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Autore: PeaceS    11/04/2015    8 recensioni
Da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato. Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
[ ... ]
Perché, se Scorpius Malfoy decide di renderti la vita un inferno e tu te ne innamori perdutamente, mentre la tua migliore amica è nelle mani di un certo Zabini - famoso per essere un porco - e cerca di conquistare un Nott di tua conoscenza anche se - alla fin fine - quel certo Zabini non è molto felice, non puoi fare altro che chiederti perché la vita ha deciso di renderti le cose così difficili.
Insomma, tutto quello, però, avrebbe dovuto aspettarselo: era o non era una Potter?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Angolo autrice:
Non... non so nemmeno come iniziare; di solito i miei “angoli autrice” servivano sempre per scusarmi di un ritardo o di un evento che mi ha impedito di prestarvi attenzione, mentre adesso...
3.00am è arrivato al capolinea. Non era una cosa prevista, questo è certo, ma rileggendo gli ultimi capitoli mi sono resa conto che questa storia non ha più nulla da raccontare.
3.00am è finita e quasi mi si spezza il cuore nel constatarlo.
Ma come ogni storia che ha un fine, c'è sempre un altro inizio... qualcuno ne era già a conoscenza – e durante i capitoli c'è stato qualche indizio – e volevo informare il resto delle lettrici che ci sarà un sequel.
Il primo capitolo, per chi volesse ancora seguirmi, verrà pubblicato la settimana prossima – salvo imprevisti – e spero che siate tante come lo siete adesso.
Volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno seguito dall'inizio, coloro che mi hanno recensito assiduamente e chi non ha mai avuto tempo di farlo – ma mi ha letto silenziosamente.
Grazie a chi mi ha inserito nelle seguite, nei preferiti e nelle ricordate... grazie a chi mi ha dato sostegno e voglia di scrivere. A chi mi ha alzato il morale in momenti bui e chi mi ha dichiarato apertamente di amarmi e odiarmi.
Grazie delle mille emozioni e del tempo che mi avete dedicato... grazie, grazie e grazie.
A presto, spero.

 

 

 

 

3.00AM

 

 

 

 

 

