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Autore: Shainareth    07/04/2015    2 recensioni
Se qualcuno mi avesse chiesto in che modo eravamo arrivati a un tale livello di degenerazione, non avrei saputo rispondere. L’unica cosa che posso dire è che era cominciato tutto durante quella che sembrava essere una normalissima assemblea di classe [...]
Long nata in un momento di pura follia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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RIUNIONE DI CLASSE - CAPITOLO PRIMO




Se qualcuno mi avesse chiesto in che modo eravamo arrivati a un tale livello di degenerazione, non avrei saputo rispondere. L’unica cosa che posso dire è che era cominciato tutto durante quella che sembrava essere una normalissima assemblea di classe, nella quale avremmo dovuto fare il punto della situazione riguardo a verifiche, interrogazioni, compiti a casa, problemi con gli insegnanti, attività didattiche e non, e tutte quelle altre cose che di solito riempiono queste noiosissime riunioni.
   Ricordo che uno dei compagni aveva fatto una battuta a cui un paio di ragazze aveva risposto con fare indispettito e, di lì, era iniziata una sorta di bisticcio sessista che aveva finito per coinvolgere buona parte del gruppo. L’ultima parola, comunque, l’aveva avuta Peggy che, con quella sua invidiabile dialettica da pettegola e aspirante giornalista, era riuscita a far tacere i maschi della classe, accusandoli di essere banali e prevedibili.
   «Se scriveste un pensiero anonimo riguardo ad un tema ben preciso, sono sicurissima che saprei persino dirvi a chi appartiene», aveva detto ad un certo punto.
   Manco a dirlo, la sfida era stata accettata. Gli uomini adorano questo genere di cose, anche se non ne ho mai capita la ragione; pertanto, volendo fare i gradassi, avevano persino chiesto a noi ragazze di scegliere il tema sul quale scrivere il loro pensiero.
   «La domanda è: se aveste la possibilità di passare la serata con la donna che amate, cosa le proporreste di fare?» decise Peggy per tutte noi, senza incontrare obiezioni di alcun tipo, se non dagli sfidati.
   Alexy alzò la mano. «Posso ritenermi escluso dalla scommessa?» volle sapere, quando gli fu concesso di parlare. Qualcuno rise, ma lui non se ne curò.
   «Concesso», accordò la nostra compagna, che ormai aveva preso in mano le redini del gioco. «Ma nessun altro può chiamarsene fuori: avete lasciato decidere noi, quindi adesso attaccatevi al tram.»
   «Un momento», intervenne Armin, perplesso. «Quindi è una scommessa? Se lo è, non dovrebbe esserci qualcosa in palio?»
   I suoi compari lo ritennero un genio. Ci voleva una posta che facesse gola a tutti, ma non si riuscì a trovare un accordo al riguardo. Fu dunque deciso che, se i maschi avessero vinto, ci avrebbero costrette a giocare a Guitar Hero insieme a loro – l’idea ovviamente era stata di Armin, ma aveva avuto subito l’approvazione di Castiel e degli altri. Se invece fossimo state noi ragazze, a vincere la sfida, li avremmo costretti a prendere parte ad una piccola recita improvvisata per i bambini del giardino d’infanzia non distante dal liceo – Rosalya aveva proposto, invece, un pomeriggio di shopping al centro commerciale, ma per loro sarebbe stato semplice scappare fra la folla.
   Decisa anche la posta, Peggy stessa distribuì ai ragazzi dei fogli di quaderno identici, sui quali ognuno di loro avrebbe potuto descrivere il proprio ideale di serata romantica. «Avete cinque minuti di tempo, non di più», li avvisò, puntando lo sguardo all’orologio.
   Il gioco ebbe inizio e allo scadere del termine Alexy, ritenuto super partes perché né sfidante né sfidato, ritirò i biglietti ben piegati e li mischiò a dovere prima di consegnarli a Peggy. Appollaiata sulla cattedra, quest’ultima lanciò uno sguardo panoramico ai ragazzi, quasi avesse bisogno di concentrarsi sui loro volti prima di cominciare.
