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Autore: Tomi Dark angel    12/04/2015    13 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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“Coloro che son morti non sono degli assenti, ma degli invisibili:
Fissano i loro occhi colmi d’amore nei nostri, colmi di lacrime.”
 
-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-Io… io non…-
-Sceriffo? Adesso mi preoccupo. Dov’è Stiles?-
-Non… non è…-
-Che succede?! Mi passi Stiles!-
-Non… posso. Io… Scott, la sua… la sua camera è… è…-
-Sto arrivando.-
-Non capisci. La camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-
 
3 Anni dopo.
-Ci vediamo domani, allora!-
Scott ricorda ancora quelle ultime parole, quell’ultimo abbraccio fraterno che si scambiarono allora, prima che accadesse. Si ricorda di Stiles, ricorda il suo sorriso sornione, il suo odore, la sua voce. Ricorda. Ma tutto finisce lì, a quella notte di tre anni fa, quando lo vide per l’ultima volta.
“Cosa è accaduto poi, Scottie?”
Scott si ferma, chiude gli occhi. Rivive ancora una volta quei momenti di terrore, intrisi dalle grida dello sceriffo e dal sangue che sporcava ogni parete della camera di Stiles. Rosso, sporco, innocente. Scott non vuole pensarci davvero, non vuole accettare che il suo amico sia morto. Si aggrappa disperato alla speranza che sia accaduto qualcosa di diverso, che quel sangue che odorava di Stiles non fosse realmente suo. Si aggrappa al pensiero di non aver mai ritrovato il suo corpo, né un odore che uscisse da quella casa.
“Può un corpo sparire nel nulla, Scott?”
Può un corpo sparire? Scott non lo sa. Forse sì, forse no. Forse. Ed è di forse che va avanti la sua vita da quel giorno. Forse si alzerà dal letto quella mattina, forse dimenticherà tutto quel sangue. Forse si sveglierà da un brutto incubo e Stiles sarà lì, vivo e sorridente, con quegli occhi dorati intrisi di luce ironica e voglia di vivere.
“Forse, forse, forse… il mondo non se ne fa nulla dei forse, Scott. Dovresti averlo imparato.”
Dovrebbe. Ma lui in realtà non ha imparato nulla. Non sa perché il suo branco si è praticamente disfatto da allora, non sa perché Kira e Cora sono partite per schiarirsi le idee o perché Allison (dopo la loro rottura) e Lydia (dopo aver perso un caro amico) hanno scelto di ritirarsi nel silenzio più totale. Ma la verità, quella bruciante e troppo dolorosa da ammettere ad alta voce, è che Stiles era la loro colla. Li teneva uniti, li supportava, alleggeriva la tensione con la sola forza di un sorriso.
Scott ricorda la sua voce, e quasi sorride. Poi però, ripensa a Derek, alla sua faccia quando Scott l’ha chiamato in lacrime dalla stanza ancora vermiglia di sangue del suo migliore amico. Derek è comparso lì nell’arco di un minuto, e ha sbarrato gli occhi. È entrato nella stanza, ha toccato i mobili, si è guardato intorno come in trance. Poi, ha chiuso gli occhi e voltato il capo dall’altra parte. Da allora, non ha più detto una parola, non un commento, non un’ammissione. Nulla. silenzio. E al silenzio è stato ridotto il rapporto del branco per almeno tre anni.
Scott non sa cosa c’è di diverso quel giorno, quando si alza dal letto. È ormai sera, ma ormai per lui non fa differenza. Gli pare di dormire ogni giorno della sua vita da circa tre anni. Non ricorda cosa fa, a stento pensa a cosa mangia o a cosa gli dice sua madre. Perciò, il fatto di aver dormito per quasi un giorno e una notte, gli risulta praticamente indifferente.
Si passa una mano sul viso e respira a fondo, cercando di respingere gli incubi che lo hanno tormentato durante il sonno. Ha rivisto Stiles urlare, lo ha immaginato mentre lo chiamava disperato, ancora cercando di respingere debolmente una grossa bestia zannuta intenta a farlo a pezzi.
Dio.
Inspira a fondo l’aria della sera, si bea del silenzio e della pace… poi però, qualcosa cambia.
L’orologio rintocca la mezzanotte.
Un odore familiare gli pizzica il naso, inebria i suoi sensi di tremori e speranze, di paure e dubbi. Sta impazzendo, forse?