« Non c'è posto più sicuro, non c'è! Forse solo Hogwarts! »
Col cazzo, Hagrid, col cazzo, avrebbe risposto gentilmente Albus Potter, strafregandosene delle parolacce e del fatto che oramai l'omone facesse parte della sua grandissima famiglia.
Quando si era rivolto a suo padre con quelle parole, avrebbe dovuto riformulare la frase con « Ovunque tu sia, se sei un fottuto Potter, sei nella merda fino al collo! Hogwarts? Dici Hogwarts, eh?
In special modo ad Hogwarts, cocco! » e forse uno si sarebbe messo pure in guardia – portandosi la bacchetta anche al bagno per la cacca giornaliera.
“Senti, io non conosco te e tu non conosci me. Quando sei stata qua per dare una mano a mio padre e mia sorella io ero sotto incantesimo...quindi che centro?
Andiamo, la legge del vecchio West non viene usata più nemmeno dai vampiri – e tutti sappiamo quanto siano suscettibili, quelli.
Io non ho fatto niente, se non svegliarmi e venire a sapere che metà delle persone che conoscevo sono morte, l'altra metà sono in uno stato irreversibile e la mia quasi ragazza è passata al lato oscuro senza nemmeno darmela.
E sì. Sono vergine. Vuoi davvero che io muoia vergine?
Sarebbe una cattiveria anche per voi demoni, sai?” e sproloquiare in quel modo non gli avrebbe nemmeno salvato la vita, di questo ne era purtroppo a conoscenza.
Ma quando era nervoso di solito cominciava a parlare e non la finiva più, come quelle donne che hanno il ciclo e devono sfogare le proprie frustrazioni sul primo malcapitato passato sotto le proprie grinfie.
Il fatto più preoccupante, comunque, era che si stava paragonando ad una ragazza con il ciclo.
“Anche se non credo che la mia verginità sia prossima al pericolo.
Non ho molta fortuna con le ragazze... di solito mi considerano uno di loro – e se l'idea di un uomo nudo non mi suscitasse alcuna emozione o chicchessia, crederei davvero di essere uno di loro; le donne mi spaventano, anche se non so perché” continuò, legato in un angolino e scuotendo disperatamente la testa.
Era davvero un caso perso... e si era davvero paragonato ad una ragazza con il ciclo?
“Hai finito?” Angelique roteò gli occhi rossi verso di lui, annoiata a morte da quella manfrina.
“Vuoi ancora uccidermi?” domandò sospettoso Albus, cercando di placare i nervi e anche qualcuno che si era smosso nelle parti basse.
Insomma, quello non si svegliava nemmeno quando una gli metteva le mani nei pantaloni e solo a guardare quella sottospecie di demone psicopatico alzava la testolina e voleva far festa?
Torna a dormire, ingrato che non sei altro, sibilò mentalmente al suo pene, assottigliando gli occhi smeraldini e fissandosi il cavallo dei pantaloni con le narici frementi dalla rabbia.
“Non ho mai voluto ucciderti” sbuffò Angelique, tornata quasi normale dopo la sfuriata al Ministero della Magia.
Dopo averci riflettuto aveva capito che era stata una stupida: si era lasciata sopraffare dalla rabbia e aveva lasciato andare la causa della morte del suo compagno così – senza nemmeno guardarlo negli occhi. Così, come se sfidare un demone non causasse nessuna conseguenza.
Lord Voldemort meritava di morire. Lei rivoleva indietro quel cuore che lui si era preso ingiustamente: non sapeva come, ora che Tu-sai-chi aveva sangue di demone nelle vene, ma ci sarebbe riuscita.
Angelique gli avrebbe strappato il cuore dal petto e lo avrebbe restituito al legittimo proprietario – di cui le restavano solo le spoglie.
Il suo compagno sarebbe tornato in vita a tutti i costi, doveva solo sbrigarsi e fare in modo che non si decomponesse del tutto – rendendole impossibile il compito.
“E allora perché mi hai legato come un salame?!” sbraitò Albus, interrompendo il filo dei suoi pensieri e strabuzzando gli occhi.
La stava fissando come se stesse ballando la salsa in mutande.
No... paragone sbagliato. Non avrebbe di certo reagito in quel modo se lei stesse ballando la salsa in mutande.
Smettila, smettila! Penserà che sono un pervertito, smettila, sibilò ancora mentalmente al suo pene, guardandolo nuovamente con sospetto e ricordandosi – una volta libero – di farsi tante di quelle docce gelide da farlo desistere di alzare la testa per i prossimi quattro mesi.
“Perché mi sto divertendo a leggerti nel pensiero” soffiò Angelique, perfida.
Sorrise, no... sogghignò, quando lo vide sbiancare velocemente e stringere le labbra in una linea sottilissima.
“Niente docce gelate e...sembri davvero una ragazza con il ciclo, sai?” rise Angelique, sbattendo civettuola le lunga ciglia e osservando – deliziata – il colorito di Albus passare da un bianco cinereo ad un rosso pomodoro.
“Sei cattiva” piagnucolò Al dal suo angolino, mettendo su un broncio adorabile e abbassando lo sguardo sul pavimento.
Bella figura ci hai fatto fare, sbuffò al suo pene, calciando un sassolino ai suoi piedi e facendo una smorfia con la bocca.
“La smetti di parlarci?! Non è normale, sai?” sbottò Angelique, guardandolo stranamente e chiedendosi se davvero quel pulcino lì stesse discutendo con l'amico nelle parti basse.
Insomma! Il figlio di Potter e il fratello di quella che era stata un demone – e anche abbastanza potente – per pochi mesi, stava parlando con il suo pene come se quello gli rispondesse.
“Scusa, non ne posso fare a meno” bofonchiò Albus, guardandosi la punta delle scarpe e arrossendo nuovamente.
“Sei strano”
“Disse colei che mi è apparsa alle spalle e mi ha legato come un prosciutto, lanciandomi dall'altra parte della saletta con un calcio in culo e guardandomi come un piatto appena cucinato” soffiò fuori il ragazzo ancora legato, chiedendosi perché – se poi non voleva ucciderlo – lo avesse trattato in quel modo.
“A parte che è stato divertente sentirti parlare di cose stupide e della tua verginità...ma poi, ho bisogno di alcune informazioni e per fare in modo che tu non scappi, ti ho legato per bene” snocciolò velocemente la demone, sedendosi sul cornicione di pietra e ciondolando le gambe pallide e tornite.
Era avvolta da un abito di seta nera, che le stringeva il seno in una fascia e ricadeva in morbide pieghe fino al ginocchio ossuto. Era di una bellezza strana e inquietante, tanto da non poterle togliere gli occhi di dosso. Abbastanza da farlo tremare appena, ma né per il freddo e tanto meno per la paura.
Il nero, a contrasto con la sua pelle pallida – che sembrava marmo – era davvero il sinonimo della sua anima. E lei era sempre più bella e mostruosa. Sempre più bella e terrificante.
“Non sarei scappato comunque: non ho né la forza e né la voglia. E comunque sei troppo carina perché potessi darmela a gambe” borbottò, prima di rendersi conto di quello che aveva appena detto. E comunque sei troppo carina perché potessi darmela a gambe?
Ma davvero? Complimenti, Potter... sei di un originalità unica e inimitabile.
O sei solo un coglione, si disse da solo.
“Dovresti parlarne con qualcuno, sai? Non è normale che tu e la tua coscienza discutiate in questo modo” disse Angelique, alzando un sopracciglio e fissandolo con scherno.
“Smettila di leggermi nel pensiero!”
“No”
“Stronza” sbottò Albus, piagnucolando come un bambino.
“Quasi quanto tua sorella”
“Allora non conosci il resto delle mie cugine... e mia madre. Falle uno sgarro e, demone o no, ti ritrovi morta prima di urlare « ce l'ho fatta! »
