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Autore: SonounaCattivaStella    10/04/2015    1 recensioni
[RanTaku][Fict scritta a quattro mani con Beta Chan per il compleanno di Ale_chan_23! Auguri bella pimPuzzola! ♥ Ti voglio bene ^^]
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"Takuto ormai se lo ricordava, eccome se se lo ricordava...
Il loro primo incontro era stato qualcosa di così semplice, involontario, ma particolare al tempo stesso, che era impossibile per entrambi dimenticarselo.
Certo, magari non si era presentato nel migliore dei modi, scambiando persino il suo migliore amico odierno per una ragazza con la "a" maiuscola, ma fatto sta che da quel giorno, quel bambino dai capelli mossi e l'aria un po’ triste, smise di starsene da solo i pomeriggi e cominciò a parlare, sorridere, e addirittura ridere di gusto con quel simpatico ragazzetto conosciuto, Kirino Ranmaru.
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Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kirino Ranmaru, Shindou Takuto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Incanto

 
 
Come quando io ti ho visto per la prima volta
Tra milioni di occhi la vita si nascose
Come fissare il sole e in una notte
Far sparire tutti gli altri in un secondo come niente


In un caldo pomeriggio di luglio, un raggiante e felice bambino dai capelli castani e i grandi occhi color del cioccolato, correva per tutto il parco calciando un pallone, incurante dei rimproveri della sua badante che lo inseguiva esasperata.
«Signorino Shindou! Finirà per cadere e farsi male!»
Lui continuava a correre ridendo come solo un bambino di otto anni può fare, saltando ed evitando ogni ostacolo che gli si parava davanti, senza mai lasciare un secondo il suo amato pallone da calcio. Aveva scoperto da poco quel magnifico sport e se n’era innamorato in un attimo, tanto che aveva convinto – dopo svariate suppliche e piagnistei – sua madre a comprargli un pallone e lasciarlo giocare libero nel grande parco vicino casa. Certo, le ore che passava lì erano limitate e supervisionate dalla sua fidatissima badante, ma lui si divertiva un mondo anche se spesso capitava che cadesse sbucciandosi un po’ le mani e le ginocchia – e li poi partiva uno dei suoi lunghissimi piagnistei capaci di allagare tutto il quartiere – o che si ritrovasse a giocare da solo visto che non aveva poi tutti questi grandi amici.
Mentre provava ad inventarsi qualche nuova tecnica di tiro, calciò la palla più forte del dovuto facendola arrivare dritta contro il robusto tronco di un albero. Trotterellò fino alle radici sulle quali il pallone si era fermato placidamente e fu in quell’esatto momento che un singulto soffocato attirò la sua attenzione. Girò attorno al tronco dell’albero – curioso di vedere chi o cosa aveva provocato quel suono – e rimase sorpreso nel trovarsi davanti una bambina dai capelli rosa come lo zucchero filato alla fragola raccolti in due eleganti codini che studiava attentamente una piccola ferita sul suo ginocchio. Spostò lo sguardo e vide che vicino a lei c’era una bicicletta riversa a terra e ne dedusse che la bambina dovesse essere caduta proprio da lì, facendosi male.
«Ehi, serve una mano?»
Da bravo bambino qual era si fece avanti per darle una mano, in fondo lui sapeva benissimo quanto potesse fare male sbucciarsi un ginocchio. La bambina alzò lo sguardo trasalendo nel sentire la sua voce – non l’aveva sentito arrivare, troppo presa dalla ferita sul ginocchio – e puntò le iridi azzurre come il cielo d’estate, velate da un leggero strato di lacrime, in quelle castane dell’altro che rimase imbambolato di fronte alla profondità di quello sguardo e alla bellezza in generale di quel visino.
«N-No, grazie. Sono caduto e mi sono solo sbucciato un po’ il ginocchio, tutto qui.»
Il castano non si rese conto che la bambina aveva parlato di se al maschile, era stato attento solo al tono tremante con il quale aveva pronunciato la frase. Si capiva benissimo che stesse mentendo e che aveva bisogno di una mano.
«Aspetta qui, torno subito.»
Corse a tutta velocità dalla sua badante e, attaccandosi al suo grembiule, prese a supplicarla di dargli un fazzolettino e un cerotto. Sapeva che ne aveva tanti dietro dato che lui cadeva spesso e volentieri facendosi male e sapeva anche cosa fare con una sbucciatura come quella della bambina.
«Perché me li chiede? Si è fatto male, signorino?» Chiese preoccupata di fronte alla richiesta del suo giovane padroncino.
«No, non è per me. Una bambina è caduta dalla bicicletta e si è sbucciata il ginocchio. Voglio darle una mano.» Rispose gonfiando il petto, fiero dell’azione che stava per compiere.
La badante sorrise di fronte all’espressione che si era dipinta sul volto del giovane Shindou e decise di dargli ciò che chiedeva. Lui prese tutto e, prima di tornare dalla bambina, si diresse alla fontanella del parco per bagnare il fazzoletto. Corse di nuovo in prossimità dell’albero e fu felice di vedere che la bambina dai bellissimi occhi azzurri era ancora lì, con il pantalone arrotolato fin sopra il ginocchio e le iridi che continuavano a studiare i piccoli taglietti dai quali usciva qualche goccia di sangue scarlatto.
«Eccomi! Ora puliamo la ferita e ci mettiamo su un bel cerotto.»
Ripeté le parole che spesso gli rivolgeva la badante con un grosso sorriso quando medicava le sue ferite e si apprestò a pulire la sbucciatura con il fazzolettino bagnato. Sentiva su di se il peso di quelle iridi cristalline che lo scrutavano in un misto di perplessità e gratitudine ed arrossì appena, sperando che quel rossore passasse inosservato all’altra. Quando mise il cerotto sulla ferita spostò di nuovo le iridi sul viso fine della bambina e sorrise fiero del suo lavoro.
«Ecco fatto! Ora, così, guarirà prima.»
«Ti ringrazio! Sicuramente mia mamma si sarebbe preoccupata vedendomi tornare a casa con la ferita che mi sono procurato. Sono caduto come un salame dalla bicicletta…»
Questa volta il castano si accorse del fatto che la bambina aveva usato il maschile per parlare di se stessa e la guardò perplessa mentre si rimetteva in piedi sistemandosi i pantaloni. Magari aveva sentito male lui.
«Comunque io sono Kirino Ranmaru.»
La guardò con tanto d’occhi quando sentì il nome della presunta bambina e capì che non aveva sentito male. Aveva scambiato un bambino per una bambina. Ma come poteva immaginare, lui, che di fronte avesse un ragazzino quando questi aveva tratti prettamente femminili, a partire dai capelli rosa legati nei due codini fino ad arrivare ai magnifici occhi azzurri nei quali si era perso.
«Ehi, ci sei?» Una mano del rosato gli sfrecciava davanti agli occhi con l’intento di riportarlo con i piedi per terra dato che si era perso nei suoi pensieri.
«Oh, si, scusa. Io sono Shindou Takuto.» Rispose prontamente sorridendo a quel bambino tanto bizzarro.
«Signorino Shindou, dobbiamo tornare a casa!»
In lontananza arrivò la voce della badante che annunciava la fine delle sue due piccole ore di divertimento. Il sorriso si spense immediatamente, odiava dover tornare a casa dopo aver passato quelle ore a giocare. Quando rientrava lo aspettavano una montagna di compiti e lezioni di piano con un maestro scorbutico e tanto antipatico.
«Scusami, io ora vado.» Disse mogio mogio salutando Ranmaru con un cenno.
«Aspetta! Domani vieni di nuovo qui a giocare?»
«Si, perché?»
«Ti andrebbe di rivederci di nuovo qui e magari… mi insegni a giocare a calcio?» Ranmaru lo guardò sprizzando gioia e speranza da tutti i pori, accennando appena verso il pallone che se ne stava ai piedi del castano quando questi lo guardò interrogativo.
Takuto si illuminò sentendo la proposta del rosato e non poté fare a meno di accettare, felice come non mai. Finalmente aveva trovato un amico.


