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Autore: Acinorev    07/04/2015    34 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Epilogo - Our war

 

3 Febbraio 2017
 
 
«Sto solo dicendo che hai l'aria da porca», ripeté Pete con sguardo indifferente e stringendosi nelle spalle, mentre gli occhi sottili seguivano il fumo espirato.
Emma sbuffò, ignorando la risata di Nikole ed il sorriso di Dallas. «Grazie, sei gentile».
«Ad Harry piaceranno», la distrasse l'amica, rivolgendole un'occhiolino malizioso ed accavallando le gambe sotto il tavolo. Il nuovo taglio di capelli di Emma si era presto trasformato nell'argomento del giorno: aveva detto addio a qualche centimetro di lunghezza ed aveva coperto la fronte lentigginosa con una frangia sottile e nuova.
«Non so», sospirò in risposta, mordendosi l'interno di una guancia: non che li avesse tagliati per lui o per attirare la sua attenzione, era chiaro, ma forse sarebbe stato più semplice accettare quel mite cambiamento con la sua approvazione.
«Ma se anche non gli piacessero», intervenne Dallas, allungando i piedi scalzi sul tavolo e massaggiandosi il collo con una mano, «non sarebbe la fine del mondo, giusto?» Era nuovamente tornato in città, mettendo a dura prova la pazienza della sua fidanzata: lei non lo sapeva ancora, ma presto avrebbe dovuto affrontare la proposta di trasferirsi a Bradford.
«Ti ricordo che noi ci mangiamo, qui», commentò Emma, spingendo via le sue gambe per obbligarlo a spostarle.
«A proposito, mi meraviglio che questo posto sia ancora tutto intero», continuò, guardandosi intorno con fare curioso e divertito. La cucina era in ordine, illuminata dal sole del primo pomeriggio.
«Intendi per il sesso?» tentò Nikole, avvicinandosi e calcando le parole come per discutere di un segreto.
Emma alzò gli occhi al cielo, Pete scosse la testa.
«Anche», sorrise Dallas, riportando i piedi sul tavolo, «ma soprattutto per i litigi: non mi meraviglierei s-»
«Come sei esagerato», lo interruppe la diretta interessata, raggomitolando le gambe al petto. «Anche se litighiamo spesso, non vuol dire che siamo soliti lanciarci addosso pezzi dell'arredamento o appiccare incendi», continuò borbottando.
«Ah, no?» la provocò l'altro, ridendo accompagnato dalla cicatrice sulle sue labbra.
Lei gli rivolse una smorfia, evitando di rispondere per mettere fine al discorso: era capitato solo una volta che Emma, in preda all'ira, avesse accidentalmente scagliato contro Harry – sempre accidentalmente nei paraggi – un posacenere. Aveva mirato ai piedi, mancando di proposito il bersaglio, ma l'aveva fatto. In sua difesa poteva dire di aver avuto un solido movente.
«L'importante è che le vostre abitudini – qualsiasi esse siano – non mettano in pericolo la vostra convivenza», ironizzò Nikole, raccogliendo i capelli in una coda alta e scoprendo il viso notevolmente più snello. La soddisfazione per il peso perso con tanti sacrifici le dava un'aria raggiante. «Anche se sono sicura che la rendano solo più eccitante».
Quando Emma aveva annunciato ad i suoi amici la novità, quattro mesi prima, aveva dovuto affrontare una reazione sbigottita, incredula e terrorizzata: ai loro occhi era sembrato azzardato compiere un passo del genere, ma non perché troppo presto, semplicemente perché temevano che una coppia simile potesse giungere all'autodistruzione in pochi minuti, se racchiusa in uno stesso spazio per troppo tempo.
In realtà, si erano sbagliati.
«Esattamente», commentò Emma, assumendo un'espressione soddisfatta nel ripercorrere nella propria memoria il motivo di quell'affermazione.
Litigavano spesso, lei ed Harry, e quasi sempre per futilità: urlavano molto, talvolta portavano i vicini all'esasperazione, ma si amavano altrettanto. E se la discussione era stata più aspra del solito, se i termini si erano fatti più taglienti e dolorosi, bastava guardarsi intorno per trovare un compromesso: bastava ricordarsi dei vestiti di entrambi mischiati nell'armadio, delle due tazze ancora sporche nel lavandino, delle scarpe all'entrata dell'appartamento e degli accappatoi in bagno. Bastava ricordarsi di essere lì insieme, per porre fine a qualsiasi disguido.
Emma, in particolare, si focalizzava sempre sullo stesso ricordo, quando uno dei due usciva di casa sbuffando o imprecando: le piaceva rivivere il giorno in cui Harry aveva comprato un armadio più capiente, senza dirle niente e senza motivare la sua spesa. Gliel'aveva fatto vedere come per caso, mezzo vuoto per la sua ampiezza, e con finta indifferenza; e lei, dopo averlo osservato con stupore e dopo aver osservato lui, aveva semplicemente compreso, sorriso e detto: «Non credere che basti, ci sarà bisogno anche di un'altra scarpiera».
Era quel ricordo a calmarla in ogni occasione, gli occhi di Harry ed i progetti fatti insieme, senza pronunciarli ad alta voce per non rovinarli.
«La pianti con quel telefono?» squittì Nikole, tirando un debole calcio alla sedia di Pete: la sigaretta ormai spenta e gli occhi concentrati su uno schermo touch.
«Non rompere», la liquidò lui, senza degnarla di troppa attenzione.
«Guarda che sono gelosa!»
«Gelosa di mio fratello? Lascialo perdere, è un caso perso: senza contare che ultimamente si sta frequentando più o meno con quattro ragazze».
«Lo so... Magari fosse monogamo come te».
«Non so se augurarglielo, in realtà».
Emma seguiva lo scambio di battute con uno spontaneo sorriso sul volto: Nik era solita scherzare su argomenti del genere, nonostante fosse risaputo che Pete non le interessasse se non come un fratello minore, e Dallas amava darle corda, dal momento che la competizione con il suo imperturbabile gemello si era fatta più aspra – anche a causa dell'invidia del rapporto molto stretto con Emma, che lui non era più riuscito a recuperare.
«Siete esasperanti. E noiosi», commentò Pete, inumidendosi le labbra e posando il telefono sulla superficie lucida del tavolo.
 