Non so se ho reso l'idea” borbottò, pensando alla forza distruttrice delle donne Weasley quando veniva toccato loro l'essenziale.
“Ancora paura della mammina, Potter?”
“Della mia? Certo che sì!
A diciassette anni mi cala ancora le braghe per sculacciarmi” rispose Albus, rabbrividendo inorridito nel ricordare i colpi secchi della madre sulle natiche.
Di solito non riusciva a sedersi per due\tre giorni consecutivi ed era terribile: non avrebbe mai chiesto ad una sua futura ragazza cose di questo tipo a letto... sapeva cosa si provava e oltre ad essere doloroso aveva un ché di umiliante che non avrebbe di certo voluto trasmettere a lei.
Avere dei trauma a volte aiutava davvero a mitigare l'egoismo umano, pensò, annuendo a quel pensiero.
“Ma davvero stai paragonando le sculacciate che ti da tua madre a quelle che daresti ad una tua improbabile fidanzata durante un rapporto sessuale?” rise Angelique, guardandolo di solito come lo guardavano le donne: come un pupazzo gigante, senza sesso, arte o parte.
Mai, mai in vita sua aveva incontrato un tipo del genere: Angelique era stata con vampiri, demoni e anche esseri umani come lui... e nessuno era mai stato – fuori e dentro – così casto. Così puro.
Tutti in sé racchiudevano un lato oscuro, tutti, anche il Bambino Sopravvissuto e, volente o nolente, questo sarebbe venuto allo scoperto prima o poi.
“Mi dici cosa ti devo dire così la finiamo con questo teatrino e tu la smetti di leggermi nel pensiero?” borbottò Albus, stanco di essere preso in giro. Come sempre.
“Uno: che fine hanno fatto quelle luride bestie mascherate?
Due: che fine ha fatto tua sorella?” elencò Angelique, poggiando il mento sulle mani congiunte a preghiera senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Era strano... ma appena aveva assunto quella posizione, la sua testa aveva paragonato quel demone ad una Madonna; i riccioli bruni sciolti a ventaglio sulle spalle fragili, la pelle bianca e marmorea – eppure deturpata, eppure straziata da vene bluastre.
La bocca rossa e carnosa, il naso perfettamente delineato e il viso sottile – quasi disegnato tanto simmetrico.
Perfetto. Ecco, forse non si poteva nemmeno spiegare la bellezza di quei demoni: se qualcuno avesse mai domandato che aspetto avessero, Albus avrebbe potuto rispondere solo perfetto.
“I Mangiamorte sono spariti tutti appena Lily ha assunto la sua forma umana o almeno così mi hanno detto quando mi sono svegliato e ho trovato la distruzione attorno a me” disse triste, scuotendo il capo per lo scempio che aveva visto attorno a sé.
Per il dolore. Per il sangue. Per le ferite. Per quella guerra che non era nemmeno iniziata e aveva portato con sé troppe, troppe persone.
“Sei davvero puro come sembri” bisbigliò Angelique, abbozzando il primo vero sorriso da... sempre, probabilmente.
Quell'umano era così strano. Così umano.
“È una brutta cosa per caso?” domandò, visto il tono stranito che aveva usato nel pronunciare quelle parole.
Angie sorrise, scuotendo il capo.
“No, ma probabilmente sei il primo vero umano che ho incontrato in decenni di vita” mormorò, lasciando che alcuni riccioli le accarezzassero la bocca mentre gli diceva ciò.
Albus la guardò, ma non proferì parola.
Perfetta, per l'eternità triste che l'aspettava. Per le ferite che nascondeva. Per il voler morire nonostante non avesse un cuore che batteva... ma i sentimenti, quelli era evidente che ce li avesse tutti quanti.
Come si poteva provare amore, tristezza, angoscia, se non si aveva un cuore che batteva? Come poteva quell'essere senz'anima provare qualcosa – essendo statica. Essendo granitica?
“Ora ascoltami bene, pulcino” sogghignò Angelique, atterrando sulla pietra gelida con un piccolo saltello e raggiungendolo scalza.
Una Madonna dallo sguardo cremisi e il sangue nero come le ali di un corvo, ecco cos'era quell'essere che ora si era inginocchiato ai suoi piedi – rispecchiandosi perfettamente nel suo sguardo smeraldino.
“Lord Voldemort è sopravvissuto ad un cuore di demone perché ha l'oscurità insediata in sé, ma ci vorrà molto, molto tempo prima che si riprenda. Nonostante quello che si dice in giro, la sua carne, la sua anima e il sangue sono umani e ci vorrà tempo prima che il suo metabolismo accetti qualcosa di così invasivo come il cuore di un demone – che ha funzioni, modi e circolazioni diverse dalle vostre.
Ci vorrà tempo... e per voi ci vorrà un piano. Vi ho agevolato le cose per alcuni punti di vista, ma ci vorrà molto di più: quando lui si riprenderà, il suo potere sarà il triplo di quello che è stato fin'ora e allora sarà la fine per voi.
Quello che vi serve sarà uno studio approfondito sui demoni... e al mondo quelli che conoscono i demoni più di qualsiasi altra cosa sono gli alchimisti, i druidi e tutti coloro che conoscono le leggende più antiche sulla faccia della terra.
Questa non sarà sicuramente l'ultima volta che ci vediamo, ma ho bisogno che tu mi faccia da tramite” snocciolò velocemente Angelique, slegando le corde che lo tenevano legato e liberandolo finalmente.
“Perché io? E perché non lo fai direttamente tu?” borbottò Albus, massaggiandosi i polsi e arrossendo vagamente per quella vicinanza assurda.
Assurda e perfetta.
“Io non posso e tu sei l'unico che può aiutarmi. Che può aiutarvi” mormorò, poggiando una mano sulla sua guancia e ora costringendolo a fissarla.
Sì, c'era dell'assurdo in quella vicinanza forzata – nel modo in cui entrambi cercavano di arretrare e avvicinarsi.
Lui era bollente e lei gelida. E il loro tocco sembrava scontrarsi, rifiutarsi... e combaciare in un modo assurdo. Assurdo e perfetto.
Lei odorava di rose appena sbocciate, del tempo che scorre in fretta e miele. Odorava di assurdo e... perfetto. Qualcuno poteva odorare di perfetto?
“Lo farai per me, Albus?”
La sua voce ora era bassa, priva dell'ironia che l'aveva accompagnata fino a quel momento. Ora la sua bocca era schiusa e rilasciava veleno al posto del fiato.
Era quello, che facevano i demoni? Avvelenavano il sangue e rendevano schiavi delle loro perfezioni? O era solo lei?
O, semplicemente, era lui... con lei?
“Lo farò per te” mormorò il ragazzo, annuendo e battendosi un colpo sul petto come un giuramento.
Angelique sorrise e lo baciò. In realtà non fu un vero e proprio bacio: fu uno scontrarsi di labbra – uno scontro tra incredulità e fermezza. Caldo e freddo. Incanto e rifiuto. Antidoto e veleno.
Assurdo e... perfetto.
Prima che se ne rendesse conto lei era già sparita, lasciandolo lì con le labbra tese, gli occhi chiusi e il cuore... e il cuore non lo sapeva.
Batteva, si fermava – tremava e poi ritornava duro, com'era diventato dopo tutte le delusioni che aveva subito.
Era assurdo quello che gli era appena successo: lui non sapeva nulla di di lei, tranne che aveva aiutato suo padre e sua sorella durante le battaglia. Punto. E ora lei si presentava lì, lo legava e gli proponeva una vita d'uscita, un qualcosa che probabilmente avrebbe salvato la vita a tutti loro.
Era perfetto quello che gli era appena successo: lui non sapeva nulla di lei, tranne che aveva l'odore più buono che avesse mai incontrato sul suo cammino e il volto sofferente della Madonna – che aveva appena perso il frutto della sua carne, del suo sangue.
Assurdo e...perfetto.