 
Dopo un lungo inverno accettammo l'amore
Che meritiamo di pensare o pensiamo di meritare
Per questo a volte ci facciamo così male…


Takuto ormai se lo ricordava, eccome se se lo ricordava... 
Il loro primo incontro era stato qualcosa di così semplice, involontario, ma particolare al tempo stesso, che era impossibile per entrambi dimenticarselo.
Certo, magari non si era presentato nel migliore dei modi, scambiando persino il suo migliore amico odierno per una ragazza con la "a" maiuscola, ma fatto sta che da quel giorno, quel bambino dai capelli mossi e l'aria un po’ triste, smise di starsene da solo i pomeriggi e cominciò a parlare, sorridere, e addirittura ridere di gusto con quel simpatico ragazzetto conosciuto, Kirino Ranmaru. 
Ormai quel nome gli era entrato fin troppo bene in testa e, a quanto pare, non sembrava volerne uscire più.
Ma Takuto non ci badò molto, troppo impegnato ad osservare lo scorrere del tempo vicino a lui. Infatti, da quei tempi, gli anni passarono com'era naturale fare, d'anno in anno.
Il piccolo pianista non faceva altro che crescere, crescere e maturare nel suo giardino della villa, sempre a stretto contatto con il ragazzo dai capelli rosa che tanto tempo fa aveva conosciuto e con il quale giocava abitualmente al più bello sport della terra per loro, il calcio. Calciare un pallone gli dava felicità ed allegria, questo e basta.
Forse era anche per questo che quei due si erano subito presi per il verso giusto, diventando velocemente amici. Shindou ne era sicuro: era soprattutto grazie alla loro passione comune del gioco di squadra se ora erano così affiatati e sorridenti.
Ma gli anni ancora passavano, ed i piccoli bambinelli spensierati smisero di essere degli innocenti ragazzini di tenera età. Il tempo sembrava essere volato, dileguato nel nulla.
Ora, in quel momento, erano semplicemente degli adolescenti. O meglio, adolescenti alle prime armi, perché non sembravano poi così maturi per quella loro particolare età.
Capodanni, feste in maschera, compleanni, giorni comuni... tutte queste cose si susseguivano allo stesso modo nella vita di Shindou. Era tutto così omogeneo da sembrar addirittura una routine da dove era impossibile uscire. Però al castano piaceva. Forse, a dirla tutta, quell'età gli piaceva veramente. 
Trovava divertente tutto ciò che i suoi coetanei ed amici gli proponevano, viveva nella tranquillità più assoluta... e forse questo grazie unicamente ad una persona importante per lui più di qualunque altro: Kirino Ranmaru. 
Anche quella "bambina" era cresciuta; il corpo innocente di un tempo si stava trasformando lentamente in quello di un uomo, i primi problemi con il fisico acerbo iniziarono ovviamente anche per lui, e quello gli bastò per capire che non era più un ragazzino, ma una persona "abbastanza" matura. 
Stessa cosa per Shindou, anche se il pianista forse non viveva più così felicemente da un po’ di tempo passato. Forse non era neanche così maturo come molti pensavano.
Magari erano le valangate di compiti che i professori gli davano, o forse le lezioni di piano divenute sempre più ostili e stressanti... ma no, Takuto forse sapeva il motivo di quella strana sensazione dentro di lui, ed il solo pensarci lo terrorizzava, lo doveva ammettere in fin dei conti. 
Forse per gli altri non era così chiaro, ma per lui la risposta alle sue domande si stava pian piano mettendo a fuoco: la causa era Ranmaru, il suo primo amico. 
Non sapeva bene se era nella normalità provare strane emozioni con un suo compagno di giochi, ma fatto sta che l'adolescenza era anche conosciuta come l'età delle cotte e degli ormoni a mille, e forse era anche per questo che Shindou sentiva in qualche modo di essere attirato da quei codini rosa – a parer suo magnifici –. 
Però non era detto che tutto andasse bene. L'adolescenza poteva essere anche l'età delle insicurezze, dei pensieri mai espressi e dei dubbi che si accavallavano nella mente. 
Quella di Takuto era una mente confusa, su questo non c'era dubbio. E lo capì lui stesso a maggior ragione, in un giorno feriale, precisamente un Sabato, quando – com'era consuetudine fare tra loro – Ranmaru era venuto a dormire a casa del pianista. 
Ora, forse per molti non era niente di che, ma per Shindou il pensiero di avere Kirino a pochi centimetri da lui, disteso nella stessa camera, lo elettrizzava e imbarazzava parecchio... troppo.
Ed infatti fu proprio in quello strano giorno che cominciò a capire ed a confermare certe attrazioni nei confronti del suo amico rosato, il quale sembrava essere solare e sorridente com'era sempre stato.
Per Shindou invece non si poteva dire lo stesso... magari era un "periodaccio". 
Quello era senza dubbio un periodo dove appariva 'strano' nei confronti altrui, specialmente in quelli di Ranmaru, il quale il pianista cercava in tutti i modi di ignorare per non provare più attrazione, ma ottenendo come risultato quello di stargli ancora più vicino, visto che era praticamente impossibile ignorare il suo migliore amico. 
Ma forse il problema era proprio quello: era il suo migliore amico... e quale persona – se non lui – poteva mai innamorarsi del proprio migliore amico?! 
Era da pazzi! Da folli! Da pazzi e da folli insieme! Visto che Shindou sapeva benissimo, al cento per cento, che se solo avesse azzardato a farsi avanti, magari solo con qualche sguardo o parola in più, la loro amicizia sarebbe probabilmente precipitata in mare.
"L'amicizia blocca l'amore". Questa era la regola che ogni giorno si ripeteva per non pensare all'altro come ad un rimpianto; però non sempre era efficace... a volte rischiava quasi di superare il confine dell'amicizia, e quando se ne rendeva conto, cercava di evitare quei codini rosa per un po’, almeno finché le acque non si fossero calmate. 
Non doveva farsi scoprire. No, non poteva. Non avrebbe messo tutto in disordine per un suo stupido desiderio. Quella era la sua teoria e nessuno poteva permettersi di contraddirla.
Però fatto sta che i giorni passavano e l'attrazione cresceva.
La sua cotta aumentava, aumentava smisurata, e sapeva che ben presto avrebbe detto addio alle sue buone intenzioni per mimetizzare il tutto, perché la follia dell'adolescenza lo stava man mano consumando. Non sarebbe riuscito a resistere ancora molto davanti a Ranmaru. Gli piaceva, oramai ne aveva avuto la conferma pure da se stesso.
E quindi... che doveva fare ora? Farsi avanti, o no? 
Ovviamente no. Lui avrebbe sempre pensato così... ma forse nella vita reale, nei fatti, tutto poteva cambiare.


