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Autore: Diana924    07/04/2015    1 recensioni
Jean Ferrés aveva sempre trovato di suo gusto servire nell'esercito, che si trattasse della Repubblica o del Consolato, a lui era sufficiente sapere che qualcuno gli desse ordini e che la paga arrivasse puntuale ogni mese
Oggi, 7 aprile, ricorre l'anniversario di morte del generale Toussaint Louverture, leader della rivolta degli schiavi di Haiti
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Titolo: Le Napoléon Noir
Fandom: Originale Storico
Personaggi: Toussaint Louverture, OC
Rating: Pg
Genere: introspettivo, dramamtico, storico
Warning: character death,  POV alternati, un po' di linguaggio dell'epoca e di razzismo
Note: La Rivoluzione francese è qualcosa che tutti conoscono, pochi però conoscono la rivolta di Haiti quando gli schiavi provenienti dall'Africa guidati dall'ex schiavo Toussaint Louverture
-   maggiori informazioni si trovano su wikipedia, compreso il motivo per cui ho deciso di postarla proprio oggi
- Ringrazio la mia beta lady Nionu che sebbene detesti la Francia, Pasqua e il 23 marzo si si laureata ha trovato comunque il tempo di betare tutto
DISCLAIMER: Non lo posseggo, non è mio, non ci ricavo nulla

 

Jean Ferrés aveva sempre trovato di suo gusto servire nell’esercito, che si trattasse della Repubblica o del Consolato, a lui era sufficiente sapere che qualcuno gli disse ordini e che la paga arrivasse puntuale ogni mese.
Era un buon soldato, né peggiore né migliore di tanti altri poveri diavoli che si erano arruolati in quegli anni di disordini dove finalmente un soldato semplice poteva fare carriera e diventare ufficiale. Per questo non aveva digerito il suo trasferimento a Joux nella Franca Contea, avrebbe preferito un servizio attivo da qualche parte e invece si ritrovava di servizio a un carcere. Un carcere con un unico prigioniero per di più.
Era un negro, così debole che quasi non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto e passava le giornate disteso o su una sedia vicino al fuoco avvolto in una coperta a tremare dal freddo, un fuoco che era stato ordinato alimentare con pochissima legna, abbastanza da non farlo spegnere ma nemmeno da essere realmente d’aiuto. Non era pericoloso si era detto Jean la prima volta che lo aveva visto, un uomo del genere non avrebbe retto all’inverno, sarebbe bastato liberarlo e in tre giorni sarebbe morto eppure era sorvegliato giorno e notte.
Doveva essere pericoloso per il Console si era detto i primi giorni ma poi lo aveva sentito delirare in una lingua sconosciuta, certamente uno di quei linguaggi senza senso dei negri e lo aveva lasciato in pace sebbene la sua curiosità fosse rimasta.
Quella mattina il negro aveva cominciato ad agitarsi, mormorando parole senza senso e poi aveva cercato di alzarsi dalla sedia sebbene dopo pochi istanti vi fosse rimbombato ma il mormorio era continuato tanto che Jean aveva preferito appellarsi al colonnello Barres per sapere come doveva comportarsi.

<< Lascialo pure morire, una volta morto quel negro sarà tutto più facile >> aveva risposto il colonnello senza staccare gli occhi dai dispacci che riceveva da Parigi.
<< Con tutto il rispetto colonnello, dovremmo almeno chiamare il dottore per una visita, sarà pure un negro ma è un essere umano >> aveva replicato Jean, i negri potevano anche essere più simili alle scimmie che ai bianchi ma erano pur sempre degli uomini e il prigioniero andava aiutato.
<< E i commilitoni che quel demonio nero ha fatto uccidere? Le donne che ha violato? I bambini che ha fatto passare a fil di spada solo perché erano bianchi? Erano onesti cittadini francesi e lui li ha fatti uccidere, prima crepa e prima la Francia sarà libera dalla sua nauseante presenza! >>> aveva replicato il colonnello e lui aveva preso congedo.
Il prigioniero aveva continuato a delirare per tutto il giorno, persino quando gli avevano portato da mangiare, sempre le stesse parole dette con occhi vitrei, sembrava pazzo aveva pensato Jean osservandolo con attenzione.