 

 

La Sala Grande era diventata un ritrovo per tutti coloro che avevano partecipato alla battaglia: non solo ospitava i feriti, ma anche i parenti dei deceduti, gli amici – coloro che volevano aiutare e tutti i suoi studenti.
Le tavolate erano state eliminate e al loro posto c'erano letti di fortuna, sedie, puff e qualsiasi cosa che rendesse comoda o almeno piacevole la permanenza delle persone presenti.
Lily Potter conosceva tutti, lì. Ogni viso, voce o movimento che aveva visto e sentito in quella settimana, l'avevano aiutata a legarsi a tutti coloro che avevano condiviso il suo stesso destino.
Il suo stesso dolore.
Con lo sguardo ritornò al giornale che le aveva consegnato Edvige II, storcendo il nasino dinnanzi al titolo catastrofico che lampeggiava di un rosso carico in prima pagina: Rita sono stronza e voglio morire prima che scada il mio tempo Skeeter era tornata all'attacco e a Roxanne non era andato molto giù l'articolo che aveva scritto.
“Non arrabbiarti così tanto, in fondo sappiamo tutti quanto sia inutile... sia lei che la Gazzetta del Profeta” sbuffò Molly, seduta sul suo lettino di fortuna e accettando con un dolce sorriso il tè alla cannella che le stava offrendo sua zia Ginny.
“So perfettamente quanto sia inutile quella vecchia zitella” sibilò Roxanne e, in lontananza, Hermione poté sentire uno squittio d'animale... uno squittio quasi scandalizzato.
“Già – continuò la Granger con un sogghigno sulla bocca spaccata in più punti.
Diventa sempre più vecchia e, con quel caratteraccio che si ritrova, nessuno la vorrà” disse morbidamente, risentendo il suono di prima.
O Rita spaccacazzi Skeeter era stupida o pensava che lo fosse diventata lei dopo le violenze subite. Ma Hermione confidava nella prima ipotesi.
Lily la guardò: sua zia Hermione si guardava attorno circospetta e continuava ad urlare quegli insulti ai quattro venti – facendosi guardare strana da metà dei presenti. O almeno quelli coscienziosi.
“Come se centrasse la vecchiaia. Quella era cessa anche prima” sibilò Alice Paciock, incattivita, guardandosi le unghia martoriate con la cattiveria che l'animava da quando Lysander era stato paralizzato dalla vita in giù.
Hermione si alzò dal suo lettino, assottigliando lo sguardo bruno con sospetto: Draco alzò appena gli occhi grigi dalla Gazzetta, senza più stupirsi delle stranezze della Mezzosangue.
Aveva avuto a che fare con Potter per diciassette anni... se non era strana lei, chi lo sarebbe mai stato?
“Una cessa stratosferica, con quei ricci poi!
Non me la sarei scopata nemmeno se fosse stata l'ultima donna sulla faccia della terra”
Harry Potter fece l'occhiolino alla sua migliore amica, prima che questa si lanciasse vittoriosa contro una finestra quasi in fondo alla Sala Grande. Tutti la guardarono con tanto d'occhi, chiedendosi se davvero Hermione Granger non avesse perso il lume della ragione con tutte le violenze subite, ma non lui.
Harry aveva immediatamente capito: Rita Skeeter sapeva un po troppe cose per aver intervistato solo due funzionari del Ministero e sembrava quasi aver dimenticato con chi avesse a che fare.
“Pensavi avessi dimenticato che forma avessi, piccola bestiolina?” sibilò la Granger, parlando con il proprio pugno.
Lily alzò un sopracciglio, ignorando la fotografia di suo padre in prima pagina che faceva smorfie assurde – alla stregua di un psicopatico – e fissando la donna che alzava i pugni in cielo, trionfante.
“Ma che succede?” domandò Jackie Alaia, quasi infastidito da tutto quel trambusto.
Alzò gli occhi castani più fatti del solito e spenti come non mai sui presenti, impassibile dinnanzi alla scena comica che gli si stava presentando davanti allo sguardo.
“Torna alle canne, Alaia, è meglio” esordì Lucy al fianco di sua sorella – fucilandolo con un occhiata raggelante.
Era strano come cambiassero le persone. Come Jackie non fosse più il ragazzo spensierato di prima e come Lucy avesse perso quella luce che la rendeva strana, speciale, diversa.
Era strano come cambiassero le persone e come queste si avvicinassero quando il dolore prendeva il sopravvento – quando il dolore spazzava via tutto.
Lui la guardò e qualcosa gli s'incrinò dentro, facendogli quasi tremolare le iridi.
“Non rivolgermi la parola, Weasley” bisbigliò, massaggiandosi il petto in modo circolare.
Lucy sorrise dolcemente, abbassando lo sguardo e lasciando che le ciglia creassero ghirigori fantasiosi sulle guance pallide, tirate e graffiate: quante volte l'aveva vista passarsi le mani sul viso, disperata, nel guardarsi attorno e constatare la distruzione che la circondava?
Jackie aveva perso il conto di tutte le volte che aveva visto il sole accarezzare i suoi capelli rossi, rendendoli simili ai raggi quando calava il sole – e lei cercare di strapparsi ciocche su ciocche, ciondolando su se stessa come una bambina con evidenti problemi mentali.