 
Desidero sapere dove va a finire il sole
Se il freddo delle parole gela lo stupore
Se non ti so scaldare né curare dal rumore
Ho soltanto una vita e la vorrei dividere
Con te che anche nel difetto e nell'imperfezione
Sei soltanto... incanto, incanto


Erano diversi giorni che il suo migliore amico non si presentava a scuola e dire che Takuto fosse preoccupato era decisamente riduttivo. Avrebbe dovuto passare da casa sua e vedere cosa era successo, ma non ne aveva auto il tempo materiale. I compiti che quei tiranni dei loro professori gli assegnavano erano infiniti e aggiungendoci anche le lezioni di piano – a cui sua madre lo aveva costretto sin da piccolo – e gli allenamenti di calcio il castano arrivava a fine serata così stanco da non avere nemmeno la forza di afferrare il telefono, comporre il numero e aspettare la risposta del rosato.
Quel giorno, però, si era messo in testa che avrebbe mandato tutto gentilmente a farsi benedire per andare a trovare Ranmaru. Come scusa – che poi tanto scusa non era – aveva rifilato a tutti il fatto che dovesse portare all’amico i compiti svolti in quei giorni, per far si che non restasse indietro col programma. A dire la verità era maledettamente preoccupato ed anche il fatto che nemmeno l'amico lo avesse chiamato per avvertire della sua assenza gli faceva salire dentro una malcelata ansia. In quegli anni di amicizia non era mai capitato che l'uno o l'altro dimenticasse di avvisare se era in programma di saltare le lezioni. E poi doveva ammetterlo, avvertiva la mancanza del suo compagno ogni giorno sempre di più. La scuola diventava noiosa se non aveva Ranmaru seduto un banco dietro a lanciargli, ogni tanto, qualche bigliettino di nascosto per scambiarsi brevi messaggi, col rischio di farsi beccare dai professori e ricevere una bella lavata di testa. Avevano passato molti momenti insieme da quando, in quel caldo giorno di luglio, si erano incontrati; si poteva ormai affermare che Ranmaru fosse diventato il centro di gravità della vita di Takuto. Anzi, era diventato il centro di tutto ciò che riguardava il castano. Da quando aveva capito di provare qualcosa che andava oltre la semplice amicizia nei confronti del rosato, esso era costantemente presente nei pensieri e nel cuore di Shindou.
Arrivato davanti al portone di casa Kirino, suonò il campanello per ben due volte prima che la madre dell’amico si decidesse ad aprirgli. Lo salutò calorosamente quando vide che si trattava di lui e non di qualche venditore porta a porta che ogni volta voleva incessantemente rifilargli qualche strano oggetto dal dubbio utilizzo.
«Se cerchi Ranmaru è su, in camera sua.» Disse la signora Kirino dopo averlo fatto entrare in casa.
Il tono e l’espressione che aveva assunto fecero alzare un sopracciglio al castano, perplesso. Gli era sembrata preoccupata ed anche un po’ afflitta, cosa che fece salire ancora di più quell’ansia che divorava Takuto ormai da giorni. Salì le poche scale che portavano al piano superiore e, giunto di fronte la porta dell’accogliente stanza dell’amico, bussò prima di entrare. La camera era parzialmente in penombra – dato che le leggere tendine della finestra erano tirate a coprire il panorama della città – e, sotto un ammasso aggrovigliato di lenzuola e piumino, se ne stava Ranmaru che respirava in modo lento e cadenzato, segno che stava dormendo. Il castano si avvicinò al letto, si sedette sul bordo e guardò il profilo dell’amico con un leggero sorriso sulle labbra. Perse alcuni secondi a studiarlo meglio, non gli capitava spesso di poter godere di questo piccolo privilegio. Quando dormivano insieme passava maggior parte del suo tempo a dargli le spalle, imbarazzato per i segnali che il suo corpo gli lanciava ogni volta che sentiva quello dell’altro così vicino.
Con gli occhi accarezzò lieve il profilo fine del viso del rosato, studiò a lungo la curva delle lunghe ciglia che gli sfioravano una guancia ad ogni respiro, osservò gli strani giochi di forme che i capelli sciolti creavano sul cuscino candido ed infine rimase in contemplazione di fronte alle labbra piene e rosee che più volte aveva sognato di poter far sue in un bacio. Fu proprio nell’osservare quelle labbra che si accorse di un taglio – abbastanza profondo da essere ancora rossastro e gonfio – che deturpava la morbidezza del labbro inferiore. Aggrottò le sopracciglia abbastanza perplesso, chiedendosi come si fosse procurato un taglio del genere. Avrà forse sbattuto contro qualcosa? Incerto, allungò le dita affusolate da perfetto pianista fino a toccare la zona incriminata. Ranmaru mugugnò appena nel sonno e si rigirò mostrando completamente tutto il viso. Takuto restò basito di fronte a ciò che vide: la parte destra del volto del rosato era decorata da un grosso livido violaceo all’altezza dell’occhio e da alcuni graffi in via di guarigione sulla guancia liscia. Il castano era a dir poco sgomento; cosa diamine era successo?
«Kirino?» Lo chiamò spostando alcune ciocche rosa da sopra quella zona maltrattata, con la paura che anche un piccolo sfioramento potesse fargli male.
Ranmaru mugugnò nuovamente prima di socchiudere le palpebre e sbatterle più volte per mettere a fuoco ciò che aveva davanti. Quando inquadrò il viso dell’amico restò un attimo sbigottito nel trovarselo a pochi centimetri, poi gli sorrise mettendosi seduto e salutandolo calorosamente.
«Non sei venuto a scuola in questi giorni, ero preoccupato per te… cosa ti è successo?» Takuto parlava con tono serio, studiando attentamente i comportamenti del rosato per scorgere anche la più piccola traccia di bugia.
«Oh, niente. Se ti riferisci a questo… ho solo sbattuto contro un palo come un cretino.» Rispose Ranmaru forzando le labbra in un sorriso così falso che sarebbe stato palese anche al più piccolo dei bambini capire che stava mentendo.
«Non dirmi bugie, Kirino. Ti conosco troppo bene e, primo, hai dei riflessi davvero eccezionali per andare a sbattere contro un palo come uno stupido, secondo, non sei mai stato bravo a mentire. E poi lo sai che con me non ce n’è bisogno…» Addolcì il tono quando vide l’amico abbassare le iridi cristalline, colpevole, puntandole sul lembo di lenzuolo che aveva preso ad attorcigliare tra le dita.
«E va bene… ho fatto a botte con un gruppetto di ragazzi. Continuavano a darmi della femminuccia, non gli è andata a genio la mia risposta molto… colorita e mi sono saltati addosso.»
Takuto restò in silenzio di fronte a quella confessione. Dentro di se sentiva salire un miscuglio di sentimenti contrastanti gli uni dagli altri. Provava preoccupazione nel vedere quel viso così bello ridotto malissimo, rabbia nei confronti di chi aveva avuto l’ardire di aggredire il suo migliore amico solo per l’aspetto e poi, in fine, provava anche frustrazione nei suoi stessi confronti. Lui lo amava, amava quel ragazzo tanto particolare quanto unico, ma non riusciva a fare niente per proteggerlo da quel mondo ottuso che segue ostinatamente la moda e appioppa etichette alla gente neanche fossero dei barattoli da conserva. Se non riusciva a proteggerlo lui chi altri avrebbe potuto farlo?
Non disse niente, il castano, si limitò a guardarlo qualche secondo prima di slanciarsi e stringerlo in un caldo abbraccio, uno di quelli che, in tutta la sua vita, aveva riservato solo alla madre quando, da piccolo, la vedeva triste per la lontananza del padre troppo impegnato nel lavoro. Uno di quelli capaci di cancellare tutto il dolore, tutta la frustrazione, capaci di riempire il cuore di calore. Ranmaru, colto alla sprovvista, restò immobile alcuni secondi prima di ricambiare l’abbraccio stringendosi addosso il corpo dell’amico e affondando il volto nell’incavo tra collo e spalla. Le lacrime presero a rigargli il viso quasi senza accorgersene e, per una volta, toccò a Takuto stare in silenzio ad ascoltare il dolore dell’altro riversarsi sulla sua spalla.
Avrebbe voluto passare tutta la sua intera esistenza in quel modo, stretto tra le braccia del rosato ad accarezzargli leggero i lunghi capelli color ciliegio. Sentiva che non esisteva altro posto in cui stare. Non sarebbe riuscito a proteggerlo dal mondo, ma di certo avrebbe fatto di tutto per continuare a far parte della sua imperfetta vita.


