranquillamente verso i bar, travolgendola senza volere. “Ciao Jemma, scusami Hayley!” urlò, correndo verso la sua classe di diritto. Aveva ancora due minuti, se era abbastanza fortunato, il prof sarebbe anche entrato in ritardo.
“Io sono Jenna, comunque” sussurrò la donna, abbassando lo sguardo, ma Phil era già in fondo al corridoio, non avrebbe potuto di certo sentirla.
 
La porta della classe di diritto era chiusa, e questo poteva significare solo una cosa: il professore era già entrato. Non era comunque una cosa di cui meravigliarsi, visto che aveva corso da un estremo all’altro dell’Università. Non sarebbe arrivato in orario a prescindere.
“Perfetto” sussurrò con il fiato pesante per la corsa. Già con il viso rosso per l’imbarazzo bussò alla porta, e quando sentì il coro di ‘avanti’ dei suoi compagni di classe l’aprì lentamente, sperando di non fare una brutta figura proprio il primo giorno del terzo anno.
“Lester, mi chiedevo dove fosse finito” il professor Wright si lasciò scappare una risata a vedere lo stato in cui il ragazzo era conciato, e decise di lasciarlo passare solo con un piccolo avvertimento. In fondo, lui era pur sempre Phil Lester, studente modello con il record imbattuto di presenze.
 
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“Andata bene la giornata?” Dan sorrise appena vide entrare in camera Phil, ancora con la cravatta mal allacciata e la faccia stanca.
“Non ci provare nemmeno, a parlarmi” il più grande si buttò sul proprio letto, e sospirò. “Ho avuti diritto e hai avuto fortuna, perché se avessi avuto la Smith con matematica sarei morto”.
“Te lo sei meritato fino all’ultimo. E ora dov’è finito il tuo bisogno di fare pulizia?”  alle ultime parole Phil alzò il viso, guardandosi intorno; tutto era in disordine.
Dan ne aveva davvero approfittato, perché per tutti quelli che iniziavano il primo anno, la prima settimana durava solo due ore e aiutava più che altro solo ad orientarsi nell’edificio. Quindi, mentre Dan aveva avuto due ore –dalle dieci all’ora di pranzo- di completo svago, Phil aveva avuto diritto, letteratura inglese, economia, fisica ed informatica ed era tornato alle due, stanco morto.
“Ti odio già” si alzò e mise a posto le cartacce che Dan aveva sparso per terra. Poi vene il turno dei vestiti, e con sua sorpresa si rese conto che quelli per terra erano suoi. Sbuffò e li sistemò proprio come aveva fatto il giorno precedente. “Sei contento ora?”.
“Molto” rispose il castano, ghignando. Phil roteò gli occhi e si buttò nuovamente sul letto.
Si sentì bussare alla porta e il più grande mugugnò, risentito. Dan andò ad aprire, trovandosi una donna bionda davanti.
“Phil è in camera?” chiese, cercando di vedere oltre la figura abbastanza alta del ragazzo. Quando riuscì a collegare quella voce fastidiosa con il viso di Jenna, a Phil salì un conato di vomito. Non aveva una vita, quella donna, oltre all’Università?
“Ehm... Sì, è qui!” Dan si fece da parte, e Jenna entrò nella camera.
“Le ragazze non possono entrare nella parte maschile a quest’ora” Phil si lamentò, coprendosi il viso con il cuscino. Jenna ridacchiò, falsa. “E allora? Io non studio qui, sciocchino” gli sfiorò la punta del naso con l’indice.
“Jemma, cosa vuoi?” chiese lui, già esasperato dal minimo contatto fisico. Poteva giurarci, che lei aveva accettato l’incarico di segretaria solo per dargli il tormento.
“Mi chiamo Jenna” lo corresse lei per la seconda volta quel giorno, mentre Dan era lì in piedi a guardare, abbastanza confuso. Non riusciva a capire se quei due avevano una storia, l’avevano avuta in passato, o lei era solo strana e preferiva qualcuno più piccolo di lei. Probabilmente la terza.
“Uguale”.
“E poi, oggi ti ho visto correre per i corridoi, eri in ritardo? Che ti è successo? Non sei mai stato in ritardo”la bionda continuò a blaterare. Phil roteò gli occhi, mettendosi seduto, e lanciò a Dan un’occhiata che voleva dire ‘Salvami, ti prego’. “La sveglia non è suonata. Ora, ti dispiacerebbe andare via?”.
“Ma sono appena arrivata” lei fece il labbruccio, e Dan pensò che quella cosa era stata progettata per far intenerire Phil, anche se si vedeva che a lui dava estremamente fastidio, e non vedeva l’ora di liberarsi di lei.
“Credo che tu faccia meglio ad andartene, Jemma” la invitò ad uscire, e lei sbatté un piede a terra, facendo risuonare il tacco dieci che aveva ai piedi. “Mi chiamo Jenna, quante volte ve lo devo ripetere?” chiese, sbuffando. Quando vide però che a nessuno degli altri due importava, uscì dalla stanza, sculettando di proposito. “Esibizionista” disse Phil in un sussurro, tirando un sospiro di sollievo quando rimase da solo. Certo, con Dan, ma non gli importava tanto.
 