Un nuovo messaggio: ore 14.02
Da: Pete
“Io e Kristy usciamo di nuovo stasera”
 
Emma lesse con una certa sorpresa quel messaggio inaspettato e subito alzò lo sguardo sul suo amico, esattamente di fronte a lei: Pete le sorrise appena, senza esporsi troppo, e questo fu sufficiente. Se Dallas e Nikole non fossero stati presenti e se lei non avesse esplicitamente ricevuto il divieto di renderli partecipi, si sarebbe volentieri alzata per abbracciarlo fino a dargli fastidio, per trasmettergli il sincero sollievo che provava.
Non era affatto vero che stava frequentando quattro ragazze, come invece credeva il fratello gemello, anzi: quella era solo una maschera per sviare i loro pettegolezzi. Pete si stava dedicando solo ad una persona, si stava logorando solo per lei, e non aveva nessuna intenzione di contaminare la propria silenziosa felicità con le loro supposizioni e le loro prese in giro: prima o poi anche loro avrebbe scoperto della sua insospettabile monogamia – come l'avrebbe chiamata Nik – ma non prima che Pete se la fosse goduta a pieno.
Le loro chiacchiere, ormai ruotanti sul nuovo pub aperto in un angolo della città, vennero interrotte dallo scattare della serratura della porta d'ingresso: Emma si tese sulla sedia, mentre gli altri si scambiavano dei sorrisi impazienti.
I passi di Harry erano lenti, stanchi.
Emma li contò e cercò di seguire il loro percorso, conoscendo le loro abitudini: dopo qualche istante si voltò e, alle proprie spalle, Harry la guardava dalla soglia della porta della cucina. Indossava una tuta blu sgualcita, macchiata di olio e gasolio e chissà cos'altro: i capelli raccolti malamente sul capo erano disordinati, unti per il suo vizio di passarci le mani in mezzo, anche se sporche. Aveva appena terminato un turno di dieci ore ed il suo viso ne portava tutto il peso, segnato da leggere occhiaie violacee.
«Ciao, Harry», lo salutò Nikole, allegra nella sua solita indole socievole.
Lui corrugò la fronte, schiudendo le labbra, e le rivolse un cenno del capo: i suoi occhi si mossero su Pete, che era tornato a parlare con Kristy in segreto, e poi su Dallas. Emma notò i suoi pugni serrarsi lungo i fianchi, il suo petto trattenere un sospiro infastidito: i rapporti tra di loro non sarebbero mai migliorati, non c'era alcuna possibilità.
«Hey», lo salutò Dallas, forse solo per provocarlo.
L'altro alzò un sopracciglio, si rilassò. «Leva quello schifo dal mio tavolo», gli ordinò, riferendosi ai suoi piedi ancora allungati sulla superficie lignea. Non ottenne delle resistenze, ovviamente.
Emma continuava a tenere lo sguardo su di lui, soffermandosi sulla pelle del collo sporca come la sua mandibola: poteva sentire l'odore della sua stanchezza, mischiato a quello aspro del gasolio, e non riusciva a nascondere il debole che provocava nel suo corpo.
Harry spostò l'attenzione su di lei: la guardò negli occhi senza dire una parola, sbatté le palpebre per la sorpresa – o qualcos'altro? - di un nuovo taglio di capelli e continuò a non parlare. Serrò la mascella, respirò a fondo e scomparve nel corridoio.
Non c'era da aspettarsi altro: in fondo, stavano ancora litigando.
«Avete intenzione di andare avanti così per molto, voi due?» bisbigliò Nikole, con un certo rimprovero nel tono di voce.
Emma sospirò, accogliendo lo sbattere di una porta. «Fin quando sarà necessario», rispose, senza preoccuparsi di modulare il volume.
«Vivere sotto lo stesso tetto e non parlarsi può essere un po' scomodo, non credi?»
«Non così tanto».
«Non ricordo nemmeno perché abbiate litigato, stavolta».
Nemmeno Emma lo ricordava, esattamente, perché dalla causa principale si erano evolute tante discussioni satelliti che avevano confuso il quadro generale: in ogni caso, qualunque fosse il motivo, non avrebbe ceduto per prima a quella guerra che si stava tenendo da quasi due giorni.
«Sembra quasi che tu ti diverta», le fece notare Dallas, scuotendo il capo con fare arreso.
«Infatti è così», sostenne lei, sorridendo con furbizia: agli occhi di esterni, quella situazione poteva sembrare irrazionale e semplicemente insostenibile, ma per Emma ed Harry era un modo alternativo di vivere la propria realtà di coppia. All'apparenza si poteva scorgere solo l'espressione indispettita di Harry, il tono indisposto di Emma, ma nessuno, a parte loro, poteva sapere e ricordare tutto il resto: i baci rubati nel sonno, nella vana speranza di non farsi scoprire; le carezze apparentemente casuali durante la giornata; tutti quei piccoli e significativi particolari che sostituivano l'assenza di parole.
Harry entrò in cucina con passi pesanti, senza curarsi di nessuno di loro: la stanza si fece silenziosa, perché gli ospiti non osavano dire niente o semplicemente aspettavano di assistere a qualcosa. Lui aprì il frigo, recuperò una bottiglia d'acqua e bevve generosamente. Emma osservò i suoi movimenti, la goccia d'acqua che sfuggì alle sue labbra e gli percorse il mento per cadere sul suo petto, coperto da una canotta che era stata bianca; le dita intorno alla plastica, nere ed ormai callose; le spalle contratte.
Distolse lo sguardo prima che Harry potesse accorgersene, deglutendo il suo tentativo di metterla alla prova e di prendersi una rivincita. Quando uscì dalla stanza, sbattendo di nuovo la porta come per ricordare la propria presenza, gli altri tornarono a respirare tranquillamente.
«Mi sto perdendo qualcosa», mormorò Nikole.
«Intendi dire che ti stai perdendo le dinamiche di questa sottospecie di coppia», intervenne Pete, «o che ti stai perdendo un uomo
Lei lo fulminò con lo sguardo. «Che c'è, le tue numerose ammiratrici non ti bastano? Ora ti piace anche Harry?» replicò piccata, ma non offesa.
«No-»
Fu interrotto dal soggetto delle loro battute, che entrò nuovamente nella stanza: Emma quasi si strozzò con la propria saliva, quando si accorse del suo petto nudo: una nuova sfida. Lui li ignorò di nuovo, rubò un tovagliolo dalla credenza, si grattò distrattamente l'addome definito e si defilò.
La porta sbatté per la terza volta.
Emma perse per la seconda volta.
Nikole era ancora sconvolta.
Le diede una spinta per farla rinsavire, gelosa del suo sguardo sognante e dei pensieri sicuramente impuri – come i propri.
«Scusa se te lo dico, ma sei proprio una stupida», esordì l'amica, riferendosi a ciò che si stava lasciando scappare. Emma alzò gli occhi al cielo, le diede ragione nella propria testa e restò in silenzio, a braccia conserte.
 