Jackie aveva perso il conto di tutte le volte che i propri occhi si erano posati sulla sua bocca sottile, simile a petali di rose rosse – e lei mordersele fino a spaccarsele. E lei mordersele fino a renderle rosse per il sangue.
Non aveva più visto un sorriso solcare quella bocca né il suo colore tornare naturale – quel rosa prima così pallido, delicato, lontano dall'idea che Lucy dava di sé... ma in quel momento così vicino a lei. Vicino all'anima sgretolata che cercava di non mostrare e lontano da quella bocca inguardabile tanto martoriata.
“Lo sto facendo già” mormorò lei, inchiodandolo lì seduto con i suoi occhi spenti – così uguali ai suoi, ma in realtà così poco somiglianti. Così difficilmente paragonabili.
Jackie aveva perso il conto di tutte le volte che si era fermato ad osservare quelle iridi azzurrine – ora opache, ora simili ad un pozzo estremamente profondo. Più le guardava e più le sembrava di cadere e scontrarsi contro una lastra di ghiaccio.
Jackie più la guardava e più si rendeva conto che lei era il suo riflesso rotto – quello che non aveva più avuto il coraggio di guardare dopo la morte di sua sorella. Dopo la morte dei suoi compagni, della sua anima.
“Siate gentili” li ammonì Ginny, accarezzando i capelli di Lucy gentilmente e osservando Molly centellinare la sua bevanda con difficoltà.
Diciassette anni e ritrovarsi senza un braccio. Diciassette anni e sapere di avere un futuro rovinato – invalido.
Chissà cosa provava, Molly. Chissà come si sentiva ora che sapeva di non poter mai più essere normale.
“A chi piace dar fuoco alle formiche?” sibilò Hermione, mentre qualcosa squittiva tra le sue mani quasi come un topolino.
“A me piace uccidere le persone, ma potrei fare un pensierino anche su questo” soffiò Alice – che non si era mai mossa dal fianco di Lysander – guardando la donna con un sorriso soffice sulla bocca carnosa.
Il ragazzo, steso sul lettino, rabbrividì.
Le avevano strappato l'anima, rendendola un mostro: la sua paralisi l'aveva trasformata in qualcosa che Lys, dall'inizio della loro relazione, aveva cercato di scacciare con tutte le sue forze – ma che per amor suo era tornato con una violenza inaudita, uccidendo la ragazza di cui era innamorato.
Quel lato oscuro che di primo acchito li aveva allontanati, portandoli ad odiarsi e che ora brillava in lei. E che ora pendeva sulla sua testa come una spada di Democle - pronta a tagliarle la testa.
Pronta a recidere quelle radici che li legavano, ma che ora si stavano assottigliando sempre di più.
“Mi aiuti?” la sua voce era sottile e Alice girò il capo di scatto, quasi come se le avesse urlato all'orecchio.
Era strano come il dolore cambiasse... e rendesse cattivi – ma così sensibili da tenere perennemente dolore al cuore. Perché Alice era diventata quasi maligna verso le altre persone, lasciando fuoriuscire quella vena sadica che avrebbe spaventato addirittura Bellatrix Lestrange, ma – dall'altra parte – aveva l'amore che nutriva verso di lui che sembrava quasi spezzarla in due.
Ogni volta, quando la beccava a fissarlo, a Lys sembrava quasi vederla arcuare la schiena per il dolore immane che le causava la sua situazione.
“Vieni...” e con le braccia fragili – ma che Lys aveva imparato bene, potevano spostar monti – lo issò a sedere al centro del letto facilmente, quasi come se non pesasse nulla.
I suoi occhi erano un oceano di paura, angoscia, dolore, cattiveria e vendetta. Perché sarebbe stato stupido da parte sua accantonare quell'idea: Lysander conosceva molto bene Alice e sapeva che si sarebbe vendicata. Sapeva che avrebbe fatto scorrere sangue... che lei, di Paciock, non aveva nulla.
Lei, di Paciock, aveva solo l'apparenza genuina e la determinazione.
“Io non seguo la legge del vecchio testamento, Alice” bisbigliò al suo orecchio, sfiorandole il lobo con la punta del naso e infilandole le mani nel caschetto color miele – in un gesto che apparve dolce di primo acchito, ma che entrambi sapevano doloroso per la presa ferrea e severa.
I loro occhi si agganciarono quasi con violenza e Lysander seppe tener testa con fermezza il luccichio di gelidità che brillava nello sguardo di lei. Così piccola, così delicata, così sua eppure... in un modo quasi contorto, così poco sua.
“Io sì” e quella risposta valse più di mille parole.
Oh, Alice... così fragile, ma con un fuoco dentro che rischiava di bruciarla da dentro e uccidere prima chiunque incontrasse sul suo cammino e poi lei stessa.
“Ti distruggerai con le tue stesse mani” sussurrò Lysander, quasi implorandola con lo sguardo.
Impotente, come sarebbe sempre stato fisicamente.
Impotente, come era sempre stato mentalmente.
“Qualcuno deve pur fare il lavoro sporco” rispose la ragazza, senza tirarsi indietro.
Poggiò una mano sulla sua guancia e lo accarezzò dolcemente – come fa di solito la morte prima di strappare le anime dai corpi delle sue vittime.
