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Autore: Taila    08/04/2015    2 recensioni
Charlene si spostò verso lo specchio rettangolare che le stava indicando la commessa e osservò soddisfatta il suo riflesso. Si era ridotta all’ultimo momento, visto che quella era l’ultima prova per il suo vestito e solo due giorni dopo si sarebbe sposata, ma l’abito le stava d’incanto. Si girò appena per studiare il suo riflesso di tre quarti e sorrise contenta nel notare come l’abito fasciasse perfettamente la sua silhouette. Quand’era ancora una ragazzina, aveva sognato che si sarebbe sposata con un vaporoso abito da principessa, simile a quello indossato dalla Cenerentola disneyana, ma con qualche aggiunta di suo gusto per renderlo davvero bello. Da adulta, invece, aveva fatto una scelta completamente diversa: il modello che aveva scelto era del tipo a sirena, di raso real color avorio e con un breve strascico, che dava una maggiore eleganza alla sua figura. [...] Era il giorno del suo matrimonio, il suo grande giorno e doveva essere bellissima.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Titolo: Il grande giorno
Autore: Taila
Fandom: Originale – Sentimentale
Genere: Generale, sentimentale, un pizzico erotico
Tipo: long-fic, slice of life, het
Rating: Arancione
Disclaimers: I personaggi presenti in questa ff sono tutti frutto della mia fantasia e maggiorenni, qualsiasi riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale.
Note: Non ci credo che l’ho fatto per davvero ^O^ Dei, progettavo questa cosa da un po’ ma, dato che avrebbe richiesto un enorme afflusso di materiale marysuesco non credevo che sarei mai stata in grado di scrivere questa cosa ^^’’’ Ma lasciamo da parte i miei sproloqui perché, prima di lasciarvi alla lettura, credo di dovere una piccola spiegazione sui personaggi presenti in questa ff: Charlene, Benedict, Abigail (Abby) e Drew sono un gruppo di personaggi originali che ho ideato per due mie long fic che ho scritto per il fandom di “Criminal Minds” e mi sono piaciuti così tanto che ho pensato di provare a scrivere un’original in cui loro sarebbero stati i protagonisti assoluti. Per fare questo ho approfittato di un piccolo particolare: in “Io porto la morte”, la seconda delle due long su CM, Charlene annuncia trionfante che Benedict le ha chiesto di sposarla e, quindi, eccomi qui a scrivere del matrimonio in pompa magna del nostro tenente Moore ^O^ Ogni particolare della cerimonia è stato esagerato volutamente, a tutto ho cercato di conferire un alone suesco e mi sono divertita un casino a farlo ^O^ Per l’occasione ai quattro protagonisti sopracitati ho affiancato altri due personaggi originali ^^ Spero che il tutto sia di vostro piacimento e vi strappi almeno un sorriso, di garantito c’è tutta la mia buona volontà e la voglia di divertirmi ^O^
Ringraziamenti: Ringrazio tutti coloro che leggeranno e/o lasceranno un commento a questo primo capitolo.
