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Autore: breath    08/04/2015    8 recensioni
The devil smiles and laughs at me,
Says you'll be back, just wait and see,
You know I've heard this all before,
And I say,
You can keep your high life in the hills,
Your cocaine lies and whiskey thrills,
I don't need you anymore

Izzy non parla di quello che è successo quella notte, almeno non pubblicamente, ma qualcosa è successo, qualcosa che lo ha spaventato a tal punto da fargli chiudere quel capitolo della sua vita in cui la droga la faceva da padrone, qualcosa che gli ha fatto aprire gli occhi. Izzy era quello silenzioso ma è stato il primo a capire, il primo ad avere abbastanza coraggio da compiere quel primo passo che magari lo ha allontanato dai Guns ma che lo ha avvicinato alla vita.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izzy Stradlin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Le voci gravi e le risate stridule diventano più ovattate, più lontane, come se fossero state soffocate da una pesante coperta. E' la coperta dei miei passi che finalmente sento nelle orecchie, della suola degli stivali che feriscono queste strade sporche che io conosco alla perfezione. Una volta, prima di camminarci sentendomi un re, ci vagavo per delle ore senza una meta precisa, come una puttana. Ma io non offrivo sesso, io offrivo un diverso tipo di piacere, piacere bianco, sintetico, fine, paradiso misurato in grammi. Ero la figura nascosta nell'ombra degli angoli ai quali le brave ragazzine non si avvicinavano, ero il salvatore di quelli che mi cercavano e non sapevano neanche che faccia avessi perché non vedevano altro che quello che le mie mani tiravano fuori di tasca, ero il cane randagio che aveva fatto di queste strade la propria casa, una casa di sicuro più confortevole di quel metro quadrato di sudiciume che mi aspettava nella mia "villa" a Orchid Street. A volte, quando ero troppo sfatto per uscire, spacciavo direttamente nel retro del palazzo ma in genere preferivo uscire, mi piaceva camminare, avere l'impressione di avere un posto dove andare, cose da fare, sogni da realizzare.
Ma tutto questo era prima, prima di questi anni che definirli folli è dire poco. Adesso Orchid Street non la frequento più, adesso mi faccio portare la roba nella mia bella casa che certi notti non sembra tanto migliore di quel buco pieno di scarafaggi in cui abitavo una volta, quando ho conosciuto Duff, lui stava proprio dall'altra parte della strada, capendo come fare a sopravvivere con pasti da un dollaro al giorno. Adesso non sappiamo neanche quanti soldi abbiamo, non abbiamo neanche voglia di contarli, ci basta la sicurezza di sapere che possono garantirci una copertura a vita di grammi di paradiso. Cristo non so neanche da quanto non chiudo gli occhi, forse due giorni, forse cinque. E chi li conta più ormai? Non c'è più distinzione fra un giorno e l'altro, tutto si è fuso insieme, sciolto come l'eroina nel cucchiaio del tempo.  La coca continua a premere, spingere, sollevare, tirare, tenermi su, sento che ormai è l'unica cosa che mi tiene in vita, forse se smettessi cascherei a terra come un cazzo di burattino abbandonato a cui sono stati tagliati i fili. Ma sta finendo e quindi eccomi qui. Sì, mi ci voleva un po' di aria fresca, una bella camminata nella notte. Cazzate, l'unico motivo per il quale sono uscito è che a quanto pare ho tagliato il filo del telefono e non so come rintracciare Bobby per dirgli di portarmi qualcosa a casa. L'unica cosa che mi da la forza di mettere un passo davanti all'altro è sapere che presto potrò fare altra scorta di energia bianca.