Nemmeno quindici minuti più tardi, si poteva sentire lo scrosciare dell'acqua della doccia: Emma era talmente concentrata nell'immaginarsi il corpo bagnato di Harry – sì, era così patetica – da non accorgersi dello squillare del suo telefono.
«Kent, svegliati», esclamò Pete, in piedi accanto ai fornelli nell'attesa che il caffè fosse pronto.
Lei si riscosse, schiarendosi la voce per fingere un certo contegno: sullo schermo del suo iPhone appena comprato lampeggiava un lapidario “Mom”.
«Mamma?» rispose, vagamente indispettita da quella chiamata inaspettata: da quando si era trasferita nell'appartamento di Harry, Constance aveva subìto un brusco colpo nella propria identità di madre, cosa che l'aveva portata a chiamarla anche più di una volta al giorno per assicurarsi che stesse bene. Ovviamente prima che Emma si arrabbiasse.
«Emma, grazie a Dio hai risposto!»
Corrugò la fronte: la sua voce era carica di agitazione, irrequietezza.
«Che succede?»
«Tua sorella! Oh mio Di-Ron, rallenta! Dobbiamo arrivare vivi, possibilmente!»
«Mamma?» ripeté Emma, raddrizzandosi sulla sedia ed iniziando a preoccuparsi. «Cosa c'entra Melanie? Cosa sta succedendo?»
Poteva vedere i suoi amici con un'espressione allarmata sul volto, che forse rifletteva la propria.
«Si tratta di tua sorella, è in ospedale!»
«In ospedale?!»
«Sì, certo! Lei... Le si sono rotte le acque, capisci? Oh mio Dio, sto per diventare nonna
Emma spalancò gli occhi, trattenendo il fiato inconsapevolmente: lo sguardo perso nel vuoto, sentiva il sangue raggelarsi nelle proprie vene millimetro dopo millimetro.
Le si sono rotte le acque.
Pete fu il primo a tentare di riscuoterla. «Kent?»
«Avanti, sbrigati e vieni all'ospedale!»
Il segnale di fine chiamata seguì nuovi ordini rivolti a Ron, che probabilmente non riusciva a rallentare semplicemente per il terrore di un nipotino, di una figlia ormai madre, di un amore incontenibile. Emma restò con il telefono accanto all'orecchio, sbattendo le palpebre lentamente.
«Cosa c'è? Qualcuno sta male?» si preoccupò Nikole: strano che le esclamazioni concitate di Constance non fossero state udite da tutta la casa.
Lei scosse la testa lentamente.
Non riusciva a crederci, non riusciva a muoversi.
Sua sorella stava per avere...
«... Un cazzo di bambino!» esordì ad alta voce, alzandosi in piedi in uno scatto e coprendosi le mani con la bocca.
«Un bambino?»
«Melanie!» continuò, già uscendo dalla cucina. «Melanie sta per partorire!»
 
Spalancò le ante della doccia, lasciando che il vapore umido le si depositasse sulla pelle.
Harry sussultò e fu tentato di coprirsi il corpo, per poi rilassarsi e contravvenire al suo istinto. Stranamente, Emma non riuscì a soffermarsi sui suoi muscoli lucidi e sul profumo di bagnoschiuma, né sui suoi capelli bagnati che gli ricadevano sul viso in onde morbide.
«Dobbiamo muoverci», disse invece, afferrando l'accappatoio e porgendoglielo.
«Come, scusa?» domandò lui, con le sopracciglia aggrottate per la confusione.
«I miei stanno già andando in ospedale, Melanie sta per partorire!»
Ripetere quelle parole contribuì a renderla ancora più irrequieta ed impaziente: aveva avuto quasi nove mesi per prepararsi all'idea, ma in quel momento, quando tutto si stava facendo più reale, le era semplicemente impossibile accettare ciò che stava accadendo.
Harry schiuse le labbra e restò immobile, inebetito: «Cosa?»
«Muoviti, muoviti!» lo esortò Emma, saltellando sul posto per l'incapacità di rimanere ferma.
«Oh, cazzo», imprecò Harry, arrestando il flusso d'acqua ed infilandosi velocemente l'accappatoio.
Mentre lui usciva dalla doccia, asciugandosi in tutta fretta, Emma recuperò il phon ed iniziò a gettare aria calda sui suoi capelli, massaggiandoli con le mani tremanti: Harry fece una smorfia, ma la lasciò fare. Si lavò i denti e, nel frattempo, le permise di infilargli i calzini e gli slip, proprio come un bambino troppo lento quando è già in ritardo.
«Questi posso mettermeli io», mormorò Harry, prendendo i pantaloni ed il maglione tra le mani, in modo da impedirle di continuare a dare in escandescenze.
Lei si morse un labbro, picchiettando il piede a terra, e lo osservò in trepidante attesa. «Hai fatto?» domandò, senza aspettarsi una risposta e fiondandosi fuori dal piccolo bagno.
In corridoio, i suoi amici stavano attendendo istruzioni sul da farsi ed eventuali notizie.
«Vuoi che veniamo anche noi?» chiese Dallas, seguendola in salotto mentre lei recuperava le giacche e le scarpe.
«No, saremo già in tanti», esclamò frettolosamente, infilandosi un paio di Vans. «Andate pure, vi farò sapere io».
«Mio Dio, Emma, sono così felice per te», esclamò Nikole, abbracciandola con una enfasi non necessaria. L'altra si lasciò sfuggire un sorriso liberatorio, ma non si oppose a quella dimostrazione d'affetto: in fondo, la sua amica aveva un'indole troppo romantica e sognatrice, per non emozionarsi a tal punto in un'occasione simile.
«Chiamami», le disse Pete con un'espressione seria, per poi rivolgerle un sorriso a labbra strette, senza però avvicinarsi.
«Chiama anche me», si intromise Dallas, nella sua estenuante lotta per recuperare un posto nel cuore di Emma che aveva perso da tempo.
«Va bene», acconsentì lei, aprendo la porta per farli uscire: Harry, intanto, entrò in salotto con le chiavi dell'auto tra le labbra.
«Il cellulare?» domandò a sé stesso, guardandosi intorno.
Emma palpò la sua giacca e gliela porse. «È qui», lo rassicurò, infilandosi la propria.
«Ok, allora andiamo».
 
