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Autore: Aries K    09/04/2015    3 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo







Quattro mesi dopo






L’appartamento che mio padre aveva comprato nel West End era minimalista e arioso. Il bianco dominava su ogni ambiente del piccolo alloggio, ferendoci gli occhi per i primi tre mesi. Ma dopo un po’ quelle pareti lisce e spoglie avevano smesso di abbagliarci, anche perché Jamie –tirando fuori l’artista che giaceva in lei- aveva ricoperto quei muri con quadri di ogni tipo. Nel soggiorno aveva appeso un trittico raffigurante lo sbocciare di una rosa, la quale era circondata da grandi petali che danzavano nel vento. Papà approvava lo spirito di iniziativa di Jamie anche perché, a detta di lui, quella casa era troppo fredda e asettica e c’era bisogno di un tocco di colore che ci donasse quell’atmosfera rilassante e calorosa che meritavamo. Così, pian piano che i giorni trascorrevano, sotto i nostri occhi c’era sempre qualche novità da trovare in qualche angolo: un vaso di fiori freschi dai toni vivaci, un libro in più nella modesta libreria a scala o, ancora, un cuscino colorato nelle stanze al piano superiore. Jamie era una sorella fantastica. Non smetterò mai di pensare che quelle attenzioni alla casa fossero un modo timido per essere riconoscente al suo adorato Mr Collins per averla accolta nella nostra –quasi ritrovata- famiglia.
I primi mesi dopo l’incendio che ha raso al suolo il collegio del Nord di Londra furono i più difficili. Ogni sera l’orrore di quella fatidica notte tornava ad affacciarsi nei sogni miei e di Jamie, costringendoci a svegliarci madide di sudore e con una tremarella preoccupante che ci faceva sentire precarie come l’ultima delle foglie appese ad un ramo. Allora Jamie veniva ad intrufolarsi nel mio letto, stringendomi le mani e cercando di recuperare il sonno accostando le nostri fronti, come a dire ‘io sono qui, gli incubi non torneranno più’. Il problema era che, per quanto riguarda la sottoscritta, gli incubi esistevano anche una volta riaperti gli occhi. Già. Mi capitava ancora di vederla, Jennifer Delacour. Ritta nel suo metro e ottanta, con il petto tronfio e l’espressione crudele, mi fissava nei posti più improbabili. Lei era lì, mentre accucciata a terra cambiavo i fiori della lapide di mia madre, mi osservava in lontananza, con le braccia lungo i fianchi e la gonna lunga svolazzante nel vento di Aprile. Ogni tanto parlava, come quella volta quando rimasi casa a preparare la cena mentre papà e Jamie erano andati a fare una passeggiata. Stavo tranquillamente tagliuzzando della cipolla e dei pomodori quando avvertii la sua presenza gravosa alle spalle.
Non è reale, è solo nella tua testa.
Lei non esiste.
Nonostante quel mantra non mi sorpresi quando, una volta giratomi con ancora il coltello da cucina saldo in mano, l’avevo trovata sul vano della porta a fissarmi con la solita espressione riprovevole. Mi disse:
“Lo sai che non è finita, vero?”
Mi ero voltata strizzando gli occhi, controllando il respiro, e poi –sicura che la sua immagine fosse sfumata via- mi voltai per raggiungere il bagno adiacente e sciacquarmi il viso…ma con mio sommo orrore la Delacour era tre centimetri dalla mia faccia e non potetti non gridare e recuperare il coltello dal ripiano per cercare di scacciarla via. Jamie e papà tornarono dal loro solito giretto trovandomi mentre colpivo l’aria urlando cose disperate che non vi starò nemmeno a ripetere. Quella era stata una delle mie crisi peggiori, ricordo ancora le braccia di mio padre stringermi come se fossi tornata ad essere una bambina di cinque anni, così come ricordo lo sguardo apprensivo che Jamie gli aveva lanciato sopra la mia testa.
Non avevamo trovato una spiegazione plausibile per quelle visioni: forse erano solo il frutto di quello che avevo vissuto, quindi la mia paura proiettata a grandezza naturale nel mio presente oppure –e questa ipotesi era quella che più mi spaventava- la Delacour stava cercando di torturarmi invadendo la mia mente. Mi spaventava perché, per farlo, significava che non solo era riuscita a salvarsi ma che non doveva essere nemmeno così lontana.
I telegiornali parlarono per mesi della distruzione del collegio, ancora non venendo a capo della natura dell’incendio. Nessun reportage aveva riportato il ritrovamento del corpo di Jennifer o…di William. I due erano semplicemente scomparsi, proprio come se non fossero mai esistiti.
Jamie, che si sforzava a tutti i costi di risultare ottimista, diceva che forse era impossibile ritrovare dei resti dove prima si era scatenato un vero e proprio inferno, ma, in risposta, c’era Mr Collins che c’invitava a non farci troppe illusioni poiché era molto più probabile che William fosse riuscito a trarre in salvo sia sua madre che quel lurido traditore di Henry. Per quest’ultimo non cercavo di preoccuparmi troppo perché, se mio padre aveva ragione, allora ci avrebbe pensato la Delacour a farlo fuori.
Quando si parlava dell’istituto era impossibile che i riflettori non si spostassero sul fatto di cronaca nera riguardante una giovane ragazza trovata assassinata proprio in quel luogo, proprio quella notte: Nicole Lamberg.
A Londra scoppiò una vera e propria psicosi: tutti credevano che nella City si nascondesse un pazzo maniaco. Uno nuovo squartatore, giusto per riproporre uno degli orrori della Storia.
Era difficile e oltremodo doloroso sentire quelle chiacchiere e sapere che, no, non c’era nessun maniaco dietro il corpo straziato di quella ragazza, bensì un mondo oscuro fatto di sangue e di vampiri.


