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Autore: Fenicella    11/04/2015    2 recensioni
Non c’è certezza della mattina
Sei il mio sorriso
riposo
La mia bambina.
"E' mia madre?
Una povera cosa curva, una cosa informe, una cosa di miseria e di pena, abbassata, umiliata, perduta." (Da 'Notturno' di G.D'Annunzio)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nuovabambina

Non c’è certezza della mattina

Sei il mio sorriso

riposo

La mia bambina.

 

C’era tanta gente lì dentro. Era come se respirassi tutti loro pensieri, in quella nebbia bianca che aleggiava intorno ai nostri corpi, e ne bevessi i sentimenti. Potevo quasi vedere le loro gioie, e i loro dolori più grandi. Ma c’era una musica che mi martellava nelle orecchie, e grida di voci sconosciute, e odori forti che mi perforavano le narici. Non riuscivo a concentrarmi su nessun elemento in particolare. Vedevo solo una mistura di colori, un suono troppo complesso per essere comprensibile. Non era reale. Era qualcosa di finto e fatto dall’uomo, una affannosa ricerca di felicità, che ci aveva solo allontanati da essa. L’unico modo per perdere la felicità, è cercare di ottenerla ad ogni costo.

Mi allontanai dal rumore, da quell’opprimente sfoggio di colori. Non ce la facevo. Dovevo ritrovare silenzio, solitudine, ricoprirmi di un colore unico e neutro. Respirai l’aria fredda e nera della notte, appena fuori la discoteca. Mi accorsi di sentire come un peso, però.

Lo continuo a sentire anche adesso, che sono uscita sulla strada, prima credevo che fosse per colpa della musica, e dell’alcol, e dei corpi che mi strusciavano addosso. Ho sempre odiato che la gente mi toccasse, anche quando la conoscevo bene. Certo, c’è stato un tempo in cui non mi dispiaceva. Ma ero un’altra persona, allora. Sento dolore. Una voragine nel petto, come un’apertura che mi impedisce di respirare, di parlare. Mi trancia le corde vocali, aiuto. Aiuto. Alle volte vorrei urlarla, questa parola, almeno così qualcuno sentirebbe. Quando cerco di ricordare, il buco dentro di me diventa più grande, così terribilmente doloroso. Mi sento inutile al mio dolore. Come se non riuscissi a trarre forza da lui, a medicare quella parte di me che sanguina.

Sono inutile al mio dolore. Lo so. Sono inadeguata al mondo in cui vivo. Non mi piace vestirmi come gli altri, parlare come gli altri. Non piaccio agli altri. Ed odio essere frustrata, perchè il dolore non fa che crescere quando lo sei. Vorrei qualcuno che mi aiutasse a capire come essere utile al mio dolore. Così diventerei anche adeguata.

Arrivo alla piazza principale di questa città. Mi sono allontanata da quella maledetta discoteca, e posso vedere i grattacieli neri che la invadono. E’ illuminata da lampioni, che diffondono una luce arancione sul cemento uniforme. Rendono tutto immerso in un liquido color fuoco. In fondo c’è una chiesa, di poco lontana. Mi avvicino. E’ di arte barocca, con volute tutt’intorno, bianchissima, ma resa rossiccia dalle luci. E’ tonda, con altorilievi e statue, santi che si rincorrono l’uno dopo l’altro, uomini che entrano in contatto con il divino e offrono sacrifici al loro Dio. E’ una bella chiesa, ma ti fa sentire piccolo. Inadeguato. Decido di entrare, perchè qualcosa mi dice che dentro mi sentirò più giusta, anche se non sono mai entrata in un posto simile. Di fronte a me, c’è l’altare principale. Un dipinto della Madonna nera, una signora col capo coperto, la pelle scura, i gioielli dorati che la rivestono e splendono nel buio. C’è una croce, lì vicino. Dolore e sofferenza, chiaroscuri che entrano dalle finestre colorate e creano giochi sul corpo di quell’uomo. Aiuto. Mi inginocchio su una panca. Ma sento delle voci, da fuori.

Appartengono a dei ragazzi, più o meno della mia età. Esco, vado a guardare. Stanno giocando sui gradini fuori dalla chiesa. Si stanno divertendo, loro. Ridono, stanno facendo scherzi stupidi. Uno di loro impersona la signora del dipinto in chiesa. Urlano. Dietro di loro, impassibile, c’è una ragazza che mi sta guardando. Mi sta scrutando, più di tutto. Mi avvicino un po’ a lei, per vederla. Sta quasi sorridendo. E’ bellissima. Non credo di aver visto mai una ragazza più bella. Ha i capelli castani, lunghi e lisci, e i lineamenti perfetti. Naso dritto, labbra carnose. Una carnagione perfetta, che sembra levigata da uno scultore esperto. Occhi grandi e truccati poco, castani e limpidi, assieme. E’ ben vestita: pantaloni alla moda, scarpe altrettanto. Credo di averle viste in una vetrina, costavano una fortuna. Avrei voluto comprarle, infatti, ma era fin troppo per una come me. Forse lei è fin troppo per una come me. Non potremmo mai diventare amiche, noi. Lei è troppo. Arrivo al suo fianco, sorrido imbarazzata. –Ciao- dico titubante. Lei saluta pure. Mi offre una sigaretta. –Non fumo, grazie- dico. Lei se ne accende una, annuendo. Cominciamo a parlare. Dice che mi ha visto entrare in chiesa, e le sembra piuttosto stupido. Perchè affidarsi ad un Dio quando puoi avere tutto anche senza di lui? –No, è che mi sono trovata qui per caso...n-n-non volevo veramente entrare lì dentro. C-c-cioè, cercavo solo un posto dove riscaldarmi, qui fuori si gela- concludo, balbettando. Mi chiede se voglio vedere un bel posto, e dei ragazzi carini. Rispondo che sì, certo, portami dovunque vuoi, tanto possiamo fare tardi quanto vogliamo, è una bella serata.