Adesso la smetto di blaterare e vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente ^O^



Il grande giorno



Venerdì – Parte I

Charlene si spostò verso lo specchio rettangolare che le stava indicando la commessa e osservò soddisfatta il suo riflesso. Si era ridotta all’ultimo momento, visto che quella era l’ultima prova per il suo vestito e solo due giorni dopo si sarebbe sposata, ma l’abito le stava d’incanto. Si girò appena per studiare il suo riflesso di tre quarti e sorrise contenta nel notare come l’abito fasciasse perfettamente la sua silhouette. Quand’era ancora una ragazzina, aveva sognato che si sarebbe sposata con un vaporoso abito da principessa, simile a quello indossato dalla Cenerentola disneyana, ma con qualche aggiunta di suo gusto per renderlo davvero bello. Da adulta, invece, aveva fatto una scelta completamente diversa: il modello che aveva scelto era del tipo a sirena, di raso real color avorio e con un breve strascico, che dava una maggiore eleganza alla sua figura; il corpetto aveva la scollatura a cuore, un particolare che metteva in risalto il suo decolleté ed era decorato con applicazioni di cristalli Swarovski. Sui suoi capelli sciolti era stato fissato il velo bordato di merletto, che scendeva oltre le spalle e dava un’aria più delicata e dolce al suo volto. Era un abito da sposa extra lusso e costava quanto un anno del suo stipendio, ma non avrebbe acquistato niente di meno: era il giorno del suo matrimonio, il suo grande giorno e doveva essere bellissima. E, a giudicare dal riflesso che le rimandava lo specchio, lo era davvero, bellissima: i capelli rossi ricadevano in una cascata di boccoli sulle spalle, mettendo in risalto in suo incarnato pallido e incorniciandole il viso, rendendola ancora più bella del solito. Osservò il volto riflesso nello specchio e, rendendosi conto che anche i capelli sciolti e ricci stavano benissimo con l’abito da sposa, fu quasi tentata di chiamare il suo parrucchiere e dirgli che aveva cambiato idea; si morse appena il labbro inferiore indecisa, riflettendo per qualche attimo e poi si disse che no, non avrebbe cambiato la pettinatura: per il giorno del suo matrimonio non voleva essere solo bellissima, ma anche e soprattutto elegante, desiderava lasciare tutti a bocca aperta, ammaliarli e far dire loro che era la donna più bella che avessero mai visto. Sorridendo radiosa per il pensiero di tutti quegli occhi sgranati e colmi di meraviglia e dei bisbigli ricolmi d’ammirazione per lei che l’avrebbero circondata ed esaltato ancora di più il suo fascino, Charlene si girò dando le spalle allo specchio, per studiare l’espressione sul viso di sua madre e Veronica, sua sorella, che erano sedute sopra un divanetto bianco situato a pochi passi da dov’era lei. La madre aveva gli occhi lucidi dalla commozione, che tamponò con un fazzoletto di stoffa immacolato e annuì emozionata e felice con un cenno del capo, incapace di parlare, approvando la scelta della figlia a proposito dell’abito da sposa. Veronica invece aveva la stessa espressione di un condannato sul patibolo, come se avesse voluto essere ovunque tranne che lì: la sua sorellina era un tipo così ordinario, a voler essere generosi, tanto che spesso si chiedeva come potessero avere lo stesso patrimonio genetico, visto che non c’era niente che le accomunava né sul piano fisico né su quello caratteriale. Charlene aveva sempre desiderato avere una sorella minore con i suoi stessi gusti e il suo stesso temperamento, qualcuno con cui andare a fare shopping e scambiarsi facezie in bagno, mentre si preparavano per uscire con un ragazzo carino; invece, per una qualche strana beffa del fato, le era toccata quella sottospecie di nerd musona, scontrosa, sempre con il naso infilato in qualche romanzo e con un gusto nel vestire così orripilante, che da lei non si sarebbe fatta prestare nemmeno un paio di calzini di spugna. Aveva discusso a lungo con sua madre perché non voleva che sua sorella presenziasse alla prova definitiva dell’abito, perché non sapeva niente di cosa fosse l’eleganza nel vestire e la sua opinione sarebbe stata superflua e inutile, se non fuori luogo: peccato che sua madre non avesse voluto sentire ragioni e avesse deciso di non escludere la piccola di casa Moore. Quindi eccola lì, costretta a rimettersi al giudizio dell’unica persona a cui non avrebbe mai cercato consigli in materia di vestiario – sempre se si escludeva Lehmann, ovviamente.
- Allora, che ve ne pare?- chiese nonostante tutto, sorridendo e recitando la sua parte alla perfezione.
- Sei bellissima. – mormorò commossa la mamma, per poi soffiarsi il naso – Non sei d’accordo anche tu, Veronica?- domandò, lanciando alla figlia minore un’occhiata eloquente.