 
Istantanee di secondi lunghi quanto un anno bisestile
Quando posi la tua testa su di me
Il dolore tace... incanto, incanto
Semplicemente incanto


Ranmaru non si era ancora staccato dall'abbraccio consolatorio in cui il castano lo aveva imprigionato poco fa e quest'ultimo non aveva la minima intenzione di lasciarlo scappare. 
In qualche modo, Takuto, si sentiva terribilmente in colpa con il ragazzo dai codini rosa. 
In un certo senso percepiva di aver toppato il suo dovere di migliore amico, per non essere intervenuto e arrivato abbastanza in tempo per evitare che quei cavolo di bulli picchiassero in modo così violento il rosato. 
Una calda lacrima scese silenziosa dalle ciglia di Shindou e, percorrendo tutto il viso del pianista, andò ad infrangersi proprio nella chioma di ciuffi rosa dell'amico. Ranmaru ebbe un sussulto e capì che anche Takuto stava piangendo.
Il castano non poteva ancora credere a ciò che era capitato al suo amico, non se ne faceva proprio una ragione. E di certo vederlo piangere in quelle condizioni non aiutava per niente, anzi, gli dilaniava il cuore.
Ma invece di disperarsi ulteriormente, Takuto decise di cambiare strategia e prese a fissare con sguardo attento la camera di Kirino. Ormai la conosceva esattamente come le sue tasche, sapeva quali oggetti vi erano esposti a memoria, e sapeva anche quali segreti il rosato nascondeva nei mille cassetti di quella piccola stanza. 
Ma se c'era una cosa che attirava sempre l'attenzione del pianista e lo sorprendeva sempre, quello era senza dubbio la miriade di foto che Ranmaru aveva sapientemente attaccato in una parete della sua camera. 
A guardare quegli scatti sul muro bianco, la mente di Shindou viaggiava in mille posti e momenti, desiderosa di raccogliere tutti quei ricordi che erano esposti in quella parete sotto forma di semplici fotografie.
Aveva sempre amato quest'abitudine di Ranmaru, quella di fotografare ogni anno che passava, le nuove esperienze e persone con cui era entrato in contatto, per mezzo della sua fidata macchina fotografica. A volte era peggio di Akane, questo Shindou doveva proprio ammetterlo.
A quel pensiero leggermente sadico, Takuto rise e riprese ad osservare intensamente le fotografie attaccate con un semplice nastro adesivo. 
Però, mentre le fissava, notò un particolare molto importante che più e più e volte si era accorto di aver ignorato: in tutte le foto che Kirino aveva scattato, Shindou compariva sempre. A volte era ritratto sorridente, altre emozionato, ed altre ancora leggermente malinconico, ma fatto sta che in tutte le pellicole, egli era sempre immortalato al fianco di Ranmaru. E quest'ultimo sembrava davvero felice in sua compagnia, addirittura euforico al fatto di vedere il pianista. 
Quindi forse non faceva così schifo come migliore amico... pensò il castano fra se e se, mentre gli scappò un sospiro difronte a quell'insieme di ricordi sulla parete. 
Fece per distogliere lo sguardo da quelle pellicole dense di tempo e significati, ma una in particolare attirò la sua attenzione: la foto in questione era proprio al centro di tutte le altre, e raffigurava i due ragazzi più giovani di un anno, festeggiare allegramente il compleanno del rosato. 
Però non era questo il motivo di tanto scalpore nella foto che Shindou aveva notato, ma bensì ciò che quest'ultimo stava facendo al volto, precisamente la guancia di Ranmaru: la stava baciando, in un modo e in una dolcezza quasi inaudita. Un semplice simbolo d'affetto, che diventava terribilmente imbarazzante, difronte alla faccia che il rosato aveva assunto nella fotografia... un misto tra sorpresa e confusione, la quale disorientava ancora di più il pianista.
Ranmaru aveva smesso di piangere, e Shindou lo aveva percepito, così quest'ultimo smise di guardare la parete con il collage di foto, e si concentrò su Kirino.
«N-Non mi dici niente?» Domandò con voce flebile il ragazzo dai codini rosa all'altro, ricominciando a piangere nuovamente. 
Era poco dire che era sofferente, perché a Shindou pareva completamente distrutto, a pezzi... e forse aveva pure ragione a pensarla così. Magari era vero.
Ma Takuto non gli rispose e prese a fissarlo quasi imbambolato. 
Forse non era il momento giusto per incantarsi sui lineamenti perfetti e femminili del suo migliore amico, ma fatto sta che lo fece. 
Quello era di certo un suo punto debole... il volto, il corpo del rosato, i suoi occhi, puri come l'oceano e adesso lucidi per il pianto appena fatto, erano tutti elementi che mandavano fuori di testa Shindou. E la sua pelle, candida come neve ed ora arrossata... quella era di sicuro la ciliegina sulla torta. Un incanto.
Takuto chiuse per un secondo gli occhi e poi li riaprì veloci per avvicinarsi sempre di più allo zigomo ferito di Ranmaru. Le iridi castane del pianista osservarono a lungo quel punto violaceo e gonfio della sua pelle, e poi il suo istinto decise di andare oltre e posarci sopra le labbra calde, proprio come nella fotografia che era attaccata nella parete.
In quel momento il tempo sembrava essersi fermato, come se una magia avesse bloccato tutto, incantata dalla scena che aveva difronte.
Shindou sentì il rosato sussultare, ma stranamente non ci diede peso, e continuò a baciargli il volto, scendendo sulla guancia e asciugando con le sue stesse labbra quelle lacrime precedentemente cadute da quel mare in tempesta che erano le sue iridi.
«S-Shindou...» Ranmaru richiamò il pianista alla realtà, con un tono di voce totalmente sorpreso e spiazzato. Si vedeva che era basito, non sapeva proprio cosa dire.
Il castano arrossì a dismisura quando realizzò a tutti gli effetti ciò che aveva appena fatto, e si maledì con tutto se stesso. 
Insomma, ma cosa diamine gli passava per la testa?! 
Però, la colpa in fin dei conti non era sua, del suo cervello... ma bensì dei suoi sentimenti, di quella parte inconscia che era il suo cuore. Non aveva resistito alla tentazione di gustare nuovamente quella pelle soffice, ed aveva deciso di soddisfare le sue esigenze nel migliore dei modi. 
Forse era quel momento particolare ad aver spinto un timido come Takuto ad un gesto così diretto...
Oppure invece erano stati semplicemente lo sguardo intenso di Ranmaru, le sue iridi lucide ed i suoi capelli rosa sciolti e ribelli, ad aver permesso tutto ciò.
Per Shindou era tutta una confusione, ancora non si capacitava di nulla. 
Ma forse il problema peggiore era Kirino... chissà cosa pensava realmente quel ragazzo di fronte a quel contatto fra di loro. Takuto era certo di aver fatto una cavolata, era sicuro di aver rovinato tutto, ed infatti i sensi di colpa non tardarono ad arrivare nella sua malandata mente.
Però, in quella particolare situazione, il pianista decise di cambiare strategia, e invece di prendersela nuovamente con se stesso per la "tragedia" appena commessa, abbracciò ancora Kirino, senza un reale motivo per la testa. 
Non sapeva perché lo stava facendo, forse per disperazione e imbarazzo...
Inoltre non sapeva neanche se Ranmaru avesse ricambiato quella stretta o no... ma fatto sta che continuò ad abbracciarlo a se, con la consapevolezza che l'unica cosa certa in quel momento era che quella vicinanza, quel contatto con Kirino, lo facevano sentire bene, vivo. Semplicemente un incanto.