Arriviamo in un vicolo buio. Almeno, sarebbe buio e cieco, con capannoni a destra e a sinistra, se non avessero piazzato proprio in mezzo degli enormi riflettori da palcoscenico. Ci sono dei ragazzi, vicino a quei fari. E’ una compagnia piuttosto nutrita, con coppie che si scambiano effusioni e gente che fuma, che beve. Alcuni stanno prendendo le chitarre, cominciano a suonare i primi accordi. Quando ci vedono ci fissano tutti. Comiciano ad urlare, come per salutarci. Viene verso di noi un ragazzo alto, biondo e dalla pelle chiarissima. E’ vestito di nero, come quasi tutti qui. Certo, tutti tranne me. Fa un grido più forte degli altri, e dà la mano alla mia compagna, che lo saluta. Scopro che si chiama Davide, lui. E’ bello, aveva ragione lei. Sembra essere il capo di questo gruppo. –Allora bellezza-dice rivolto a lei-ci hai portato rinforzi, eh?- allude a me. Tutti scoppiano a ridere. Lei risponde che sì, si potrebbe ricavare qualcosa di veramente buono da una così. –Che la festa cominci, allora!- grida Davide. E’ veramente bello, mentre accende gli amplificatori e apre le bottiglie degli alcolici. Sposto lo sguardo alla mia destra, e scopro che la mia amica ha cominciato a ballare con uno alto e moro, dalla carnagione scura e con anelli e tatuaggi dappertutto. Sembrano una vera coppia. Si spostano lontano dagli altri, vicino ai capannoni, e deduco che vogliono stare da soli. Quei ragazzi di prima, vicino alle luci posate per terra, troppo forti per i miei occhi, hanno preso a suonare musica ad alto volume, talmente forte che la sento entrarmi nelle viscere. Realizzo che dovrei essere spaventata, mentre tutti cominciano a ballare vicini, toccandosi, come fossero un corpo solo, ma mentre anch’io vengo coinvolta nella danza, non posso che sentirmi felice. Non so se sia un semplice effetto delle martellate che sento nelle orecchie, dei suoni acuti e bassi degli strumenti, di questa canzone che sembra non avere un finale nè un punto più forte degli altri. Non so se si possa definire proprio ballo, quello che sto facendo in questo in questo momento, se non sia quasi un essere trasportata dagli spintoni della folla. Ci sono mani dietro di me, schiene dietro di me e avanti a me, petti vicini e bocche che mi alitano addosso. Anidride carbonica che mi scivola addosso, come fosse il calore del sole in estate. E non è come prima, mentre ero in discoteca e mi sentivo incredibilemte sola. No, questa volta sembra diverso. Intontita come sono dalla voglia-che brucia- di essere come gli altri, mi lascio trasportare a fare quello che fanno loro. Li imito solo per sentirmi un po’ meglio, un po’ parte del gruppo. Un gruppo di cui conosco il capo, e l’emissaria che mi è venuta a prendere. Come vorrei essere sua amica. Ci sono urla, ci sono suoni attorno a me che mi entrano dentro. Dai polmoni alle vene, dal sangue al cuore, mentre martella al ritmo della batteria, una di quelle cose che sembra non siano mai nate nè mai morte. Vedo gente che comincia a darci dentro, con l’alcol e il fumo. Vedo coppie che si allontanano e cominciano a baciarsi un po’ troppo voracemente. E così, la canzone finisce. -Era inevitabile- sento qualcuno dire dietro di me. Mi accorgo che è Davide. Mi porge la mano, mentre mi guarda intensamente con quegli occhi azzurrissimi, quasi trasparenti. Ha la bocca leggermente aperta, nella mano sinistra una bottiglia d’alcolico che non riconosco, e l’altra verso di me. Proprio me. Vorrei essere loro amica. Vorei fare parte del gruppo, vorrei essere come loro. Perchè sono belli, nei loro abiti scuri e maledetti, coi loro piercing e i capelli colorati che sanno davvero come portare. Perchè sono invidiabili, così segretamente ricchi, intelligenti e perfetti. Sembra che non abbiano bisogno di ostentare successo, o soldi, o popolarità, perchè già li hanno. E la discoteca di prima, impallidisce di fronte a ciò che mi ha fatto provare questa nuova musica, e ciò che scorgo negli occhi di tutti da quando sono arrivata mi attira. Finalmente, ho la voglia e la possibilità di essere parte di una comunità, di essere come gli altri. Perciò è solo per questo che prendo la sua mano, pallida e ruvida. Sento il suo odore di tabacco, e alcol appena consumato, e un altro anche, dolciastro e mai sentito. Ci dirigiamo a passo spedito lontani dalla folla, verso il luogo dove la mia accompagnatrice è andata poco fa col ragazzo moro. Davide ha anche lui dei tatuaggi. Ne ha uno sul dorso della mano, che all’inizio non avevo notato. Sembra una figura mitica, dai bordi confusi. E’ tutta nera, ma su quella che sembra la testa ha due occhietti rossi e minacciosi. Sull’anulare, ha una piccola spada che va dalla pelle che si attacca all’unghia alla fine del dito. E poi, mi accorgo che na ha anche un altro, sul polso. Ne rimango colpita perchè è totalmente diverso dagli altri: è un girasole. –Che bello- dico, indicandoglielo.