La ragazza arricciò per un attimo le labbra in una smorfia, prima di rivolgere alla sorella maggiore un sorriso entusiasta quanto falso e dirsi pienamente d’accordo con la madre – evidentemente le era stata promessa una qualche ricompensa, magari qualche nuovo romanzo da aggiungere alla sua già infinita collezione di libri, se avesse partecipato con un certo entusiasmo a quel rituale familiare, considerò la futura sposa. Compiaciuta come ogni volta che qualcuno sposava le sue idee senza porre alcuna obiezione, Charlene si volse verso la commessa.
- Avete fatto un ottimo lavoro: l’abito è perfetto e adoro il modo in cui sta addosso.- disse e le rivolse il miglior sorriso del suo repertorio.
Sopra ogni cosa, amava il pensiero di come sarebbero state invidiose le altre invitate nel vederla così. Se solo Lehmann avesse accettato l’invito e fosse venuta al suo matrimonio, sarebbe stata la celeberrima ciliegina sulla torta della sua vittoria: sarebbe stato divino vedere la sua carnagione assumere un colorito verde acido mentre si rendeva conto che al suo confronto era un vero fallimento come donna, visto che l’unico uomo che sembrava riuscire a sopportarne la vicinanza era il suo compagno di squadra. Charlene si guardò ancora una volta allo specchio, assaporando il modo in riusciva a farla sentire vedersi in quel modo, prima di seguire la commessa nel camerino per farsi aiutare a togliere l’abito. Mentre, con estrema attenzione, si sfilava di dosso il vestito e lo porgeva alla commessa, Charlene pensò che dopo la sua prova sarebbe seguito il momento più imbarazzante della storia dell’umanità: Veronica avrebbe dovuto indossare l’abito da damigella, per vedere come le stesse dopo le modifiche della sarta. Ancora non riusciva a capire che razza di trucco mentale avesse usato su di lei, ma in qualche modo sua madre l’aveva convinta a chiedere a sua sorella di farle da damigella e anche Veronica doveva aver subito la stessa manipolazione da parte della loro genitrice, perché le aveva riposto di sì immediatamente. All’inizio aveva trovato quell’idea assolutamente grottesca e sbagliata, il solo pensiero di poter vedere Veronica, ovvero miss indosso solamente jeans e felpe e scarpe da ginnastica, con addosso un vestito di tulle rosa e con il viso tutto truccato l’avrebbe fatta ridere a crepapelle, se soltanto il tutto non fosse andato a suo discapito: era il giorno del suo matrimonio, il suo grande giorno e avrebbe dovuto sopportare, senza potersene lamentare tra l’altro, la sua sorellina infagottata come uno spaventapasseri, che si trascinava barcollando pietosamente sui tacchi alti mentre la precedeva nella navata della chiesa. Quando si trattava di situazioni come quella, detestava il fatto che sua madre pretendesse che facessero per forza le cose come due sorelle che andavano d’amore e d’accordo.
Con di nuovo addosso i suoi abiti, Charlene ritornò nella sala principale e si diresse verso il divano dove sua madre e Veronica erano sedute, giusto in tempo per vedere la commessa avvicinarsi a sua sorella e chiederle di seguirla: la sua espressione indispettita e spaventata era qualcosa di spettacolare. Mentre si avvicinava al divano, le sfuggì una risatina di scherno, che sua sorelle dovette udire perché le rivolse un’occhiata tale che, se il suo sguardo ne fosse stato capace, l’avrebbe incenerita all’istante. Il sorrisino sulle sue labbra si ampliò e occupò il posto vicino alla madre che era stato di Veronica fino a pochi secondi prima.
- Dovresti smetterla.- le disse la donna a bruciapelo.
Charlene si girò a guardarla interdetta, non riuscendo a capire di cosa la stesse rimproverando.
- Di fare cosa?- replicò stupita.
- Di trattare tua sorella in quel modo, come se fosse una stupida.- rispose sua madre, seria.