 
Che se sommo insicurezze, entusiasmi e poi silenzi
Il mestiere dell'amore al tramonto è nei tuoi occhi
Il coraggio in una frase che fa paura
Il rancore delle storie maturato nel silenzio


Dopo quello spiacevole avvenimento passarono diversi giorni, mesi che si trasformarono presto in anni; il susseguire del tempo era inesorabile e in men che non si dica i due amici si ritrovarono a lasciarsi alle spalle l’adolescenza per poter entrare a far parte del mondo degli adulti.
Non era cambiato granché in quegli anni: passavano il tempo libero insieme, giocavano a calcio quando potevano, uscivano, erano davvero inseparabili. L'unica cosa che era cambiata era che la mattina non condividevano più la stessa classe, non si scambiavano più messaggi con il timore di essere scoperti dal professore, non andavano più allo stesso club di calcio. Con la fine delle superiori scelsero di continuare con l'università, ma per forza di cose dovettero scegliere facoltà differenti finendo così con il dimezzare il tempo che passavano insieme. Takuto ci provava davvero ad impegnarsi per avere del tempo libero da passare con l’amico, ma più i giorni passavano, più i vari esami si avvicinavano e più lui doveva starsene chiuso a casa a studiare come un matto. Anche Ranmaru era nella stessa situazione, in fondo avevano scelto due delle università più importanti e impegnative della città. Tuttavia, quello che ne risentiva di più per quella lontananza forzata era proprio il castano, il quale non aveva smesso – in tutto quel tempo – di amare segretamente il rosato. Sentiva dentro di se che quella lontananza avrebbe rovinato le cose tra di loro e ne aveva paura. Aveva paura di perdere quell’unica persona che gli era sempre stata accanto e alla quale teneva più della sua stessa vita. Non si era mai dichiarato perché aveva il terrore di far crollare, come un castello di carte, tutti i loro anni di amicizia, temendo di ricevere un rifiuto e venire, di conseguenza, allontanato. Ed ora se lo vedeva portar via dal tempo che scorreva inarrestabile lasciandolo indietro.
Più volte aveva pensato di dirgli ciò che, da anni, si portava dentro, ma ogni qualvolta incontrava quelle magnifiche iridi color del cielo estivo le parole gli morivano in gola. Se solo Ranmaru sapesse quante conversazioni si preparava mentalmente il castano prima di incontrarlo e quante di queste siano ordinatamente archiviate nei meandri più profondi del suo cuore perché non ha mai avuto il coraggio di pronunciarle. A rendere più difficile la situazione, poi, si era aggiunto anche il fatto che Ranmaru aveva fatto amicizia con un ragazzo che frequentava il suo stesso corso. Sapevano entrambi che cambiando scuola avrebbero fatto nuove amicizie, ma essere a conoscenza del fatto che quel ragazzo passava la maggior parte delle sue giornate con il rosato e che, per giunta, il pomeriggio studiavano insieme lo rendeva assai… geloso.
Proprio come in quel momento, che provava in tutti i modi a studiare letteratura per il suo esame ma senza successo. Aveva, infatti, sentito da poco il suo migliore amico che l’aveva poi congedato dicendogli che era arrivato il suo compagno per studiare. Non riusciva a concentrarsi all’idea che il rosato ed il “nuovo arrivato” fossero nella stessa stanza a studiare, soli. La gelosia gli corrodeva la mente creando immagini capaci di avvelenargli il cuore.
Takuto chiuse il grosso e pesante tomo con un tonfo sordo, era inutile provare a studiare quando la mente viaggiava per altri mondi. Si sedette sul letto afferrandosi la testa con entrambe le mani, a furia di arrovellarsi il cervello tra letteratura e pensieri malsani gli era venuta una forte emicrania. Decise di sdraiarsi per vedere se, magari, così facendo il mal di testa si fosse affievolito, ma la sua mente, traditrice come sempre, prese a mostrargli nuovamente le immagini – che aveva sapientemente creato pochi attimi prima – di Ranmaru e dell’altro ragazzo insieme. Sapeva che la sua gelosia non era nata per il semplice motivo che il rosato aveva fatto amicizia con altre persone e questo lo faceva arrabbiare ancora di più, perché, nonostante tutto, nonostante amasse Kirino, lui non era altro che il suo migliore amico e non poteva dire né fare niente in quanto non gli apparteneva. Sapeva anche che la soluzione a tutti i suoi problemi era proprio lì, a portata di mano, semplice. Bastava solo pronunciare quelle temute parole e poi il resto sarebbe venuto da se, ma la paura la faceva da padrona e gli attorcigliava le viscere anche solo al pensiero di trovarsi di fronte ad un pesante rifiuto.
Uno squillo improvviso lo riportò alla realtà, tirandolo fuori dal torpore in cui era caduto mentre i pensieri si accavallavano gli uni sugli altri. Guardò di sfuggita lo schermo del telefono per vedere chi fosse e rispose schiarendosi appena la gola.
«Kirino.»
«Ciao Shindou! Disturbo?»
«No, figurati.» Rispose nascondendo appena uno sbadiglio e mettendosi seduto con le spalle poggiate al muro.
«Sicuro? No, perché se stavi studiando richiamo più tardi.»
«No no, tranquillo. Stavo giusto facendo una pausa. Voi invece? Avete già finito di studiare?» Cercò di non usare un tono troppo aspro nel pronunciare le ultime parole.
«Si! Il senpai se n’è andato giusto da cinque minuti.»
«S-Senpai
«Si. Lo so che abbiamo la stessa età, ma è una persona così colta! Mi piace! Dovresti conoscerlo, sai?»
Takuto spalancò le iridi castane sentendo quelle parole pronunciate proprio dal suo amico. “Mi piace”. Un grosso macigno sembrava aver preso il posto del suo cuore e un nodo gli si era formato in gola, azzerandogli la salivazione. Da lì in poi le sue risposte furono brevi, concise, pronunciate senza prestare veramente attenzione a ciò che l’amico diceva. Quando chiusero la chiamata il castano restò a fissare il telefono in silenzio mentre le lacrime presero a rigargli il volto. Non sapeva bene perché se l’era presa tanto, in fondo quel “Mi piace” poteva significare tante cose diverse, ma il suo cuore aveva deciso da solo e quella lontananza non aiutava. Doveva fare qualcosa o avrebbe definitivamente perso il centro della sua vita.