-Davvero ti piace?-chiede lui di rimando

-Sicuro-

-Se vuoi, te ne potrei fare uno, appena ci togliamo di qui-

-Intendi dire che me ne faresti uno oggi?-

-A meno che tu non te ne debba tornare a casa... -. Si è fermato. Siamo lontani dal luogo dove abbiamo ballato, lui si è appena posato al muro, dipinto di segni degli artisti di strada. Lo guardo. Siamo in un luogo del tutto deserto, lontani dal chiasso, dai rumori insistenti, avvolti in una luce buia, senza colori. E’ un buon momento per riflettere. Per pensare, e cercare di districare gli ultimi avvenimenti, perchè la serata ha preso una piega del tutto diversa da come me l’aspettavo. Doveva essere una normale nottata, a guardare gli altri ballare in discoteca, senza quello stranissimo attacco di panico, sarei dovuta rimanere da sola e defilata, come sempre. Invece, questa volta mi sono mossa in mezzo alla pista, e ho accetato l’invito di una sconosciuta. E adesso sono in mezzo all’oscurità, in una via che non conosco, con un ragazzo biondo, coi tatuaggi e che, soprattutto, ha appena proposto di farmene uno. E io sento freddo, così tanto freddo che mi sembra che il mio cappotto non sia abbastanza, che avrei bisogno di braccia a scaldarmi. Lui si accende una sigaretta. Io mi avvolgo le spalle con le braccia, mentre vedo che inspira il fumo. Gli occhi azzurri gli si restringono in due fessure, mentre nella bocca accoglie quella nuvoletta grigia che poi fa uscire in uno sbuffo. Io comincio a battere il piede per terra, come per chiedergli di sbrigarsi, perchè ho tanto freddo e voglio tornare a casa, voglio che lui mi accompagni. Ma adesso che ci penso, non ricordo bene la strada per tornare. –Allora, appena finisco di fumare vieni nel mio studio, così facciamo il tatuaggio- Io rispondo che non sono totalmente sicura, ho fame e voglia di dormire, di tornare a casa. –Non ti va proprio di stare con me, allora?- lo dice ridendo, come fosse uno scherzo. Sorrido insieme a lui. Lo gurdo negli occhi –E’ un bel posticino il mio studio, c’è il riscaldamento centralizzato e la macchinetta del caffè. Ti divertiresti...- Adesso mi guarda negli occhi, senza ridere più, l’espressione seria, con le labbra serrate e le guance stirate. –Va bene- gli dico. In fondo sarà bello fare il mio primo tatuaggio. Ci avviamo, mentre lui mi tiene la mano e nell’altra tiene la sigaretta, quasi spenta. Comiciamo a parlare del più e del meno, e lui si prende piccole pause per inspirare fumo. Le strade sono illuminate da lampioni, con la luce gialla e pallida, che sembrano tante lucciole sopra i marciapiedi. Non fa più così freddo. La mano che tiene la sua adesso è tiepida, riscaldata dal calore del suo corpo, ed il viso ogni tanto avvampa, imbarazzato dalla sue parole, dagli scherzi e dagli sguardi. I piedi non sono più immobili, ma si susseguono sulla strada come danzassero sulla musica infinita, uno avanti e l’altro dietro, mentre si rincorrono. I nostri fianchi sono vicini, si toccano quasi, e le braccia sono ormai attaccate. Sento nascere qualcosa di dolce, caldo e gentile nel mio cuore. E’ proprio dove di solito c’è la voragine, dove divampa il dolore, la tristezza. E’ nello stesso posto della rabbia, nello stomaco che si contrae quando ho paura, che rimbomba quando ho fame, che si contorce se sto male. E’ un sentimento in un corpo instabile. E’ una pioggia purificatrice sopra un edificio in demolizione, con la struttura di ferro integra, i muri rotti, scrostati, crepati. E’ la voglia di vivere di una giovane, in un corpo consumato di una vecchia. I miei tessuti sono troppo deboli, e sono già usurati, già strappati e sgualciti, già sudici di sudore. Pieni di quel liquido che lascia gli aloni, che impregna di un odore orrendo, tutto suo, che quando qualcuno ti passa vicino storci il naso. Eppure, sono piena di speranza. Magari adesso mi posso purificare, penso. Magari adesso è il momento per lasciarmi bagnare dall’acqua santa, per liberare quel poco di purezza che c’è ancora. Magari, adesso posso dire quello che avrei sempre voluto che si sapesse, e tacere ciò che nessuno deve sentire. Cancellare il peccato, le lacrime provocate da esso, ritrovare quello che volevo essere. Darò una possibilità a Davide, e a me stessa. Perchè non è detto che non possa trovare quello giusto, non è detto che le ferite rimangano sempre dentro, senza mai poter essere guarite. Devono sparire, loro. Stiamo ridendo, quando finalmente arriviamo allo studio. E’ un normale locale dalle pareti bianche, in realtà, con dei disegni astratti attaccati dappertutto, il pavimento di linoleum giallastro sporco, un cane enorme che dorme in un angolo. C’è odore di deodorante, e alcol, e tanto fumo. Mi fa cenno di sedermi sulla poltroncina rossa che sta in mezzo alla stanza. Mi offre una bottiglia di birra, accetto, anche se non ne ho mai bevuta una. Ma lui non lo deve sapere. Mentre comincia a mostrarmi i vari disegni che potrebbe farmi, ad un certo punto fisso lo sguardo nei suoi occhi. –Che intendeva la ragazza con cui sono venuta dicendo che da una come me si potrebbe ricavare qualcosa di veramente buono?- Me ne sono ricordata solo adesso, mentre mi mostrava i tatuaggi. Era una frase strana. Avvicina di molto il viso al mio, così che adesso i nostri nasi si stanno toccando. –Intendeva che potresti diventare una di noi...- dice sussurando, mentre giocherella con la stoffa sulle mie spalle-che potresti anche tu essere una ribelle. Ed è vero, mi hai appena chiesto un tatuaggio. Sei la ribelle che aspettavamo. Lei non credeva che mi saresti anche piaciuta.- dice l’ultima frase sorridendo, e rompe il contatto visivo. Non sono mai stata il tipo che andava a feste come quelle, che beveva la birra a casa di uno sconosciuto e si faceva fare i tatuaggi. Ma è proprio questo che cerco. Da stasera la mia vita sarà diversa, perchè farò parte della loro compagnia. Ognuno cerca il suo posto nel mondo, finchè non lo trova. E adesso, questa sera è il mio turno. E’ il momento in cui smetto di trovarmi alibi per non sentirmi viva. –Da oggi, non sono più una bambina rovinata, ma un’adulta che porta le sue ferite- dico, ed è quello che penso. Abbiamo appena il tempo di respirare, prima che lui annulli la distanza tra di noi con un bacio. E’ questo il patto della mia nuova vita, la mia promessa a lui, il mio giuramento.

Il tatuaggio non fa male, scelgo il girasole che aveva lui.  Mi dà baci sul collo per alleviare il leggero fastidio che sento. Sono felice. E dormo a casa del ragazzo biondo che ha marchiato la mia pelle.