<< Sai chi è il prigioniero? >> chiese a Louis Neuman, un alsaziano che prestava servizio a  Joux da più tempo di lui mentre cercavano di ingurgitare quella brodaglia che gli ufficiali definivano rancio. Come pensassero che andassero alla carica con lo stomaco pieno di quello era un mistero ma la patria andava difesa, in qualsiasi occasione e con qualsiasi mezzo.
<< Certo che lo so Ferrés, qui dentro lo sanno tutti chi è >> aveva risposto Louis con un sorriso sprezzante prima di aggiungere che si trattava di un negro, un generale potente e che aveva perso la sua guerra.
<< Scempiaggini, un negro non potrà mai comandare un esercito di gloriosi cittadini della repubblica, quei selvaggi delle Antille sanno a malapena usare una spada come si deve >> aveva prontamente ribattuto Jean, la stessa rivoluzione che pure rendeva tutti uguali specificava chiaramente che i negri, i bambini, i mendicanti e le donne erano inferiori, dunque un negro non poteva comandare dei soldati francesi.

<< Uno di loro poteva, il signor generale era il miglior comandante che abbia mai avuto, quando eravamo in Egitto i mamelucchi lo scambiarono per il Console >> s‘intromise Antoine Sivadier, che era veterano della campagna d’Egitto.
<< Il generale? Non ci sono generali negri nell’esercito del Console >> rispose subito Jean, lui si era arruolato poco prima del plebiscito e aveva memorizzato quasi subito i nomi degli ufficiali più celebri, il maestro del villaggio aveva sempre sostenuto che avesse un’ottima memoria.
<< Uno c’era, ed era il miglior generale del nostro esercito, riusciva a fare l’impossibile, i turchi e gli austriaci lo temevano e noi tutti lo ammiravamo, era l’uomo migliore di Francia il generale Dumas >> e detto questo Antoine se n’era andato, non prima che Louis sputasse nella sua direzione, << Amico dei negri, non ci si può fidare degli amici dei negri >> aveva sussurrato e lui aveva annuito distrattamente.

 

All’inizio di marzo Jean aveva ormai deciso di rinunciare a scoprire chi fosse il misterioso prigioniero.
I suoi camerati rispondevano con risate o frasi elusive, tranne Denis Gobert che nell’udire la sua descrizione aveva imprecato contro “ il terrore dei caraibi, quel negro fottuto che ci ha messo in ginocchio e che ha distrutto tutto “.
Aveva deciso di controllare negli archivi della prigione ma era difficile non insospettire nessuno, la sua assenza poteva essere notata e gli ordini erano chiari: il negro doveva rimanere in vita. E lui era un soldato e avrebbe obbedito agli ordini.

Quella mattina il prigioniero tremava più del solito e appariva più simile a un mendicante che a un generale vittorioso pensò Jean prima che gli portassero la nuova legna per il fuoco.
<< Questo non è compito mio >> si lamentò con il soldato semplice che gli aveva messo in mano la legna. << Questi sono gli ordini, se avete dei problemi lamentatevi con i nostri superiori >> era stata la risposta e Jean dovette ammettere che era una giusta risposta.
Aprì lentamente la porta accorgendosi di quanto la temperatura fosse bassa, il prigioniero era seduto sulla sua sedia e non lo degnava di uno sguardo, tutto impegnato a torcersi le mani cercando di scaldarsi.

Era un uomo di circa sessant’anni, capelli crespi ma ormai grigi, dal corpo allenato, le membra perfette che si indovinato sotto la coperta, le orecchie grandi e le mani un tempo possenti ora ridotte ad artigli. La sua fisionomia nel complesso era bizzarra pensò Jean, era come se fosse un leone a cui avessero tagliato le unghie, un leone domo ma non domato, quegli occhi che dovevano essere penetranti si fissarono su di lui con una vacuità che Jean aveva visto solamente nei mendicanti ciechi che si trovavano quasi ad ogni angolo, ma l’uomo non era cieco.
Jean lo guardò appena mentre sistemava la legna accanto al fuoco e cercava di non lamentarsi troppo quando sentì una parola, ripetuta più volte eppure debole e lontana come se fosse stata portata dal vento.
<< Haiti >>, il prigioniero stava ripetendo quella parola ormai da tempo quando Jean si voltò nella sua direzione. Era una parola di cui lui mai aveva sentito parlare ma per il prigioniero doveva significare molto a causa del sorriso ce era affiorato sul suo volto, sembrava quasi più giovane con quel sorriso sulle labbra.
<< Non capisco cosa vogliate dire >> disse Jean prima di alzarsi e spolverarsi l’uniforme con fare distratto, era inutile tentare di ragionare con certa gente si disse, loro erano diversi da lui, così gli era stato sempre insegnato.
L’altro sembrò non averlo udito e continuò a ripetere quella parola col sorriso sulle labbra, come se fosse lontano da tutto quello, in un altro tempo e in un altro luogo. Jean cercò di udire altre parole ma non ottenendo altri risultati lasciò al cella chiedendosi per l’ennesima volta chi fosse davvero il misterioso prigioniero.