 
 
Il sorriso che sconvolge mesi di tormenti
La bellezza che stringo, io geloso del tuo cuore
Che proteggerò dal male


Erano ormai passate settimane, persino mesi, da quel fatidico giorno in cui Takuto si era arrovellato la testa in cerca di un significato alle parole del rosato.
Ormai era inutile precisare quanto il tempo corresse velocemente tutt'intorno a Shindou, sembrava quasi che ce l'avesse con lui per un qualche torto fattogli da quest'ultimo. Era una cosa incredibile... il castano stava sostenendo una vera e propria guerra contro il tempo, doveva ammetterlo!
Ma se c'era una cosa che non riusciva proprio ad ammettere e a mandare giù come se nulla fosse, era proprio quel "simpaticissimo" amico bravo in tutto di Ranmaru.
Shindou ancora ci pensava, meditava sempre a quelle parole che gli erano state dette per via telefonica dal rosato un po’ di tempo fa.
"Senpai", "Mi piace!"... forse erano tutte piccolezze, di cui però Takuto stava troppo male. E specialmente per l'ultima! Ma per quanto si sforzasse nella sua opera d'interpretazione, non riusciva proprio a capire cosa volesse intendere il rosato con quell'affermazione.
O meglio, forse in fin dei conti la verità già la sapeva, ma non voleva ammetterla; non voleva sapere d'essere stato sconfitto in amore, specialmente da un perfettino di prima categoria come il suo rivale. La sconfitta era dolorosa per tutti.
Takuto sospirò a quei pensieri, smise di mangiarsi le unghie – ormai rovinate dal nervoso e dalla paranoia di quel periodo – e prese fra le mani da pianista il suo telefono con l'intenzione di chiamare e quindi affrontare una volta per tutte Ranmaru, pronto più che mai a chiarire quella questione fino in fondo.
Così il castano compose sapientemente il numero di quest'ultimo a memoria, per poi attivare la chiamata.
Due, tre squilli, ed il rosato l'accettò.
«Pronto?» Ed eccolo qua, il suo solito tono calmo e spensierato che da sempre caratterizzava quei codini rosa e che Shindou adorava. 
«Ehi, emh... ciao Kirino. Mi chiedevo se questo pomeriggio avevi da fare oppure ti andava di vederci per un po’...» Takuto aveva la voce tremante, forse troppo emozionata, così tanto, che il castano ebbe paura che Ranmaru se ne accorgesse.
Kirino ebbe un attimo di riflessione, infine parlò.
«Oh, va benissimo. Sono da te alle cinque allora, non posso prima perché io ed il Senpai stiamo finendo di studiare. Ti va bene?» Quelle parole, così dirette, fecero perdere a Shindou, ancora una volta, tutto il coraggio che aveva in corpo. 
Gli venne da piangere al pensiero che fosse nuovamente con il "Senpai", ma cercò di scacciare via tutti i brutti pensieri dalla testa, e si fece forza per rispondere.
«V-va bene, a dopo allora.» E detto ciò, chiuse la chiamata per prepararsi mentalmente a ciò che sarebbe successo da lì a poche ore.
Dire che il castano era agitato, era dire veramente poco! 
Perché dentro di lui, un mucchio d'emozioni stavano prendendo il sopravvento e, Takuto, non sapeva davvero controllarle. 
Da una parte c'era il timore per la perdita dell'amicizia con Kirino, da un'altra invece si contrapponeva la gelosia per quel suo stramaledetto amico e, in un altro meandro ancor più remoto della sua testa, c'era un misto di delusione e tristezza per il fatto che magari Ranmaru lo stesse sostituendo con un altro.
Shindou non faceva altro che camminare e camminare avanti e indietro come un pazzo, guardando di tanto in tanto l'orologio appeso alla parete della camera, dentro il quale, le lancette sembravano essere impazzite e giravano decisamente troppo veloci per i gusti del castano.
Così, ben presto si fecero le tre del pomeriggio, poi le quattro, ed infine arrivarono le tanto attese cinque.
Takuto prese un bel respiro e andò ad affacciarsi ansioso ad una delle tante finestre dell'abitazione, con il fine di poter intravedere Ranmaru passeggiare fino a casa sua. 
Lo faceva sempre, spiarlo di nascosto prima che lui venisse nella sua dimora, ed anche oggi mantenne la sua abitudine, infatti ad un certo punto il castano notò una testolina rosa sbucare dalla sua via, ma non fu l'unica chioma colorata che vide: Shindou osservò infatti anche una seconda testa nera comparire dal vicolo, avvicinarsi a Ranmaru e... stampargli un bacio sulla guancia, abbracciarlo e andarsene via sorridente. Takuto era senza parole, in quel momento sentiva un misto di rabbia, lacrime, rancore, stanchezza, crescergli in corpo... non sapeva proprio cosa fare.
Quindi, era quello il "Senpai" perfetto che diceva Kirino... non lui.
Takuto aveva appena visto il suo rivale in amore e non capiva nulla: come si permetteva "quell'essere" di toccare la pelle, la guancia del suo migliore amico?! E pensare che tempo prima Shindou stesso ci provò, ottenendo però una reazione completamente diversa da quella dell'altro amico, dove in quest'ultima il rosato non pareva affatto dispiaciuto del contatto.
La mente del castano sarebbe esplosa di altri diecimila pensieri e preoccupazioni, ma ad un tratto però, il campanello dell'abitazione suonò, e senza farselo ripetere due volte andò ad aprire la porta, trovandosi davanti un Ranmaru sorridente e felice come non mai prima d'ora.
«Ciao Shindou, scusami per il rita-» Kirino fece per parlare nuovamente, ma Shindou lo precedette, abbracciandolo di slancio e incominciando a piangere senza sosta sulla spalla dell'amico, il quale lo guardava con un'espressione basita. Che stava succedendo?!
«Ehi... cosa c'è che non va?» Gli domandò preoccupato Ranmaru, accarezzandogli lentamente la schiena e avvicinandolo a se.
Takuto alzò lo sguardo lucido e andò a scontrarsi con le iridi cristalline del suo amico, per poi arrossire nuovamente ed asciugarsi le lacrime dal volto.
Il castano fece per parlare, ma venne preceduto dal suono acuto del telefono di Ranmaru, il quale prese a squillare rumorosamente.
«Pronto?... Ah, ciao Senpai!» A quelle parole, a Takuto cominciò a crearsi un fastidioso nodo alla gola, un misto fra rabbia e gelosia. Continuò a imprecare silenziosamente, abbassando lo sguardo a terra e stringendo i pugni.
Kirino non poté non notare l'insolito cambiamento del suo migliore amico e, dopo aver chiuso la chiamata, si mise a pensare e riflettere per un po’ arrivando, infine, ad una sua personale conclusione.
«Shindou... sei per caso geloso del rapporto che ho con il Senpai?» Gli domandò cauto il rosato, attento ad usare il tono di voce giusto per farsi dire tutto.
«C-cosa?» Il castano non poteva credere alle sue orecchie. Non sapeva proprio che dire all'amico, ma alla fine decise di prendere coraggio e farsi avanti, dopotutto, già troppe volte era stato in disparte, era il momento di cambiare.
«Ho paura di perderti, Kirino. Ho paura che tu mi sostituisca con il tuo nuovo amico... e...» Per un attimo il pianista si interruppe, per poi deglutire e continuare a parlare. «Forza, confessa: state insieme, non è vero?» Gli disse tutto d'un fiato.
Ranmaru restò basito da quelle parole, e spalancò sorpreso le iridi azzurrine, guardando dritto in fondo agli occhi Takuto.
In quanto al castano, ancora doveva spiegarsi come aveva fatto a tirar fuori quella voce sicura di se, quando l'unica cosa che voleva fare in quella situazione era senza dubbio scappare.
«S-Shindou... ma sei impazzito tutto d'un colpo?! Come potrei sostituire il mio migliore amico?! E poi che vai a pensare, non provo nessuna attrazione verso il Senpai.» Disse Kirino, con una voce abbastanza tremolante che non gli apparteneva affatto.
Nel cuore del castano si accese, di nuovo, una qualche speranza a tali parole, ma decise che ancora non era il momento di cantare vittoria così facilmente.
«M-ma allora perché lo chiamavi "Senpai" e mi hai pure detto al telefono che ti piaceva?» Gli domandò interrogativo il pianista, nuovamente tornato all'attacco nell'interrogatorio con il rosato.
«Eh? Shindou, quando ho detto che mi piaceva, intendevo dire la sua personalità, cioè, è un compagno di studi eccellente, se tu lo conoscessi diresti lo stesso. E comunque non credo di esserne attratto, non è il mio tipo... a me poi piace un altro.» Davanti a quelle affermazioni, Takuto smise di farsi mille domande e dubbi, ed alzò il volto da terra, guardando Ranmaru.
La felicità dell'essersi sbagliato nelle sue deduzioni era troppa, ma una domanda adesso illuminava la mente di Shindou: chi piaceva veramente a Kirino? Doveva scoprirlo.
«E allora chi ti piace? A me puoi dirlo... sai che mantengo i segreti.» Il pianista riuscì ad incoraggiare e sorridere appena a Ranmaru, mentre aspettava una qualche risposta da parte di quest'ultimo.
Chissà cosa avrebbe detto... 
In bocca, Shindou, sentiva già l'amaro di un possibile rifiuto, nel caso Kirino avesse detto un altro nome diverso dal suo.
Ed il cuore invece, batteva sempre più forte nel suo petto, speranzoso con tutto se stesso, che l'oggetto dei desideri di Ranmaru fosse proprio lui, Shindou Takuto.
Il castano, comunque, si era fatto una promessa: qualunque fosse la risposta del rosato, lui avrebbe continuato ad essere il suo migliore amico, a volergli bene, a proteggerlo, ma soprattutto... ad amarlo.
«B-Beh, ecco... è complicato da spiegare, a me piace... una persona.» Shindou pregò che continuasse a parlare, ma, proprio in quell'istante, Ranmaru si bloccò, guardando negli occhi Takuto ed arrossendo forse troppo.


