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Autore: marmelade    11/04/2015    2 recensioni
Ashton e Margareth si sono appena laureati, appena conosciuti, hanno appena finito di fare l'amore.
Nella stanza di lei aleggia ancora l'odore dell'ultima sigaretta fumata da lui, mista all'odore del sesso.
Si abbracciano forte l'uno con l'altra in un minuscolo letto dalle lenzuola sporche, come per aggrapparsi a quegli ultimi momenti della loro giovinezza.
Non si conoscono, eppure è come se la vita li avesse fatti incontrare da sempre. Sono convinti che non si rivedranno mai più, ma non è così: sono strettamente legati tra loro.
Cadranno insieme, rideranno, piangeranno e si diranno addio molte volte, senza mai riuscirci davvero.
Resteranno per una vita intera ad amarsi, anche lontani, fino a che non vorranno tornare indietro nel tempo e ricominciare tutto dall'inizio.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI
 
“Due giocattoli rotti si ameranno per sempre, anche quando il destino li ripone distanti”.
Il Cile

 
So tell me are we wasting time talking on a broken line
Telling you I haven't seen your face in ages
I feel like we're as close as strangers

 
Aprile 2007.
 
E poi, senza sapere come, dove e perché, Ashton Irwin si era innamorato.
Non era stata una cosa programmata – come si può programmare l’amore? – e non aveva scelto lui d’innamorarsi, fatto sta che era successo e basta e lui, a distanza di un anno, ancora non era riuscito a capire come.
Era stato travolto dal vortice dell’amore all’improvviso: lui, il Dongiovanni per eccellenza – dopo Calum – il Casanova dei poveri, – questo era il suo soprannome, al College – si era innamorato. E perdutamente.
Si chiamava Rachel, Rachel Stanfield e, per Ashton, era la creatura più bella al mondo.
Ogni volta che il ragazzo la guardava negli occhi, dimenticava il mondo intorno a sé e si perdeva totalmente in quel blu marino di cui si era innamorato.
Rachel Stanfield era entrata a far parte della sua vita una sera di Febbraio dell’anno prima quando, con i suoi compagni di squadra, erano stati invitati a partecipare ad uno di quegli eventi mondani che, a loro, proprio non si addiceva. Erano andati lì controvoglia, soprattutto Ashton e Michael, i quali avevano progettato insieme di passare una serata ad ingurgitare schifezze, giocare alla playstation – GTA Vice City Stories – e fumare quelle che, avevano promesso, sarebbero state le loro ultime sigarette. Poi Adam, il loro manager, aveva telefonato Michael e li aveva avvertiti all’ultimo minuto di prepararsi per bene, di infilare le prime camicie pulite che avessero trovato e muovere il culo – così aveva specificato – fuori dall’appartamento suscitando qualche imprecazione poco fine da parte di Michael, già in mutande sul divano.
Così Ashton e Michael si erano preparati di controvoglia, avevano infilato le prime camicie senza alcuna traccia opaca di sugo o qualche altra schifezza, delle giacche eleganti e avevano portato letteralmente il culo fuori l’appartamento che condividevano momentaneamente, entrando in una di quelle macchine enormi – dove Calum e Luke li attendevano -  totalmente pagate dalla loro agenzia di management.
Dopo una buona mezz’ora di viaggio, si erano ritrovati di fronte un enorme edificio al centro della città dove, in esso, si stava svolgendo un evento di beneficenza, organizzato dalla Stanfield&Co.
Michael aveva iniziato ad imprecare malamente contro Adam, non per l’evento di beneficenza in sé, ma per averlo costretto a mettere quella fastidiosa camicia da damerino chiusa fino all’ultimo bottone ed il papillon più ridicolo che avesse mai visto in vita sua. Adam, dal canto suo, gli aveva dato una pacca sulla spalla e l’aveva rudemente minacciato di farlo entrare a calci in culo, se non ci fosse entrato lui con le sue gambe, suscitando l’ilarità di Calum, il quale si sentì in diritto di prendere ancor di più in giro l’amico ed il suo papillon. Erano entrati nel grande edificio accompagnati dai commenti burberi di Michael, guardandosi intorno, increduli per la bellezza di quel posto. La sala era enorme, totalmente illuminata ed arredata con cura: da una parte, vi erano dei lunghi tavoli sui quali erano poste delle scatole in cui era possibile donare soldi, assegni e quant’altro per la beneficenza mentre, al centro, erano posti altrettanti tavoli dalla forma rotondeggiante e sui quali vi erano dei vasi ripieni di tulipani dai diversi colori.
Ashton si guardò un po’ intorno, sentendo Luke commentare con Adam della bellezza di quel posto, alzando lo sguardo verso il soffitto e notando degli enormi lampadari di cristallo a gocce. Solo quando abbassò lo sguardo, la vide.
Racchiusa in un lungo abito bianco e le mani graziosamente giunte tra loro mentre, con un sorriso, parlava tranquillamente con un gruppo di persone. La guardò intensamente da lontano, notando tutti i suoi piccoli particolari: i capelli biondi portati a caschetto, la schiena pallida scoperta, il naso all’insù alla francese e le labbra piccole ed a cuoricino, colorate di un rosso estremamente intenso.
Sorrideva, e Ashton si ritrovò involontariamente a sorridere con lei.
Solo dopo poco, Rachel Stanfield si era avvicinata a loro nel suo lungo abito bianco panna e gli aveva rivolto lo stesso sorriso di prima, mentre Ashton si perdeva nei suoi occhi blu oltremare, affogandoci perdutamente.
Per tutta la sera, entrambi non avevano avuto che occhi l’uno per l’altra, scambiandosi occhiatine fugaci e sorrisi sinceri anche in lontananza, per poi approfittare di qualche attimo libero di lei per scambiarsi anche qualche parola e qualche battuta divertente.
Quella sera stessa, Ashton aveva capito che non avrebbe potuto farsi scappare una come Rachel per cui, prima di andare via, le aveva chiesto il numero di telefono e lei aveva acconsentito calorosamente.
Si erano visti la sera dopo e la sera dopo ancora fino a che, in un tardo pomeriggio di Febbraio, Ashton aveva baciato le sue labbra a cuore, trovandole così dannatamente buone che aveva giurato a sé stesso che non ne avrebbe baciate altre.
Ashton amava Rachel più di qualsiasi altra cosa al mondo: amava la sua dolcezza, i suoi modi di fare così graziosi, il suo incarnato chiaro, la sua ingenuità e anche il suo non comprendere le battute troppo maliziose di Calum.
Anche il resto dei ragazzi sembrava aver accettato la presenza di Rachel ad alcune delle loro tournee anche se, essendo una ragazza fine e raffinata, i loro modi di fare – certe volte troppo rudi – la lasciavano esterrefatta e senza parole. Pian piano, però, la situazione stava cambiando: Rachel si stava abituando al loro essere espliciti – forse fin troppo – e rudi, mentre i ragazzi, dal canto loro, avevano smesso di esagerare con le battute maliziose e doppi sensi in sua presenza, sotto consiglio di Ashton.