Giorni dopo quella domanda continuava a tormentarlo e Jean si era deciso a chiedere informazioni ad Antoine Sivadier che era l’unico ad aver mostrato un minimo di considerazione per il prigioniero. Se c’era una cosa che Jean odiava era rimanere senza risposte alle sue domande, motivo per cui quando era un bambino e andava a scuola aveva ricevuto più bacchettate dei suoi compagni, perché quando non sapeva rispondere padre Edouard gli comandava di mostrare le mani.

E Antoine gli aveva dato appuntamento quella sera dopo il rancio e lui si era presentato, l’identità del prigioniero ormai era un pensiero fisso.
<< Mi sembra incredibile che ancora ti faccia delle domande >> gli disse Antoine a mò di benvenuto quando lo raggiunse.
<< A me sembra incredibile che tu abbia accettato di prendere ordini da un negro >> replicò Jean, farsi comandare da uno di quei selvaggi, la gloriosa armata repubblicana era composta da deboli, non c’erano altre risposte.
<< Il generale Dumas era mulatto, ed era l’uomo più valoroso che abbia mai incontrato, tutti erano onorati di servire per lui, era sempre in prima fila durante le cariche di cavalleria, lui e quel folle di Murat che ora vogliono fare re >> gli rispose Antoine con orgoglio, come se servire sotto gli ordini di un mulatto fosse un onore. << A noi non importava che fosse nero, era il miglior generale e ci era sufficiente, all’epoca contava solamente il merito, non la nascita o il colore della pelle >> proseguì Antoine.
<< Ma alla fine, chi è realmente quell’uomo? >> chiese, ora curioso, quello che era nato come un balocco della sua mente si era tramutato in qualcosa di più.