“Strano” Dan si richiuse la porta alle spalle, con una faccia sconcertata. Da quando in qua le segretarie si comportavano così con gli studenti? A quanto pare, però, per Phil quelle stranezze erano all’ordine del giorno da due anni.
“Se la lasci perdere, prima o poi la smette” sospirò Phil. “Si spera” aggiunse, facendo ridacchiare il più giovane. “A me sembra tipo pedofila” confessò, ravvivandosi la frangia.
“Non credo che questo sia il termine giusto” intervenne Phil, e Dan rateò gli occhi; a Phil piaceva tanto sbattergli in faccia tutto il suo sapere. “un pedofilo è una persona adulta che preferisce avere rapporti sessuali, o prova attrazione, ovvio, per bambini o adolescenti. Non credo quindi che il termine ‘pedofila’ sia il termine più adatto a descrivere Jemma, visto che ho vent’anni” incrociò le braccia al petto dopo aver finito di parlare.
“Phil, mi chiamo Jenna!” Dan imitò quella voce fastidiosa, facendo scoppiare a ridere il più grande. “Comunque, è molto strana, lo devi ammettere”. Su questo Phil non poteva obbiettare, perché in effetti, Jenna era una donna un po’ troppo... Bizzarra.
“Hai ragione, suppongo. Vado a farmi una doccia, magari parliamo domani” si alzò dal letto e guardò cautamente nell’armadio, per trovare dei vestiti. “I bagni qui non sono in comune, ogni stanza ha il bagno, quindi farò piuttosto in fretta”. Chiuse le ante del suo armadio.
“Perché hai detto ‘ci sentiamo domani’? Sono solo le due e mezza” Dan aggrottò le sopracciglia, perplesso.
“Lo so, ma non mi va di parlarti, quindi...” Phil alzò le spalle in segno di finte scuse, avviandosi verso il bagno mentre si stava già slacciando la cravatta.
 