O meglio, sotto minaccia di Ashton.
Da due anni a quella parte, Ashton Irwin aveva scoperto cosa fosse davvero l’amore.
Avevano comperato casa insieme, lui e Rachel, e si era sentito per la prima volta un vero adulto con delle reali responsabilità da mantenere. Amava talmente tanto Rachel che aveva imparato ad essere un ottimo uomo di casa, un uomo responsabile delle tasse da pagare, del bucato da stirare e della posta da ritirare.
Quando la notte si stendeva accanto a lei, stringendola forte, si sentiva pieno, pieno di lei, pieno d’amore, finalmente pieno di sé stesso. Ma, la realtà, era che Ashton non era del tutto pieno di sé.
Solo quando - un giorno di una settimana prima- aveva ritirato la posta, Ashton si era ritrovato tra le mani una partecipazione di nozze. Era salito in casa – ancora vuota poiché Rachel era fuori per lavoro – e, dopo aver posto le buste della spesa in cucina, aveva aperto quel candido cartoncino chiaro dalle lettere eleganti, ritrovandosi davanti agli occhi il nome di una delle sue ex compagne di College.
Wanda Livingstone, meglio conosciuta come Wanda l’acqua santa, era stata una delle sue compagne di College dieci anni prima. Era una ragazza bassa, dai capelli color carota e le lentiggini sul viso, grassottella e acida quanto un limone: il nomignolo Wanda l’acqua santa le era stato affibbiato da Calum proprio perché, per quel suo modo di essere, nessuno aveva avuto il coraggio di portarsela a letto. Solo l’anno dopo, quando erano tornati dalle vacanze, Wanda era come un’altra persona: era dimagrita tanto e il suo atteggiamento era cambiato radicalmente tanto che Calum – il primo ad essere stato con lei dopo quel cambiamento – aveva ritenuto opportuno rigirare quel nomignolo in Wanda dalla mano santa.
Ashton rise, ricordandosi di tutti quei momenti. Anche lui era stato a letto con Wanda, all’inizio dell’ultimo anno di College e gli sembrò strano che, qualche mese dopo, si sarebbe ritrovato nella stessa stanza, ma in un letto diverso e, soprattutto, con una persona diversa.
Al solo pensiero, il cuore di Ashton perse un battito.
I suoi occhi si fecero spazio tra tutti i suoi pensieri, prendendo prepotentemente il posto del blu marino di Rachel, scostandoli dalla sua mente e riponendoli in un cassetto invisibile.
Si sentì incredibilmente vuoto, dopo che il sorriso di Margo si unì al ricordo dei suoi occhi castani, mentre Ashton si sedette su uno degli sgabelli della cucina con le mani tremanti ancora con la partecipazione di nozze racchiuse in esse.
Da quanto non la sentiva? Da quanto non parlava con lei, da quanto non la chiamava anche solo per sentire il suono della sua meravigliosa risata?
Erano passati due anni e lui, di Margo, non aveva avuto più notizie.
Ogni tanto gli capitava di rivivere la scena di quell’ultima sera che l’aveva vista, quella maledetta sera in cui aveva alzato troppo il gomito e l’aveva trattata male, come la peggiore degli stracci malandati, e si sentiva uno schifo. Aveva provato a chiamarla tante volte, dopo quelle parole che si erano rivolti, ma lei non aveva mai risposto, facendo si che il silenzio tra loro aumentasse in maniera insormontabile. Pian piano, Ashton aveva smesso di provarci, le sue chiamate erano diventate dalle dieci al giorno alle sette, calando sempre più alle tre, le due... fino a che la fiamma si era spenta e aveva lasciato posto al buio.
E adesso, Ashton, non sapeva nemmeno più dove riaccendere la luce, tra di loro, perché si sentiva un bambino incapace di qualsiasi cosa, senza Margo al suo fianco.
E allora si domandò se lui fosse davvero in grado di amare Rachel come credeva, senza Margo.
Perché Margo gli aveva sempre insegnato tutto, dal vivere al sognare, dal sognare all’essere realistici... e ad amare?
Forse non avevano avuto il tempo necessario per arrivarci, dopo quella brutale litigata, forse era stato davvero troppo stupido, quella maledetta notte, forse si stava perdendo una delle lezioni più importanti da una delle persone più importanti della sua vita.
Solo in quel momento si rese conto di quanto gli mancasse sul serio Margo.
In quei due lunghi anni la sua assenza era stata accantonata, ma mai dimenticata. Forse era stato l’arrivo improvviso di Rachel a rendergli più facili le cose, ovvero l’accettare l’assenza di Margo nella sua vita, ma di certo non ne aveva preso il posto.
E pensò a quanto gli mancassero le sue ramanzine e i boccali di birra bevuti insieme a lei in una di quelle serate che erano soliti concedersi quando entrambi avevano del tempo, alle risate fatte tramite un telefono, ai sorrisi condivisi, alle pacche sulle spalle e a quelle poche dolci carezze sulle guance.
Con un sorriso amaro sulle labbra, Ashton pensò che non era mai stato così vuoto come lo era stato in quei due anni di lontananza da Margo.
E si domandò dove si trovasse lei, in quel preciso istante, cosa stesse facendo e come stesse procedendo la sua vita, se si fosse innamorata anche lei o se, peggio, si fosse sposata.
Poi sorrise, i pensieri tutt’intorno gli occhi castani di Margo.
Chissà quanti boccali di birra avesse bevuto in quei due anni senza di lui.
Perché lui, senza di lei, non ne aveva bevuto nemmeno uno.
E non aveva più sorriso come quando era con lei.
 

Margareth infilò velocemente le chiavi del portoncino del palazzo nella serratura, per poi spingere con la spalla quella pesante porta nera massiccia. Si strinse un po’ nelle spalle non appena quella si richiuse dietro di sé, creando uno stridio fastidioso seguito poi da un forte tonfo.
Fece un sospiro, chiudendo di poco gli occhi, cercando di rilassare tutto il suo corpo dopo quella estenuante giornata scolastica. Aprì gli occhi, rendendosi conto di essere finalmente nell’atrio del suo palazzo, poi portò entrambe le mani a stringere la coda di cavallo mezza sfatta dopo un’intera giornata e, subito dopo, aggiustò la giacca verde militare, tirando ancor meglio sulla spalla la borsa di pelle marrone chiaro.
Si avvicinò alla cassetta della posta, ricordandosi mentalmente di dover passare al supermercato se non voleva rimanere senza cena, poi prese dal mazzo di chiavi – ancora tra le mani – una di quelle, più piccola e colorata, infilandola nella serratura minuscola della sua cassetta personale, aprendola poi con gesto secco ed infilare la mano in essa, afferrando una manciata di lettere, senza nemmeno guardare cosa fossero.