 
 
La sala d'attesa era affollata: i divanetti rossi erano occupati fino all'ultimo posto, senza contare le persone in piedi.
I genitori di Zayn, insieme ad altri parenti stretti, continuavano a parlottare tra loro con fremente impazienza: avevano un maggior contegno nel dimostrare il loro affettuoso entusiasmo, ma era ugualmente possibile percepire il loro stato d'animo. La famiglia Clarke, invece, sembrava un treno in corsa: tralasciando nonni e zii che proprio non erano riusciti ad aspettare a casa, Ron e Constance non erano in grado di restare seduti per più di tre minuti consecutivi. Si agitavano, camminavano avanti ed indietro e si avvicinavano alle porte del reparto nella speranza di attirare fuori una delle ostetriche: non avrebbero mai perdonato Melanie per la sua decisione di avere solo Zayn con sé.
Mentre Fanny sedeva a terra, in un angolo, forse spaventata da quell'atmosfera opprimente, di tanto in tanto Constance e Trisha – la bellissima madre di Zayn – si riunivano per esprimere comunemente le proprie emozioni: i mariti le guardavano sforzandosi di non intaccare la propria dignità, ma forse invidiandole per la libertà che avevano nell'esprimersi.
Zayn e Melanie si erano sposati esattamente un anno dopo la proposta di matrimonio: era stata una cerimonia semplice e romantica, iniziata nel pomeriggio e terminata tra le luci soffuse e calde della sera. La sposa, nel suo abito color avorio, poteva già mostrare al mondo una timida curvatura nel suo addome, testimone della sua gravidanza di quattro mesi inoltrati. L'arrivo di un bambino – un maschio – aveva rallegrato e stupito ogni membro della famiglia, che aveva accolto la notizia con un'ulteriore celebrazione.
Emma si era abituata alla rotondità della sorella maggiore: Melanie, con il suo pancione teso e scalciante, aveva guadagnato qualche chilo armonioso ed un'andatura buffa, portatrice di un peso insolito. Aveva spesso le caviglie gonfie, la stanchezza a torturarle i muscoli, ma i suoi sorrisi restavano raggianti ed impazienti, propri di una madre. Non riusciva ad immaginare come Melanie avrebbe guardato suo figlio, come e quanto l'avrebbe amato.
E Zayn era probabilmente la persona più felice al mondo, nel modo più semplice e banale: inutile dire che l'idea che l'amore per Melanie avesse portato alla nascita di qualcosa e qualcuno gli impediva di smettere di sorridere come un ebete. Non poteva arrendersi alla prospettiva di un bambino che magari avrebbe avuto i suoi occhi celesti o che magari sarebbe arrossito proprio come lei, nei momenti di difficoltà: scalpitava per conoscerlo, per amarlo anche di più.
I dottori avevano previsto una data per il parto, ma il bambino sembrava impaziente di nascere due settimane prima: Emma aveva ingenuamente chiesto a Constance se questo fosse normale e quanto avrebbero dovuto aspettare per vederlo, ma la donna l'aveva rassicurata. Era perfettamente normale e non c'era modo di predire la durata del travaglio: essendo la prima gravidanza di Melanie, sarebbe potuto durare anche dodici ore o più.
Emma sospirò sonoramente, abbandonandosi contro lo schienale del divanetto: alla sua destra, Harry aveva il busto piegato in avanti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo concentrato. Da quando gli aveva detto dell'imminente parto, non avevano scambiato nemmeno più una parola: forse tornando alle tradizioni della guerra in atto, forse semplicemente ammutolendo per l'estenuante attesa. A prescindere da questo, poteva immaginare quanto fosse agitato, anche se non dava a vederlo.
Si voltò ed incontrò lo sguardo di Aaron: li aveva raggiunti non appena appresa la notizia, scappando dal lavoro ed arrivando di corsa. «Stai tranquilla», le disse soltanto, rivolgendole un sorriso rassicurante.
«Come potrei?» ribatté lei, debolmente: l'idea che sua sorella stesse lottando in una di quelle stanze, a metà tra una felicità indescrivibile e un dolore indicibile, la rendeva così tesa da farle temere il peggio, pur senza un motivo.
«Trova un modo», sospirò Aaron, stringendosi nelle spalle. «È possibile che dovremo aspettare parecchio», si spiegò, allungando una mano sulla coscia del compagno, al suo fianco: si chiamava Branson, era scozzese ed aveva i capelli ramati, gli occhi sottili e neri. Si frequentavano da qualche mese ed Aaron sembrava aver finalmente trovato una certa stabilità: non era abituato a vivere un rapporto caratterizzato dalla fedeltà, di conseguenza gli era difficile rilassarsi tra le braccia di qualcuno, ma Branson sembrava deciso a vincere le sue paure. Ad Emma piaceva, era come una boccata d'aria fresca dopo un caldo torrido e secco, e sperava che la sua mite passione ed i suoi modi di fare rassicuranti riuscissero a conquistare definitivamente il cuore di Aaron.
A qualcun altro, Branson piaceva meno.
Emma spiò Harry con la coda dell'occhio, sorrise per i suoi capelli arruffati ed ancora umidi: il suo profumo avrebbe contribuito a tranquillizzarla quanto bastava.
 