 
Desidero sapere dove va a finire il sole
Se il freddo delle parole gela lo stupore
Se non ti so scaldare né curare dal rumore
Ho soltanto una vita e la vorrei rivivere così
Incanto... è un incanto.


Shindou restò in attesa, fissando l’amico che continuava a tenere la bocca incollata, lanciando di tanto in tanto occhiate nella sua direzione e arrossendo sempre di più. Era così difficile dire il nome della persona che occupava la sua mente e il suo cuore?
«Allora?» Alla fine le parole lasciarono le labbra del castano che, spazientito, voleva sapere con tutto se stesso quel dannato nome. La curiosità era più forte di lui, lo stava divorando e se Ranmaru non si fosse deciso a parlare sentiva che sarebbe anche potuto morire di ansia.
Il rosato sobbalzò appena e, anziché rispondere, serrò ancora di più le labbra, formando una linea dritta e fine. Abbassò la testa per un secondo, sospirando e prendendo coraggio, per poi rialzarla pochi attimi dopo e puntare le iridi cristalline in quelle nocciola di Takuto. Questa volta toccò al castano arrossire appena di fronte al viso dell’amico che, ai suoi occhi, risultava ancora più bello con quella leggera sfumatura porpora sulle goti.
«Mi piace un… ragazzo.» Proferì, in fine, un imbarazzatissimo Kirino che raggiunse pericolose sfumature di bordeaux nel pronunciare quella confessione.
«Uhm… è qualcuno che conosco?» Shindou era sollevato a metà per quell’attesa risposta. Il fatto che l’amico fosse innamorato, e per giunta di un ragazzo, lo riempiva di un’altra miriade di dubbi. Era lui la persona della quale il rosato si era invaghito o no?
Ranmaru spalancò gli occhi di fronte alla reazione pacata dell’amico. Si aspettava, sinceramente, di essere giudicato per i suoi gusti amorosi, era un po’ anche per questo motivo che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare la discussione con l’amico.
«N-Non mi giudichi per questa mia scelta?»
«Kirino, sono il tuo migliore amico e mai potrei giudicarti per qualcosa.» Rispose Takuto sorridendogli e allungando una mano per scompigliargli leggermente quei capelli tenuti perfetti nei soliti codini che tanto amava. «Quindi, è qualcuno che conosco o no?»
«Si…» Assentì Ranmaru cominciando ad attorcigliare, nervoso, un lembo di maglietta tra le dita.
«E… posso sapere qual è il suo nome?»
Il rosato prese a martoriare ancora più nervosamente la sua maglietta, abbassò lo sguardo osservandosi intensamente la punta delle scarpe, ponderò in silenzio la scelta da prendere e, infine, fece una cosa che lasciò Shindou incredulo: lo afferrò da dietro la nuca e, tirandolo a se, posò le labbra sulle sue in un contatto casto e veloce.
Takuto rimase inebetito da tale gesto e dentro di lui diverse emozioni presero a mischiarsi le une alle altre. Dire che era felice era decisamente troppo riduttivo. Lui, che aveva sempre avuto paura di dichiararsi per non rovinare le cose tra di loro, non poteva mai immaginare che anche Ranmaru provasse lo stesso sentimento che lo divorava ormai da anni. Era così preso dalla felicità e dai suoi pensieri da non accorgersi di essere rimasto troppo tempo in silenzio e che Kirino aveva mal interpretato tale gesto, infatti gli aveva dato le spalle per dirigersi a passo sostenuto verso la porta di ingresso, con il chiaro intento di lasciare quella dimora per paura di aver commesso un madornale errore. Shindou, ripresosi dallo stato ebete in cui era caduto, lo fermò giusto un attimo prima che la mano potesse posarsi sul pomello, abbracciandolo da dietro, stretto a se.
«Shindou, io-» Il rosato non ebbe nemmeno il tempo di giustificare ciò che aveva fatto perché il castano glielo impedì. Facendolo girare gli afferrò dolcemente il viso con entrambe le mani e fece combaciare nuovamente le loro labbra in un bacio più lungo e più intenso del primo.
«Non serve che ti giustifichi. Io ti amo, Ranmaru. Ti amo da anni ma ho avuto sempre il terrore che, rivelandoti i miei sentimenti, le cose tra di noi avrebbero potuto rovinarsi.» Mentre parlava, lacrime di gioia presero a rigargli il volto andandosi ad infrangere sulla maglia di Kirino in cui aveva affondato la faccia.
Takuto si sentì avvolgere dalle braccia calde dell’altro ed alzò il viso per far incatenare i loro sguardi. Era tutto perfetto ed aveva capito quanto fosse stato stupido a non parlare prima con il suo amico, si sarebbe risparmiato anni di gelosia e di incomprensioni.