Richiuse velocemente la cassetta e si avviò verso le scale, salendole con passo pesante e stanco, fino ad arrivare al suo amato quarto ed ultimo piano – senza ascensore - con fatica e col fiatone. Si diede mentalmente della vecchia bacucca, mentre apriva la porta di casa sua e si buttava a capofitto verso l’interno, richiudendosi la porta alle spalle.
Finalmente casa”, pensò, una volta entrata, poggiando la borsa sul pavimento del salotto e levando la giacca di dosso, tenendo la posta ferma tra le labbra con una fatica allucinante. Una volta tolta la giacca, prese l’ammasso di lettere e si avviò in cucina, poggiandole poi sul tavolo lì vicino, mentre lei accendeva la segreteria telefonica e si alzava sulle punte per afferrare una tazza dalla mensola in alto, pronta a prepararsi un caffè.
“Ciao tesoro...” , la voce meccanica di sua madre fuoriuscì dalla segreteria telefonica.
«Ciao a te, mamma» rispose annoiata Margareth, come se quella potesse sentirla, mentre afferrava il barattolo con del caffè e lo infilava nella macchinetta elettronica.
“...volevo solo avvertirti che Ronnie e Max verranno a pranzo qui, questo weekend. Sarebbe carino se venissi anche tu, per passare un po’ di tempo in famiglia, è tanto che non stiamo tutti insiem...?”
«Lavoro, mamma» la liquidò, premendo un tasto della segreteria telefonica che la fece passare al messaggio successivo.
Tutto il bene del mondo per la sua famiglia, ma proprio non ce l’avrebbe fatta a passare un’intera giornata con loro e con sua sorella minore ed il marito e sentirli parlare per l’ennesima volta del loro meraviglioso matrimonio, tenutosi qualche mese prima. Ormai era diventata un’abitudine parlarne anche nei momenti meno opportuni, e Margareth pensava che Ronnie lo facesse apposta per rinfacciarle il fatto di essersi sposata prima di lei. La realtà era che, a Margareth, del matrimonio non importava minimamente, ma sentir parlare sempre e solo delle stesse cose era una cosa che la infastidiva parecchio.
Margareth, sono Susie”. La voce di Susie sembrò come nel panico più totale, e in sottofondo Margo poté sentire il pianto continuo di Lily. “Emergenza babysitter, richiamami appena senti questo messaggio”.
Margareth ridacchiò divertita, mentre levava la tazza – adesso piena di caffè fumante – da sotto la macchinetta. Prese il telefono tra le mani, poi si voltò verso il tavolo e notò la posta ancora sigillata lì sopra, in attesa di essere scartata e letta e, magari, anche insultata.
Si sedette su una delle sedie della cucina, poggiando il telefono accanto a sé e promettendo mentalmente a Susie che l’avrebbe chiamata presto. Bevve un sorso di caffè prima di afferrare la posta tra le mani e sfogliarla infastidita, notando bollette su bollette da pagare, coperte da qualche stupida pubblicità di qualche stupido nuovo locale pieno di offerte inutili. Tutte cose che sapeva già e che non avevano bisogno di essere ripetute continuamente.
Stava quasi per comporre il numero di Susie, quando s’imbatté in una busta completamente bianca con alcuni disegni di fiori eleganti su di essa, accompagnati dal suo nome. Aggrottò le sopracciglia, aprendola lentamente, cercando di non rovinare quella busta dall’aria così raffinata, poi cacciò da essa un cartoncino altrettanto elegante, che le fece quasi accapponare la pelle.
Wanda Livingstone. Wanda l’acqua santa. Wanda, la sua ex compagna di stanza al College.
Una partecipazione di matrimonio. 
Wanda Livingstone l’aveva appena invitata al suo matrimonio.
Le si mozzò il respiro nell’esatto momento in cui si rese conto che quell’acida di Wanda Livingstone aveva trovato – chissà come – l’amore e, adesso, si sposava.
Non che Wanda le stesse antipatica, anzi, ma la cosa le fece cadere il morale fin giù i piedi.
Se anche lei aveva trovato l’amore, fin tanto da sposarsi, allora lei era destinata a rimanere zitella a vita.
Scacciò questo pensiero per dedicarsi alla lettura della partecipazione di nozze, che recitava il nome della sua amica e dello sventurato malcapitato, poi il nome della chiesa e il luogo di ricevimento, con tanto di data ed orario.
Si sarebbero sposati la settimana dopo, e lei si trovò costretta a fare due conti sul regalo da comprare, su cosa indossare e da quale parrucchiere andare.
«Fantastico» imprecò, roteando gli occhi al cielo «adesso dovrò utilizzare una parte dei risparmi per comprare un regalo di nozze. Ma perché sposarsi?!». Bevve un altro sorso di caffè e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi quanto più possibile e – finalmente o sfortunatamente – riuscì a collegare.
Si ricordò di quando, quella volta all’inizio dell’ultimo anni di College, era rientrata in camera e aveva sentito dei rumori ambigui provenire dalla stanza di Wanda. Dopo aver bussato e non aver ricevuto nessuna risposta, era entrata preoccupata nella sua stanza per accertarsi che stesse bene, e l’aveva trovata anche fin troppo bene. Aveva richiuso la porta, imbarazzata, poi si era seduta sul suo letto a leggere un libro e aveva aspettato che i due si rivestissero in santa pace, prima che quella chioma scombinata uscisse dalla stanza di Wanda. Margareth l’aveva guardato di soppiatto da dietro le pagine del suo libro, lasciando che gli occhi divertiti di lui la guardassero di poco, prima di rivolgerle un mezzo occhiolino. Lei aveva roteato gli occhi al cielo e si era buttata nuovamente nella sua lettura, ancora leggermente imbarazzata, poi aveva sentito una risatina, accompagnata dalla chiusura della porta della loro stanza. Nel momento in cui la porta si era chiusa con un leggero tonfo, Wanda era uscita dalla sua camera da letto e l’aveva guardata in cagnesco per aver interrotto il loro divertimento, poi si era seduta sul letto di Margareth e aveva iniziato a raccontarle i particolari di quell’incontro, che a lei proprio non interessavano, per cui aveva lasciato che le parole di Wanda le facessero da sottofondo alla sua lettura.
Se li ricordava come se li avesse visti ieri, quegli occhi.
Eppure, erano due lunghi anni che non li vedeva.
Il cuore iniziò a batterle animatamente quando si rese conto che, forse, ci sarebbero state grosse probabilità di incontrarli proprio la settimana dopo, a quello stesso matrimonio.
Pensava di averlo dimenticato, dopo due anni di assoluto silenzio, ma come puoi dimenticarti di un grande pezzo del tuo cuore?
Erano due anni che cercava di evitare i giornali in cui si parlava di lui e della sua vita, erano due anni che aveva ormai dimenticato quante sue telefonate aveva ignorato dopo quella litigata, ed erano due anni che, ormai, si era ritrovata a vivere a metà.