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“Phil, è ora di alzarsi!” Dan alzò da terra il secchio pieno di acqua congelata e lo buttò sul letto e, di conseguenza, sul copro di Phil, che trasalì, cadendo giù dal letto. “Che è successo?” si massaggiò la testa completamente bagnata.
“Non ti volevi alzare” Dan scrollò le spalle. “Non vorrai mica fare la fine che hai fatto il primo giorno, no?” sorrise, tenendo ancora il secchio tra le mani.
Phil si lasciò scappare un mugolio di disapprovazione, alzandosi lentamente. “Quest’anno lo sto proprio iniziando bene”.
Prese la sveglia elettrica dal comodino, ma gli cadde subito di mano quando vide che ore erano. “Dan perché mi svegli a quest’ora?” urlò, ad occhi ancora spalancati. Non ci poteva davvero credere. Dan l’aveva svegliato con una secchiata d’acqua gelida alle quattro di mattina. “Svegliarsi di prima mattina fa bene al metabolismo” dopo il primo giorno di prova, Dan si era accorto che rovinare la vita di Phil con dei stupidi scherzi gli faceva venire il buonumore.
“Saprei dire un’altra cosa che fa bene al tuo, di metabolismo, testa di-“ si fermò di colpo. “Sono stato educato bene, quindi non finirò la frase” disse più volte con tono cantilenante, spostandosi dalla fronte una ciocca bagnata della sua frangia.
“Vado a farmi una doccia e spero per te di non trovarmi davanti altre sorprese” minacciò con occhi socchiusi, facendo sorridere l’altro. Prese un paio di pantaloni e una maglietta, andando in bagno.
Si spogliò dei vestiti completamente fradici e li mise nel cesto dei panni sporchi, poi entrò nel box doccia, iniziando ad insaponarsi con il bagnoschiuma che aveva portato appositamente da casa; i bagnoschiuma che si vendevano in campus non gli piacevano per nulla, quindi voleva evitare di usarli. E sperava che Dan non avesse deciso di mettere le mani sul suo bagnoschiuma, perché gliel’avrebbe fatta pagare.
Dopo essersi sciacquato per bene uscì, e si asciugò con l’asciugamano che si era portato dietro precedentemente. Quando fece per vestirsi si rese conto di aver lasciato i boxer sul letto, e, dopo essersi dato dello stupido mentalmente, si avvolse l’asciugamano intorno alla vita ed uscì dal bagno, venendo travolto da un’improvvisa ondata di freddo.
“Dan, scusa ma ho dimenticato i box- Oddio, Jenna!” urlò, appoggiandosi una mano all’altezza del cuore. Beh, almeno il nome l’aveva detto giusto al primo tentativo. Sul suo letto, c’era seduta Jenna, con le gambe accavallate in un modo ‘sensuale’ –che più che eccitarlo, lo spaventava parecchio- e un sorriso furbo stampato in faccia. “Buongiorno”.
“Jenna, sono le cinque del mattino, si può sapere che diavolo ci fai qui? Non dovresti nemmeno essere arrivata a lavoro” Phil davvero non capiva la sua logica, se così si poteva chiamare.
“Dan è andato al bar, e io sono riuscita ad entrare prima che la porta si chiudesse. E’ sorprendete come riesca a lasciare la porta semi-aperta mentre tu sei in doccia, davvero” spiegò, come se fosse del tutto normale intrufolarsi nella stanza di uno studente.
“E cosa, hai aspettato dietro alla nostra porta il momento giusto per sgattaiolare dentro?” Phil si tenne un lembo dell’asciugamano con una mano, mentre si passò l’altra tra i capelli, facendo cadere per terra qualche goccia d’acqua.
Lei non rispose, decise di alzarsi in piedi, ma, con grande disappunto di Phil, non si avviò verso la porta, ma gli si avvicinò, soffiandogli sulla guancia.
“Jenna, fai paura” deglutì a fatica, cercando di tornare in bagno; lei però non glielo permise, e premette le proprie labbra su quelle del ragazzo, che spalancò gli occhi e non mosse un muscolo. Lei ci provava, a baciarlo, ma Phil continuava a tirarsi indietro.
“Perché non ti piaccio?” chiese poi, staccandosi. Aveva gli occhi pieni di lacrime, e quasi quasi a Phil fece tenerezza. Quasi.
“Jenna, mi spaventi. Sei una bellissima venticinquenne, ma insomma, ti nascondi dietro alle porte, entri in camera mia quando ti pare... Fa paura” cercò di spiegarle, e lei annuì, facendo intendere che aveva capito il punto.
“Quindi vuol dire che se evito di nascondermi, ho una possibilità?” okay no, non aveva capito nulla.
“No, non... No, Jemma” Phil la voleva solo fuori dalla sua stanza.
“E’ Jenna” lei storse il naso, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
“Si, giusto. Ora posso vestirmi?”.
“Certo!” gli diede un altro bacio, e proprio in quel momento la porta si aprì, ma Jenna di staccarsi dalle labbra di Phil proprio non voleva saperne.
“Phil? Jenna?” Dan rimase a bocca spalancata, e finalmente Phil –con solo una mano- riuscì a liberarsi dalla morsa di Jenna. Implorò Dan con gli occhi di portarla via da lì, e il castano annuì.
“Jenna, che ne dici se ti accompagno fuori?” disse dolcemente, facendole vedere la porta aperta.
“Ma... Phil?” si guardò dietro, per vedere Phil che prendeva velocemente i suoi boxer e che correva in bagno cercando disperatamente di non inciampare.
“Va bene, va bene, esco” abbassò lo sguardo e uscì finalmente dalla stanza.
 