Dopo cinque minuti che busso e tiro calci alla sua porta finalmente quel buono a nulla di spacciatore apre la porta. E' visibilmente incazzato ma io lo sono di più e lui sa che non gli conviene fare tante storie, ormai mi conosce. La gente dice che Axl sia un pazzo, che sia instabile e che sia lui il vero motivo per cui i Guns hanno questa fama di attaccabrighe. Certo, Axl è pazzo ed instabile ma tutti noi lo siamo. Io, Duff, Steven e Slash. Cristo, non ti conviene metterti contro di noi, soprattutto se siamo sulla soglia dell'astinenza. Non ti conviene amico. E Bobby lo sa quindi mi fa entrare e mi dice di aspettare. Non mi chiede neanche più cosa voglio, ormai la conosce la lista della spesa e io ho proprio voglia di prepararmi una bella torta chimica. 
Do un'occhiata in giro, tutti questi oggetti mi sembrano vagamente ridimensionati, sembrano pulsare come organi vivi, dilatarsi e restringersi sotto il mio sguardo, almeno finché non sbatto le palpebre. Avvicino l'orecchio a un posacenere stracolmo di sigarette finite e lo sento respirare. 
Ha, buffo, respira. 
Sento una risata soffocata raggiungermi le orecchie e mi giro per capire da dove viene ma non c'è nessun altro e solo dopo capisco che ero io quello che rideva. 
Ora anche il posacenere sembra sorridermi complice con le sue labbra di cicche e i suoi denti di cenere. Lo prendo in mano e continuo a girare. Mi piace questo posacenere, ci siamo capiti all'istante io e lui, mi sa che me lo porterò dietro. Penso di avergli fatto il solletico perché lo sento ridacchiare e muoversi nella mia mano. Scusa amico, non so dove siano le tue ascelle. Magari se ti tengo sul palmo della mano va meglio, sì ecco, ti piace già di più, adesso siamo alla stessa altezza e puoi vedere anche tu la stanza, dirmi dove vuoi andare. Mi sento nel cazzo di Paese delle Meraviglie. 
Dove sei Bianconiglio? 
Magari in quella credenza, non puoi nasconderti, io ti troverò. 
So che è lì, che mi sta aspettando e che presto lo vedrò, con tanto di occhiali, panciotto, orologio da taschino e cilindro in testa, come quello di Slash! Slash non sarà mai convincente come lui, è inutile che ci provi, lui solo è il Bianconiglio e mi aspetta. Mi spiace amico. 
Apro la credenza, il vetro verdastro si scosta e il legno cigola. Cristo, vermi! E' pieno di vermi, niente Bianconiglio e niente cazzo di Paese delle Meraviglie di sto cazzo. Bianchi, infiniti, strisciano e si contorcono ciechi l'uno sull'altro. Niente spina dorsale, niente gambe, braccia, occhi o bocca ma pezzi di carne viscida e strisciante. Non hanno occhi ma so che mi stanno fissando, che vogliono solo me, vogliono seppellirmi sotto i loro disgustosi piccoli corpi bianchi. 
Faccio cadere il posacenere per terra, ignoro i suoi gemiti di protesta e scappo, via da questa casa, via da quei vermi, corro come non faccio da anni, come se avessi un intero esercito a cavallo dietro di me, ma io ho un esercito di vermi e cazzo, mi stanno seguendo. 
Allungo il passo, ignoro il respiro ormai mozzato e corro, corro finché non sento il cuore esplodermi nel petto, finché sento che non ce la faccio più. Solo allora oso guardarmi alle spalle, solo quando non li vedo più mi arrischio a rallentare il passo. So che sono ancora dietro di me, mi sembra di sentirli come si contorcono sulla strada per raggiungermi. 
Oh, guarda, una casa, lì sarò al sicuro, lì non mi troveranno. 
E buia, senza finestre, ricoperta da un intreccio multicolore di graffiti. Osservo i muri solo per accertarmi che non ci siano altri piccoli amichetti bianchi che mi aspettano. No, è pulito. 
Entro dalla porta che non c'è e mi butto nel primo angolo buio ed impolverato che trovo. Noto distrattamente che non sono solo, che ci sono altre persone in questo buio pieno di colpi di tosse e respiri pesanti, ma non mi importa, voglio solo stare nel mio angolino, spalle al muro, a riprendere fiato. Penso di aver appena consumato le ultime energie che mi erano rimaste in corpo, sento distintamente come l'effetto dell'ultima striscia che mi ero fatto sta svanendo portando con sé quel senso di immortalità ed indistruttibilità che mi ha pervaso nelle ultime ore, negli ultimi giorni, forse mesi o anni. 
Da quanto non dormo? 
E la sento così, all'improvviso la stanchezza, quella che mi priva di ogni residuo di energia rimasto e mi lascia solo con le mie membra doloranti, il respiro accelerato e i primi sintomi di astinenza di tutte le droghe che mi sono fatto in questi anni, di ogni ingrediente della miscela Stradlin. Mi metto una mano sul cuore, mi lascio scivolare giù fino a toccare con la schiena il pavimento. 