Non aveva dimenticato le lacrime versate per lui, non aveva dimenticato il dolore che lui le aveva provocato, eppure, dopo due anni, ancora ricordava il suo meraviglioso profumo, la morbidezza delle sue mani e la lucentezza dei suoi occhi. E forse, la voglia di vederlo era talmente tanta da farle quasi male.
Lasciò che il caffè si raffreddasse nella tazza e, dopo una manciata di minuti in assoluto silenzio con sé stessa, compose il numero di Susie, l’unica persona che potesse capirla in quel momento.
Attese qualche squillo – esattamente tre squilli e mezzo – prima che la sua migliore amica alzasse la cornetta e la sua voce, accompagnata da quella di Lily in sottofondo, le rispondesse.
«Margareth!» esclamò Susie, quasi sollevata «finalmente sei tornata! Giuro, non ce la faccio più, ho bisogno di te più che ma...?»
«Susie» la chiamò Margareth, bloccandola, la voce seria e tremante «emergenza matrimonio».
Susie rimase in silenzio qualche secondo. «Chi si sposa?» domandò poi.
«Wanda Livingstone, la mia ex compagna di stanza del College» rispose lei, mordendosi il labbro inferiore.
«Quella tipa acida che s’intrometteva sempre nelle nostre telefonate?! Oddio, chi ha tutto questo fegato da sposarl...?»
«Susie» la interruppe nuovamente.
«Cosa?»
Margareth chiuse gli occhi, sentendo le lacrime salirle dal cuore verso gli occhi.
«Emergenza Ashton»
«Cazzo».
 

«Dimmi la verità».
Ashton distolse lo sguardo dall’altare e lo puntò dritto di fianco a lui, incontrando il blu oltremare che, da due anni a quella parte, gli aveva fatto perdere la testa.
Gli occhi di Rachel erano in attesa di una risposta mentre, le sue labbra a cuoricino, si erano magicamente assottigliate tra loro, facendo trasparire una leggera fossetta accanto alle labbra.
Ashton aggrottò le sopracciglia. «Cosa?».
Rachel sbuffò di fronte a quella negligenza, roteando di poco gli occhi al cielo. «Ci sei stato a letto, vero?» domandò, nascondendo una risatina.
Il riccio aggrottò ancor di più le sopracciglia, leggermente confuso da quella strana domanda. «Con chi?».
«Con lo sposo» disse lei, sbuffando, aumentando l’incredulità di Ashton, poi si lasciò scappare una mezza risatina, colpendolo di poco con il gomito nel fianco. «Con la sposa! Con chi se no?!».
Ashton si passò la mano sul fianco, massaggiandolo leggermente, poi fece un ghigno. «Perché me lo chiedi? Sei gelosa?» domandò, avvicinando di poco il viso a quello della fidanzata.
Rachel imbronciò le labbra. «Non sono gelosa, sbruffone» disse, facendolo ridacchiare «ma scommetto che sei stato a letto con la maggior parte delle donne qui presenti».
«Ehi!» esclamò Ashton, allontanandosi di poco dal suo viso «staresti insinuando che sono un poco di buono?!».
Rachel scosse il capo, nascondendo un sorrisino. «Non sei famoso solo per la tua fama di batterista, sai?».
Ashton ghignò, prima di pizzicarle dolcemente un fianco, facendola sobbalzare per lo spavento, poi le lasciò un bacio leggero sulle labbra.
«Non hai risposto alla mia domanda, però» disse lei, non appena le labbra di Ashton si allontanarono dalle sue.
«Che domanda?» ghignò, e Rachel roteò ancora una volta gli occhi al cielo.
«Ashton!» lo riprese, facendolo scoppiare a ridere. Sorrise anche lei, scuotendo il capo con fare esasperato, poi richiamò nuovamente la sua attenzione con un’altra leggera gomitata.
«Lo sai che non sono un pupazzo?!» esclamò Ashton, massaggiandosi nuovamente il fianco colpito, mentre Rachel gli fece segno di fare silenzio.
«Quella lì» disse Rachel, indicando col dito una ragazza bionda poco più avanti di loro.
Ashton si voltò a guardare la ragazza con fare leggermente confuso ma, prima che potesse chiederle qualcosa, Rachel lo interruppe.
«Con quella lì sei stato a letto?» domandò, guardandolo negli occhi.
Lui poggiò nuovamente il suo sguardo verso la donna, osservando i suoi lunghi capelli biondi e guardandola in volto, stringendo di poco gli occhi, poi la riconobbe e ridacchiò.
«Sophie Morton» recitò, poi poggiò lo sguardo negli occhi di Rachel, che già lo guardava severa. «Se è questo che vuoi sapere... sì, ci sono stato a letto, ma non chiedermi altro perché sono passati anni e non ricordo più nulla!».
Rachel incrociò le braccia al petto, assottigliando gli occhi. «Ti ricorderai se sei stato a letto con la sposa, però...».
«Andiamo, Rach, mi spieghi perché vuoi saperlo?!» esclamò, aprendo le braccia.
«Eri troppo entusiasta di venire qui, Ashton. Questa cosa non me la conta giusta» spiegò, drizzando la schiena.
Ashton ridacchiò, avvicinandosi nuovamente al suo viso dai lineamenti solitamente dolci ma, stavolta, più tesi e duri che mai.
«Vuoi saperlo davvero?» domandò, soffiando di poco sul suo viso pallido. Rachel annuì col capo, incrociando meglio le braccia al petto.
Ashton sospirò. Tanto, prima o poi, sarebbe venuta a saperlo lo stesso. «Sì, ci sono stato a letto, ma è capitato mezza volta e, soprattutto, più di sette anni fa...» sorrise, prima di abbassarsi con le labbra a baciarle il collo profumato, mentre lei aveva ancora lo sguardo fisso verso l’altare, ancora privo della sposa.
«Tu sei l’unica con cui voglio fare l’amore, adesso» sussurrò al suo orecchio, lasciando che la sua pelle si accapponasse di brividi per quello scontro.
Rachel voltò lo sguardo verso di lui, sorridendogli teneramente, poi si avvicinò alle sue labbra e gli lasciò un lungo bacio a stampo, mentre Ashton le accarezzava dolcemente un braccio scoperto.
Si allontanò da lui dopo quella giusta dose di bacio, poi voltò lo sguardo dietro sé stessa, guardando verso l’entrata della chiesa. Tirò leggermente la manica della giacca nera di Ashton per richiamare la sua attenzione. Gli sorrise nuovamente, prima di indicare col dito un’altra ragazza, appena entrata in chiesa.
«E con quella lì? Sei stato a letto con quella lì?» domandò, mentre Ashton voltava lo sguardo annoiato verso il punto indicato da Rachel.
E Ashton sentì il cuore battergli per davvero, come fosse la prima volta, dopo due lunghi anni.