Un altro rintocco, come di un gong mortifero che segna l’inesorabile scorrere delle ultime ore.
Scott balza in piedi, raggiunge la finestra. I suoi occhi da licantropo scrutano l’oscurità, la vagliano accuratamente, pezzo dopo pezzo, come un puzzle che poco a poco si ricostruisce. Scott cerca una speranza, ma non è certo di trovarla. Forse è pazzo per davvero.
L’orologio rintocca ancora e ancora. Un pendolo oscilla da qualche parte di un richiamo arcano che, scoccando la mezzanotte, annuncia anche una delle ore più buie della giornata. L’ora delle streghe, l’ora dell’oscurità. L’inizio di un giorno e la fine di un altro.
Scott si sporge oltre il davanzale, annusa l’aria e l’odore è ancora lì. Deve seguirlo? E se fosse una trappola? No… c’è qualcosa di diverso stavolta. Non se lo sta immaginando, lo sente. Ma allora? Se Stiles è lì, perché non entra in casa? Se è sopravvissuto, perché non lo ha mai chiamato per dirgli cosa è successo quella notte?
Accade all’improvviso, prima ancora che Scott se ne accorga. L’orologio  rintocca, ma non completamente. Il suono si interrompe all’improvviso, come se qualcuno avesse spento il meccanismo o bloccato il pendolo con una mano.
Scott si irrigidisce, improvvisamente nervoso. Guarda verso l’oscurità della casa, assottiglia lo sguardo. Può l’orologio essersi rotto all’improvviso? O forse qualcuno è entrato in casa?
Scott guarda la sveglia luminosa appoggiata sul suo comodino, proprio accanto al letto. E si accorge con orrore che è ferma. I numeri non lampeggiano, le cifre sono bloccate alle 0.00 in punto. Mezzanotte. Ma Scott è certo che debba essere trascorso almeno un minuto da quando il pendolo ha cominciato a suonare.
Lentamente, gli artigli fuoriescono, reagendo al crescente nervosismo del loro proprietario. Non è normale che il pendolo abbia smesso di rintoccare e che al contempo la sveglia si sia fermata. È come se… come se il tempo non esistesse più. Qualcosa lo ferma, cristallizza gli attimi e i respiri in una piccola bolla d’aria rarefatta, malsana, come uno scherzo della natura. E a Scott questo non piace perché vive a Beacon Hills, e lì qualsiasi più piccola anomalia può significare più di ciò che appare.
Un rumore all’esterno, come di piedi che calpestano l’erba lo spinge a voltarsi.
E allora lo vede.
Una figura alta e slanciata di ragazzo con indosso jeans scuri e una felpa nera. Ha il cappuccio calato sulla testa e le mani infilate nelle tasche come se fosse capitato lì per caso, ma Scott sente che non è così: sa che il ragazzo sta guardando in alto, proprio verso di lui. Ha il capo inclinato, la posizione morbida e rilassata… ma Scott non lo vede in viso.
Però, l’odore di Stiles viene proprio da lui.
-Stiles?-
Scott si sporge oltre il davanzale, fissa il ragazzo che ancora immobile sembra rilanciargli lo sguardo da sotto il cappuccio. Scott vorrebbe oltrepassare gli stipiti della finestra con un unico balzo, ma non è sicuro che quello sia Stiles.
-Stiles? Sei tu?-
Il ragazzo non risponde. Semplicemente, volta le spalle e comincia ad allontanarsi, le mani in tasca, il capo chino, come se non volesse essere riconosciuto.
-Aspetta!- Scott grida, si sporge… ma all’improvviso, il mondo ricomincia.
DONG.
L’ultimo rintocco smette di suonare, la sveglia ticchetta, una folata di vento lo investe. Rumori lontani di città ancora viva lo stordiscono e improvvisamente, l’odore di Stiles non c’è più, sparito insieme a quello stesso ragazzo col cappuccio.
 
Derek Hale si allena, una flessione dopo l’altra. Sale e scende, inspira ed espira. Non pensa, non vuole farlo. Lascia che lo sforzo fisico gli sottragga ogni più piccolo pensiero, ogni più piccolo incubo o ricordo. Perché lui di ricordi, ne ha abbastanza. E odia doverlo ammettere a se stesso, ma quegli stessi ricordi, quei ricordi lontani dove un ragazzo solare sorrideva e gli salvava la vita ogni volta, anche quando erano nemici…quei ricordi fanno male davvero. E Derek odia soffrire, perché ciò lo fa sentire debole, indifeso, fragile. Non è così che vuole essere.