I mesi seguenti, i più belli. Viviamo insieme. Facciamo i matti nelle feste che organizziamo. Beviamo nel suo studio ogni sera, mentre disegnamo su di noi un’altra volta, e un’altra ancora. E io mi innamoro del mio tatuatore. Comicio a vestire di nero. A sentirmi parte del gruppo. A vedere le nuove reclute anche io, a cercarle come ha fatto la ragazza mora con me. Ho scoperto che si chiama Giulietta, siamo molto amiche. Dividiamo le sigarette, perchè ho preso a fumare da un po’, me l’ha attaccato il mio ragazzo il vizio. Ridiamo a crepapelle dei moralisti noiosi. Ascoltiamo la musica che ci piace, parliamo come ci piace, ci comportiamo come ci piace. E io mi sento viva, finalmente. Adeguata. Giusta. Un’adulta.

Ma devo fare delle rinunce. Non posso più vivere coi miei, nè stare con loro per molto tempo. Non condividono la vita che mi sono scelta. Abbandono gli studi. Chi pensava di farcela, in fondo, ad aprire sul serio quella galleria d’arte? Meglio spiarle, le mostre d’arte, perchè non possiamo neache permettercele io e Davide. Viviamo con i soldi che lui prende quando fa i tatuaggi. Gli chiedo di imparare anche io, così serviremo più clienti. All’inizio non mi vuole ascoltare. –Non sei portata per disegnare, lo sai-mi dice-e poi non ti è mai piaciuto il mio lavoro- E’ vero, non mi è mai piaciuto, ma non possiamo vivere per sempre così, ormai sono passati due anni da quando ci siamo conosciuti. Siamo adulti, Davide.  –Tu dici sempre di sentirti così. Di essere forte, sudicia come me. Invece a me sembra che tu stia mentendo, stia raccontando solo bugie a te stessa. Non sei peccatrice, non sei usurata nè così ribelle come vuoi mostrare. Dici di essere diventata adulta, da quando stai con me. Ma tu sei la mia bambina...- dice infine, sussurrando. Per un po’ gliela do vinta. Ma poi mi faccio insegnare a tatuare. Tanto quelle erano solo parole. Io sono una ribelle. Io sono una peccatrice, io non sono una bambina, non lo sono mai stata. Anche da piccola sono cresciuta in anticipo, sono invecchiata prima di essere sbocciata.

E’ un soffocante pomeriggio di luglio, quando ricevo il mio primo cliente nello studio. Le pareti bianche sembrano sudare anche loro, in questa stanza senza condizionatore, e la poltroncina sulla quale lo faccio sedere è usurata e sporca, e quasi mi vergogno a non avere un altro luogo in cui iniziare a marchiare pelli a pagamento. Comunque, faccio un sospiro, una boccata di fumo per calmarmi, e comincio a disegnargli quel teschio sul petto che mi aveva chiesto. All’inizio è come disegnare su un foglio di carta, perdersi in quei meandri dal colore nero e vedere solo l’immagine. Ma poi, mi rendo conto che quella è pelle vera. Non ci avevo mai pensato, perchè è un organo, ed è coperta di peli, e soprattutto, poco sotto essa lunghe e intricate vie di sangue scorrono velocissime al cuore, rosso e dolorante. Comincia a girarmi la testa. Non vedo più il soggetto che volevo disegnare, solo insensati segni sulla pelle calda di un uomo che non conosco. Mi viene da vomitare, non so perchè. Deve essere l’emozione, mi devo trattenere. Devo far andare avanti la mano, continuare a lavorare come nulla fosse. A Davide non interessano i soldi coi quali viviamo, ma a me sì. Lo stomaco è troppo stretto, ho dolori e formicolii dappertutto-Scusa...-dico al ragazzo, mortificata. Chiamo il mio ragazzo perchè finisca il lavoro, e vomito chiusa nel bagno, come non potessi tenere dentro tutto ciò che ho.

 

 

-Non era un’influenza, no. E nemmeno l’emozione che mi ha spinto a fiondarmi in bagno al mio primo lavoro da tatuatrice. Era piuttosto la conseguenza dell’amore continuo di noi due. Sono incinta, Davide-glielo dico quasi sussurrando, come gli stessi rivelando un segreto inconfessabile. In fondo, per me lo è. Perchè nonostante la vita che mi sono scelta, nonostante lui, io ho troppa paura di sciupare quello che tocchiamo. Sarà anche non vero, ma io ho bisogno di credere che non sono tutti sporchi e sudici come noi due. E questo bambino, lui non è peccatore come i suoi genitori. No, lui è una vita che non merita di essere. E’ un’esistenza creata per sbaglio, è una promessa che non verrà mantenuta, è una veità troppo dolorosa per essere svelata. Per me è un problema. Non voglio fare promesse che non manterrò, non voglio ingannarlo, nè fuorviarlo, fingendo di potergli regalare qualcosa. Non siamo capaci di prenderci cura di qualcosa, non è minimamente possibile per noi essere adulti responsabili. Siamo ancora dei giovani, che fanno le loro cavolate e si ubriacano il sabato sera, e poi fanno sesso e finiscono per concepire un bambino. Ed è proprio per questo che non sono sorpresa quando ti sento che mi dici–Lo sai che lo devi uccidere- guardandomi negli occhi. Un po’ speravo che l’avessi accettato, invece, Davide. Tuttavia, non hai sentito come ero vagamente speranzosa quando ti ho dato la notizia, non hai ascoltato, troppo preso dai tuoi problemi per anche solo valutare la possibilità di diventare padre. E cosa devo dirti, adesso? Che io voglio tenerlo? Non ne sono neanche sicura. No, non avrebbe senso tentare una battaglia. Ma c’è qualcosa dentro di me, qualcosa di vivo. Qualcosa che non posso ignorarare –Dobbiamo davvero continuare a distruggere tutto quello che abbiamo intorno?- dico, semplicemente. Non mi guardi negli occhi, anche se sarebbe impossibile visto che sto tenendo la testa bassa, e fai sì con la testa. –Vai da Giulietta, ti spiegherà tutto lei-mi spieghi, rivolto verso il muro. Esco. Mi manca l’aria, come quel pomeriggio di pochi giorni fa. Ma stavolta, è quasi peggio. So a cosa è dovuto il mio malessere, e istintivmente metto la mano , dove ci dovrebbe essere lui. O lei. In effetti, credo proprio che sia una femmina. Mi è sembrato di sentire che il sesso del feto si evidenzia solo nei mesi successivi, ma me lo sento che è una dolce bambina. Sì, è un frugoletto dai capelli biondi e gli occhi azzurri di suo padre, che non la vuole. E’ una persona pura, piena di quella dolcezza che ho perso, o che forse ho riacquistato, come dice Davide. Sono la sua bambina, lui dice, ma non ci credo. Sono solo parole le sue. Comunque, arrivo da Giulietta. Mi dà il numero di una clinica, -molto veloce e molto efficacie- ha detto. –Io e Gigi l’abbiamo fatto circa quattro volte, da quando stiamo insieme-continua, un po’ pensierosa-però, la prossima volta lo teniamo, me l’ha detto lui-. Non credo che ci creda, nel suo profondo. Penso che anche noi due ci ritroveremo così, tra cinque anni magari, e ciò mi fa paura. Forse anche più dell’idea di crescere un figlio nelle nostre condizioni. Comunque, riesco a tornarea casa, e a chiamare per chiedere un colloquio col dottore. E pochi giorni dopo, col cuore che piange ma il viso inespressivo, firmo il foglio che mi porge il dottore, e concordo la data per porre fine alla gravidanza. La data per uccidere la mia bambina.