Dimenticò per un momento dove si trovasse e con chi fosse, guardandola  entrare e guardarsi incerta nella sala, perdendo sé stesso in quella strana sensazione appena formatasi alla bocca dello stomaco.
Notò quanto fosse cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista: i capelli non erano più corti, ma erano cresciuti notevolmente e le arrivavano fin sotto le spalle, arricciati con cura; il suo corpo era più snello e Ashton pensò che avesse perso almeno cinque chili, se non di più; le gambe erano più slanciate, forse grazie all’aiuto dei tacchi e quel vestito giallo – ricamato sui fianchi – le stava d’incanto.
Eppure, nonostante tutto, per lui era sempre Margo.
La sua Margo.
E avrebbe tanto voluto alzarsi, correre da lei ed abbracciarla, stringerla forte tra le sue braccia come quella volta che aveva dovuto dirle addio. Stavolta, però, avrebbe tanto voluto riaccoglierla nella sua vita perché le mancava, le mancava da morire e ogni giorno senza di lei era stata un’agonia.
Avrebbe tanto voluto andare da lei e dirle quanto gli fosse mancata, di quanto gli fosse mancata la sua voce, i suoi unici sorrisi e quegli occhi meravigliosi, ma la mano di Rachel si poggiò sul suo viso, girandolo verso di lei, puntandogli poi gli occhi interrogativi nei suoi.
«Ashton?» lo richiamò, facendolo ridestare da quel coma.
Lui scrollò il capo, guardando Margo di soppiatto e notandola sedersi su una delle panche di legno poco distante da dove fosse lui, poi poggiò il proprio sguardo negli occhi di Rachel che, adesso, lo guardavano interrogativi e curiosi allo stesso tempo.
«Allora?» domandò lei, insistente.
Ashton scrollò nuovamente il capo, ancora confuso. «Allora cosa?».
Rachel sbuffò per l’ennesima volta, stavolta più sonoramente, ed incrociò nuovamente le braccia al petto.
«Allora con quella sei stato a letto o no?!» esclamò, quasi infastidita dalle vaghe risposte del suo fidanzato.
Ashton voltò di poco lo sguardo verso Margo.
La osservò aggiustarsi i capelli ricci con le dita, tirandoli e torturandoli come fossero giocattoli rotti, roteare gli occhi al cielo e guardarsi intorno, quasi come se stesse cercando un volto amico e conosciuto.
Sorrise quasi involontariamente, Ashton, mentre le immagini di quella notte di sette anni prima, in quel letto minuscolo e in quella camera dalle pareti ammuffite, si fecero largo tra i suoi pensieri.
«No» disse serio, osservando di sbieco la figura di Margo. «Non ci sono stato a letto».
D’un tratto, la chiesa divenne silenziosa, Rachel sospirò – forse di sollievo – e la marcia nuziale inondò la sala con le sue note iniziali.
Tutti gli ospiti si alzarono in piedi, pronti ad accogliere l’entrata della sposa, compreso Ashton, lo sguardo ancora rivolto verso Margo, intenta ad alzarsi come il resto delle persone.
Wanda Livingstone fece la sua entrata trionfale, raggiante come non mai, racchiusa nel suo lungo abito bianco ed accompagnata da quello che doveva essere suo padre.
Ashton osservò la sposa percorrere la navata, intenta a rivolgere sorrisi sinceri di ringraziamento a tutte le persone che incontrasse sul proprio cammino. Fu solo un attimo di distrazione, poi ritornò con lo sguardo curioso alla ricerca di Margo. E fu allora che la sensazione alla bocca del suo stomaco crebbe ancora di più.
Quasi come se avesse sentito la bugia pronunciata poco prima da Ashton a Rachel, Margareth aveva alzato lo sguardo e, dopo aver rivolto un mezzo sorriso a Wanda, l’aveva visto.
E, dopo due anni di assoluto silenzio, stavano parlando con gli occhi.
 

«Accogliamo i novelli sposi in pista con un grande applauso!».
Gli applausi felici degli invitati – e anche qualche fischio prolungato – sovrastarono la voce eccitata del deejay che, intanto, infilava un vecchio disco prima di far partire Always, di Bon Jovi, la canzone della storia d’amore dei due sposini che, dopo il primo rullo di batteria, erano già lì pronti a ballare lentamente, sussurrarsi paroline romantiche e condividere le stesse lacrime di felicità.
Margareth si alzò dal suo tavolo, abbandonando con un sorriso alcuni dei suoi ex compagni di College e le loro famiglie felici, sorpassò alcune persone presenti nella sala e, invece di ammirare la danza romantica dei novelli sposi, afferrò un calice di vino bianco da uno dei vassoi in mano a uno dei camerieri e uscì il prima possibile da lì dentro, sentendosi quasi soffocare. Prima di uscire, però, non aveva potuto fare a meno di rivolgere uno sguardo a Wanda, completamente persa negli occhi di suo marito, sinceramente felice.
Margareth uscì dalla sala, tenendo stretto tra le dita il calice di vino, portandolo alle labbra e sorseggiare lentamente un po’ di quel buonissimo nettare. Solo dopo aver raggiunto l’esterno del luogo di ricevimento, si sentì finalmente libera di respirare.
La sera era già scesa da un pezzo ed alcune stelle avevano già fatto capolino nel buio, illuminando il grande parco nel quale si trovava Margareth in quel momento. Percorse di poco un piccolo sentiero ciottolato – in gran difficoltà con i tacchi alti – poi, finalmente, riuscì a scorgere una panchina, nascosta di poco dietro una siepe, accanto ad un albero di ciliegi.
Come se avesse appena visto il Paradiso, Margareth ci si sedette rudemente, tirando un grande sospiro di sollievo e sorseggiando con più voglia il vino dal calice di vetro.
Finalmente era libera di respirare e di vivere, senza più essere sottoposta alle domande indiscrete dei suoi ex compagni di College, con i quali aveva condiviso il tavolo per gran parte della giornata.
Non che non le stessero simpatici o che non si stesse divertendo, ma essere single ad un matrimonio, per lei, era sempre una gran tortura: non avevano fatto altro che domandarle se fosse sposata, fidanzata, separata o se, perlomeno, avesse figli, e lei, per loro sommo dispiacere, aveva dovuto sempre dare risposte negative. Per non parlare di quando erano arrivati a domandarle del lavoro: di fronte a tutti quei manager e commercialisti, Margareth si era sentita ancor di più una nullità.
Ovviamente, non si erano risparmiati nemmeno sull’argomento che, da un po’ di anni a quella parte, era sulla bocca di tutti, ovvero i 5 Seconds of Summer, i loro vecchi compagni di College che tutti avrebbero dato per falliti. Anche loro erano lì e, qualcuno a quel tavolo, si era anche vantato di aver rivolto la parola ad almeno uno di loro, durante quella giornata. Inoltre, non avevano fatto altro che fare apprezzamenti sulla fidanzata di Ashton, Rachel Stanfield, figlia di uno dei più grandi imprenditori della città.