   Prese il primo foglio, lo aprì e lesse: «Rose rosse e cena a lume di candela, con sottofondo musicale romantico.» Roteò gli occhi al soffitto. «Troppo facile», sospirò, volgendo la propria attenzione verso Nathaniel, che subito s’irrigidì. «Dovresti cercare di essere meno banale, la prossima volta», sentenziò, facendo ridere Castiel, che non mancò di commentare a modo suo.
   «Vorrei essere lì a godermi la scena, quando lei si stuferà di tenerti per mano e di guardarti negli occhi», assicurò.
   Nathaniel arrossì. «Non è affatto banale», borbottò risentito. «Sono tante le donne a cui piacerebbe trascorrere una serata del genere.»
   «H-Ha ragione lui!» ebbe il coraggio di sostenerlo Melody, pronta probabilmente a passare dalla parte dei ragazzi, se solo il suo grande amore – non corrisposto – glielo avesse chiesto. «A me piacerebbe!» aggiunse poi, abbassando lo sguardo e cercando di non dare a vedere di essere arrossita anche più di Nathaniel – che finse di non averla udita.
   Melody non ebbe quasi finito di parlare che già Peggy era passata al secondo biglietto. «Maratona Star Wars, con un'enorme ciotola di patatine.» Le sue labbra si strinsero con disappunto. «Armin, non sei stato molto furbo», osservò accigliata.
   «Chi ti ha detto che sono stato io, a scriverlo?» pretese di sapere lui, indignato per quell’accusa senza fondamento.
   «Hai scritto Star Wars con il logo dei film», ribatté l’altra, infastidita da quella perdita di tempo.
   «E pensa che volevo disegnarci su anche R2-D2, ma in cinque minuti non credo ce l’avrei fatta», la informò Armin, seriamente convinto che fosse una buona idea.
   Peggy appallottolò il suo biglietto e glielo lanciò contro, facendoci ridere. «Non avresti potuto scriverci qualcosa di meno riconoscibile?» lo accusò Castiel, contrariato da tanta superficialità.
   «Andiamo avanti, anche se al momento non ci state facendo proprio una bella figura», riprese Peggy a voce alta, senza lasciare ad Armin il tempo di ribattere. Un mormorio di dissenso si levò fra i nostri compagni, mentre noi già pregustavamo il sapore della vittoria. «Passeggiata sotto al cielo stellato, ammirando il firmamento e decantando odi d’amore.» Le labbra di Peggy tornarono ad abbozzare un sorriso. «Che uomo d’altri tempi.»
   Le teste di tutti si voltarono in direzione di Lysandre, che quasi parve meravigliarsi per l’essere subito stato individuato come l’autore di quel biglietto. «E dire che avevo cercato di usare anche un linguaggio piuttosto colloquiale…» ponderò fra sé, portandosi una mano al mento con fare pensieroso.
   «Torna fra noi: siamo nel Ventunesimo secolo, amico», gli ricordò Castiel, affondando una guancia sul pugno, il gomito sulla superficie del banco al quale era seduto.
   «Beh, ma le poesie non passano mai di moda», obiettò pacatamente il suo compagno di banco. «Alle ragazze piacciono, queste cose. Soprattutto se gliele canti.»
   «Io gliele canterei sotto la doccia», gli fece sapere Castiel strizzando l’occhio, un sorriso malandrino sulle labbra che fece sospirare d’amore Ambra, rimasta stranamente in silenzio fino a quel momento, forse perché in trepida attesa di sapere in che modo quel finto bulletto avrebbe potuto trattarla, semmai si fosse accorto della sua esistenza in quanto donna.
   La risata divertita di Peggy ci indusse a riportare la nostra attenzione alla sfida, poiché il quarto foglietto di carta era stato dispiegato senza che nessuno se ne accorgesse. «Adorabile», commentò, prima di aggiungere: «Kentin è stato semplice e conciso, invece.»
   «Come fai a dirlo?» chiese lui, accigliandosi e arrossendo già per l’essere stato definito in modo poco virile.
   «Ci sono delle briciole di biscotto fra le pieghe del biglietto.»