Assistetti al funerale di Nicole in uno stato di torpore. Jamie tentò più volte di trasmettermi il suo sostegno stringendomi la mano, un gesto che non riuscii in nessun modo a ricambiare. Ero straziata da un unico e ridondante pensiero: cosa sarebbe accaduto alla nostra amica se la sua ossessione per i vampiri fosse rimasta confinata ad esistere solo come un mero passatempo? Sarebbe rimasta viva.
Mi sentii mancare, ad un certo punto della cerimonia ma, proprio mentre frugavo dentro di me per trovare la forza di alzarmi e uscire a prendere una boccata d’aria, Jamie toccò il mio braccio con il gomito per invitarmi a guardare tra i primi banchi: accanto ad una addolorata Danielle Lamberg –la quale aveva stretto me e Jamie in un abbraccio talmente sentito che entrambe eravamo scoppiate a piangere tra le sue braccia, dando inizio a dei versi così disperati da non riuscire a trattenerli-, vi era il famoso George. La sua grossa mano percorreva la schiena ricurva di Danielle, e ogni tanto si guardava intorno come per condividere con gli altri, attraverso uno scambio di sguardi, tutto il suo dispiacere. Sperai che incrociasse il mio, di sguardo, per fargli intendere quanto, pur non conoscendolo, mi ripugnasse. Il fatto era che Jamie mi aveva confessato che, poche ore prima della tragedia (quando Nicole l’aveva raggiunta in ospedale), le confidò con un certo imbarazzo il vero motivo per il quale si era ritrovata a decidere di rinchiudersi in un collegio. Ed era perché stava scappando. Scappando dagli sguardi viscidi di quell’uomo, dai suoi modi bruschi quando lei si ritraeva da una sua carezza, stanca per il non vedere della madre e il suo costante adorarlo e, ad un certo punto, in colpa, perché aveva paura di aver confuso gli atteggiamenti di George con la sua immaginazione. Ma ogni volta andava incontro ad un accadimento che la portava a ricredersi. E così si era ritrovata in un circolo senza fine. Quando fu il momento di trasportare la bara al cimitero le gambe di Danielle cedettero e si accosciò su di essa, spargendo i petali dei fiori a terra sotto il suo peso e facendo dondolare le corone a cui aveva cercato di aggrapparsi. Mi si strinse il cuore dinanzi quella scena, e Jamie –che aveva cercato di resistere stoicamente fino allora- ricominciò a piangere rifugiandosi contro la mia spalla.
Io non riuscivo a non ricambiare lo sguardo sorridente che Nicole sembrava donare a tutti noi all’interno della cornice che svettava sopra la sua bara. Doveva essere stata scattata un’estate prima, quando ancora la sua pelle era abbronzata e i suoi capelli più tendenti al castano che al nero corvino su cui spiccava un grosso fiore giallo; dalle sue guance s’intuiva che avesse avuto anche qualche chilo in più.
Era così che volevo ricordarla: radiosa, un’ottima amica sempre con la battuta pronta sulle labbra e attaccata incondizionatamente alla vita.