Pochi giorni dopo, sono distesa nella saletta bianca, tremante per un freddo interno e spontaneo, annebbiata ma capace di rendermi conto di ciò che è successo. Di ciò che abbiamo fatto. Davide mi aspetta fuori dalla sala, mi porta della cioccolata calda con panna nonostante siamo ad agosto, perchè lo sa che mi piace. Cerca di indorare la pillola, sì. Ma quella pastiglia che mi hanno dato non era invitante, era un cilindretto rosa con dei numeri minuscoli stampati sopra, e i medici mi guardavano come se potessero sentirlo anche loro, il peso di quella decisione. C’era un’infermiera donna che mi teneva la mano. Era un donnone grosso e coperto dalla divisa color acqua, con uno stetoscopio al collo nonostante non fosse un medico, e un sorriso buono. Ha detto che non mi dovevo preoccupare, che capita a molte donne una gravidanza indesiderata, che ne vede talmente tante, tutti i giorni. Potrò ancora avere bambini, ha detto, appena sarà tutto pronto per riceverli. E’ stata solo questione di circostanze, non è un dramma. Ma intanto, ho sentito quel qualcosa staccarsi da dentro di me, quel sangue uscire e quella piccola entità lasciarmi. Ho sentito quel dolorino acuto ma non era uno spillo, ho visto la vita scivolare via. Quel respiro, quell’irrisolvibile mistero spegnersi come una fiamma debole e incerta, che prima aveva promesso di divampare. Tornata a casa, mi guardo allo specchio ed esamino la mia faccia. E’ così cambiata da pochi anni fa. Non è più tonda, liscia, coperta da quella lieve acne, non ha più la pelle che si colora di rosso ogni qualvolta qualcuno mi si rivolge. È il viso di una donna, sì, ma quale tipo di donna? Credevo che la persona adulta fosse simbolo di stabilità, di libertà, di emancipazione raggiunta dopo tanti anni. Solo per quello, quando mi si è presentata l’occasione di vivere una vita con Davide, non ci ho pensato due volte a voler essere donna. Donna. Quelle signore alte, col loro seno prosperoso e i capelli stirati dal parrucchiere, quelle che vedi nelle pubblicità circondate dai loro trecento figli e dalle amiche. Sono questo tipo di donna? Voglio esserlo? Di fronte alle scelte della vita, quale strada voglio scegliere? E’ proprio vero che dalle tue scelte dipende il tuo cammino. Cammino. Partire da dove non sei giusto, da dove non sei al sicuro, programmare una destinazione, ma presto perdersi, presto cambiare idea. Trovarsi in un altro luogo. Ho le occhiaie, profonde, il corpo magro, segnato dai tatuaggi, dalla vita dissoluta, dalle sue mani.

Sono passati solo pochi giorni dall’aborto, quando lui torna dallo studio mezzo ubriaco e mi chiede di fare sesso di nuovo. E io non so che fare, perchè le sue mani che mi toccano è come se mi lasciassero impronte luride, è come se bruciassero, è come se fossero qualcosa di sudicio che mi imbratta. E d’un tratto, rivedo la nostra prima notte, il nostro stare insieme da perfetti sconosciuti, il mio cercare di essere viva. Riepenso al mio patto, al mio giuramento con quel bacio. Le mie speranze, il mio cercare di fare parte di un gruppo, il mio voler essere al posto giusto. Dovevo essere finalmente me stessa qui, finalmente accettata per quello che voglio essere. Ma mi accorgo che non è così. Sono diventata la sua ombra, la sua copia, la sua schiava, qualcosa che sta sotto di lui. Ormai sono un essere senza identità, un oggetto che accetta tutte le botte, e le percosse, e il dolore che le infliggono, perchè non sono più io. Ma chi sono io? Non è vero quello che pensavo, che potevo essere sporca e libera, e viva, che ero un’adulta in un corpo minuscolo. Perchè lo sento, quel dolore provocato dalla sua vicinanza, e la sua figura che incombe su di me. Non mi sta chiedendo niente, no, sta pretendendo tutto quello che ho. Ed è vorace, e divora senza curarsi del dolore, e non gli importa di sciupare una bellissima stoffa, e non gli importa di rovinare ciò su cui passa. Lui fa così. Uccide e rovina, brucia e spazza via. Ed io non voglio più essere come lui. E mentre ormai spengo il cervello, lasciandolo fare quello che vuole, mi dico che questo non sarà mai più. E piango, ma dentro.