   «Genio», lo accusò Castiel, tornando ad oscurarsi in volto perché seccato all’idea che stavano ingloriosamente perdendo la sfida.
   «Questo non vuol dire niente», protestò Kentin. «Potrebbero esserci capitate per sbaglio.»
   «Che c’è scritto?» domandò Alexy, avvicinandosi a Peggy e leggendo da sopra la sua spalla. Ridacchiò subito dopo. «Che tesoro…»
   «Volete smetterla di trattarmi come un moccioso?» si risentì il mio migliore amico, iniziando a scaldarsi.
   «Allora la prossima volta cerca di pensare a qualcosa di diverso dalle coccole», replicò Peggy, mostrando senza troppa pietà la parola scritta da Kentin a tutta la classe. Che rise.
   Castiel aggrottò la fronte più di prima. «Ha davvero scritto una stronzata del genere?» domandò, incapace di credere a ciò che aveva sentito.
   Armin ci mise del suo, producendo un fischio con la bocca e sillabando: «Forever friendzoned.»
   «Oh, andate al diavolo!» esclamò Kentin, avvampando d’ira e d’imbarazzo. Se solo avessi potuto, sarei corsa ad abbracciarlo. E dai sorrisi e dagli sguardi inteneriti delle altre mie compagne, dedussi che non sarei stata l’unica a volerlo fare, in quel momento.
   «Castiel!» urlò Peggy, facendoci sobbalzare tutti. Ci voltammo a guardarla e la trovammo rossa come un pomodoro, intenta ad accartocciare anche il quinto biglietto, questa volta con foga.
   «Che c’è?» chiese lui, simulando un’espressione innocente in volto.
   «Hai anche la faccia tosta di domandarlo?!» replicò l’altra, fuori di sé. «Che t’è saltato in testa di scrivere certe cose?!»
   Castiel rise. «Mica avevi detto che non potevamo farlo…» si giustificò, scrollando le spalle con noncuranza.
   La pallina di carta gli arrivò dritta fra gli occhi. «E comunque», puntualizzò Peggy, cercando di mantenere un tono di voce fermo, «pecorina si scrive con una sola r.» L’intera classe strabuzzò gli occhi, scoppiando al contempo in una risata sguaiata e imbarazzata.
   «Ah, davvero?» fece il finto tonto Castiel, spiegando il foglio davanti a sé e controllando l’ortografia. «È che ho la fissa per le gemelle, quindi magari, senza volerlo, m’è pure scappata una lettera doppia.»
   «Hai sentito, Charlotte?» La voce entusiasta di Ambra fece quasi eco a quella dichiarazione da pallone gonfiato. «Forse ho qualche possibilità!»
   «Permettimi di dissentire», commentarono in coro – e con disgusto – Castiel e Nathaniel, che pur essendo gemello di Ambra, non era certo donna.
   «E a gemelli come stai messo?» s’interessò di sapere Alexy, tanto per la cronaca.
   Il nostro compagno dai capelli rossi gli allungò il dito medio e Armin, con una smorfia in volto, non poté fare a meno di garantirgli: «Sappi che mi dissocio da tutto ciò che esce dalla bocca di quel pervertito.»
   Peggy riportò l’attenzione su di sé, battendo le mani fra loro. «A questo punto, il risultato è palese per tutti: avete perso, perciò si fa ciò che diciamo noi», annunciò col sorriso sulle labbra.
   La parola, dunque, passò a noi ragazze.












Ehm.
Non so da dove iniziare. :'D
Va beh, ci provo.
Dunque, la presente long... non so quanto sarà long, nel senso che ho solo l'idea per il secondo capitolo che teoricamente dovrebbe chiudere questa follia. Però, trattandosi di una nonsense, temo che il mio neurone possa partorire altre idiozie da accodare alla successiva. Insomma, un po' alla chissenefrega.
A mia discolpa posso dire che sono l'ansia e lo stress a farmi sragionare. *Seriamente convinta di ciò*
Beh, fuggo lontano lontano. Grazie a tutti e buona serata!
Shainareth





  
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