I giorni successivi al funerale di Nic tornarono a succedersi all’insegna dell’apatia, privi di senso come tutto ciò che mi circondava, e avevo preso la brutta abitudine di non fare assolutamente nulla se non rifugiarmi nel ricordo di quell’ultima notte. Anche se, in cuor mio, sapevo che avevo ben altro su cui riflettere perché, John Collins, mi aveva lanciato un vero e proprio ultimatum. Erano trascorsi quasi quattro mesi d’allora e il tempo a mia disposizione era agli sgoccioli.

Papà mi aveva raccontato tutto ciò che assieme alla mamma mi aveva taciuto. Di fronte a tre tazze di thè bollente e ad una Jamie insolitamente silenziosa sprofondata tra i cuscini del divano, ascoltammo come due spettatrici la storia che mi era stata nascosta da tutta una vita.
“Al contrario di te, Emily, sono stato consapevole delle mie origini fin dalla nascita. Sapevo quale peso dovevo trascinarmi sulle spalle e sapevo che mia figlia sarebbe stata –secondo un’antica credenza- l’ultima dei Collins. Ero giovane, disincantato sotto certi versi, e al contrario degli altri cacciatori mi facevo beffe di quelle parole. Trascorsi la mia infanzia e la mia adolescenza cacciando i vampiri più pericolosi, perdendo mio padre in uno di questi incontri.” Era raro sentir John accennare una parola sul nonno che non avevo conosciuto, per anni era sempre stato un fantasma senza troppa consistenza e in quel momento, vedere mio padre in silenzio con quell’espressione remota e imperscrutabile vidi anche il Cacciatore che era. Riscuotendosi da quel ricordo, proseguì: -“conobbi tua madre poco tempo dopo e fu la cosa più bella che mi sia mai capitata. Era una normale fioraia che mandava avanti il suo atelier in centro; riuscì a curarmi le ferite che non potevo spiegarle, riuscì a comprendere i miei silenzi senza conoscerne l’origine, riuscì persino ad ignorare le mie assenze nei giorni in cui i calendari di tutto il mondo annunciavano una qualche festività. Lei si fidava di me senza nessuna base, e ciò mi convinse ad iniziarla nel mio mondo. Egoisticamente volevo farle assaggiare quella fetta della mia vita, per poi augurarmi che non scappasse, che rimanesse avida di caccia e adrenalina come lo ero io. Avevo questa strana convinzione che potesse essere un’ottima cacciatrice. E, sorprendentemente, lo fu.”
“La signora Collins ha accettato di diventare una cacciatrice per amore?” Jamie non era riuscita a tenersi dentro lo sgomento e, voltandomi brevemente per guardarla in viso, notai che stava combattendo una silenziosa battaglia: provare deplorazione per mio padre o sospirare per un atto d’amore così grande da parte di mia madre?
“Naturalmente credeva di aver a che fare con un pazzo. Vampiri, diceva, esistono solo nelle pellicole e nei libri. Magari, gli rispondevo io. Fin quando non andammo in Francia, nel luogo di ritrovo per eccellenza di tutti i cacciatori. Il suo viso stupito, quella leggera e unica lacrima che scorse dal suo occhio… non potrei mai dimenticarmi di quel giorno. Ad ogni modo, rimanemmo nel territorio francese per un po’ e nel giro di breve tempo tua madre divenne una straordinaria cacciatrice, quasi fosse nata per questo.”
Dopodiché, mio padre si perse nell’annoverare le missioni più significative svolte assieme, per poi arrivare al punto in cui, con una sorta di turbamento, aveva appreso della gravidanza inaspettata di mia madre.
“Per regola e sincerità le era stato detto della profezia che tutti sembravano temere, così decidemmo di non avere figli. Ma lei mi aveva ingannato, perché nonostante la nuova vita che conduceva non aveva mai accantonato il desiderio di avere un bambino, di costruirsi una famiglia. Mi arrabbiai –non perché di colpo credessi alla predizione- ma perché il Circolo cominciò a fremere, a bramarti. La ragazza leggendaria stava per nascere e al compimento del suo sedicesimo compleanno sarebbe entrata a far parte ufficialmente della rosa dei cacciatori.”
Quelle parole e lo sguardo intenso che mio padre mi diede mi fecero provare un tuffo al cuore.
Fremevano, continuavo a ripetermi dentro di me, mi bramavano.