E poi lo vedo, so di avere gli occhi chiusi ma sembra che mi si stia dipingendo un altro mondo dietro le palpebre abbassate. Improvvisamente sotto di me non c'è sporco cemento ma calda e solida terra ricoperta da un manto di erba, quella alta che quando ti sdrai ti copre del tutto nascondendoti al mondo. Nelle orecchie non sento più i respiri che i miei nuovi coinquilini stanno regalando alla morte, ma un lieve cinguettare allegro e il rumore di acque placide che si rincorrono a vicenda in una moltitudine di onde che spavalde emergono al di fuori della superficie dell'acqua prima di immergersi di nuovo in essa: un fiume, è il Teche! Il caro vecchio Teche, quel fiume un po' snobbato da tutti che però unisce il golfo del Messico al cuore della Louisiana. Quanti pomeriggi passati in riva al Teche! Quante ore ad ascoltarlo, a fumare canne e lasciare che il suo suono si armonizzasse a quello delle canzoni degli Aerosmith! Sono di nuovo lì, sono di nuovo lì da dove sono partito, da dove tutto è nato. Lì da dove volevo scappare, lì da dove sognavo la grande Los Angeles e un grande e luminoso futuro, acclamato e riverito dalle persone, io e la mia musica. 
Una fottuta band, mi mancava solo una band, in fondo non me la cavavo male con la chitarra, neanche con la batteria, ma mi mancava una band. 
Ne ho raccolti una paio, altri come me, piccoli sognatori che cercavano di capire come tirare fuori la magia da uno strumento, come diventare come i fottuti Aerosmith. Ma sapevo che mancava qualcosa e l'ho capito appieno quando ho visto Bill Bailey. Un fiamma pazza di capelli rossi, spalle curve, gambe magre e occhi color smeraldo che correva per i corridoi della scuola inseguito dagli insegnanti. Mi faceva solo ridere all'inizio ma poi ho visto i suoi occhi. Ma, dico, voi li avete notati? Quelli sono occhi pazzi, di quella pazzia stupenda però, occhi che divorano il mondo con uno sguardo, che ti scavano dentro tirandoti fuori tutto, occhi in gabbia che tremano e scuotono il corpo, occhi che parlano. Quelli mi hanno fatto capire che Bill era quello che mi mancava, quella componente di colore e pazzia di cui avevo bisogno per compiere il primo passo in direzione dei miei sogni, il primo fuori da Lafayette. Ma Bill ce l'aveva ancora ben ingabbiata quella pazzia, ce l'aveva solo negli occhi in quei giorni. Quando gli ho proposto di venire a provare qualche volta con noi ha solo annuito in silenzio e poi se n'è andato. Ogni tanto è venuto alle prove, ha gironzolato per un po' intorno a noi con quelle sue spalle curve che sembravano in attesa di ricevere il prossimo colpo, la prossima frustata dal mondo. Solo dopo ha cominciato a tirare fuori qualche parola, qualche motivetto, con quella sua voce ancora un po' da bambino ma anche già da uomo, quella voce già un po' ruvida che ti gratta il cuore e le viscere, quella che non puoi non sentire. Ne parlavano già i suoi occhi di quello che la sua voce avrebbe fatto.