-Guarda, stanno cambiando i cartelloni pubblicitari-mi dice la mattina dopo, mentre stiamo facendo colazione. In realtà, io sto mangiando, lui sta solo fumandosi la prima canna. Rigiro la scodella coi cereali, e lo guardo negli occhi. Forse è la prima volta, dopo tanto tempo. Ha delle leggere occhiaie bluastre, intorno, e le iridi blu che sotto questa luce paiono ancora più trasparenti. Non si fa la barba da tre, forse quattro giorni, ha i capelli biondi più lunghi rispetto a quando l’ho conosciuto, e sporchi oggi. La pelle bianca lo fa sembrare quasi una statua d’alabastro, mentre viene baciato dal sole, e in piedi vicino alla finestra sta senza maglietta, con lo sguardo pensieroso. E’ così bello, che ci ricascherei ancora. Andrei di nuovo da lui, e chiederei di essere baciata ancora un po’, di essere distrutta ancora un po’. Io sto seduta al tavolo della cucina, e porto le ginocchia al mento, vestita di un paio di leggins vecchi e sgualciti, e una maglietta sporca, una di quelle che vendono a tre euro nei grandi magazzini, in mezzo alle ceste. Allontano un po’ la scodella, e mi alzo. –Io ho abortito pochi giorni fa, lo sai-comicio, e lui risponde -Lo so, ma non rischi di essere incinta di nuovo, vero?-finisce con il sorriso sulle labbra. Come può non capire? –Non hai mai pensato di tenere il bambino?-ribatto, ostinata. –Ma dico, non ti riconosco. Ne stai facendo un dramma di questa cosa, Giulietta ti ha già raccontatao di tutte le volte che lo ha fatto lei, no? E poi, lo avevo percepito, sì, che ti dava fastidio, quello che ho fatto stanotte. Ma non puoi volere tutto quel rispetto, cara. Insomma-dice, senza femarsi, come stesse finalmente mostrando quello che teneva nascosto-non ti sei mai lamentata. Sono stato anche più...più di questa notte- finisce guardandomi anche lui negli occhi, così vicino che il suo respiro mi nausea. Non lo sopporto più, quest’odore di fumo che mi ha sempre dato fastidio. Mi viene da vomitare, anche stavolta. –Comunque-dice lui-mi sembra che siamo arrivati al capolinea, dolcezza. Sì, in fondo non mi hai neanche divertito molto, ieri. Non era come le prime volte-dice, sempre tenendo lo sguardo su di me. –Cosa intendi?-

-Mi sembra chiaro. Ci stiamo lasciando, no? Adesso farai una di quelle scene da donna in cui ti strappi i capelli. Forza-

-La canna ti ha spappolato così tanto il cervello?-

-Non fare la spiritosa, non ti si addice-

-...Sapevi...sapevi fin dall’inizio che questo momento sarebbe arrivato, vero?-

Lui mi guarda, come se fosse su un altro pianeta, come se fosse su un piedistallo a guardare uno scarafaggio. Mi guarda come i datori di lavoro guardano gli impiegati. La maggior parte. –Certo, che lo sapevo. L’ho già fatto molte volte. Sei la...quarta, credo. Ti sei dimenticata che ho molti più anni di te? Ho avuto tempo, per divertirmi. La prima era una biondina, anche lei una casta e pura come te. Era molto più sveglia pero. Appena le ho proposto di abbandonare i suoi abbiamo tagliato. Poi c’è stata la seconda, con le sue grazie da ex annoressica. Era molto più magra di te, e non aveva la tua cellulite. Poi c’è stata la terza, lei ci ha messo un sacco di tempo a capire il gioco. Era una studentessa dell’università, economia, così piena di numeri. Era diventata una vera tossica, cavolo, me l’hanno dovuta togliere i genitori, per portarla in clinica. A disintossicarsi, ti rendi conto? Fosse stato per me...e poi ci sei stata tu. L’ho capito subito, che eri perfetta per questo ruolo, fin dal primo momento. Eri vergine, si vedeva, avevi quei vestiti pietosi, e poi non avevi mai bevuto, mai fumato. Poi, ho visto che guardavi i miei tatuaggi, ed eri proprio giusta. E poi, avevi la raccomandazione di Giulietta. Ci sei cascata, in pieno-era soddisfatto, glielo si leggeva in volto. –E così, è questo che fai. Distruggi tutto, e prendi delle ragazze che vuoi uccidere. Vuoi fare del male-. E come se avesse sentito la mia domanda silenziosa, risponde-Sì, perchè è l’unica cosa che mi fa stare bene. Ti ho sgualcita, ti ho distrutta. E adesso sei solo un relitto, nel profondo del mare, coperto di alghe. Nessuno ti vuole, nè ti vorrà mai. Sei irraggiungibile, là sotto, e affogherai nuda, sola. Chi vorrebbe mai rischiare, per raggiungere quella cosa lontana, nel profondo, chi vorrebbe mai scendere a cercare un miraggio? Sei sola. Come lo sono io. Ti ci abituerai. Ma non cambierai mai, no. Adesso è questo che sei-. Gli tiro uno schiaffo, prima che possa finire la frase. Mi fa proprio schifo. E mi faccio schifo io, per quello che sono diventata. Così, abbandono la casa dove vivevamo, senza guardarmi indietro.

Passano diversi mesi, in cui ho il tempo per guardarmi, inorridire e cercare di capire cosa sono adesso. Perchè l’ho fatto. Risento nella testa le sue parole.

Sei sola.Ti ci abituerai.Ti ho distrutta. Aveva ragione, sì. Sono proprio diventata un relitto, una carcassa imputridita di una ragazza, come se fossi già morta. Mi ero illusa. Credevo che lì, dove c’era lui, ci fosse l’Amore, credevo che lui mi amasse. In fondo, tutti dopo una delusione la pensano così. Credevo che mi amasse, lo dicono in molti. Il problema è quello che mi ha fatto. Il problema, la macchia che non mi leverò mai. E’ come un marchio sulla mia pelle, come la ventina di tatuaggi che ho fatto con lui. Il problema, all’inizio era quel bambino. Lui l’ha ucciso. E adesso sono una mela marcia. Ieri sono tornata a casa dei miei genitori, che sarà sempre casa mia, così dicono. Mi sono fatta una doccia, e prima di lavarmi mi sono guardata allo specchio. Ero cosìm diversa da quando me ne sono andata. Non solo per i capelli colorati, o le occhiaie sotto gli occhi. Oltre il seno minuscolo, e la cellulite che è quasi sparita, la mia pelle è più bianca. I denti sono più gialli. Alle volte mi chiedo come siano, le mie ossa. Se siano fatte di carbonio oppure di cristallo.