Charlene avrebbe voluto ribattere che sua sorella era stupida, perché era un’ottusa sognatrice che viveva di romanzi e di storie fantastiche che le riempivano la testa di sciocchezze, che le facevano smarrire qualsiasi contatto con la realtà e le facevano perdere di vista le cose veramente importanti della vita: ovvero affermarsi socialmente con un ottimo lavoro e un buon matrimonio, erano questi i gradini che avrebbe dovuto scalare e che l’avrebbero portata a realizzarsi nella vita.
- Non è colpa mia: è lei che non si comporta in maniera normale.- esclamò, atteggiano poi le labbra in una smorfia disgustata.
- Veronica è una ragazza normalissima: avete solo due modi diversi di vedere le cose, non per questo una di voi ha ragione e l’altra no. Dovreste cercare di trovare un punto d’accordo.- ribatté la madre.
- Speri che facendo una così importante insieme come sorelle finiremmo per comportarci come tali? È per questo motivo che mi hai costretta a proporle di farmi da damigella, invece di chiederlo a Celia?- domandò arrabbiata, incrociando le braccia al petto e guardando sua madre indignata.
Celia Bradbury era la sua migliore amica fin dai tempi della scuola e insieme avevano spadroneggiato sugli altri studenti: erano le api regine di un alveare composto dalle ragazze più carine della scuola e avevano tenuto letteralmente in pugno il resto della scuola. Era stato come diventare la reginetta dell’istituto nei telefilm: tutti i maschietti erano innamorati di loro e le invitavano sempre a uscire con loro, tutte le ragazze le invidiavano e le detestavano, erano loro che decidevano cosa fosse di moda e cosa no, chi fosse un reietto e chi no; erano loro due quelle che ricevevano più rose e dichiarazioni a San Valentino. Le loro amicizia era durata anche oltre il diploma, nonostante non potessero vedersi spesso visto che abitavano in Stati diversi o, più probabilmente, era stata proprio la lontananza a permettere che il loro rapporto funzionasse così bene, perché Celia era la persona più simile se stessa che Charlene conoscesse, si assomigliavano sia riguardo alla mentalità che al carattere e, se avessero continuato a stare vicine, quasi certamente una delle due avrebbe cercato di far fuori l’altra per ottenere la corona, invece così ognuna aveva trovato un reame di cui diventare regina ed erano felici e soddisfatte così.
- Male non ti farà passare del tempo con lei, magari imparando a conoscerla capirai che essere diverse da te non è poi una cosa negativa.- replicò sua madre in tono determinato.
Charlene avrebbe voluto replicare che il cervello le sarebbe colato dalle orecchie se avesse trascorso ancora mezzo pomeriggio con Veronica, che la sua reputazione sarebbe finita a brandelli non appena le sue amiche avessero visto che razza di damigella d’onore avesse rimediato e il suo matrimonio invece di essere perfetto come lo aveva immaginato, si sarebbe trasformato in un’enorme barzelletta in cui lei avrebbe fatto la figura della stupida. Avrebbe voluto lasciarsi andare a un lungo sfogo di protesta, ma lo sguardo che sua madre le stava rivolgendo era implacabile e non ammetteva repliche. Sempre con le braccia incrociate al petto e una espressione di indignata superiorità in faccia, Charlene strinse le labbra e si voltò verso il piccolo palco sul quale anche lei aveva sfilato poco prima, ben decisa a fare l’offesa e non parlare più fino a quando sua madre non avesse mostrato un minimo di considerazione nei suoi confronti. Per questo non dovette aspettare poi molto, perché le bastava mostrare un’espressione appena ferita perché sua madre si sentisse subito in colpa e cercasse di fare la pace con lei. Infatti, dopo qualche minuto di silenzio, la donna sospirò e si mosse a disagio sui cuscini.
- Tesoro non volevo fare nulla che ti facesse arrabbiare, credimi. Desideravo soltanto che le mie figlie adorate andassero d’accordo. Se ho fatto qualcosa di male ti chiedo scusa.- disse la donna, parlando con un tono di voce mesto.