“Se n’è andata?” Phil uscì dal bagno completamente vestito, e sorrise nel constatare che Jenna non era nei paraggi.
“Sì, tranquillo, ma... Il bacio?” Dan incrociò le braccia al petto.
“Non mi va molto di parlarne... Non ti è mai capitato di avere ragazze che non ti lasciano mai in pace, al liceo?”.
Dan scrollò le spalle. “Non mi piacciono le ragazze, quindi non so”.
“Cos-cosa?” Phil spalancò gli occhi.
“Che c’è, ti dà fastidio?” Dan imitò quello che gli disse Phil a proposito del suo disturbo ossessivo compulsivo; in fondo, doveva avere a che fare con le stranezze di Phil.
“No no, per carità” si difese il più grande. Davvero, non gli dava fastidio. “E’ che... Potresti prendere tante malattie” perché gli importava, così ad un tratto?
“Le malattie si prendono anche con le ragazze” obbiettò Dan, sorridendo appena. Era in un certo senso contento, che a Phil non desse fastidio; se fosse stato il contrario, non sarebbero andati d’accordo.
“Beh, hai ragione, ma-“ si interruppe, non aveva senso andare avanti. “Scelta tua, comunque” scrollò le spalle, andando verso la sua ordinatissima scrivania.
“Non posso scegliere se essere gay o meno, idiota” Dan rise e si sedette sul letto, prendendo il suo cellulare.
“Quindi siamo tornati amici? Non mi va di litigare dopo appena un mese”.
“Noi non siamo mai stati amici” disse Phil distrattamente. Non considerava Dan come un amico, più che altro una semplice conoscenza.
“Ah... Okay, suppongo” il castano tornò a giocare a Flappy Bird, con l’umore a terra. Non era riuscito nemmeno a fare amicizia con il suo compagno di stanza, era davvero un fallimento.
Phil invece non ci pensò nemmeno al fatto che quello che aveva detto avrebbe potuto rattristare Dan, si limitò solo a continuare il suo lavoro di psicologia senza alzare lo sguardo dal foglio.
 
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“Se non siamo amici tanto vale divertirmi un po’” sussurrò Dan, aprendo il barattolino di polvere pruriginosa che era riuscito miracolosamente a comprare senza destare particolari sospetti. Si girò a vedere se Phil stava dormendo, e sorrise a vederlo girato verso di lui, con la bocca socchiusa e i capelli scompigliati. La mano gli penzolava per terra, fuori dal lenzuolo. Un po’ si sentiva in colpa per quello che stava per fare, ma come aveva detto Phil, non erano amici.
Si avvicinò alla sedia della scrivania di Phil, su cui c’erano appoggiati i vestiti che aveva scelto la sera precedente, e prese in mano la camicia bianca che Phil metteva ogni lunedì. Prese un respiro profondo e ci mise dentro un po’ di polvere, attento a spargerla per bene. La stessa sorte toccò ai pantaloni, alle calze e pure ai boxer –non aveva la minima pietà. In un certo senso, sotto sotto si sentiva crudele, Phil gli aveva detto solo la verità, non si meritava tutto quello.
Ma chissene frega pensò poi, richiudendo bene il barattolo. Lo nascose nel cassetto del suo comodino e tornò a dormire tranquillo, sapendo che quel giorno la professoressa di diritto mancava, e non avrebbe avuto lezioni, se non al pomeriggio.
 
Phil si svegliò con il suono della sveglia, e sbadigliò. Si scostò le coperte di dosso e si mise seduto, stiracchiandosi.
Si preparò come sempre, mise a posto il letto, ed uscì dalla stanza, lasciando Dan a dormire come un ghiro. A volte era carino, mentre dormiva. No, aspetta, cosa?
“Ciao, Jenna” salutò, passando accanto alla donna, che al sentire la sua voce alzò subito lo sguardo. “Phil!” gli rivolse un sorriso radioso, ma poi, insolitamente, tornò a fare quello che stava facendo attimi prima.
Arrivato davanti alla classe di matematica, Phil iniziò a sentire un leggero prurito sul petto, ma non ci fece molto caso, visto che a volte il materiale di quello che indossava gli provocava qualche irritazione. Certo, con quella camicia non era mai successo prima, ma c’è sempre una prima volta. Entrò e basta, prendendo il suo solito posto isolato alla fine della classe, e aspettò l’arrivo della sua professoressa, che una volta tanto era in ritardo.
 
“Cassy, risolvi questa equazione, su” disse la professoressa, indicando la lavagna. La povera malcapitata spalancò gli occhi e iniziò a balbettare; ovviamente non sapeva la risposta. Phil alzò il braccio, annoiato, ma cominciò a sentire ancora più prurito, questa volta dappertutto. Iniziò a grattarsi, sulle braccia, sul petto; ma non riusciva a capire cosa stava succedendo.
“No. Non ” sussurrò, iniziando a dondolarsi convulsamente sulla sedia, in un tentativo disperato di riuscire a rimediare al prurito.
“Philip, c’è qualche problema?” la professoressa interruppe la lezione e tutti i suoi compagni si girarono verso di lui, alcuni divertiti, alcuni confusi. Con le guance in fiamme scosse la testa, ma la donna gli fece comunque un cenno come per dirgli che poteva uscire, allora prese la sua tracolla e corse fuori dalla classe. Che situazione imbarazzante. Certo, lui si trovava nel bel mezzo di situazioni imbarazzanti dalla nascita, ma quello era davvero il fondo.
Correva in modo parecchio strano, sentiva prurito dappertutto e l’unica cosa che riusciva a fare decentemente era chiedersi perché tutto stava succedendo a lui, che fondamentalmente non aveva fatto nulla di male.
Entrato in camera vide che Dan stava ancora dormendo beatamente, così entrò a farsi una doccia, tanto per mettere fine a quell’orribile sensazione.
 