 
 
Dopo circa quattro ore, alcuni parenti si erano assentati per recuperare qualcosa da mangiare o da bere: Emma si svegliò con un sussulto, sbattendo più volte le palpebre ed abituandosi nuovamente alle luci della sala d'attesa. Si stupì nel trovarsi assopita sulla spalla di Harry, ma si allontanò da lui lentamente: sentì il suo sguardo seguirla e quasi trattenerla, ma lo ignorò. Non sapeva perché si ostinassero a non parlare, soprattutto in un momento simile, ma era convinta che semplicemente non sapessero come fare.
Stiracchiandosi sul posto, sbadigliò e controllò che sua madre non fosse svenuta tra le braccia di Ron: la sua attenzione, però, fu subito rapita dal movimento di qualcuno oltre le vetrate della sala. Louis Tomlinson stava correndo lungo il corridoio.
«Louis!» lo chiamò, alzandosi in piedi e distraendo tutti i presenti: Louis si arrestò proprio di fronte all'uscio della porta, ansimando notevolmente.
Lo raggiunse velocemente, stringendolo tra le braccia senza alcuna esitazione. «Non pensavo saresti venuto», ammise sulla sua spalla.
«Hun, per chi mi hai preso?» le domandò, con il fiato corto ed un sorriso a riscaldarle il collo. Si separarono con lentezza, guardandosi negli occhi come da cinque mesi non potevano fare. «È già nato?»
«No», sospirò Emma, scuotendo il capo. «Melanie è ancora in travaglio: non sappiamo quanto ci vorrà ancora, ma poco fa un'ostetrica ci ha detto che sta andando tutto bene e che ci faranno sapere appena ci saranno novità».
«E Zayn? È dentro?» indagò Louis, voltandosi come se avesse potuto scorgerlo.
«Sì, non credo che oserà lasciare la mano di mia sorella», scherzò lei, immaginando la ferrea morale di Zayn. «I miei genitori ce l'hanno un po' con lui, per questo».
«E perché mai? Sono così ansiosi di sentire urla di dolore e di vedere la vagina del-»
«Louis», lo interruppe, con un tono di rimprovero divertito.
Lui le sorrise, abbracciandola ancora una volta. «Perché quello è qui?» le domandò contro la pelle, assottigliando la voce e rendendola più minacciosa.
Emma si voltò spontaneamente, posando lo sguardo su Branson: non sapeva nemmeno che se ne fosse già accorto. «È con Aaron: erano insieme, quando l'hanno saputo».
«Be', poteva lasciarlo in un angolo delle numerose strade di Bradford: a nessuno serve la sua presenza».
«Ad Aaron sì, quindi comportati bene», lo ammonì, puntandogli un dito contro il petto.
«Hun, lo ripeto: per chi mi hai preso?» replicò, assumendo un'espressione calcolatrice mentre la seguiva verso il proprio posto.
A discapito di tutte le previsioni e le scommesse, la rottura tra Aaron e Louis era davvero stata definitiva: avevano affrontato bene la lontananza – rispetto all'atteso, ovviamente – ed avevano ceduto solo una volta, ovvero al matrimonio di Zayn e Melanie. Durante il ricevimento erano sgattaiolati via, diretti al parcheggio sotterraneo, e lì si erano abbandonati ai loro istinti meno controllabili: dopo quell'episodio, erano tornati a non parlarsi, a fingere di non esistere se non da separati.
Louis avrebbe continuato ad amare Aaron di un amore tutto suo, inconcepibile a chiunque altro, ed Aaron avrebbe continuato a cercare di sostituirlo con le mani di qualcun altro, forse illudendosi di esserci riuscito.
«Hey, Harry», esclamò Louis, inumidendosi le labbra inclinate in un sorriso malizioso. «Ancora etero, eh?»
«Come se questo potesse farti stare zitto», constatò lui: nonostante ciò che si ostinasse a dire – cose poco piacevoli – Emma era convinta che in realtà ad Harry stesse molto simpatico. «Almeno oggi, dammi tregua».
«E cosa mi dai in cambio?» ribatté prontamente l'altro, sedendosi al suo fianco. Ricevette in risposta solo un sospiro arreso che lo fece sorridere, poi si voltò alla sua sinistra e guardò Aaron senza alcun imbarazzo. Veniva ignorato consapevolmente, ma non gli importava.
«Ciao», salutò ad alta voce, attirando l'attenzione dei due ragazzi che gli sedevano accanto.
Branson si sporse per controllare chi avesse parlato, nonostante avesse già un sospetto, ed assunse un'espressione smarrita: probabilmente aveva già avuto a che fare con lui e probabilmente non in occasioni incoraggianti. Aaron si voltò per un solo istante, dedicando a Louis un'occhiata truce.
Emma lo osservò, osservò il suo viso incupirsi brevemente per la mano che lui amava e che era stretta in quella di un altro, e le costò non ammettere un certo dispiacere: per quanto tenesse a Louis, sapeva che semplicemente non era fatto per Aaron.
 
 
 