Essere la figlia preferita era davvero la cosa migliore del mondo, gongolò Charlene mentre cercava di lottare contro quel sorrisetto vittorioso che minacciava di incurvarle le labbra e poteva vanificare la sua opera. In passato aveva visto sua madre all’opera mentre rimproverava sua sorella e, se metteva a confronto la scena con quanto accadeva a lei, non c’era davvero paragone: quando Veronica faceva qualcosa per cui meritava di essere rimproverata, la loro madre non smetteva di essere adirata fino a quando la figlia non si scusava con lei, mostrandosi davvero pentita e promettendo solennemente di non rifarlo più; invece, quando toccava a lei di essere sgridata, le bastava mostrare per un po’ un’espressione abbattuta da cucciolo bastonato e la madre cedeva immancabilmente, in alcuni casi – come quello – arrivava perfino a scusarsi al suo posto. Charlene si prese una manciata di secondi per assaporare meglio la sensazione di vittoria e poi si girò verso la madre, in viso la sua migliore espressione dispiaciuta e prese la sua mano sinistra tra le proprie, stingendo appena per trasmetterle una sensazione di conforto.
- Non fa niente, mamma, davvero.- le disse e poi la baciò sulla guancia.
La donna ridacchiò, contenta di avere una figlia così dolce, gentile, speciale e poi mancavano pochi giorni al suo matrimonio, doveva essere particolarmente nervosa di fronte a quel cambiamento, quindi aveva tutto il diritto di agitarsi un po’. Un rumore di passi attirò la loro attenzione e, quando si voltarono, scoprirono che a produrli era Veronica che cercava di camminare senza cadere dalle scarpe con il tacco dodici che Charlene l’aveva costretta a indossare – la ragazza, sospettava, con lo scopo recondito che si rompesse una gamba e Celia, l’incubo peggiore di ogni adolescente normale e privo del tutto di manie narcisistiche e di protagonismo, finalmente potesse sostituirla; cosa che, tra l’altro, a Veronica sarebbe andata benissimo, perché non aveva mai avuto l’intenzione di prendere parte a quella stupida celebrazione della sorella che era stata travestita da matrimonio. Charlene riuscì a dissimulare a fatica un sorrisino divertito, mentre fissava la sua sorellina che si spostava a disagio sul palco per mostrare a lei e alla loro madre il vestito da damigella che avrebbe dovuto indossare: era un abito con la gonna lunga color rosa confetto, con il corpetto che aderiva al torace, non aveva le spalline e, almeno durante la funzione religiosa, le spalle sarebbero state coperte con una stola di organza di un paio di toni più scura dell’abito. Aveva già stabilito con il parrucchiere che avrebbe curato la sua acconciatura, che Veronica avrebbe avuto i capelli lisciati alla perfezione, lasciati sciolti sulle spalle: soltanto una forcina con brillanti avrebbe fermato le ciocche sopra l’orecchio destro. Non era male, considerò Charlene, ma se fosse stata più carina il risultato sarebbe stato migliore. Non si potevano pretendere miracoli se la materia prima non era di qualità, ma l’importante era che non l’avrebbe fatta sfigurare davanti agli invitati: aveva invitato anche il suo diretto superiore, il capitano Stroud, e voleva essere sicura che niente e nessuno avrebbero potuto metterla in ridicolo davanti all’uomo che comandava il dipartimento di polizia in cui lavorava e da cui dipendevano le sue future promozioni, nemmeno la sua goffa e sgraziata sorellina.
- Sembri quasi carina, sai? Ogni tanto dovresti abbandonare quel tuo stile da nerd e vestirti come una persona normale: gli altri comincerebbero a prenderti più sul serio.- commentò Charlene sarcastica, dopo averla squadrata da capo a piedi.