“Come mai sei qui? Non avevi due ore filate con la Smith?” Dan sbadigliò appena lo vide uscire dal bagno, con indosso altri vestiti, molto più comodi, e che, soprattutto, non gli facevano venire il bisogno di grattarsi in continuazione.
“Credo di aver avuto una reazione allergica a qualcosa che ho indossato oggi, avevo prurito dappertutto, credimi” Phil scosse la testa.
“Anche lì?” entrambi sapevano a cosa si stava riferendo Dan.
“Anche lì” sospirò. “Ho dovuto lasciare la lezione, era insopportabile”.
Dan riuscì a mascherare la sua risata con un finto attacco di tosse, e si assicurò di avere ancora il barattolino di polvere pruriginosa nell’ultimo cassetto del suo comodino, nascosto dalla pila di fogli che gli servivano per i compiti. “Oh, mi dispiace per te”.
“Ora sto meglio, ma non credo che tornerò a lezione; insomma, non rifiuto mica lo stare qui a poltrire. Tu piuttosto, dovresti iniziare a prepararti” Phil guardò l’orologio appeso al muro, vedendo che erano quasi le dodici e un quarto. Dan rotolò sul letto e si lasciò cadere per terra, alzandosi svogliatamente per iniziare a prepararsi, mentre Phil stava cercando nella sua tracolla i fogli per l’elaborato di arte, che doveva consegnare in pochissimi giorni. Niente fogli, tutti finiti per il suo fumetto, che in realtà non gli serviva nemmeno.
“Howell!” urlò. “Dove hai i fogli che usi per arte?”.
“Dovrebbero essere nell’ultimo cassetto del mio comodino!” urlò l’altro, senza nemmeno pensare che magari Phil avrebbe potuto trovare la polvere.
Phil andò a cercare e frugò tra i fogli, ma invece trovò ben altro.
“Polvere pruriginosa...?” poi tutto si fece chiaro. Non poteva –non voleva- credere che Dan avesse imbrattato i suoi vestiti di polvere pruriginosa. E poi, a quale scopo? Poteva anche esserne allergico, e ritrovarsi nell’ora della Smith con uno shock anafilattico.
“Phil, li hai trovati?” Dan rientrò in camera e il più grande mise a posto tutto, prendendo due o tre fogli in mano. “Sì, grazie”.
Non aveva intenzione di rispondere allo scherzo, in realtà. Sarebbe iniziata una reazione a catena e non avrebbero più finito di farsi scherzi a vicenda. Proprio quando quel ragazzo sempre pieno di energia stava iniziando a stargli simpatico, anche se poco, tutto fu rovinato da quello scherzo completamente inutile. A volte Phil si chiedeva cosa stesse passando nella sua testa, ma dopo si ricordava che in realtà, nella testa di Dan, non passava proprio nulla, tanto era stupido.
 
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I tre mesi seguenti furono un inferno, per Phil. Tra l’essere svegliato con secchiate d’acqua gelida, polveri pruriginose e altri scherzi da parte di Dan, stava veramente per perdere il controllo. Certo, avevano anche abbastanza legato, se così si può dire. Non erano certo da chiamare ‘migliori amici’, ma Dan era riuscito anche a prendersi una cotta per Phil, mentre l’altro lo voleva strangolare –a volte.
Sì, in pratica Phil non vedeva l’ora che l’anno fosse finito solo per liberarsi degli stupidi scherzi di Dan.
Finché un giorno, Dan spinse Phil oltre il limite.
Servendosi del colore dei bollini nella doccia, li scambiò, mettendo l’azzurro al posto del rosso e viceversa. Era uno scherzo da quattro soldi, visto che aveva perso tutte le idee, ma non voleva smettere di infastidire il suo compagno di stanza.
 