Le flessioni si intensificano, i muscoli si contraggono. Derek avverte un velo di sudore scivolargli lungo il torace nudo, ma non si ferma. Accelera, sbuffa dal naso. Ogni volta che un ricordo cerca di affiorare, lui lo schiaccia con una flessione, inesorabile e spietato così come ha sempre scelto di essere.
Lui non ama ricordare Stiles Stilinski.
Stiles Stilinski non è mai stato nulla per lui.
Derek non soffre assolutamente la sua mancanza.
Bugie, una dopo l’altra. Ma Derek ama convincersi del contrario, ed è troppo testardo per ammettere a se stesso che si sta praticamente prendendo per il culo da solo.
Altre flessioni, altre contrazioni muscolari. Derek sente i ricordi affollarsi, una voce petulante invadergli la testa. Tre anni. Sono trascorsi tre anni e ancora la sente. Lui è bravo a dimenticare, bravo a mettere da parte. Eppure, per qualche motivo, Stiles è ancora lì, nella sua testa e lui…
Un rumore. Qualcosa urta la finestra di casa Hale, picchietta caparbio contro lo stipite con piccole zampette.
Derek si volta e vede un corvo imperiale particolarmente grosso appollaiato sul davanzale. Ha le piume nere e lucide, il becco affilato, ma non è questo ad attirare l’attenzione di Derek.
Gli occhi. Il corvo ha gli occhi quasi dorati, dallo sguardo intelligente e vispo. Uno sguardo che Derek non vede da esattamente tre anni.
Il lupo si avvicina lentamente, cercando di non spaventarlo. Si chiede se sia il caso di afferrare al volo la creatura nel caso cercasse di volare via, ma forse non è una buona idea.
Derek fissa la creatura negli occhi, si specchia nelle scintille di chiarore dorato che pervadono le iridi. Quegli occhi sono troppo umani per essere attribuiti a un normale animale, ma Derek sente che qualcosa non va. Quello non è Stiles, eppure…
Prima ancora che Derek abbia il tempo di azzardare un gesto, il corvo spalanca le ali e vola via, lasciandosi alle spalle l’ombra di una piuma e un odore che per un attimo stordisce profondamente il lupo. Perché lui quell’odore lo ha già sentito, ed è quello di Stiles Stilinski.
-Che cazzo sta succedendo?-
 
-E comunque credo che dovresti parlarci.-
-Con Scott?- Allison sorride accondiscendente, gli occhi improvvisamente tristi. –Sai che non parla più con nessuno da quasi tre anni. Si è chiuso in se stesso, Lydia… e forse l’ho fatto anche io.-
Lydia si specchia minuziosamente, appoggiandosi al corpo un vestito dopo l’altro per osservarne modelli e colori. Cerca di decidere cosa sia più giusto indossare quella sera per uscire a fare due passi con Allison. È ancora estate, quindi il giorno dopo non dovranno frequentare il college della città al quale si sono praticamente iscritti in blocco dopo la fine dell’anno scolastico. Nessuno se l’è sentita davvero di lasciare Beacon Hills, non dopo la scomparsa di Stiles. È come se ognuno di loro si fosse aggrappato disperatamente ai ricordi che quella città preserva per loro.
-Allora, rosso o verde? Forse il verde, direi che si intona ai miei…-
Buio. Le luci si spengono all’improvviso, una dopo l’altra, come se qualcuno avesse fatto scattare l’interruttore. L’intera casa piomba nell’oscurità e Lydia rabbrividisce perché improvvisamente sente freddo e ha paura. Cerca di non darlo a vedere, ma non riesce a impedire ai suoi occhi sbarrati di saettare verso la finestra, dove un unico raggio di luna argentato proietta sul muro l’unica fonte di luce rimasta.
-Lydia? Stai bene?- Allison si alza, scivola a tentoni verso di lei come per proteggerla. Non ha il suo arco, ma conosce bene l’autodifesa e se dovesse accadere qualcosa…
Un fruscio. Qualcuno si avvicina, scivola nell’ombra, si muove furtivo intorno a loro.