Ora, in questo prato, in questo pomeriggio di estate a Lafayette, con il canto del Teche nelle mie orecchie e un filo di erba in bocca, lo sto aspettando, non so se oggi si farà vivo oppure si nasconderà dal mondo. Ma per adesso mi basta il sole, il Teche, il filo di erba che sto masticando e gli Aerosmith. Mi bastano i sogni su Los Angeles. Quei sogni puri ed infantili, quelle illusioni di grandezza non solo materiale ma interiore, viscerale, che nessuno può toglierti. L'ho raggiunta poi Los Angeles ma niente di quello che immaginavo è successo. Dalla prima notte che ho passato lì quella città non ha fatto altro che chiedere, pretendere, togliere. Mi ha tolto l'aria da campagnolo ribelle, mi ha preso l'innocenza che ancora avevo, il calore di una casa sicura, i pomeriggi ad ascoltare nonna e le sue amiche suonare il blues. 
E mi ha dato. 
Cose che non avevo neanche chiesto, come una puttana sorda che non capisce, che distribuisce sogni a caso alle persone sbagliate. Mi ha dato la prima striscia, la prima dose, il primo acido dicendomi che in fondo non erano diversi dalle canne, solo migliori, che mi avrebbero dato la casa che non avevo, il cibo che non mi potevo permettere, i sogni che non avevo realizzato. Un dose ed ero a posto, una dose ed ero il re del mondo, di quelle strade piene di altri re che si ignoravano a vicenda, che facevano finta di non aver pagato quel trono di polverina bianca. 
Ma poi una dose non bastava più, due non ne bastavano più e la voglia non smetteva, e il bisogno di avere sogni fasulli era sempre più grande. Los Angeles mi ha tolto cose che non sapevo neanche di avere, mi ha preso l'anima e mi ha dato il rock, mi ha dato il successo. Pensavo che fosse un prezzo più che giusto per quello che ci stava succedendo. Niente più scarafaggi, niente più pasti saltati ma musica, ragazze e dollari negli stivali. Ma al successo non basta essere pagato una sola volta, è un fottuto mafioso che si presenta ogni giorno alla tua porta chiedendoti il pizzo, minacciandoti di buttarti nell'Inferno dal quale ti ha ripescato se non gli dai un altro po' della tua anima. Grammi di cuore barattati per grammi di droga, per un altro giorno nell'olimpo di luci elettriche e di palchi fatti di persone che non sai mai quando abbasseranno le braccia alzate al cielo e ti faranno cadere per terra, calpestandoti mentre se ne vanno. Volevo essere qualcuno, volevo essere come Johnny Thunders, fiamma che nutre cuori, che porta musica e passione. Sono diventato un tossico che suona la chitarra insieme ai suoi amici tossici facendo finta di essere chissà chi. Non siamo un cazzo, siamo diventati una cazzo di barzelletta, non siamo più noi a condurre il gioco, non siamo più noi quelli che dettano le regole ma ci muoviamo come cazzo di muli dietro la carota della droga, convinti di sapere dove andiamo, ciechi a quei cazzo di fili che ci stanno manovrando. Sì, posso smettere quando voglio, non è un problema. Cazzate, parole da tossico che ti fanno dormire, quelle volte che dormi, sonni più tranquilli, tanto puoi smettere quando vuoi. Non puoi smettere perché ti piace troppo, perché continui a raccontarti bugie su bugie mentre ti prepari la prossima dose, quella che ti spegnerà quel poco di cervello che ti è rimasto. 

Ma io non ci sto più, non mi piace più questo gioco, finalmente ho visto chi si nasconde dietro le maschere che mi sorridono, ho visto i vermi bastardi dietro i visi di plastica. Non ho bisogno di questa merda, io sono più di un tossico, io sono un fottuto musicista e non ho bisogno di sostanze chimiche per tirare fuori la musica che ho dentro, per infiammare cuori. 
Gli Aerosmith ci riuscivano no? Perché io non posso allora? 
Steven me lo ha ripetuto per mesi ma io non stavo veramente ascoltando, quelle sue parole mi sono arrivate solo adesso e io so che posso farcela, che in fondo mi è rimasta un po' di forza, che questa puttana non merita i miei soldi e la mia anima. 
E la puttana ride isterica mostrandomi i suoi denti marci, si gratta le croste che ha su tutto il corpo fino a quando non si staccano e ricomincia a sanguinare davanti a me, sanguina vermi. Mi dice che non me ne andrò, mi dice che ha sentito un'infinità di volte queste parole, da un'infinità di bocche. Mi dice che alla fine tutti tornano da lei, che non c'è più via di scampo e che io me la sono scopata troppe volte, ormai sono infetto anche io, ormai le mie pupille non sanno più come tornare alla forma normale. 