“Dan, io entro a farmi la doccia” Phil mise a posto il suo libro di diritto e riordinò i fogli, in modo tale che niente fosse fuori posto.
Dan si lasciò scappare un ‘mh’, come per dire che aveva capito, steso sul letto a giocare con delle stupide applicazioni sul suo cellulare. Poteva già immaginarsi come avrebbe reagito Phil.
Aspettò qualche minuto, col fiato sospeso. “DANIEL JAMES HOWELL!” il suo piano era definitivamente andato a buon fine.
“Dimmi, Phil?” sorrise tra sé e sé quando vide Phil uscire dal bagno, i capelli fradici e il suo asciugamano legato alla vita. Non poteva di certo negarlo; quella vista non gli dispiaceva affatto. Forse non era solo una cotta. Forse si era davvero innamorato. Qualunque fosse stata la verità, Dan non voleva ammetterla a sé stesso; andiamo, innamorarsi di qualcuno che lo odiava? Era da suicidio. Soprattutto, Phil preferiva le donne.
Non ne era sicuro al 100%, ma probabilmente gli faceva tutti quegli scherzi per attirare la sua attenzione, un po’ come faceva Jenna con il suo stargli appiccicata. In fin dei conti, la sua attenzione l’aveva attirata, anche se in modo negativo.
“Sei stato tu a cambiare i bollini della doccia” Phil stava cercando con tutte le sue forze di rimanere calmo, soprattutto perché era in asciugamano e non poteva rischiare di farlo cadere.
“Forse? Senti Phil, era sol-“ Dan venne interrotto bruscamente da Phil, che dopo tutto quel tempo aveva iniziato a perdere la pazienza.
Quell’ultimo scherzo era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
“No Daniel, senti tu” gli puntò un dito al petto. “Non so cosa ci sia di sbagliato nel tuo modo di pensare, ma dopo il primo episodio della polvere hai mandato tutto all’aria. Tutti questi scherzi, a quale scopo? Quello di farti odiare sempre di più? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? No, non rispondere nemmeno, ora non me ne frega, basta. Sei solo un bambino nel corpo di un diciottenne, e sai cosa? Sei esasperante, è per questo che non hai amici. Ecco, l’ho finalmente detto. Mi sono stancato di essere svegliato alle quattro di mattina o cinque secondi prima dell’inizio delle lezioni, mi sono stancato di dovermi preoccupare del fatto che magari nei miei vestiti ci possa essere della polvere pruriginosa, ma soprattutto, mi sono stancato di te. Sarebbe stato tutto migliore se solo non ti avessi mai conosciuto” aveva il respiro pesante, dopo aver detto tutto quello che pensava.
Dan aveva gli occhi lucidi, stava per scoppiare a piangere; era riuscito ad allontanare anche l’unica persona che aveva avuto anche il coraggio di rimanergli accanto per quattro mesi. Annuì. “Mi dispiace. Se ti do fastidio, posso anche tornare da mio padre domani mattina”.
“Mi faresti un favore” Phil non riusciva nemmeno a provare dispiacere per quello che stava dicendo, non più ormai. Si era stancato di essere trattato come uno zerbino, non se lo meritava. Dan gli aveva rovinato i primi quattro mesi, non gli avrebbe permesso di rovinare il resto dell’anno.
“Allora andrò a chiamarlo” Dan uscì dalla stanza a testa bassa, con il cuore spezzato. Si era innamorato così in fretta e se tutto era rovinato –non che avrebbe avuto comunque una chance con Phil- era tutta colpa sua.
 
Dopo che Dan fu uscito, il cellulare di Phil squillò. “Sì, mamma?”.
“Philip! Tutto a posto?” sua madre sembrava così felice di sentirlo, mentre lui voleva solo chiudere la chiamata e non parlare a nessuno.
“Non proprio, ho litigato con il mio compagno di stanza”sospirò, tremando. Era ancora in asciugamano, e alla fine di dicembre, non era proprio la cosa ideale, ecco.
“Beh, vedrai che chiarirete tutto” era la solita frase fatta. ‘Chiarirete’, ma lei non sapeva che Dan se ne sarebbe andato. E non voleva nemmeno che lo sapesse; Dan non faceva parte della famiglia, ovviamente, e poi non valeva nemmeno la pena sprecare il tempo di sua madre per una persona come lui.
“Sì... Mamma, sono appena uscito dalla doccia, vado a vestirmi”.
“Va bene, tesoro. Abbi cura di te”. Non rispose nemmeno, mise giù e andò a cambiarsi, con un peso in meno da portarsi dietro sulle spalle.
 