“Per questo voltammo le spalle al Circolo. Né io né tua madre avevamo preso in considerazione l’ipotesi di interrompere la gravidanza. Gli Stryder, che erano a capo del Circolo, sostennero me e tua madre in segreto, aiutandoci a progettare la fuga dalla Francia, anche se in pubblico ci condannarono come traditori. Così, tornammo a Londra. Quello che non sapevamo era che la Delacour –conosciuta solo attraverso le testimonianze dei nostri antenati- aveva appena iniziato a darci la caccia. Gli altri membri della nostra famiglia fecero di tutto per ostacolarla… io e tua madre cercammo più e più volte di supplicare il Circolo a darci una mano, ma l’aiuto non arrivò mai e la Delacour era sempre più vicina a noi. Per un po’ parve scomparire, come se avesse desistito nel cercarti; in realtà aspettava l’arrivo del tuo sedicesimo compleanno…”
“Okay, so come è andato il resto della storia. Vi ha raggiunto e ha cercato di uccidervi. Cioè, con mamma ci è riuscita.”
“Con tua madre ci è riuscita”, rimarcò mio padre e vidi guizzargli un nervo della mascella,-“stringevo ancora la sua mano quando… dunque Jennifer non si era resa conto che ero ancora vivo. Dopodiché anche nella mia testa scattò un piano: vivere nell’ombra, attendere, fino a quella fatidica notte. Era l’unico modo per cercare di fermarla e dimezzare quello che è il suo esercito. Perché temo che nel mondo ci siano altri suoi aiutanti in attesa di un suo richiamo.”
Ci un breve istante di silenzio prima che io riuscissi a riconoscere il sentimento della rabbia che ribolliva dentro di me, quasi gridai:
“Hai lasciato che torturassero nonna.”
“Non parlarmi con quel tono, Emily. Tu non sai quanto mi si costato tutto questo. Tua nonna era una cacciatrice esemplare, ero certo che il suo cuore avrebbe resistito a tutto quello che ha passato. E poi non l’avrebbero mai uccisa senza prima entrare in possesso del pugnale. Questo era nascosto in un angolo della casa, incastrato in un libro intagliato, e ti giuro che nemmeno se avessero rivoltato tutto lo stabile avrebbero potuto trovarlo.”
“Hai lasciato che io combattessi con dei vampiri…”
Avevo quasi perduto la voce, come se mi rendessi conto della sua effettiva presenza proprio in quell’istante. Mi aveva fatto credere di essere morto per arrivare all’agognato incontro con Miss Delacour, probabilmente era un incontro che entrambe le parti avevano premeditato con la medesima sete di distruzione. Era crudele, a pensarci, ma negli occhi di mio padre lessi tutta la fatica che gli era costato quel gesto. Presumevo che, portare rancore verso di lui, non avrebbe condotto nessuno dei due in nessun posto; c’erano altri sentimenti a cui dover dare la precedenza.
“Sarei corso in tuo aiuto se le cose si sarebbero messe male. Come ho fatto, proprio come avevo pianificato. L’epilogo non ci suggerisce una vittoria ed è per questo, Emily, che oggi io voglio darti la possibilità di scegliere.”
Le sue ultime parole furono talmente cariche di un qualcosa di solenne che l’atmosfera nella stanza sembrò arrestarsi, assieme a tutto il movimento della città che proveniva dalla finestra dischiusa. E così mio padre lo disse:
“Devi scegliere se fuggire o andare incontro al tuo destino. Se tu non vorrai sapere niente di tutto questo, allora troverò il modo di farmi riaccettare nel Circolo e cercare la Delacour e tutta la sua famiglia e ucciderla prima che possano riaprire le cripte. Se decidi di abbracciare il tuo destino, allora partiremo per la Francia e daremo inizio alla Seconda Caccia. Ti do quattro mesi di tempo a partire da oggi per riconciliare tutte le emozioni che senti, dopo di che non potremmo più aspettare un giorno in più. La Delacour ha pianificato tutta la sua esistenza per attirarti nella sua trappola, non ci metterà molto prima di tornare di nuovo. E dobbiamo essere pronti, qualsiasi sia la tua scelta.”
Detto ciò, papà si alzò guardandomi con l’espressione di chi già sapeva quale sarebbe stata la mia risposta. Mi voltai verso Jamie e colsi nel suo viso la medesima espressione di mio padre.