Sono passati ancora un po’ di mesi. Ho cominciato a lavorare. Un lavoro serio, adesso. Faccio la libraia nella biblioteca comunale, aiuto i ragazzi a cercare il loro libro. E’ solo un modo come un altro per pagarmi l’affitto. Continuo a pensare alle sue parole. Adesso però mi è ritornato in mente quello che pensavo quando l’ho incontrato. Magari adesso mi posso purificare. Credevo di essere sudicia, di avere l’anima di una vecchia, perchè col tempo i tessuti perdono elasticità. Credevo di essere una fragile, di poter essere demolita da chiunque e da qualunque cosa. Ma mi sbagliavo. Perchè per ora sopravvivo, e mi sono comprata una casa in quel quartiere dove ci sono le gallerie d’arte. E’ così bello scendere la mattina, e vedere le signore col rossetto rosso al bar, che chiaccherano e prendono il cappuccino. Di solito hanno con loro dei cagnolini, oppure i nipoti se è sabato, o il marito, con l’orologio d’oro al polso e i capelli bianchi, perchè lui non se li tinge. Non ho niente da pulire, niente da dimenticare. Sono così, una mela marcia che continuerà a lavorare in biblioteca. E non so se sono una vecchia, oppure una bambina che non è ancora vissuta.

C’è un ragazzo, in quel bar dove vado la mattina. Lavora lì, ha la carnagione scura, il naso camuso e degli splendidi occhi neri. E’ simpatico. Ormai sa che prendo sempre solo del caffè nero, e che non c’è verso di farmi mangiare qualcosa, la mattina. Ieri ho provato a parlargli, gli ho chiesto come stava. Ha detto, bene. Gli ho chiesto se gli andava di uscire, una sera. Ha detto di no, che è già fidanzato. Di che mi ero illusa? Sono solo una mela marcia che nessuno vuole.

Come quel dolce pomo rosseggia in cima al ramo alto sul ramo più alto

E se ne scordarono i coglitori di mele:

Anzi, non se ne scordarono, ma non riuscirono a raggiungerlo

-Saffo, ‘Ode alla verginità’-

Queste sono state le parole che ho fatto incidere sulla fede. Tutti mettono il nome di lui, ma no, io ho voluto questi versi. Ho voluto l’ode alla verginità di Saffo, l’ode alla purezza. Mentre entravo in chiesa, e stavo attaccata al braccio di mio padre, e vedevo mia madre piangere di gioia, e quelle amiche che staranno per sempre con me che mi salutavano, erano tutto quello a cui pensavo. Ripercorrevo la nostra storia. Quando ci siamo incontrati. Io, in cerca di quel dipinto che avevo visto in quella galleria, e lui che come un pazzo ‘Tranquilla-mi aveva detto-ne ho altri simili a casa’. Non credevo che lui potesse scegliere me. Soprattutto, non credevo che qualcuno potesse scegliere me. Ero convinta di essere una mela marcia, dopo quell’altro. Pensavo di essere un relitto in fondo al mare, la carcassa di una persona. Troppo problematica, troppo orribilmente piena di storie per vivere Amore. E invece con non era così. Forse è tipico dell’essere umano, continuare a sbagliare a guardarsi dentro. Non scoprire mai chi si è. Perchè pensavo di essere una vecchia nel corpo di una bambina, e poi una sudicia ragazza del Bronx, e poi una mela marcia, una brava ragazza come una monaca. Solo con lui, solo con lui, lui lui lui, ho visto chi sono. Solo con lui, lui lui lui, mi sono scoperta senza avere paura. Solo con lui, lui lui lui, mi sono tolta il peso delle domande. E no, non è la disperazione che muove a compassione, lui lui si è innamorato profondamente di me. E non sono quello che volevo essere, ma neanche quell’ombra da cui fuggivo. Sono chi ho imparato a essere, sono quell’espressione migliore e più pura di me stessa. Sono ciò che sono, non ciò che gli altri vogliono, non ciò che io voglio. Ed è così che ho scoperto la mia forza, e la mia bellezza. Sotto muri di cemento, sotto scorza dura, non è quello l’importante. Perchè c’è una bambina dentro di me. C’è una piccola creatura che crede nelle fiabe, e che non la smette di sognare, una creatura, una creatura pura e che prima di lui non era stata scelta. Perchè quell’altro non mi ha voluta. Non ero adatta per lui. E non mi ha distrutta, pensava di averlo fatto. Davide era uno di quelli che pensano di vivere in un mondo triste e difficile, che non hanno speranze per loro. Pensano che tutti gli altri siano così. E invece non sa, che in campagna si bruciano le sterpaglie per rendere il suolo più produttivo. Non lo sa che serve sanguinare e morire per rinascere. Crede che il mondo non ci veda, che in fondo siamo tutti uguali, che proprio perchè la nostra esistenza è solo una parentesi nella storia dell’umanità possiamo permetterci di disprezzarla. L’uomo è inspiegabile, metà di un essere bisessuato e perfetto, un verme che impara a strisciare e fa cose che gli sembrano grandi. Siamo il sogno di un’ombra. E proprio per questo, l’ineffabilità della vita e il suo essere indicibile, è importante viverla. Ed io ho cercato, cercato, cercato davvero di comprenderla, di conoscere me stessa. Ho provato e riprovato a scavarmi talmente dentro talmente tanto in profondità da raggiungere l’essenza di me. Ma ero come quelli che scavano per raggiungere il centro della Terra, e bucano a stento la crosta. E’ stato inutile provare di tutto, finora. Ho cambiato vita una, due volte; Ho cambiato me stessa una, due volte; Ho cambiato capelli più volte ancora. Era un vorticare intorno a qualcosa, a quell’idea, era un diventarne ossessionata. Era troppo, troppo complesso per esserela strada giusta. Ho imparato col tempo che il cammino non era così tortuoso, ma più dritto, più semplice e meno estenuante. Era la via più semplice, quella che non avevo neanche preso in considerazione. Forse è la storia della vita di tutta l’umanità, quella che la porta il giorno della resa dei conti esattamente dove dovrebbe essere, ed è riconducibile ad una sola persona. E’ il tuo Salvatore, il tuo Principe e il tuo Re, colui che per te è Illuminato, e davanti al quale vorresti chinarti. E’ quella persona che credi non esista, finchè non diventi un po’ meno cieca e sorda, tanto da percepirla. E’ quella persona alla quale aspiri, ma che ti sembra troppo perfetta per essere raggiunta. E’ il Motore Immobile, è il Creatore. E’ colui al quale nessuno crede. E’ Amore. La strada.

