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Autore: comeundone    13/04/2015    1 recensioni
Se fosse riuscita a mantenersi lucida. Forse, senza quel whisky e quella sigaretta.
Se non avesse avuto quell’idea stupida di dirgli del concerto. Se avesse accettato le sue scuse per la colazione, e basta.
Ma anche, se lui fosse stato un altro. Non Brian, cioè. Se non avesse avuto quel modo assurdo – gelida arroganza in un involucro di perfetta cortesia – di chiedere scusa. Se non l’avesse fatto con quella voce e quello sguardo di distaccata sufficienza, e quel vezzo di scandire tutte le parole.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brian Molko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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28/02/2015, Edinburgo                               

 

Ore 20.45

                                                                                                                                                             I dream by day

and choke myself at night.

The Mirror Trap

 

 

E’ incredibile, che si sia trovata mille volte a sognare davanti allo specchio, a provare make up e aggiustarsi i capelli, e quando si ritrova davvero davanti al palco, abbia appena preso così tanta acqua e freddo, da ispirare soprattutto una gran tenerezza, se andrà molto bene.

Aspettare di nuovo che cominci il concerto, in una città che non è la sua, sola, ma sempre meno stupita di trovarsi in situazioni e con persone, così differenti da quelle a cui era abituata… quell’atmosfera le è mancata così tanto, ma se ne accorge solo quando, dopo una breve corsa in quella sala un po’ deprimente, si posiziona di nuovo davanti alle ragazze in transenna, pigiata abbastanza da sentire il calore delle persone a fianco, ma senza che questo le dia davvero fastidio, dopo tutto il vento gelido che ha preso nel pomeriggio.

 

Non c’è niente di nuovo, in nulla di quello che sta per accadere, a parte che è riuscita perfino a godersi l’opening act dei Mirror Trap; è tranquilla, o forse no, è euforica, ma si sta abituando, e quello stato alterato di coscienza, in cui le sembra di sentire e vedere tutto quello che accade con più intensità, con il tempo che scorre in maniera diversa dal solito, sta diventando la sua comfort zone.

 

E ora, fa finta di non sapere quello che sta per accadere e pensa ad una ipotetica nuova scaletta. Le piacerebbe tanto sentire una canzone proibita come Nancy Boy. Una ipnotica come Pure Morning. Una iconica come Protège-moi, e una epica come Sleeping with Ghosts. Una filastrocca facile come English Summer Rain, ed una confessione difficile, come Bosco.

Vorrebbe il mullet, ma si accontenterebbe anche dei capelli spettinati di Angkor Wat. Vorrebbe vederlo truccato e vestito nel tubino di Brixton ’98.

Le piacerebbe vederlo sfatto e bellissimo, rotolarsi in terra suonando l’armonica, come 10 anni prima, senza che per questo lui debba mai morire.

Magari, sarebbe bello averne solo una, musica e parole mai sentite. Sarebbe bello se lui, almeno per una volta, l’assolo di chitarra di The Bitter End lo facesse inginocchiato di fronte a loro, e non di spalle.

 

Invece, il concerto dei Placebo inizia come è sempre iniziato, in tutti i concerti a cui ha assistito, con quella canzone, che parla di rinascita e che non aveva mai particolarmente sentito sua. Ma ora, è quasi automatico che l’attacco di B3 coincida con una scarica di adrenalina, che si trasforma quasi subito in energia, e nasconde lo squallore di quella specie di grande palestra e la farà uscire, come sempre, con la paura di non poter assistere di nuovo a quel concerto.

 

Quando sente I Know, è completamente ipnotizzata dalla musica, e da quelle parole, che disegnano il Brian di 20 anni prima in maniera così perfetta e vera, che si stupisce che lui si senta a suo agio nel cantare quella, ma non Nancy Boy.

Ma nella seconda strofa, Brian gioca a fare il moralista, mentre lei pronuncia le parole originali e lo guarda sorridendo e agitando il dito indice, mimando “wrong lyrics” con la bocca.

Brian, che mentre canta sembra non vedere nulla, incrocia i suoi occhi solo un istante e poi li rivolge di nuovo sulla folla, ma gli scappa un sorriso, che vale tutto quel viaggio.