«Vado a prendere qualcosa da bere», sbuffò Emma, sempre più stanca con il passare delle ore. La sua voce non era diretta a nessuno in particolare, forse solo a Louis, che si stava rilassando con la testa contro le sue gambe ed il corpo sdraiato per metà a terra.
L'ospedale era illuminato solo dalle luci bianche, ormai, e dalle finestre ampie si scorgeva il buio della sera: l'attesa era sempre più snervante ed ogni traccia di entusiasmo si era smorzata per lasciare spazio all'esasperazione.
Si avvicinò ad una delle macchinette del caffè, nascoste al fondo di uno dei corridoi, e selezionò una cioccolata calda, sperando che non avesse un sapore troppo orribile. Canticchiava un motivo sconosciuto, improvvisato sul momento, e teneva il tempo con il piede che batteva contro il pavimento chiaro. Dopo qualche istante, fece per recuperare il bicchiere bollente, ma fu trattenuta.
Delle mani le strinsero i fianchi, mentre un respiro caldo si infrangeva sul suo collo nudo.
«Harry», sussurrò appena, chiudendo gli occhi per quel contatto che poteva finalmente assaporare.
«Hey», ricambiò lui, posando le labbra su di lei.
Emma serrò la mascella, maledicendosi per non essersi arresa subito e per aver prolungato un periodo di agonia non più necessario: si voltò lentamente, lasciando le mani sul suo petto ed alzando il viso per poter incontrare i suoi occhi.
«Come stai?» le chiese a bassa voce, sfiorandole il naso con il proprio e stringendola contro di sé: la sua dolcezza compariva all'improvviso, questo ormai era noto ad Emma, ed era sempre in grado di stupirla e paralizzarla.
«Come una sorella apprensiva e patetica», rispose, sorridendo per quanto si sentiva ridicola.
Accettò un bacio sulla fronte, leggero.
«Anche io sono preoccupato per quello stupido di Zayn, e non è nemmeno mio fratello», le fece presente, con un respiro più profondo. La stanchezza gli intorpidiva i movimenti: nonostante fosse fuori casa dalle quattro del mattino, non aveva ancora ceduto o dato segni di averne intenzione.
«Hai paura che qualcosa vada storto?»
«Immagino di sì», sospirò piano. «E ho paura che svenga», scherzò subito dopo.
Lei rise. «È probabile».
Harry spense il proprio sorriso sulle sue labbra, sfiorandole delicatamente: le accarezzò con lentezza, più volte e senza mai approfondire il bacio. Sembrava non aver fretta, ma tutte le intenzioni di vivere quel semplice contatto per compensare ogni istante di lontananza.
Emma lo sapeva, sapeva che erano entrambi degli stupidi ed infantili bambini capricciosi, in grado di rovinare molto per poter ottenere di più, ma non riusciva a ribellarsi alla loro natura: nonostante fosse discutibile, era quella che li teneva insieme e che impediva loro di guardare qualcun altro. Non poteva rinnegare la fonte della loro unione, il fondamento della loro relazione, poteva solo imparare a conviverci, sperando di renderlo compatibile ad un qualcosa di stabile. Giorno dopo giorno, secondo dopo secondo.
«Ti amo, Harry», sussurrò con gli occhi chiusi, portando le mani ai lati del suo viso. Lo sentì trattenere il respiro: non si era ancora abituato a quelle parole, nonostante fosse deciso a dimostrare il contrario. «Così tanto che a volte non capisco nemmeno come sia possibile».
Come avrebbe potuto spiegare i propri sentimenti a qualcuno, senza essere giudicata come un'illusa? Come avrebbe potuto farli comprendere? A causa della loro entità, a causa della loro nascita stentata ed irrazionale, sarebbero stati etichettati come improbabili e cestinati tra ciò che magari qualcuno vorrebbe, ma nel quale non vuole credere per non restare deluso.
«Ti ricordi quando mi hai detto che non respiravi, quando eri con me?» le domandò piano, accarezzando ogni parola con le propri labbra, come per imprimerci una destinazione ben precisa.
Emma annuì: non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
«Ora so cosa volevi dire», ammise Harry, appoggiando la fronte alla sua e restando a pochi millimetri di distanza dalla sua bocca. «So cosa significa non avere spazio nemmeno per un respiro».
E proprio quel respiro di troppo fu costretto a lasciare il corpo di Emma per concedere ai suoi sentimenti di espandersi ancora di più, di conquistarla in ogni millimetro di pelle ed organi. Quasi singhiozzò tra le sue braccia, prima di baciarlo con un trasporto che non riusciva e non voleva controllare.
Harry era in grado di rendere tutto migliore: poteva rubarle un'emozione, impadronirsene e sfoggiarla con un effetto più apprezzabile; poteva imitare una provocazione ed ottenere una vittoria più assoluta; poteva copiare una sua espressione e darle un significato più intenso. Poteva amarla dopo, e amarla meglio.
Era questo che Emma sentiva, un amore che non riusciva ad accettare se non a piccole dosi: talvolta temeva di essere meno brava, di non essere in grado di farlo sentire amato allo stesso modo. Pur impegnandosi di più, pur sforzandosi di più, aveva paura di non arrivare a lui con lo stesso impatto, con la stessa indiscutibile intensità.
Mossa da questa consapevolezza, cercò di compensare quella mancanza con un bacio vorace, con delle carezze gentili e dei sospiri arresi: provò a dimostrargli qualcosa, qualcosa che lo spinse a reagire.
«Vuoi davvero provocarmi in un posto come questo?» le chiese sulle sue labbra, senza opporsi alle sue mani delicate, ma decise.
«No», mentì.
«No?»
Emma non rispose, stavolta, incapace di mentire ancora: si aggrappò alle sue spalle e si alzò sulle punte dei piedi, per poter far fronte allo slancio di passione che era sfuggito al suo controllo. Harry la fece indietreggiare fino a farle incontrare il muro con la schiena, entrambi nascosti dalla spessore delle macchinette del caffè.
«E questi capelli?» domandò lui, spostando le mani sui suoi glutei e baciandole la fronte coperta da una frangia ormai disordinata. «Anche con questi non volevi provocarmi?»
Lei sorrise sul suo collo. «Ti piacciono?»
«Mi eccitano».
 
 
 