A quel punto, Margareth aveva cercato in tutti i modi di spegnere il cervello per evitare di sentire la storia d’amore dei due, ma non ci era riuscita del tutto.
Aveva incontrato lo sguardo di Ashton più volte, durante il ricevimento, ma nessuno dei due aveva fatto il passo avanti per andarsi incontro e ritrovarsi.
Forse – pensò Margareth – non lo volevano davvero: forse non volevano più ritrovarsi, forse si erano stancati l’uno dell’altro e, forse, quei due anni di lontananza avevano solo fatto bene al loro – ormai – inesistente rapporto.
Strinse ancor di più il calice tra le dita, portandolo nuovamente alle labbra per sorseggiare le ultime gocce di vino, chiudendo gli occhi ed assaporando lentamente il gusto delle frizzanti bollicine presenti sul suo palato. L’arietta primaverile intorno a sé le fece dimenticare per un attimo di tutti quei discorsi su Ashton pronunciati da altre labbra e con altre parole che, forse, non corrispondevano nemmeno alle parole di Ashton stesso.
Eppure, con un amara convinzione, Margareth dovette ammettere che, forse, la verità non l’avrebbe mai saputa da Ashton.
 «Posso sedermi?».
Una strana sensazione – la stessa che non provava da tempo – si fece spazio dentro di sé, portando alle sue mani un leggero tremolio e spingendo i suoi occhi ad aprirsi lentamente per ritrovarsi di fronte quel sorriso che chissà da quanto non ammirava.
Il fiato le morì in gola non appena i loro occhi s’incrociarono, stavolta così vicini, e la bocca le si seccò per la tristezza, per la rabbia, per la felicità.
«Ashton» riuscì solo a sussurrare, un leggero tremolio a tradirla.
Erano passati due anni, e quasi non ricordava più la sensazione che provava ogni volta che pronunciava il suo nome, dopo quel lungo ed insormontabile silenzio.
Ashton sorrise ancor di più, lasciando alle sue fossette la libera uscita. «Ciao, Margo».
Da quanto tempo non si sentiva chiamare così. Eppure, anche se odiava quel soprannome, in quel momento stava amando così tanto essere chiamata in quel modo, con quella voce e con quel sorriso, che quasi si dimenticò quale fosse il suo vero nome.
Lo osservò dalla testa ai piedi, e poté constatare con i suoi occhi quanto fosse cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto: i capelli erano scombinati e disordinati, come al solito, ma molto più corti; i ricci leggermente più definiti e le braccia – coperte da una camicia bianca elegante – molto più muscolose.
Lo guardò meglio e sorrise di poco: non l’aveva mai visto vestito elegante come in quel momento.
Ashton indicò col capo la panchina. «Posso?» domandò ancora una volta, infilando le mani nelle tasche del pantalone nero.
Margareth annuì distrattamente, ammirando tutti i suoi movimenti, illuminati dal lampione dietro le sue ampie spalle. Lui si morse il labbro inferiore, sedendosi accanto a lei con una tranquillità che proprio non gli apparteneva.
Rimasero così per qualche minuto, troppo imbarazzati per guardarsi in faccia e troppo orgogliosi per ricordarsi come iniziare un discorso tra loro. Margareth strinse il calice ormai vuoto, e sentì tutte quelle bollicine appena bevute andarle alla testa, mentre Ashton tossicchiò leggermente.
«Ti sta bene questo vestito, sai?» le disse improvvisamente, guardandola di sottecchi.
Margo assottigliò gli occhi, rivolgendogli uno sguardo confuso. «Grazie...» rispose, poi fece un movimento col capo nella sua direzione «anche tu stai bene con questo vestito. Forse un po’ troppo elegante per i tuoi canoni, ma ti sta bene».
Ashton ridacchiò e, finalmente, ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. «Vero? Lo penso anche io. Mi prude da morire!».
Margareth si lasciò sfuggire una risata, poi posò il calice vuoto sulla panchina e poggiò i palmi delle mani – adesso liberi – sulla superficie fredda di ferro. «Già. Questa è la maledizione dei vestiti eleganti».
Ci furono altri minuti di silenzio tra loro, smorzati solo dalla musica ovattata proveniente dall’interno della sala e dal rumore in sottofondo dei grilli serali.
Poi, d’un tratto, Margareth scoppiò a ridere – forse sotto dettatura del vino o dell’imbarazzo – facendo voltare completamente Ashton verso di lei, leggermente confuso.
«Cosa c’è?» le domandò, sgranando di poco gli occhi. Controllò la sua camicia, cercando la causa di quella immotivata risata, ma non trovò nulla, per cui rimase a guardarla ancor più confuso.
Margareth scosse il capo, cercando di riprendersi dalle risate, poi incrociò i suoi occhi con quelli verdi di Ashton, perdendo un battito.
«Che dici...» iniziò, asciugandosi qualche lacrima con il dorso dell’indice «adesso finiremo a parlare del tempo come quelle persone che non hanno mai argomenti di cui parlare?» e rise di nuovo, scuotendo ancor di più la testa.
Ashton rimase esterrefatto poi, rendendosi conto della situazione, seguì a ruota Margo, ridendo con lei.
Ridendo di loro.
«Come abbiamo fatto a finire così?!» domandò lui, lasciando che le risate di entrambi si affievolissero.
Margareth si lasciò sfuggire un singhiozzo, poi alzò di poco le spalle. «Beh, non te lo ricordi? E’ finita con te che insultavi l’insegnamento e con me che ti davo del grande stronzo. Direi che è abbastanza ragionevole come cosa» ridacchiò appena, per poi tirarsi leggermente un ricciolo fastidioso.
Ashton annuì col capo. «Me lo ricordo perfettamente» affermò, poi le sue labbra rilasciarono un lungo sospiro. «Però possiamo sempre riprendere da dove abbiamo terminato».
Margo imbronciò di poco le labbra, confusa. «Dici che dovrei ridarti del grande stronzo?» domandò, aggrottando le spalle.
Ashton sorrise ed annuì col capo. «Sarebbe un’idea, sì».
Lei rimase un po’ in silenzio, poi scosse il capo e sorrise. Un sorriso sincero, di quelli che non faceva da tempo.
«Sei un grande stronzo, Ashton Irwin» pronunciò, ridacchiando leggermente.
Ashton sorrise, guardandola negli occhi. «Vero. E io ti ho chiamata così tante volte, dopo quella litigata».
«Vero. Ma io ero troppo arrabbiata... e troppo orgogliosa, lo ammetto. E non ti ho mai risposto».
«Vero anche questo. E mi dispiace tanto, Margo. Scusa, scusami tanto, davvero».
«Scuse accettate» lo guardò negli occhi, le lacrime che rischiavano di bagnarle il volto da un momento all’altro. «E scusami anche tu. Sono stata davvero una bastarda egoista, come al solito. Tu hai cercato di fare dei passi verso di me, ed io ho corso il più lontano possibile per starti lontano. Scusami, davvero».