-Chi è là?- urla Lydia, la voce ormai vibrante di terrore.
Nessuna risposta. Solo silenzio.
Poi però, un’ombra si allunga sul pavimento, partendo dal riquadro vuoto della finestra. La massa di oscurità si stiracchia, raggiunge il muro per poi risalire lungo la parete.
-Allison… mio Dio…-
Lydia si aggrappa al braccio dell’amica, pronta a scattare in una fuga disperata in caso di pericolo. Si sente minacciata, ha paura.
L’ombra tremola, si stabilizza. Lentamente, comincia a plasmarsi, un tratto dopo l’altro, fino a modellare perfettamente un profilo affilato di ragazzo, i cui capelli scompigliati svettano indomiti in tutte le direzioni. È un profilo che le due ragazze conoscono, una sagoma che hanno visto tante e tante volte anni addietro. Ma non è possibile. Oppure sì?
-S… Stiles?-
L’ombra tremola, pare rattrappirsi. Poi, lentamente comincia a ritirarsi verso la finestra e sparisce. Le luci si riaccendono, la casa prende vita.
Lydia corre alla finestra e si affaccia, ma non c’è nessuno in giardino.
-Allison…-
L’amica non risponde, perciò Lydia si volta. Allison ha il cellulare premuto sull’orecchio e la mano tremante di chi ha appena visto… un fantasma. Se di fantasma si trattava.
-Pronto? Scott, sei tu? Sì, io… devo dirti una cosa. Abbiamo visto Stiles. Crediamo che sia vivo.-
 
-Oh, ma che carini.-
La donna sorride sorniona, gli occhi di un verde brillante illuminati come fari nell’oscurità della boscaglia. Siede compostamente sul ramo di un albero, il corpo sottile come un giunco, la pelle pallida, i capelli ricci e corvini. Ha un furetto appollaiato sulla spalla.
Se qualcuno la vedesse adesso, abbracciata dalle ombre, penserebbe a un bellissimo angelo nascosto. E questo forse, sarebbe l’errore più grande da fare o il modo più veloce per farsi staccare la testa di netto.
-Guarda, dolcezza: si preoccupano per te.-
La donna si volta verso l’albero più vicino, dove un’altra figura giace accovacciata su un ramo poco più in alto, una mano appoggiata al tronco e il capo coperto dal cappuccio della felpa. Sulla sua spalla c’è Diablo, un grosso corvo imperiale intento a sonnecchiare placidamente, col capo nascosto sotto l’ala.
-Lasciali in pace, Dumah.- rimbecca stancamente il ragazzo, ancora immobile al suo posto.
Dumah sorride divertita. –È stata una tua idea quella di farti vivo in questo modo. Amo il tuo senso da diva repressa, ma forse sarebbe stato più educato salutarli di persona.-
-Non parlarmi di educazione proprio tu. Se mi fossi presentato alla loro porta così all’improvviso probabilmente Scott avrebbe avuto un infarto e Derek mi avrebbe fatto a pezzi con le sue mani. Il tutto, senza accennare ad Allison e Lydia che forse avrebbero reagito anche peggio.-
-Oh, come sei tragico.-
-Realista, non tragico.-
Dumah fissa casa Mccall con interesse e fa schioccare la lingua. –Preferisci che vada io ad annunciare il tuo trionfale ritorno?-
Il tronco scricchiola quando il ragazzo stringe le dita sulla corteccia in una stretta rabbiosa.
-Ti sconsiglierei di provarci. Ti ho già detto di lasciarli in pace.-
-Finitela, voi due.- sbotta un’altra voce più acuta di bambino. La piccola figura giace sul ramo sovrastante a quello dove siede Dumah e pare del tutto insofferente alla situazione. Giocherella con un cubo di Rubik, completandolo e disfacendolo di continuo, senza fermarsi mai, tanto che le sue mani a stento si intravedono. All’apparenza, appare impossibile che un bambino di appena dieci anni possa assemblare correttamente un cubo di Rubik in pochi istanti, ma Alastor non ha mai avuto problemi a trovare la giusta combinazione. Fa scorrere le dita sottili sulle facce del cubo, fissando gli occhi blu elettrico su di esso. Ogni tanto scosta i capelli scuri dal viso cinereo, ma non si distrae quasi mai dal suo interessante gioco. Ai suoi piedi, un grosso gatto nero di nome Zwei sonnecchia placidamente.