«Da questa parte, ora potete entrare», li informò una delle ostetriche, che probabilmente aveva già ripetuto quella frase circa un centinaio di volte nell'arco di una giornata.
Emma ed Harry erano i terzi ad entrare, dopo i nonni del neonato: entrambi restarono dietro la porta chiusa interminabili istanti, prima di recuperare il coraggio di entrare. Non importava di aver aspettato per bene nove ore quel momento, non potevano fare altro che restare immobili l'uno accanto all'altro, con le mani unite.
Emma si schiarì la voce, alzando il mento, e bussò alla porta per pura abitudine: quando la aprì, la prima cosa che vide fu Melanie.
Era sdraiata nel letto, avvolta da un paio di coperte bianche e pulite, con lo schienale inclinato per darle sollievo: aveva raccolto i capelli in malo modo, lasciando che qualche ciocca le ricadesse sul viso ancora provato. I suoi occhi non si alzarono dal fagotto che teneva tra le braccia, nemmeno quando sentì qualcuno intrufolarsi nella stanza. Gli sorrideva dolcemente, senza che niente potesse dissuaderla.
Non era mai stata così bella.
Zayn era in piedi accanto a lei, con lo stesso sguardo adorante sul volto: era completamente in disordine, dai capelli corvini agli abiti, eppure riusciva ad apparire giusto. Fu lui ad accoglierli con un sorriso largo, sincero.
«Scusate l'attesa», li salutò, scherzando imbarazzato.
Harry mosse il primo passo, cauto e lento, mentre Emma continua a guardare tutto e tutti dal fondo della stanza. Aveva quasi paura di avvicinarsi e di incontrare un viso che avrebbe ricoperto una tale importanza nella sua vita.
«Piccola Melanie», esclamò, una volta che le fu vicino: alzò una mano per spostare appena la coperta in cui il bambino era avvolto e per guardarlo meglio, gli sorrise. «È ora di cambiare soprannome», constatò, divertito e forse anche emozionato.
«Preferisco di no», rispose lei stancamente, sollevando lo sguardo riconoscente su di lui per un breve istante. «In fondo mi sono affezionata a questo».
Harry annuì e per una manciata di secondi la stanza restò nel silenzio più assoluto. «Ti somiglia», esclamò poi, con un tono indecifrabile.
«Intendi dire che anche io sono rugosa e paffuta come lui?» rise Melanie. «Grazie, mi fa piacere che tu l'abbia notato: fino ad ora... Be', fino ad ora hanno detto tutti che somiglia a Zayn».
Zayn non la contraddisse, forse per godersi la soddisfazione di aver regalato dei tratti a suo figlio.
«Dirò io a chi somiglia», esordì Emma, riscuotendosi dalla sua momentanea paralisi ed avvicinandosi lentamente.
Melanie la guardò con un sorriso sul volto, aspettando di averla accanto per porgerle il bambino. «Christopher, questa è tua zia Emma», disse dolcemente, mentre la sorella cercava di tenere nel miglior modo possibile quel peso piuma che gemeva innocentemente tra le sue braccia inesperte. Constance le aveva detto che era “un angelo di tre chili e quattrocento grammi”, e per una volta doveva trovarsi d'accordo con lei: la sua espressione inconsapevole, in pace e soddisfatta, era in grado di calmare anche la stessa persona che nelle ore precedenti aveva temuto di rischiare un attacco di nervi. Emma guardava il suo viso rugoso ed i suoi occhi chiusi, le labbra sottili e rosee ed il nasino appena schiacciato, e non riusciva a non sorridere in completa adorazione.
«È davvero bellissimo», commentò a bassa voce, cullandolo delicatamente. «Ed è vero, Mel, ha preso tutto da te».
«Non esagerare solo perché ho sopportato nove ore di travaglio», scherzò la sorella, sistemandosi meglio nel letto.
«E va bene», sospirò Emma, lasciandosi sfuggire un sorriso. «Zayn, anche tu hai fatto un buon lavoro», si concesse, prima di alzare lo sguardo su di lui.
Zayn stava piangendo.
Aveva il volto contratto in un'espressione buffa, le guance solcate da lacrime umide e le labbra imbronciate per lo sforzo di trattenersi.
«Amico, io credevo che saresti svenuto, ma questo è ancora peggio», lo prese in giro Harry, cercando di sdrammatizzare la situazione. Melanie strinse nella propria la mano di suo marito e del padre di suo figlio, che forse aveva resistito troppo a lungo alla tensione solo per proteggere lei, ed Harry lo raggiunse per abbracciarlo bonariamente. «Piantala di frignare, impara da tuo figlio».
Ma Zayn non lo ascoltò, lo strinse a suo volta e probabilmente si limitò a sorridere sul suo collo.
Emma scosse il capo, godendosi l'atmosfera di tepore familiare che inondava quella stanza ancora disordinata, ed incontrò lo sguardo sereno di Melanie, prima di spostarlo su suo nipote.
«Christopher», sussurrò, sorridendo ancora.
Harry la guardò a lungo, di nascosto.

 
 
«Secondo me sarà un disastro», commentò Harry, entrando in macchina ed assicurandosi con la cintura.
«Smettila, Zayn sarà un buon padre», lo difese Emma, seguendolo ed accendendo la radio mentre il motore si avviava.
«Questo sì, ma scommetto tutto quello che ho che sarà uno di quelli iper-protettivi e che vizierà quel povero bambino fino alla bancarotta».
«Possibile, ma non sottovalutare Melanie», lo ammonì. «Non credo proprio che se ne resterà in disparte a guardare».
Harry si incolonnò ad una fila di macchina, ferme ad un semaforo. «In disparte?» ripeté, incredulo. «Certo che no, diventerà una specie di generale delle forze armate, altro che».
Emma rise di gusto, con il corpo finalmente rilassato e svuotato di qualsiasi tensione. Si sentiva libera di tirare un sospiro di sollievo: Christopher era finalmente tra loro, Melanie stava bene, Zayn aveva smesso di piangere – dopo un po' – e lei aveva già scattato alcune fotografie al nuovo arrivato. Accanto a sé aveva l'uomo che amava con tutta se stessa e non riusciva a trovare un solo particolare che stonasse in quella giornata perfetta.
«Non posso ancora crederci», sospirò Harry, scuotendo il capo con un sorriso sul volto. «Hai visto come piangeva
«Sì, ho visto», rispose lei, senza riuscire a trattenere una piccola risata. «Ma tu non dovresti prenderlo in giro così tanto: chi ti dice che al suo posto non farai lo stesso?»
«Me ne preoccuperò quando sarà il momento, ma fino ad allora, lasciami divertire», la pregò con fare divertito, spostando una mano dal cambio alla sua coscia.
Lei alzò gli occhi al cielo, guardando al di là del finestrino le strade umide di Bradford. Si abbandonò a fantasie forse non autorizzate, a pensieri che altre volte le avevano solleticato la mente, ma che lei aveva respinto con determinazione: immaginare Harry con un figlio – un figlio loro – era rischioso e dannoso per la sua salute. Avrebbe sicuramente ereditato la sua bellezza grezza e casuale, o forse anche i suoi modi a tratti bruschi e troppo freddi: sarebbe stato un bambino non amante dell'immancabile affettuosità materna, con due grandi occhi verdi innocenti e saccenti. E forse sì, forse anche Harry avrebbe pianto, nel prenderlo tra le braccia per la prima volta: di nascosto e di spalle ai presenti, ma l'avrebbe fatto.
Emma si voltò per osservarlo e rendere più reali i propri pensieri, quelli che non avevano mai occupato il centro dei loro discorsi e che chissà se avevano almeno sfiorato la sua curiosità: lo trovò a guardarla con una strana espressione sul viso, che per un fugace attimo la impregnò di imbarazzo.
«Che c'è?» indagò, sbattendo le palpebre e sorridendo appena.
Un clacson attirò l'attenzione di Harry, che ripartì come consigliato dal semaforo ormai verde da un pezzo.
«Niente», disse, schiarendosi la voce e tornando a guardare la strada. «A cosa pensavi?» le domandò qualche istante dopo, stringendo il volante tra le mani.
Emma spalancò gli occhi, dissimulando la sottile inquietudine: avrebbe voluto parlarne con Harry, ricevere delle risposte e sentire il suo tono di voce nel commentare le sue fantasie. Non perché sentisse il bisogno di costruire un futuro più solido tra loro, ma semplicemente per accarezzarne la possibilità.
«Se te lo dicessi mi prenderesti per stupida», borbottò, incrociando le braccia al petto ed ignorando il suo sguardo.
«Ti prenderei per stupida se non me lo dicessi», la contraddisse.
Lo spiò di soppiatto, con la coda dell'occhio. «Ti avverto», disse soltanto, imbronciandosi come una bambina.
Harry assunse un'espressione innocente, alzando le mani in segno di resa e riafferrando il volante subito dopo, per evitare di sbandare. Entrambi risero appena.
«Stavo pensando... A come potrebbe essere un bambino... Nostro».
Emma aveva temuto il silenzio che seguì le sue parole, ed in quel momento si ritrovò ad affrontarlo senza alcuna difesa: guardò Harry con timore, quasi pregandolo di dire qualcosa, mentre lui si limitava a tenere lo sguardo fisso su di lei, mentre l'auto rimaneva ferma ad un altro semaforo.
Lentamente, le labbra di Harry si incurvarono nell'abbozzo di un sorriso, mentre le sue iridi si tingevano di una sfumatura più calda e vicina. «Già...» disse piano, con la voce bassa e roca. «Te lo immagini?» domandò, prima di ingranare la marcia e continuare a sorridere.