Ashton le prese una mano, stringendogliela di poco per non farle male, e le carezzò il dorso con le dita.
Entrambi si sentirono finalmente pieni di sé stessi, dopo quel gesto e dopo quelle parole.
Si sorrisero come fosse la prima volta perché, effettivamente, era come se tutto quel tempo tra loro non fosse mai esistito.
«Adesso possiamo anche non parlare del tempo» disse Ashton, facendo ridacchiare Margo.
«Beh, non saprei, dipende tutto da quello che abbiamo da dirci» rispose, imbronciando le labbra.
Ashton sorrise, poi fece un cenno col capo verso di lei. «Avanti, a te la parola».
Margareth si sottrasse lentamente dalla sua presa, poi alzò gli occhi al cielo stellato e sospirò, aggrottando le spalle. «Non ho molto da dire. Vivo da sola, pago l’affitto, lavoro sempre come insegnante...» e sottolineò per bene quella parola, facendo ridere Ashton «e sto scrivendo un libro che sta andando oltre il capitolo tre».
Il riccio sgranò gli occhi dopo quelle ultime parole, rimanendo a bocca aperta. «Stai scrivendo un libro?! Ci stai riuscendo sul serio?!».
Margareth poggiò nuovamente lo sguardo su di lui e sorrise. Era bello vederlo nuovamente felice per lei.
«Sì, e direi che ci sto riuscendo piuttosto bene. Vogliono pubblicarlo entro la fine del mese prossimo».
«Cazzo Margo!» esclamò Ashton, aprendo le braccia. «E’ una notizia meravigliosa! Sapevo che ce l’avresti fatta, prima o poi. Tu non sei nata per fallire!» continuò eccitato, cosa che fece tingere le guance di Margo con un velo d’imbarazzo.
«Bisogna festeggiare» disse ancora, tastando poi le mani sulla tasca dei pantaloni fino ad estrarne un pacchetto di sigarette, porgendolo nella sua direzione.
Margo si ritrasse, imbronciando le labbra. «Io non fumo, Ash, lo sai».
«Lo so» disse lui, prendendone una e portandosela alle labbra. «Nemmeno io» .
Margareth lo guardò confusa e scioccata allo stesso tempo, aggrottando la fronte, guardandolo portare l’accendino accanto alla sigaretta ed accenderla velocemente, per poi fare il primo tiro ad occhi chiusi, come al solito.
Riaprì gli occhi, ritrovandosi di fronte lo sguardo scioccato di Margo, cosa che lo fece ghignare.
«Cioè, non fumo più. Me le riservo solo per le occasioni speciali» spiegò, e lo fece con una tale naturalezza che la cosa fece ridacchiare Margareth come un’adolescente.
Per la prima volta dopo due anni, stava ridendo sul serio.
«E tu, Casanova dei poveri?» iniziò lei, lasciandogli una leggera pacca sulla pancia «non hai novità per me?»
Ashton fece un lungo tiro dalla sigaretta, prima di aspirare lentamente il fumo nella direzione del cielo, lasciando che l’aria primaverile si mischiasse con la nicotina. Voltò nuovamente lo sguardo verso Margo, poi sorrise timidamente.
«Credo di essermi innamorato».
A quelle parole, Margareth sentì qualcosa incrinarsi dentro sé stessa, ma cercò di non darlo a vedere. Si limitò solo a guardarlo negli occhi lucidi, assottigliando le labbra.
«Credi o lo sei sul serio?» domandò, scatenando una risatina da parte di Ashton.
«Lo sono, Margo, lo sono. Sono innamorato perso!» rispose lui, scuotendo il capo.
Nonostante il male che le provocassero quelle parole, Margo sorrise, perché di fronte alla felicità del tuo più grande pezzo di cuore non puoi essere triste, anche se quella felicità vorresti tanto donargliela tu.
«E lei com’è?» domandò, sinceramente interessata. «O lui com’è. Sai, non ci vediamo da così tanto tempo che avresti anche potuto cambiare orientamento sessual...?».
«Non sono gay, Margo» la interruppe lui, sorridendo, cacciando altro fumo. «Lei si chiama Rachel, ed è... è bellissima, sul serio. Ha un paio di occhi che... mio Dio! E la sua pelle è morbida, è chiara, e lei è così... così bella. Ed è tanto dolce, è dolcissima. Sembra tanto debole, ma in realtà è forte, è molto forte. E’ una tipa veramente apposto, Margo, sto così bene con lei. E poi, diavolo, lei è così... così... cazzo, è tremendamente bella, Margo, ed io sono completamente...».
«Innamorato».
Ashton poggiò nuovamente lo sguardo negli occhi castani e grandi di Margo, dopo che quest’ultima aveva completato quella frase al posto suo, trovandoli leggermente lucidi.
Sorrise, buttando il mozzicone di sigaretta ormai finito, poi annuì col capo.
«Già. Sono innamorato».
E gli sembrò quasi impossibile che uno come lui, Ashton Irwin, potesse essere innamorato, ma innamorato sul serio, non come tutte le altre volte che aveva creduto di esserlo.
Lui era completamente innamorato.
Margareth sorrise ed annuì col capo, poi lo inclinò leggermente. «E’ una bella sensazione, no?».
E Ashton non riuscì a capire a quale sensazione si riferisse Margareth in quel momento. Perché si sentiva così pieno di lei, che quasi dimenticò gli occhi blu oltremare di Rachel.
«Già» sussurrò «è davvero una bella sensazione».
Margareth sorrise di nuovo, lasciando che la sua mano si posasse su quella di Ashton, proprio come aveva fatto lui qualche minuto prima. Lasciò che Ashton ci si aggrappasse come fosse un’ancora di salvataggio, poi quest’ultimo la ritrasse a quel contatto per portarla al taschino della camicia candida, creando così della curiosità in Margo.
Le sorrise, prima di estrarre da esso un cartoncino immacolato come la sua camicia e di porgerglielo delicatamente tra le mani tremanti e, forse, impaurite da tale dono.
«E’ per te, questa» le disse «sapevo che ti avrei incontrata, oggi».
Margareth annuì distrattamente prima di poggiare lo sguardo su quel candido cartoncino appena donatole, scontrandosi con quei due nomi, quasi maledetti per lei, in quel momento.
Ashton Fletcher Irwin avrebbe sposato Rachel Janet Stanfield tra due settimane.
Il cuore di Margareth smise di battere per secondi che le parvero infiniti, poi alzò lo sguardo da quelle lettere tremendamente eleganti e lo incrociò a quello di Ashton.
«Ti sposi tra due settimane» fu solo in grado di dire, sentendole le mani tremare.
Il riccio annuì, passandosi una mano tra i capelli scombinati. «Già. Due settimane precise».