Veronica aprì la bocca per risponderle a tono ma un’occhiataccia ammonitrice di sua madre la fece desistere. Richiuse la bocca e stirò le labbra in un sorriso, ma lo sforzo occorso per farlo diede come risultato solamente un inquietante ghigno. Tra lei e sua sorella c’era sempre stata una forte tensione e i litigi erano praticamente all’ordine del giorno: non erano mai d’accordo su niente e avevano aperto una guerra che non si era chiusa neanche quando sua sorella era andata a vivere finalmente da sola, fatta di commenti al vetriolo, di taglienti frecciatine e di valanghe di sarcasmo. Il clima a casa si era fatto molto pensante anche perché Charlene era la cocca della loro madre che, per questo motivo, dava sempre ragione a lei. Quando sua sorella aveva dato il solenne annuncio del suo matrimonio – lei si era chiesta chi fosse l’allocco che aveva incastrato e, quando aveva incontrato per la prima volta Benedict, molte delle sue perplessità avevano trovato risposta – la loro madre aveva subito suggerito che fosse Veronica a farle da damigella e sia Charlene che lei avevano preso la proposta molto ma molto male. Immaginava che sua sorella avesse già candidato per il ruolo una di quelle arpie che aveva per amiche e che le avevano fatto passare un’adolescenza da incubo, sempre lì punzecchiarla con battute di dubbio gusto e che una volta erano arrivate a rubarle la biancheria intima e a spargerla nel campo di softball giusto per farsi due risate alle sue spalle – ovviamente la loro madre, quando lei le aveva riferito l’accaduto nella speranza di un po’ di sostegno, non aveva creduto neppure per un istante che Charlene, la sua perfetta figlia maggiore, fosse stata la mente di quell’azione che definire riprovevole era un eufemismo e, alla fine, aveva dovuto anche domandarle scusa. Per questi motivi, Veronica avrebbe preferito darsi malata piuttosto che fare da damigella a sua sorella e divenirne lo zimbello, tuttavia la loro madre non aveva voluto sentire ragioni, ovviamente: avrebbero fatto tutto in famiglia e loro due si sarebbero comportate come sorelle, mettendo da parte tutti i dissapori che le avevano divise in quegli anni. Non vedendo per sé alcuna via d’uscita da quella sgradevole situazione, Veronica si era fermamente aggrappata al pensiero che quelli sarebbero stati gli ultimi momenti in cui avrebbe dovuto avere a che fare con sua sorella, perché dopo il matrimonio sarebbe ritornata in Georgia dove lavorava e aveva comprato casa insieme al suo allocco, a troppi Stati di distanza per essere una presenza fissa nella sua vita e, se avesse deciso di tornare a casa per festeggiare in famiglia le feste comandate, avrebbe sempre potuto implorare i suoi amici del college di organizzare una gita per andare a sciare in montagna o a fare surf alle Hawaii. Solo questi pensieri le avevano dato la spinta per collaborare. Il suo compito era ingrato tuttavia, ripetendo come un mantra che, dopo quella pagliacciata che osavano chiamare matrimonio, avrebbe avuto a che fare con sua sorella ancora meno di prima, era riuscita a trovare il coraggio per percorrere quei pochi metri e salire sul palco, pronta a subire per un’ultima volta i commenti beffardi di Charlene, tanto di lì a qualche giorno sarebbe stato quell’allocco di Benedict – seriamente, esisteva al mondo qualcuno di più ottuso, noioso e inutile di quell’uomo? – a doversi sorbire i deliri di sua sorella e non lo compiangeva affatto. Veronica raddrizzò le spalle e lasciò che sua madre e sua sorella la esaminassero, giudicassero il modo in cui le stava l’abito e ordinassero alla sarta le ultime modifiche da apportargli: si sentiva un po’ come un animale venduto a una fiera, una cosa umiliante anche se non come si sarebbe di sicuro sentita il giorno delle nozze, ma il pensiero che fosse a un passo dal liberarsi di Charlene le dava la forza per sopportare qualsiasi cosa.

  
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