 
Istantanee di secondi lunghi quanto un anno bisestile
Quando posi la tua testa su di me
Il dolore tace... incanto, incanto
Semplicemente incanto


Erano passati alcuni anni da quel particolare giorno, nel quale finalmente i due ragazzi si erano dichiarati a vicenda togliendosi dalla mente ogni dubbio o preoccupazione che li affliggeva.
Adesso, dopo un lungo periodo, potevano finalmente dire di essere veramente felici e vivere insieme la vita che più volevano. 
Ormai Shindou non era più in guerra contro il tempo, ed esso lo lasciava in pace, senza più alterare i giorni ed i mesi come fossero semplici minuti ed ore dentro la sua giornata.
La storia d'amore fra Takuto e Ranmaru ormai procedeva fin troppo bene, quasi come fosse un sogno, e i due, quando ebbero finito entrambi gli studi nelle loro rispettive università, decisero di andare ad abitare insieme, comprando una semplice casetta nel bel mezzo del centro di Inazuma-Cho.
Nonostante tutti i soldi che Shindou possedeva, l'abitazione dei due ragazzi non era altro che un piccolo appartamento, il quale, in fin dei conti, andava bene ad entrambi. All'entrata, c'era subito un piccolo salotto fornito di cucina, più avanti una sala-studio dove Takuto si esercitava quotidianamente con il suo piano, ed infine la loro camera da letto con un minuscolo bagno a destra.
Di tutte quelle stanze, la preferita di Shindou era sicuramente lo studio.
In quell'ambiente si respirava una certa atmosfera, e non era solo per il pianoforte a coda in un angolo della stanza, Takuto ne era certo; ma anche per quella parete tappezzata di fotografie che Ranmaru aveva tanto insistito per mettere.
Quelle foto ormai il castano le sapeva a memoria, se ne ricordava ogni particolare più nascosto...
Kirino aveva ancora la fissa per le fotografie, e al castano venne in mente quel particolare giorno di tanti anni prima quando provò a baciare su una guancia il rosato, ed egli quasi lo respinse basito.
«Ehi...» A distrarlo dai suoi pensieri ci pensarono due codini rosa, i quali si misero davanti alla sua visuale e si strusciarono al suo petto. 
Takuto sorrise appena fra se e se, e fece alzare con un dito il mento di Ranmaru per poi attirare quelle labbra perfette alle sue in un lungo bacio, dove il pianista fece unire infine le loro lingue, in una danza tutta loro.
«Che ci fai ancora sveglio, qua?» Gli domandò Kirino una volta staccatosi dal bacio, sbadigliando appena e guardando l'orologio appeso alla parete, il quale segnava l'una e mezza della notte.
«No niente, solo... pensavo.» Shindou disse quelle parole con una leggera malinconia nella voce, ammirando nuovamente quelle immagini attaccate alla parete della stanza. 
Molte raffiguravano loro due intenti a baciarsi, altre ad abbracciarsi, ed altre ancora semplicemente a sorridere amichevolmente come semplici amici.
In quelle fotografie era raffigurata l'intera vita dei due compagni fino a quel momento. Quelle foto rappresentavano, anno per anno, il loro rapporto crescere, da quando erano semplici bambini innocenti e spensierati, fino ad adesso, che erano adulti maturi e abbastanza responsabili.
Se ci pensava, Takuto si dava dello sciocco per l'ennesima volta: che stupido che era stato ad aver sprecato tutti quegli anni in dubbi e incertezze, quando la soluzione di tutti i suoi problemi era in realtà ad un passo da lui.
«Che ricordi, eh?» Gli disse il rosato, intuendo quali fossero i suoi pensieri in quel momento. 
In fondo anche lui era stato uno sciocco a non accorgersi prima di tutto ciò che aveva perso, ed era normale che capisse ciò che provava Shindou osservando quei ricordi lunghi anni. 
«Già. Ma adesso finalmente ho te... dopo aver lottato tanto ce l'ho fatta a conquistarti...» Il tono di voce di Shindou si addolcì leggermente, ed il pianista andò a scoccare un leggero bacio sul collo scoperto del rosato, prendendo a giocherellare infine con alcune sue ciocche uscite fuori dalla coda.
«Ti amo.» Riprese ad un tratto, staccandosi dal suo corpo e specchiandosi in quelle iridi così diverse dalle sue.
«Anche io, Takuto...» Gli rispose a sua volta Kirino, irrigidendosi per un attimo per poi arrossire lievemente.
Shindou notò quel cambiamento di colore del suo viso, e non poté far altro che sorridere, prendendogli una mano e disegnandoli dei piccoli cerchietti immaginari con il pollice. 
Ranmaru lo guardò dolce, per poi sbadigliare nuovamente.
«Meglio se andiamo a letto...» Disse infine il pianista, trascinandosi dietro di se l'altro ed entrando insieme a quest'ultimo nel loro letto matrimoniale, per poi coprire il rosato con una coperta di lana e sprofondare la testa nel suo petto.
Da quella posizione, Shindou poteva sentire il cuore del fidanzato battere forte, e quel contatto così ravvicinato lo portò presto ad assopirsi e rilassarsi quasi del tutto.
Mentre la stanchezza faceva effetto sul suo corpo, tutti i problemi e pressioni del pianista sembravano svanire. Il castano si strinse meglio nel petto dell'altro, e quest'ultimo lo attirò più a se, accarezzandogli lentamente la schiena con le mani. 
Sbadigliò appena, e in un men che non si dica, Shindou era già caduto nel mondo dei sogni, cullato dalle braccia di Kirino, il quale, dopo poco, si addormentò a sua volta sprofondando la testa nei capelli del castano.
Quella notte, quella vita, Ranmaru... era tutto, semplicemente, incanto. Ormai Takuto lo sapeva già.


 
Il sorriso dei giganti sulla tua bocca sta in un angolo
Ed è puro... incanto
Intanto scatto…
Istantanee di secondi lunghi quanto un anno bisestile
Quando posi la tua testa su di me
Il dolore tace... incanto, incanto
Semplicemente incanto





 

 

 
Angolo degli auguri arcobalenosi (?) per Chiara ChannA! :3
 
"Happy birthday to youuu! ♥"
Ciao caVissima Chiara ChannA Spanna alla Panna che vive in Campagna e si mangia una Castagna in Montagna (
?)
No, io e Beta non ci siamo dimenticate di te e del giorno del tuo compleanno. Eravamo solo superimpegnate a scriverti questa piccola cosuccia per augurarti un
BUON COMPLEANNO!
Anche tu ti stai facendo vecchiuzza, neh? :3 anche se io rimango la più vecchia di tutto il trio, sigh T^T
Speriamo con tutto il cuore che questo piccolo regalo sia stato di tuo gradimento perché ci abbiamo messo davvero tutto il nostro cuore per scriverlo. Per una persona speciale come te ci voleva solo qualcosa di altrettanto speciale!

Siamo davvero felicissime di aver conosciuto una persona come te. Poi, per me, tu e Beta caVa siete diventate davvero importanti. Siete proprio come altre due sorelle ^3^
Via, ora ti lascio pim
Puzzola miaH.
Ti faccio ancora tantissimissimi auguroni di
Buon Compleanno!

Fanny & Beta
   
 
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