“Non tu. Non ora che la guerra diventerà un vero e proprio calvario.
Non voglio che tu sia in prima linea e non voglio perderti come ho perso lui” non riusciva nemmeno a pronunciare il nome di suo fratello e quello spiegava quanto fosse diventato patetico.
Patetico, per il suo stato di salute.
Patetico, perché era diventato un mezzo uomo.
“Non puoi impedirmelo” soffiò Alice sulla sua bocca, sfiorandola e rubandogli il respiro, il senno e il raziocinio. E rubandogli l'anima e la capacità di poter pensare altro oltre la parola patetico.
Non poteva fermarla. Patetico.
Non poteva proteggerla. Patetico.
Non poteva nemmeno abbracciarla di sua spontanea volontà, senza che lei non dovesse aiutarlo ad alzarsi dal letto. Patetico.
“Ma posso lasciarti”
La sua voce si ruppe sull'ultima parola, strappando un sorriso dolce dalle labbra di lei.
“No, non puoi” rispose, convinta anche dal dolore che trapelava dalle sue iridi azzurre.
Patetico, hai bisogno di lei anche per andare al bagno.
Patetico, hai bisogno di lei anche per una semplice doccia.
“Lo sto facendo” il suo tono s'indurì e lo sguardo di Alice traballò, insicuro – simile alle fiammelle di una candela accarezzate dal vento.
“Ora” finì, distogliendo definitivamente lo sguardo dal suo e piantandolo al terreno, sicuro.
Patetico, non puoi nemmeno fare l'amore con lei senza che questa debba starti perennemente sopra.
Alice rimase impietrita, a pochi passi dal suo volto, abbassata su di lui com'era abituata oramai da una settimana a quella parte – appena la battaglia era finita e loro avevano scoperto il suo stato irreversibile.
Il suo cuore produsse uno strano rumore, come quando le onde s'infrangono contro la costiera e portano con sé alcuni pezzi di pietra e lei tremò appena, drizzandosi lentamente. Come aveva sempre fatto.
La corona non cadde dalla sua testa e l'ape regina non mostrò alcuna debolezza quando i suoi occhi si focalizzarono sui presenti.
“Occhio per occhio, dente per dente.
Così sarà” fu l'ultima cosa che disse prima di lasciare la Sala, lasciandolo lì. Con il cuore in gola e la parola patetico che rimbalzava tra le pareti del suo cervello come una palla impazzita.
Patetico.
“Come abbiamo fatto a non pensarci?”
La voce baritonale di Blaise Zabini si sovrappose ai suoi pensieri, portandolo ad alzare gli occhi e fissarli su di lui.
Grosso e impotente, seduto sul letto di suo figlio senza alcun dolore ad accecargli i lineamenti – nonostante sua moglie fosse deceduta disgraziatamente per mano di un Mangiamorte.
“Scusa se eravamo troppo impegnati a compiangere i defunti” ironizzò Roxanne, intrattabile e irascibile. Dura come il granito e fredda più del ghiaccio.
“Non rivolgerti con quel tono a me, mocciosetta” sibilò Blaise, fucilandola con un occhiata raggelante e facendo fremere appena le narici per la rabbia.
“Ah no? E perché non dovrei?” lo schernì la ragazza di colore, storcendo la bocca in un sogghigno sarcastico.
Fredda come l'inverno e dura come la staticità che aveva colto il suo cuore alla morte apparente di Frank.
“So cosa hai fatto, tesoro” soffiò Blaise a bassa voce, mentre Dalton alzava gli occhi azzurri dalla Gazzetta del Profeta che stava cercando – anche inutilmente – di leggere da mezz'ora. Fermo sempre sulla stessa riga.
Ah, al diavolo! Gli era venuto solo un mal di testa assurdo. E lui odiava i mal di testa quasi quanto le rughe.
O i culi mosci, a come la si voleva vedere.
“Qua c'è gente malata che cerca di stare un po in tranquillità” sbottò, sporgendo la testa dal giornale e fissando con aria accusatoria tutti i presenti.
“In questa sala sono tutti malati, persino Lily – che non ha un cazzo – è più malata di te. Sei l'unico che non ha niente, Zabini” sbottò Dominique dalla sua postazione a cinque letti di distanza da lui.
Questo alzò gli occhi al cielo.
“Ma tu che ne sai? Sei cieca!”
E via con il solito tatto dei Zabini che avrebbe fatto onore ad un elefante in una cristalleria. E questo era tutto dire.
“Perché sei ancora vivo?” domandò Dominique, morbidamente, volgendo la testolina bionda verso il suono di quella voce e mostrando alla sua destra la benda bianca che le copriva gli occhi.
Ciechi. Irrimediabilmente ciechi.
“Domandalo alla Smith” sbottò acidamente Dalton, facendole la linguaccia e dimenticandosi di già che non poteva vederlo.
Già, la Smith.
Che fine aveva fatto la Smith?
“Se riuscirei a vederla, magari...” sbraitò la bionda, trattenendosi dal lanciare un incantesimo alla cieca – letteralmente – e cogliere chiunque tranne il coglione che stava ridacchiando allegramente a pochi metri da lui.
“Ha preso il posto di suo padre” mormorò Dalton, dolcemente, inclinando il capo e posando lo sguardo verso la fine della Sala – dove Joe stava aiutando un ferito ad ingurgitare un po di brodino.
I capelli corti, gli occhi neri ora pieni di determinazione.