Margo sentì nuovamente le lacrime pizzicarle contro gli occhi, ma promise a sé stessa che non le avrebbe versate, non davanti ad Ashton, non davanti alla sua felicità.
Così, fece l’unica cosa che le sembrò possibile fare, in quel momento: fingere.
«Cazzo, Ashton!» esclamò, aprendosi in un largo sorriso. «Ti mollo per due anni e tu mi combini... questo! Oh Gesù, non credo di poter reggere tutto in un momento. Prima mi dici che ti sei innamorato, che hai messo la testa apposto e poi... cazzo, un matrimonio!».
Ashton sorrise. «Sei contenta?».
«Certo, certo... certo che lo sono!» boccheggiò ancora, sorridendo «chi sei tu, e cosa ne hai fatto del vero Ashton Irwin, quello che cambia ragazze come fossero mutande?!» e Ashton rise dopo quelle parole, mentre Margo continuava a non poterci credere.
«Oddio... due settimane! Solo due settimane! Mi hai messa in difficoltà, adesso dovrò utilizzare per forza un altro vestito» esclamò, imbronciando nuovamente le labbra, poi scosse il capo, incredula. «Mio Dio, due settimane! Come mai così presto? Credevo che per organizzare un matrimonio ci volesse molto più tempo...».
Le labbra di Ashton si aprirono ancor di più in un sorriso, poi la sua mano andò a finire dietro la sua nuca, grattandola leggermente. «Beh sì, effettivamente ci vuole tempo. Diciamo che vogliamo sposarci prima che... beh sì, hai capito, no?».
Margareth lo guardò confusa, poi scosse il capo. «Se me lo dici così, come pretendi che io capisca, scusa? Sei sempre il solito imbecille, su questo non sei cambiat...?».
«Rachel è incinta».
E fu allora che Margareth si rese conto di essere distrutta per sempre.
Rimase a bocca aperta per chissà quanto tempo, impedendo nuovamente a sé stessa di non piangere di fronte ad Ashton come aveva fatto l’ultima volta che si erano visti.
Così sorrise di nuovo, fingendo una felicità che, forse, non aveva mai finto prima.
«Oddio, Ash... cazzo, no, no, non ci credo!» esclamò, mentre il riccio annuiva col capo, sinceramente contento.
«Cazzo, Ashton. Sarai padre, porca puttana, padre!» continuò, stavolta buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte.
Le mani di Ashton si poggiarono sulla sua schiena, accarezzandogliela leggermente, poi le sue braccia si chiusero intorno ai suoi fianchi e la strinsero forte, così come non accadeva da tempo.
«Ci credi, Margo?! Sarò padre! Io, Ashton Irwin... sarò padre!» esclamò anche lui nelle orecchie di Margo, che continuava a stringerlo.
«Congratulazioni, Ash» sussurrò lei, carezzandogli i capelli dolcemente. «Sono così felice per te, davvero. Congratulazioni».
Ashton continuò a stringerla tra le sue braccia, tenendola stretta, senza rendersi minimamente conto del dolore di Margo in quel preciso istante. Eppure, nonostante quei sorrisi, Margareth non poté negare a sé stessa di aver ritrovato la felicità negli occhi di Ashton anche se, adesso, appartenevano ad un’altra.
E lei avrebbe dovuto farsene una ragione, prima o poi, perché non sempre due persone sono destinate a stare insieme. E loro due ne erano un chiaro esempio.
«Mi sei mancata tanto, Margo» sussurrò lui, carezzandole la schiena.
Margareth sorrise, lasciando che una lacrima scappasse alla sua forte resistenza. Gli lasciò un bacio sincero sulla guancia, prima di avvicinarsi al suo orecchio.
«Mi sei mancato tanto anche tu, Ashton».
Rimasero stretti in quell’abbraccio per un po’, come se stessero cercando di recuperare tutto quel tempo perso in quei due anni con un semplice, unico, gesto.
Margareth si asciugò quella lacrima leggera scesa poco prima sulla sua guancia, poi si staccò dall’abbraccio e lo guardò negli occhi, poggiando entrambe le mani sulle sue spalle e rivolgendogli un sincero sorriso.
Un sorriso vero, di quelli che, nonostante tutto, continuava a riservare solo ed unicamente per lui.
«Forza» disse, facendogli una leggera carezza. «E’ arrivato il momento di farmi conoscere Rachel. Mi sa che ho degli auguri da farle».

 
Heeello everybody! :D
Sì, sono nuovamente in ritardo. Stavolta di sole due settimane, però! u.u 
No okay, non è una scusa, ma mi sa che vi dovrete proprio abituare a questi enormi ritardi, perché i capitoli sono luuunghi da scrivere e il tempo è poco D: 
Nonostante tutto, però, mancano tre capitoli alla fine e spero di finirli il prima possibile perché, come ho promesso a voi (e a me stessa) porterò avanti la storia fino alla fine senza lasciarla in sospeso come ho già fatto con altre due storie, perché non mi va di lasciarvi col fiato sospeso, anche perché nella mia testa (e sul quaderno degli appunti, ma questa è un'altra storia u.u) la storia è finita, nel senso che so già cosa far accadere nei prossimi capitoli.
Soo, stay tuned, se vi va, ovviamente! So che potreste perdere interesse per la storia con questi immensi ritardi ma vi giuro che cercherò di fare del mio meglio :)
Alluuuora, che dire? Capitolo scottante per la povera Margareth! 
Ashton si sposaaaa e diventerà padre! 
Come la capisco, non sopporterei nemmeno io tutta questa situazione D:
Però dai, bisogna ammettere che Rachel è abbastanza innocua hahaha cioè, a me esprime tenerezza, non so a voi!
Anyway, l'importante è che i due abbiano fatto pace e abbiano chiarito dopo quella furente litigata :) 
E finalmente Margo sta scrivendo un libro *-* aaaaaw, piccina! Anche lei aveva bisogno delle sue soddisfazioni, dai u.u
Anyway, credo di aver detto tutto. Sicuramente dimenticherò qualcosa, ma who caaares! I miei sproloqui non interessano a nessuno hahahah
Comunque, vorrei solo rinnovarvi una domanda: vi andrebbe se io scrivessi una oneshot dal punto di Ashton? E' un'idea che mi frulla in testa da un po' ma, ovviamente, non l'ho ancora scritta (la solita genia .-.). Insssomma, sarei contenta di sapere se la cosa potrebbe farvi piacere! :D
E adesso ho scritto veramente tanto, quiiindi vi abbandono, come al solito, lasciandovi i luoghi (?) in cui potete trovarmi e contattarmi, se vi va, ovvero facebook twitter ed ask.
Ancora milioni di grazie a chi legge, recensisce, inserisce tra le preferite/seguite/ricordate e blablabla u.u
Siete veramente gentilissime, io vi ringrazio di cuuuore! 
Un baciiione fortissimo,
Mary 
 
 
 
 
 
 
  
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