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“Phil, non sei soddisfatto? Dan se n’è andato da un mese, se non di più” Jenna gli sorrise, sistemandogli una ciocca della frangia. Phil annuì, con gli occhi spenti. Dan quando Dan se n’era andato lui e Jenna si erano fidanzati, ma lui non ce la faceva davvero ad esserne felice. Non riusciva ad essere contento della compagnia di Jenna, che cercava sempre di accontentarlo. In un certo senso gli mancava Dan, e anche se era completamente da pazzi, gli mancavano i suoi scherzi, e come rideva ogni volta che tornava in camera arrabbiato.
Gli faceva schifo, quella situazione; aveva Jenna accanto e lui andava a pensare a quanto gli mancava Dan. Però, era più forte di lui. Si ricordava di quando gli capitava di svegliarsi di notte per andare in bagno, e illuminava tutta la stanza con la sua torcia. Si ricordava di come Dan sembrava sorridere ogni volta che gli passava accanto.
Oppure, quando per fare l’idiota e per farlo ancora più arrabbiare, lo chiamava ‘Pholop’. Quando gli scombinava l’ordine dei fogli del suo fumetto, e poi si metteva a ridere. Erano cose semplici, che però per qualche motivo, gli erano rimaste impresse nella mente.
Però, lui non era gay, l’essere fidanzato con Jenna lo dimostrava.
Allora perché non riusciva a smettere di pensare a Dan e al suo stupido sorriso, ai suoi stupidi occhi, alla sua stupida risata e ai suoi stupidi capelli, così morbidi? Stupido Dan Howell.
“Phil? Stai male?” Jenna aggrottò le sue sopracciglia perfette, dandogli un bacio sulla guancia.
Perché quando lei lo baciava o lo sfiorava, lui non riusciva a sentire nulla? Perché alla sua festa di 21 anni –che lei aveva organizzato, e a cui Dan non era stato assolutamente invitato- non era riuscito a sorridere una sola volta?
“Jenna, non funziona. Tra noi, intendo” la donna spalancò gli occhi, anche se in fondo in fondo se l’aspettava. In realtà, Phil stava solo aspettando la sua scenata e le sue grida, che però non arrivarono. Lei si limitò solo a sospirare. “Vai da lui”.
E Phil avrebbe preferito di gran lunga la scenata, Jenna che metteva a soqquadro la sua stanza, o che lo prendeva addirittura a schiaffi. Tutta quella calma gli faceva venire i brividi, perché... Era così evidente? Si vedeva così tanto che gli mancava Dan?
“Mi dispiace, Jen”.
“E’ okay. Non so se riuscirò a passarci sopra in poco tempo, ma è okay, vai da lui. Ho il suo indirizzo nei fascicoli” si alzò dal letto e andò verso la segreteria, seguita da Phil. Frugò tra parecchie carte, e dopo qualche minuto alzò lo sguardo. “Tieni, qui ci sono tutti i suoi dati, compreso l’indirizzo. Stai attento, per strada”.
“Ma non ho la macchina” Phil aggrottò le sopracciglia. Jenna gli lasciò un paio di chiavi tra le mani. “Prendi la mia, io non vivo lontano, e comunque ho sempre l’auto di mio fratello”.
“Jenna, non so come ringraziarti” Phil l’abbracciò forte, e lei fece lo stesso, dandogli una pacca sulla spalla.
“Posso darti un ultimo bacio?” lui annuì; tanto non avrebbe sentito nulla.
Jenna gli si avvicinò cauta e gli lasciò un bacio a stampo sulle labbra; dopo qualche secondo scoppiò anche a piangere, ma c’est la vie e noi non possiamo farla stare meglio.
Phil uscì nel freddo di febbraio in maniche corte, ma anche se si gelava non gli importava più di tanto; voleva solo rivedere Dan e sapere che stava bene, anche senza di lui.
 
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“Dan, so che non stai bene, ma prova almeno a mangiare” suo padre bussò alla porta della sua camera, dove si era barricato da due mesi, senza ricevere risposta. Da quando aveva lasciato l’Università di Manchester, Dan non era esattamente come prima. Non rideva, non scherzava, non sorrideva, non voleva parlare ad anima viva, non cantava sotto la doccia e non mangiava quasi per nulla. In più, non voleva nemmeno saperne di uscire dalla sua stanza.
Suo padre lo sapeva, che lui e il suo compagno di stanza avevano litigato, ma non sapeva perché il tutto fosse così importante. Certo, un’idea se l’era pure fatta, ma non si azzardava nemmeno a chiedere conferma. Tanto Dan non gli avrebbe risposto comunque.
 