 

« Ho provato piacere ad uccidere, Dalton! Capisci?
Mio padre è morto per proteggere delle persone e io ho provato piacere nell'ammazzarle »
Le urla, gli occhi intrisi di lacrime – odio, tristezza. La bocca morsa a sangue e le mani tremanti che si toccavano i capelli corti e disastrati – il volto smunto e pallido.
Ah, l'odio. A cosa portava l'odio?
« Aiutami, ti prego. Dalton, ti prego... »
I singhiozzi e le ginocchia rosicchiate dalla pietra – dove oramai sostava da più di un ora.
L'odio li stava distruggendo, ecco la verità. Li stava corrodendo da dentro e sarebbero impazziti. Sarebbero morti.
« Hai provato piacere ad uccidere perché stavi ammazzando una persona che ti stava per portare via tutto. Quella feccia, stava per uccidermi.
Non sei cattiva, Joe. No.
Anche la signora Weasley ha ammazzato, quando la madre di Lily stava per venire uccisa; anche Harry Potter ha ammazzato, quando ha visto che Lord Voldemort stava distruggendo tutto ciò amava.
Non sei cattiva, tesoro, sei umana e provi sentimenti. Ti è concesso amare come ti è concesso odiare.
E io amo il tuo modo d'essere umana »
Il tremore delle mani, il tocco delicato che aveva usato per accarezzarle la guancia.
Il bacio delicato sulla bocca – e i ti amo sussurrati a fior di labbra.