 


HOLA!
Non so bene come impostare questo angolo autrice, perché il pensiero che  sia l'ultima in assoluto per questa serie mi mette un po' (tanta) di tristezza. 
Partiamo dai vari commenti, che è meglio (ricordo che dallo scorso capitolo c'è stato un salto temporale di ben 15 mesi!! È tanto, lo so, ma per tutto il periodo le cose sono state relativamente stabili, quindi raccontarle tutte avrebbe portato ad una caterva di capitoli di passaggio):
- Emma/Vari amici: ho voluto inserire quella parte introduttiva per presentare tutti i personaggi in ques'ultimo capitolo. Dallas ha intenzione di trasferirsi di nuovo a Bradford e non è riuscito a riottenere il suo precedente ruolo nel cuore e nella vita di Emma; Pete ha ancora la sua aria da dura addosso, ma si sta quasi innamorando di qualcuno, in gran segreto; Nikole ha perso diversi chili, ma è sempre la solita. E insomma, tutti felici e contenti ahahha
- Aaron/Louis: non potevano mancare anche loro, e quale migliore occasione? Aaron sta cercando di andare avanti, Louis non ha mai smesso, ma è anche vero che non smetterà mai di amare Aaron: come ho detto nel capitolo, i due non sono mai tornati insieme, tralasciando una scappatella al matrimonio di Mel e Zayn. So che molte di voi saranno dispiaciute, perché vi ho viste molto affezionate a questa coppia, ma non poteva essere altrimenti!
- Melanie/Zayn: i miei PATATINI <3333 So per certo che gran parte di voi voleva leggere del loro matrimonio, però io non avevo voglia di scriverci su ahahha Soprattutto perché ho sempre immaginato di descrivere la scena del travaglio/parto, ma soprattutto il nostro Zayn che piange come un BIMBO <3333 Quando vi ho chiesto di consigliarmi un nome su Facebook, mi serviva proprio per il pargolo di casa Malik :) Christopher vi piace? Anyway, spero che questa mia scelta non vi abbia deluse, anche se forse il matrimonio vi resterà un po' sullo stomaco!!
- EMMA/HARRY del mio CORAZON: se pensavate che il loro rapporto sarebbe migliorato con il tempo, vi sbagliavate hahaha Infatti ho voluto impostare il capitolo in questo modo proprio per questo, per dimostrarvi che sono ancora i soliti e che, anzi, si divertono persino a litigare per cazzate solo per poi fare pace: spero sia chiaro che quando Harry torna a casa stia cercando di farla innervosire (soprattutto perché, come ammette più tardi, quella frangetta proprio non gli va giù). Sì, i due piccioncini sono andati a convivere e non c'è stata nessuna proposta per questo: semplicemente un "hey, guarda, ho comprato un armadio più grande!", "ah, wow, grande idea!". E non credo che ci siano speranze per un cambiamento in questo loro lato di coppia hahah Mi è piaciuto scrivere la parte dedicata a loro di fronte alle macchinette del caffè, soprattutto per quello che Harry le dice: non so da dove mi sia uscito, non era in programma, ma spero l'abbiate apprezzato hahahah Eeeee, ultima ma non meno importante, la scena in macchina: probabilmente alcune di voi mi avranno maledetta per questo finale aperto, ma l'ho immaginato sempre così. La nascita di Christopher ha fatto pensare ad entrambi, anche se nessuno voleva ammetterlo: voi cosa pensate che riservi il futuro per questa coppia? Li vedete sposati? Separati? Morti? hahha Fatemi sapere, sbizzarritevi pure: io ho la mia chiara idea, e se vorrete parlarne sapete dove trovarmi :)

QUINDI, che dire? Mi vien da piangere, ora che sono davvero alla fine hahah
Non so come ringraziarvi, sul serio: mi sembra ieri che ho iniziato LG, con 0 idee in testa e tanta voglia di scrivere. Non avrei mai immaginato che sarei arrivata fin qui, con un sequel e dei missing moments. Mi avete aiutata tantissimo: credo di essere migliorata molto grazie a voi, ai vostri incoraggiamenti e ai vostri pareri. Quindi grazie di CUORE per avermi seguita per tutto questo tempo!!
Ho raccolto LG, HH ed i missing moments in una serie, se vi siete perse qualcosa.
Come alcune già sanno, questa è stata la mia ultima fanfiction: da qui in poi scriverò solo long originali, e spero che voi non abbandoniate per questo.
Spero di sentirvi presto e in molte, perché alla fine di questo percorso mi piacerebbe che anche chi non si è mai espresso in proposito mi facesse sapere le proprie impressioni!
Grazie ancora!!

Ah, ho iniziato a pubblicare anche Little girl su Wattpad, se vi può interessare: nella mia bio di EFP trovate il link al mio profilo :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
    



  
 
  
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