E proprio per questo, cerco di mantenere il respiro regolare, mentre finalmente percorro quella strada che in questo momento è ricoperta di petali come fosse un giardino. Non credevo sarebbe mai stata una chiesa, il luogo in cui mi sarei sposata. Credevo di farlo in comune, oppure in un giardino o sulla spiaggia. Non credevo mi sarei rivolta a Dio, per fare questo. Ma per la prima volta mi sento in un posto giusto, sento che non sto fingendo. E’ tutta una recita, tutta una recita quella che facciamo ogni giorno, con maschere della commedia e parrucche, vestiti e voci artefatte. Adesso sento di non recitare. E sì, ci sono un sacco di cose che in questo momento sto odiando. Odio il vestito bianco e attillato che mi hanno fatto mettere, le scarpe che mi stringono, che mi soffocano i piedi e mi fanno camminare come stessi su un tappeto di spine. Odio il profumo di incenso della stanza, questo lieve fresco che deriva da tutto il marmo. Odio il gel che mio padre si è messo tra i capelli, e la sua barba rasata alla perfezione, e gli squilli dei cellulari che sento, di qualche invitato che si è dimenticato di spegnerli. Odio anche il vestito di mia madre, adesso che ci penso. Ma amo. Amo tutto il resto, come gli urli dei bambini che saltellano in giro, il profumo del dopobarba di mio padre, la sua mano grande posata sulla mia schiena, il suo incedere sempre un po’ strascicato, che da una vita riconoscerei ad occhi chiusi. Amo gli occhi pieni di lacrime di mamma, i suoi capelli bianchi e tinti al tempo stesso, le sue scarpe basse e sformate, perchè sennò non sta comoda. Amo quell’uomo verso il quale mi sto dirigendo. I suoi occhi. Le sue mani. La sua bocca. Il suo naso e i suoi zigomi. Le sue spalle, la sua schiena. Il suo amarmi.

E solo adesso, mentre arrivo all’altare e lascio mio padre. E solo adesso, mentre prendo la mano che lui mi porge e mi avvicino alla panca. E solo adesso, mentre lo guardo e gli sorrido. E solo adesso, mentre lo bacio tutto ha un senso. Le serate da sola in discoteca, a guardare gli altri ballare per cercare di diventare come loro. Quella serata in cui tutto ha preso una piega inaspettata. Quel primo ballo sopra i tamburi e le chitarre elettriche. Quel primo tatuaggio con Davide. La nostra maledetta e orribile storia. Quel bambino che non ho mai conosciuto, quegli alcolici e quelle serate in cui ci sballavamo. Quella giornata in cui ho capito. E poi tutto il resto. Il mio rinascere, cercare altre strade, cercare tante strade. Solo adesso tutto ha un valore, un perchè, e realizzo il motivo del suo essere avvenuto.

Ho cercato me stessa. Mi sono trovata, ma non capita. E solo adesso, mentre guardo nei suoi occhi e comprendo come mi ama, conosco veramente me stessa.

 

Non c’è certezza della mattina

Sei il mio sorriso

riposo

La mia bambina.

 

 

 

 

 

 

 

Buongiorno!

Allora, io non lo so, perchè qualsiasi nota autrice mi sembra superflua. Comunque, è necessaria. Superflua e necessaria, un bell’ossimoro! Hahah! (*nessuno ride con lei, momento d’imbarazzo*). Questa storia per me è...importantissima. molto più che importante, quasi una parte di me. E’ importante specificare che ha avuto ben due mesi di gestazione, praticamente ormai è come una figlia. A proposito di figli, delucidazioni sulla parte dell’aborto. Vi prego, non lanciatemi i pomodori. Lo so che è un argomento delicato, ma io mi sentivo pronta, ho fatto degli incontri e vari approfondimenti, quindi spero sinceramente di aver descritto tutto bene. Mi sono mantenuta abbastanza sul neutrale, non ho voluto aggiungere commenti e varie cavolate propagandistiche simili. Ogni donna deve poter decidere che fare col proprio corpo, e chi fa il moralista dovrebbe passarci dentro per comprendere. Mi fa schifo la gente che ancora ti obbliga a seguire un percorso, le tappe obbligate del diventare donna. Comunque, basta pesantezza! Hahah! Cercate di vedere ‘l’allegoria’ dietro: lui uccide qualcosa che sta dentro di lei. E’ lui che l’uccide, perchè lei non voleva abortire. Lo dico perchè su internet è pieno di fanfiction stupide che mettono dentro il rimanere incinta e l’aborto come fossero niente, volevo discostarmi apertamente dal genere! Hahah! Comunque, avvisi tecnici. Saffo è una poetessa greca, per chi non la conoscesse. Potete andarvi a cercare le poesie su internet, lei è praticamente the best. (se non la conoscete, consiglio ode alla gelosia o  malattia d’amore, e ode ad Afrodite). Se la conoscete e avete già letto, evviva! Non vedo l’ora di sapere quello che ne pensate. Le righe all’inizio e alla fine sono mie, me le sono sognate un po’ di tempo fa! E poi, la frase del sogno di un’ombra è presa da Pindaro, altro greco.

Adesso, momento ringraziamenti! Allora, un grazie gigante, enorme, pazzescamente pazzesco ed infinito come noi a Yeli, che mi supporta e sopporta. Ragazza mia, senza di te sarei davvero un grido nel vuoto. Per fortuna ci sono delle persone che sanno ascoltare in questo mondo. Grazie ancora tantissimo a Petra, che non so se leggerà questa storia ma mi ha aiutato tantissimo, senza di te sarebbe sicuramente nata zoppa. E poi, grazie alle mie amiche, che non me ne frega se siamo lontante, se oramai siamo distanti e il tempo sembra allontanarci sempre più. Vi voglio bene.

E grazie anche a te, lettore, perchè hai letto e mi hai guardata come in pochi possono fare. Se mi lasciassi una recensione sarebbe gradita...

Grazie di tutto, Fenix:)

 

  
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