 

 

“Ciao” mimò lei, sorridendogli dolcemente e ricordandogli – giorno dopo giorno – perché l'amava così tanto.
Era sua. Merlino, se lo era.
“Ciao” rise Dalton con il cuore leggero.
Sì. Aveva il cuore leggero, nonostante fosse morta sua madre. Lì aveva capito dove arrivavano i sentimenti di Joe – cosa sarebbe stata capace di fare per proteggerlo.
Ora lei lo guardava, e non c'erano tentennamenti.
Ora lei lo guardava, e sorrideva – senza tremori, timori o altro.
Era serena, ora.
“Beh, almeno siamo vivi” sospirò Scorpius, poggiando il mento sulle mani incrociate e abbozzando un sorriso.
“Sì, guarda... una grande consolazione” sbottò Dominique, acida, intrecciando le dita con quelle di James – che strinse immediatamente la presa.
“Oh, ma è mai possibile? Non ne dico una giusta” piagnucolò Scorpius – a cui mancò un battito quando Lily si sedette al suo fianco.
Gli sembrava di impazzire. C'era qualcosa di strano, ora, quando la toccava – qualcosa che lo faceva uscire di senno.
All'inizio credeva impossibile che potesse amarla di più. Credeva fosse impossibile provare un sentimento così profondo – così doloroso da portargli a massaggiarsi il petto.
Infilò le mani nei suoi capelli rossi come il sole al tramonto e socchiuse gli occhi, soggiogato dal suo odore. Era come se qualcosa l'attirasse irrimediabilmente a lei – costringendolo a toccarla.
Costringendolo a bearsi della sua immagine, a tremare per le sue carezze – la sua voce, la bocca ora tesa in un sorriso e le mani poggiate sulle sue spalle.
“Non dici cose sbagliate” rise Lily, spostandogli una ciocca di capelli dagli occhi delicatamente.
Era impazzito, più di prima.
Era inspiegabile quello che sentiva... era come morire e poi risorgere. Risorgere per poi tornare a morire.
“Sarà stata la battaglia o la paura di averti persa in modo irrimediabile, ma ogni secondo che passa ti voglio sempre di più” sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra – sorridendo.
Lily si irrigidì. Anche lei aveva notato quella cosa e la paura che non era nessuno di quei due motivi ad averlo sempre intorno la tormentava.
Da quando quel tatuaggio le marchiava la pelle lui le gravitava attorno come se fosse una stella e lei il suo satellite.
E aveva paura. Tanta paura.
“Sì” rispose freddamente, lasciandosi cullare dalle sue braccia.
Appoggiò la schiena contro il suo petto e con gli occhi bruni si guardò attorno: si erano fatti terra bruciata attorno e non avevano affrontato nulla. La battaglia vera e propria doveva ancora avvenire e quella volta non era solo Lord Voldemort il problema.
Guardò Lucy accarezzare il volto di Molly e lei ricambiare con un sorriso dolce; James stava leggendo la Gazzetta a Dominique e lei di tanto in tanto sbuffava – stringendo la presa su di lui quasi con violenza.
Jackie era in disparte e fissava Lù, mentre Roxanne rollava una delle sue solite canne – distrutta dalla scomparsa di Frank, nonostante lei avesse cercato in tutti i modi di salvarlo... lui l'aveva ricambiata mordendola e scappando senza più farsi vedere.
Dalton guardava Joe, sua zia Hermione stava bruciando le ali di una certa spaccacazzi trasformata in Animagus e suo papà parlava animatamente con Albus – lanciando di tanto in tanto occhiatine a sua madre, intenta a curare i feriti insieme a Joe e altri.
Il suo mondo era lì, tra quelle mura. Il suo mondo era lì, in quel dolore che li aveva piegati drasticamente... ma non spezzati, no.
Quello mai.
Loro erano lì, vivi e trovavano ancora la forza di sorridere – di dire che potevano farcela.
“La scuola sta per finire...” borbottò Scorpius alle sue spalle, mentre Lysander si sforzava per non chiedere aiuto e sdraiarsi nuovamente.
“E noi saremo lì fuori, esposti agli attacchi esterni” rispose Lily, stringendosi contro di lui e cercando di non pensare – di non sentirsi sporca.
“Ce la faremo” l'assicurò Malfoy, accettando con benevolenza la carezza sul capo, fatta di sfuggita, quando suo padre passò dietro di lui.
Sì, si sforzò di essere sicura Lily.
Loro ce l'avrebbero fatta. E nessuno, nessuno sarebbe stato in grado di spazzare via la loro speranza – la loro vita.
Si guardò attorno e sì, ora ne era sicura: nessuno sarebbe stato in grado di sotterrarli.
Lo capì nell'amore delle due gemelle, in quello di Joe che stava ridendo con una ragazza ferita. Lo capì nell'aria che si respirava, nei sorrisi di chi aveva partecipato a quello scempio e nel modo in cui si volevano bene... nonostante tutto, nonostante tutti.
“Ce la faremo” affermò a voce alta – accoccolandosi ancora di più contro il suo petto.
E quella era una promessa.

   
 
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