Dan, dall’altro lato della porta, piangeva e basta. Era così stupido da parte sua comportarsi in quel modo, ma Phil gli mancava ogni giorno e lui era stato un’idiota; come si fa ad innamorarsi fino a questo punto di qualcuno che si conosce appena?
“Dan, so che non hai intenzione di aprire bocca, ma c’è qualcuno che è venuto per parlarti”.
Non rispose nemmeno, era probabilmente Pj, che non smetteva di tartassarlo con messaggi e chiamate.
“Dice di chiamarsi Phil” a quelle parole spalancò gli occhi e scattò seduto.
“Non prendermi in giro” disse con la voce roca, per non averla usata molto.
Non poteva essere Phil, perché avrebbe dovuto guidare tre ore da Manchester fino a casa sua? Non c’era motivo.
“Non sto scherzando, guarda dalla finestra. Se non lo conosci lo mando via” Dan tirò su col naso, alzandosi. Andò verso la finestra e scostò la tenda lentamente; non la voleva proprio, un’altra delusione. Il suo cuore perse un battito quando vide che sotto la pioggia, c’era proprio Phil che lo stava aspettando. Corse nel bagno della sua camera e si sistemò i capelli velocemente, anche se per le occhiaie e gli occhi rossi non c’era molto da fare.
Fece scattare la serratura della sua stanza, aprì la porta e corse giù per le scale così velocemente che quasi si storse una caviglia. Non gli importava comunque, perché Phil era lì, da lui.
            Spalancò la porta d’entrata e andò davanti al cancello, sotto la pioggia, dove Phil stava singhiozzando. Scavalcò il cancelletto di metallo e si trovò faccia a faccia con il più grande.
“Perché stai piangendo? Entra, su, che se no ti prender-“ venne interrotto da un paio di labbra sulle sue. Il suo cervello stava facendo fatica a processare quello che stava succedendo; stava solo sognando di essere lì, insieme  a Phil, che aveva le mani sulle sue guance e che lo stava baciando? Probabile, ma era di gran lunga il sogno più bello che avesse mai fatto.
Quando si allontanarono l’uno dall’altro, lo guardò in quei suoi bellissimi occhi azzurri. “Phil, ma...?”.
“Fammi parlare, Howell”. Phil gli mise l’indice sulle labbra, come si fa in quei film strappalacrime. Adesso svengo si disse Dan, mentre già sentiva le gambe cedere. “Ho fatto tre ore di macchina piangendo, ho mollato Jenna su due piedi –sì, eravamo insieme- e ora sono qui, in maniche corte e sotto la pioggia, che rischio una polmonite solo per te, che sei un grandissimo rompipalle. Sei esattamente uguale a un bambino capriccioso, non capisci mai quando è il momento di smettere con i tuoi stupidissimi scherzi, sei disordinato –fin troppo- e quando sei sotto la doccia canti a squarciagola, anche se sei più che stonato. Venire fin qui, tuttavia, è stata probabilmente la decisione migliore della mia vita, perché oggi, mi sono finalmente reso conto che- Dan, credo di amarti. E sì, ti ho detto che sei strano perché sei gay, ma suppongo che lo sia pure io, perché mi sono innamorato di te e non posso farci niente, se non dirtelo. Probabilmente tu non provi lo stesso, e lo capisco, ma non potevo lasciare che qualcuno ti portasse via da me”.
Dan non sapeva cosa fare, tutto quello che si era limitato solo a sognare, si era realizzato. Phil Lester gli aveva appena confessato di essersi innamorato di lui. Lo abbracciò e basta, dandogli un bacio sulla guancia. Poteva già sentire le lacrime scendergli sulle guance, ma non ci fece caso. “Ti amo anche io” gli sussurrò all’orecchio.
“Ora meglio se entriamo, si gela e un raffreddore non ce lo toglierà nessuno” lo prese per mano e si avviarono verso la porta d’entrata, che era rimasta aperta tutto il tempo. Eh, la cosa peggiore che potesse capitare, era far entrare il freddo in casa.
“Torni all’Università?” Phil si fermò di colpo guardandolo.
“Solo se a te va” Dan scrollò le spalle, guardando l’asfalto bagnato del marciapiede.
“Dirò a Jenna di ridarci la stanza che avevamo, allora” Phil gli fece un occhiolino, dandogli un bacio sulla tempia.
Dan lo sapeva, lo aveva capito. Si era innamorato così profondamente che non ne sarebbe uscito facilmente. Però, tutto sommato, se Phil gli era accanto non gli dispiaceva per nulla.


Weeeeeee
Sono tornata a scrivere nella sezione 'youtube' e non so quanto questa cosa possa essere decente. Se non lo è, chiedo perdono. 
Volevo solo fare qualcosa di -hopefully- diverso, ma dopo sono caduta nel vortice di fluff e sì, insomma. Credo che questa storia non sia nemmeno abbastanza bella, mi vergogno in un certo senso di averla dedicata a una delle mie migliori amiche, quindi... Yeah. 
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, quindi se vi va lasciate una
piccola piccola recensione, vi amerò per sempre. ^-^
Alla prossima storia, e scusate per eventuali errori.
Un abbraccio, 
Mar. 
   
 
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