Ora, camminando a Trafalgar Square, sotto gli occhi vigili dei leoni di bronzo che sembravano controllare il traffico incessante della piazza, ero giunta all’unica soluzione possibile. Per raggiungere William, fermare la Delacour e vendicare chi amavo avevo bisogno di diventare colei che tutti sembravano attendere.
La sete di vendetta offuscante che avevo provato quella sera si era instillata dentro di me e ribolliva nei momenti più inaspettati e, per placarla, pensai, avrei dovuto agire. Stare con le mani in mano aspettando una giustizia indiretta non faceva per me. Forse per la vecchia innocente Emily, ma non per la Emily determinata e consapevole che stavo conoscendo in quei giorni. Qualcosa dentro di me si era rotto per sempre, e se avrei potuto in qualche modo ripararlo…beh, ero pronta per farlo.
Mi ero presa una giornata di solitudine non tanto per riflettere sulla mia scelta quanto per prepararmi nel dire addio all’ultimo assaggio di normalità che mi spettava.
Entrai nell’appartamento e trovai Jamie a gambe incrociate sul divano intenta a leggere un romanzo.
“Dov’è mio padre?”, le chiesi affannata per aver corso lungo le scale. Lei trasalì strappandosi dalle pagine di quel libro e m’indicò con l’indice il piano superiore.
“Nel suo studio”, precisò,-“è successo qualcosa?”
“Non ancora, sorellina.”
Mi aggrappai al corrimano e salii le scale due a due, fino ad arrivare di fronte alla stanza che mio padre aveva trasformato in uno studio tale e quale a quello che aveva nella nostra vecchia abitazione. La porta era aperta, e lo scoprii intento nel mirare lo skyline della City dalla lunga e ampia vetrata. Mi dava le spalle, sembrava assorto in un’intima conversazione con se stesso anche se non potevo vedere il suo viso, con le braccia intrecciate dietro la schiena e le dita che giocherellavano distrattamente con la fede che ancora portava al dito.
Richiamai la sua attenzione bussando con le nocche contro la superficie della porta, e lui girò il capo per guardarmi da sopra la spalla.
“Papà, non sono qui come tua figlia”, annunciai entrando nella stanza sapendo di star usando le parole che voleva sentirsi dire,-“ma ti sto parlando da cacciatrice a cacciatore: diamo inizio alla Seconda Caccia.”
Il suo viso non fu attraversato da una particolare emozione, si limitò a rimanere in silenzio ad osservarmi in controluce, tanto che mi venne da pensare se la scelta cui avevo appena dato voce fosse stata diversa da quella che si aspettava lui.
Ma poi un sorriso si fece pian piano largo sulle sue labbra, riflettendosi sul mio volto.
Ero sul sentiero giusto. Forse sarebbe stato ancora più tortuoso, difficile, sofferto, ma, nonostante tutto, giusto.
Nel frattempo, alle sue spalle, il cielo di Londra si tingeva di rosso.




Angolino autrice: E siamo arrivati alla fine di questa avventura. Io davvero non so cosa dire!
Come già vi dissi nel primo capitolo, 'Going Under' è la prima storia che ho concluso qualche annetto fa. Essa nacque nella mia testa intorno ai quindici/sedici anni e ne sono molto affezionata, sebbene il mio stile e il mio modo di raccontare storie sia ovviamente evoluto. Ma volevo lasciar camminare questa storia da sola, e ringrazio tutte le persone che l'hanno seguita, che l'hanno commentata e che l'hanno aggiunta nei loro elenchi. E' un onore e un piacere sapere di avervi tenuto compagnia. Adesso, prima che mi commuova sul serio, è bene che io vi saluti e...alla prossima avventura!

PS: Immagino che voi l'abbiate compreso, ma 'Going Under' è una storia che ha un seguito. Ancora NON scritto. Attualmente mi sto occupando di un altro progetto che mi sta togliendo davvero tanto tempo ed energie, ma un giorno credo proprio di proseguire nel raccontare l'avventura della mia Emily e del suo William.
   
 
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