-Suvvia, stiamo solo giocando.- si difende Dumah, stiracchiando gli arti. Il furetto albino, Diaval, si attorciglia intorno al suo collo come un pellicciotto vivente.
-Ricordo bene l’ultima volta che avete giocato. Quindi finitela.-
-Non facemmo niente di sbagliato…-
-No, certo. Dumah, smettila di distrarmi o ti strappo i denti a mani nude. Se mi fai sbagliare di nuovo, potrei arrabbiarmi sul serio.-
Dumah si zittisce, improvvisamente tesa. La minaccia di Alastor la inquieta molto più di quanto dia a vedere, con la sua aria spavalda e gli occhi guizzanti di sicurezza. Al ragazzo appollaiato sul ramo poco distante basta un’occhiata per intravedere il vago tremore che percuote per un attimo le dita della mano destra di Dumah.
-Dobbiamo muoverci.- mormora allora il ragazzo, dando un colpetto a Diablo. Il corvo si sveglia con un sussulto e lo fissa con aria di rimprovero. –Prima concludiamo questa storia, meglio sarà per tutti.-
-Sei ansioso di tornare da dove siamo venuti, Stiles?-
Alastor solleva gli occhi e lo guarda, le mani che nervose continuano a impostare i colori del cubo senza mai sbagliare combinazione.
-No, io… niente.-
Stiles si sbilancia all’indietro verso le ombre, si lascia cadere dal ramo. L’oscurità lo accoglie, abbraccia i suoi arti e la sua mente per trascinarlo lontano, come mezzo di trasporto fedele al suo volere. Stiles non ha voglia di parlare con Alastor e Dumah perché sa che non potrebbe mentire a nessuno dei due.
Non può dirgli che vuole andarsene perché detesta guardare Derek da lontano, in silenzio, come ombra fuggiasca che tuttavia non si stanca mai di studiarlo, di scoprirlo, di tenergli compagnia quando dorme e lui non sa che Stiles è lì a tenere a bada ogni suo incubo. Derek non può neanche immaginare tutte le volte che Stiles è stato lì, fuori casa sua, per poterlo osservare per non più di qualche minuto. Quei momenti di serenità, Stiles li ha poi pagati a caro prezzo ma se dipendesse da lui, lo farebbe ancora e ancora, mille e mille volte per il solo gusto di vedere Derek e sapere che sta bene, che è vivo, che va avanti anche senza di lui.
Stiles emerge dalle ombre, e stavolta è direttamente in casa Hale. La trova deserta perché Derek è corso da Scott per discutere degli ultimi avvenimenti che sembrano preannunciare la sua ricomparsa. Ma nessuno di loro sa che niente di ciò che accadrà sarà come hanno previsto.
Stiles non è più Stiles.
Lo hanno tradito, massacrato, fatto a pezzi. Stiles non esiste più. Stiles è solo un ricordo. Lui adesso, non ha nome perché sente di non meritarne uno.
Diablo lo guarda, gli occhi che adesso riflettono un dorato acceso, brillante come oro fuso.
-Lo so, Diablo. Lo so…-
Stiles si volta e spalanca le braccia. Un’ombra più grande lo abbraccia, distende gli arti contro le pareti, invadendo ogni spazio libero. Qualcosa di massiccio nasconde alla vista il suo piccolo corpo, concedendogli di sparire nell’ombra per l’ennesima volta. Tutto ciò che resta di lui è la traccia di odore e due grossi solchi anneriti laddove le ombre hanno inciso lo stipite della porta.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque… so che ho ancora una storia in sospeso dall’altra parte, ma questa qui è in cantiere già da un po’. Ho tutti i capitoli a portata di mano e mi sembrava stupido non pubblicarla, nonostante sia brutta veramente.
Che ne pensate? So che non è granché come inizio, ma volevo metterci qualcosa di mio in questa storia, ed ecco cosa è saltato fuori. Iniziamo insieme questa avventura, vi va? Voliamo oltre cieli lontani, scendiamo fino al nucleo della Terra, visitiamo posti inesplorati. Ora, io vi tendo una mano chiedendovi di seguirmi. Chi ha voglia di provarci, di rischiare, di seguire Stiles e gli altri… stringa la mia mano, E ANDIAMO!!!
  
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