Mi metto le mani sulle orecchie e scuoto la testa, forse le urlo anche di smetterla. 
No, io non voglio più, non mi piace più questo gioco, non mi piace più questo bordello e questa puttana mi fa solo ribrezzo.
Bill...
Lafayette, la nonna, il prato, il Teche, le canne, gli Aerosmith, quello sguardo verde che brilla tra le cicatrici, quello sguardo che non si arrende, che cerca una via di fuga. Sguardo puro, occhi da bambino. 
Cosa siamo diventati Bill?
Dove è la musica? Dove sono quelle prima note che abbiamo suonato insieme? 
Ce l'abbiamo ancora, lo so. La musica è più forte di questa merda, la musica non ha bisogno di questa merda e neanche io ne ho.
Andiamocene Bill, torniamo lì dove tutto è iniziato, dove le cose che contano per davvero ci sono ancora, forse lì me le ricorderò, forse lì capirò meglio. 

Apro gli occhi. E' arrivata l'alba, sta strisciano lenta e timida sui pavimenti sudici tappezzati di cadaveri che respirano. Io non sono un cadavere, io posso alzarmi, io posso andarmene da qui. E lo faccio, mi alzo per davvero, barcollo fino all'uscita, inciampo nei miei stessi piedi, gli arti infiammati che mi chiedono solo un'altra dose. Ma no, io esco, socchiudo gli occhi nella luce del primo mattino, mi stringo il cappotto addosso. Dio, fa freddo...
Un telefono pubblico. Ecco, sì, va bene, posso raggiungerlo. Mi frugo nelle tasche e trovo due spiccioli che non so neanche da quanto tempo sono lì. Ci metto un po' a metterli dentro, a farli cadere nella fessura, mi tremano le mani.
Una dose, una sola... 
L'ultima e poi basta...
No.
Compongo il numero senza neanche farci caso, senza neanche provare a ricordarlo, è sempre stato lì, nella mia memoria, come in attesa di questo momento. 
Sento la voce dall'altra parte rispondermi, chiudo gli occhi e cerco di rimanere in piedi, di resistere. Posso farcela, devo.
- Ciao papà. Puoi venirmi a prendere? - 


Buonasera!
Chi di voi ha avuto modo di conoscermi almeno un po' sa che mi risulta molto difficile immergermi nei membri dei Guns che non siano quella pecorella riccia smutandata che si fa chiamare Slash. Ma un po' di tempo fa, rivedendo per la milionesima volta un live di Not For Me, ho avuto una folgorazione e ho capito che la canzone era semplicemente troppo perfetta per Izzy, per il contesto nel quale mi sono mossa. Però questa folgorazione è rimasta lì, fino a stamattina, non sapevo come svilupparla, cosa scrivere, non solo perché non si stava parlando di Slash ma perché si stava proprio parlando di uno dei membri più introversi e forse complessi dei Guns, per me non è poca roba, è difficilissimo. E mi dispiaceva perché volevo fargli un regalo di compleanno a modo mio. Ma, stamattina mi sono messa lì e ci ho provato, provare non costa niente, quindi è venuta fuori questa cosa, molto poco pensata e rifinita, scritta assolutamente di getto. Come scritto anche nell'introduzione, Izzy non parla di quello che è successo quella notte, tutto quello che personalmente so è che ha chiamato suo padre chiedendogli di riportarlo a Lafayette, l'unica altra nota reale che ho aggiunto è stata quella visione dei vermi, che Izzy racconta di aver avuto un giorno, senza specificare se è stato il giorno in questione o meno, comunque per il resto è tutto frutto della mia fantasia. Ho provato a parlare di un'epifania, verso la fine quel Bill non ancora Axl è diventata la parte più pura di Izzy e spero di non aver urtato certi animi.
Prima di andarmene voglio solo precisare che quel Steven nominato da Izzy è Steven Tyler, loro due davvero avevano un mucchio di conversazioni sulla droga e a suo modo anche Steven provava a spaventarlo a sufficienza da indurlo a smettere, il nostro Popcorn non avrebbe mai fatto una cosa del genere in quegli anni.
Per il resto spero che vi sia piaciuto quello che avete letto, come al solito sentire il vostro parere in merito mi farebbe un gran piacere e, per quelli che mi seguono con It's a hunger only you can fill, ci vediamo domani con il nostro appuntamento settimanale :)
Breath  
  
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