***

Freddo. Da quando era arrivato sentiva freddo.
Solo freddo attorno a sé, freddo, freddo e ancora freddo.
Il freddo gli entrava nelle ossa, sotto la pelle, si annidava nella sua testa, portandolo verso un leggero oblio.
Voleva solo che smettesse, voleva sentire nuovamente il sole sulla sua pelle, il sole potente della sua patria, non quel sole tiepido della Francia che rischiarava appena il cielo e non scaldava affatto.
Il freddo era una sensazione nuova, orrenda e sapeva bene che non avrebbe resistito a lungo, lui non era fatto per quel tempo, per essere chiuso in una cella come quella e i bianchi lo sapevano.
Si era fidato, si era così stupidamente fidato dei bianchi e delle loro promesse di pace, lo aveva fatto per la sua gente perché gli altri potevano pensare di aver vinto ma lui sapeva che più a lungo resistevano e più la vittoria dei bianchi sarebbe stata sanguinosa.
I bianchi odiavano essere sfidati, si trattasse di altri bianchi ma quello lo tolleravano, ma ogni volta che si trattava di loro erano pronti a castigarli con una ferocia che non riservavano nemmeno ai loro animali. Si riempivano la bocca di parole come Uguaglianza, Fratellanza ma poi di fronte all’idea di essere uguali a loro erano i primi a rigettare tutto.
Lui aveva creduto che quelle parole avrebbero fatto al differenza, per questo aveva accettato di guidare la sua gente, di esserne a capo, per portare ai suoi simili la libertà che meritavano quando i loro antenati erano principi nella gloriosa Africa. Aveva solamente promesso la libertà, quella stessa libertà che lui aveva ottenuto perché il suo padrone era un uomo buono ma era consapevole che molti tra i suoi fratelli e sorelle non erano così fortunati perché i bianchi erano cattivi e si arrabbiavano per niente, sempre pronti a fare appello alla frusta per comandare.
Aveva assunto il comando guidato dallo spirito del grande Mackandal, sicuro che avrebbe ottenuto la libertà per i suoi fratelli, lo aveva giurato.
Il sole, gli mancava il sole dell’isola più bella del mondo, dove il sapore dello zucchero si mischiava e si univa all’odore del sangue dei suoi fratelli frustati dai sorveglianti mulatti.
Sapeva che liberando i suoi fratelli si sarebbero scatenati, lui stesso se avesse avuto un cattivo padrone lo avrebbe fatto per questo li aveva lasciati fare, che si vendicassero pure, che vendicassero le madri e le sorelle stuprate dai bianchi, che facessero giustizia di chi li trattava come oggetti e che mostrassero a quei bianchi arroganti che loro a quelle parole ci credevano davvero.
Ricordava ancora l’emozione quando aveva saputo del decreto che aboliva la schiavitù, solo allora avevano ottenuto giustizia e che i bianchi li maledissero pure, a sentire del decreto era subito tornato con i suoi soldati, voleva una Francia dove tutti fossero realmente uguali, non era come Christophe che voleva sterminare tutti i bianchi, lui voleva una convivenza pacifica perché avevano bisogno dei bianchi.
Per questo aveva ordinato ai suoi di tornare ad essere schiavi, non perché volesse sostituirsi ai bianchi ma perché avevano bisogno di braccia che lavorassero e non solo imbracciassero un fucile perché dovevano essere pronti per difendersi quando i bianchi sarebbero tornati.
Sorrise nel ricordare come avessero piegato i bianchi, come quello definito il miglior esercito d’Europa fosse divento un mucchio di straccioni agonizzanti incapaci di sopportare il caldo della loro bella isola. Erano arrivati convinti che entro l’anno sarebbero tornati nella loro Parigi e invece prima il tifo e il colora li avevano decimati e solo allora lui aveva dato ordine di ricacciarli in mare.
Avrebbe voluto conoscere quel generale di cavalleria, quello che era della loro stessa isola, aveva saputo quello che gli era accaduto e aveva pensato “ fratello, poco importa che siamo stati in due diversi schieramenti diversi, i bianchi hanno tradito tutti e due “.
Aveva creduto di potersi fidare di loro, avevano dato la loro parola e sapeva che la parola di un bianco era sacra dunque si era presentato. Avrebbe dovuto capire che per i bianchi la parola era sacra solamente se erano tra di loro, lui non contava, nemmeno padron Bréda l’aveva mai considerato del tutto umano, non aveva avuto alternative, la sua gente stava morendo e sempre nuovi soldati sbarcavano dalle navi, loro erano tanti e loro sempre di meno.
La sua gente avrebbe capito, quanto gli mancava sentire il sole sulla pelle, l’amore che gli dimostravano i suoi soldati, la loro fedeltà che lui non aveva mai tradito.
Aveva udito confusamente in quei giorni che Dessalines aveva proclamato l’indipendenza, il suo sogno non sarebbe dunque morto con lui. I suoi fratelli erano infine liberi e avevano vinto, se conosceva bene i suoi generali entro pochi mesi non ci sarebbe stato più nessun bianco ad Haiti, la sua bella Haiti.
E lui ora era in quel luogo sperduto tra le montagne, con il freddo che lo fiaccava e il gelo che gli scorreva nelle vene, i francesi lo avevano condannato a morte in quella maniera disumana ma gli andava bene: ogni guerra ha bisogno di un martire e lui sarebbe stato il martire della causa degli schiavi, lui aveva dato ai suoi fratelli e sorelle una voce e insieme avevano umiliato i bianchi, questa era la sua eredità.
<< Haiti >> sussurrò un ultima volta Toussaint Louverture prima di chiudere gli occhi, tenerli aperti stava diventando una sofferenza immane, chiedeva solo di poter morire, ad Haiti c’era urgente bisogno di un martire e lui era pronto a diventarlo.
Per la causa, per i suoi fratelli e sorelle, per Haiti.

Quando Jean entrò nella stanza notò che il fuoco si era spento durante la notte e stava già pensando alla sgridata che avrebbe fatto al soldato incaricato della sorveglianza notturna quando si accorse che la sedia era vuota.
Il generale, Antoine lo aveva tenuto sveglio quasi tutta la notte raccontandogli le gesta di colui che era noto come il Napoleone dei caraibi, era disteso a letto, gli occhi chiusi e un sorriso sulle labbra. Non si muoveva e quello fu sufficiente a Jean: il generale era morto, offrendo al Consolato un’arma più pericolosa di quando era in vita: un martire.
Le potenze straniera non si sarebbero curate di lui ma la guerra contro le colonie era appena stata persa pensò Jean prima di uscire, doveva avvertire i suoi superiori e poi prendersi una licenza per cercare quell’uomo, il diavolo nero, Thomas Dumas. Per sapere se le voci erano vere, se realmente un negro aveva comandato dei bianchi ed era stato il più valoroso dei valorosi.

   
 
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