 

 

 

Ore 23.10

Drug (It’s Just a State of Mind)

Duran Duran

 

 

Matt ce la mette tutta, ed è stato salutato con più applausi di quanto fosse lecito attendersi.

Brian pensa stancamente che sta andando bene, visto che, in fondo, ancora si limita a eseguire meccanicamente le tab, e una drum machine coperta da una sua foto avrebbe più o meno lo stesso effetto.

Ma lui, è ancora piuttosto seccato. Soprattutto, di non essere riuscito a evitare il colpo. Lo sapeva benissimo, che sarebbe successo, e ciò nonostante sente che l’ha colpito più di quanto si aspettasse. E sente che quel senso di vuoto, quella specie di voragine che si apre ancora quando abbassa la guardia, non dovrebbe essere lì.

Steve era sempre stato un accessorio di lusso, nel gruppo.

Un tassello che fin dall’inizio aveva fatto fatica a trovare il suo posto nel puzzle. Un puzzle che era già completo, solo con Stef e Brian, che invece si erano perfettamente incastrati da subito, contro ogni aspettativa, lui con mille spigoli, l’altro pronto ad adattarsi, e a completarlo.

Un miracolo si imperfezione che non aveva bisogno di altro, di altri, mai.

Quindi, perché aveva fatto di tutto per far sentire il ragazzo protetto, e importante, e perché lo aveva trattato con tanta attenzione, e condiscendenza?

Il nostro Sunshine. Il mio Raggio di Luce.

Aveva illuminato per un attimo l’oscurità che si era creata dentro di lui, dopo l’addio dell’altro Steve. Un attimo solo, abbagliante, perché non se l’aspettava, non era protetto, e gli aveva fatto bene, finché non si era accorto che stava abituandosi a quella luce, e questo non era, non doveva, essere possibile.

Brian non deve dipendere da nessuno. Non vuole diventare di nuovo quello che subisce le regole che qualcun altro ha stabilito, in amore, in amicizia, nel lavoro. Ha giurato che non deve accadere mai più, deve essere lui a decidere i tempi e i modi e i confini, di qualunque rapporto che lo coinvolga.

Ecco perché Steve se n’è andato. Di chi sia stata realmente la decisione, in quel momento non ha importanza, l’importante è che sia di nuovo padrone di ogni dettaglio nella vita del gruppo, e nella sua vita.

Padrone se vuole di spegnere per sempre qualunque luce dentro di sé, padrone di eliminare qualunque possibilità che qualcuno cerchi di nuovo di guarirlo.

Lui non vuole guarire. Lui vuole solo avere un po’ di tregua, ogni tanto, dalla paura di quel buio, ma non vuole che il buio vada via. E non vuole nessuno, che guardi in quel buio, per dirgli che lo aiuterà ad uscirne.

Fanculo. Alla fine, è stato lì tutta la sua vita, e non può che essere fatto della stessa cosa di cui è fatto Brian.

Di niente. Niente assoluto. Almeno per un po’. Solo un altro po’. E poi uscirà da quella stanza, e se sarà fortunato non incontrerà nessuno fino al tourbus.

Sente bussare alla porta, oppure è nella sua testa? “Brian?”. Stef. Lo dice senza riuscire ad emettere un suono.

“Brian. Ti aspettiamo, per andare via”.

“Vi raggiungo.”

Qualche secondo di silenzio, forse Stef se ne è andato.

Strano, pensa Brian. Un pensiero veloce e doloroso, che nella sua mente è cresciuto come un’onda, che si abbatte con violenza, e poi si ritira, lasciando la terra nuda, e ancora incredula, che l’acqua che l’ha sempre accarezzata possa averla distrutta, in un attimo solo.

“Ti aspettiamo.”

 

 

 

 

 

 

Ore 23.50

 

Because a heart that hurts

Is a heart that works.

 

 

E’ più di un’ora che sta cercando di andarsene di lì.

Tutti i taxi sono occupati o prenotati o scomparsi da qualche parte, non saprebbe dirlo.

E ora, è anche senza cellulare, perché la sua batteria ha deciso di rendere omaggio alla legge di Murphy.

Non può fare altro che entrare di nuovo nel Corn Exchange e sperare di incontrare qualcuno che possa aiutarla.

Attraversa un lungo corridoio, alla ricerca degli uffici o del bar o di qualsiasi altro posto possa ospitare un essere umano, possibilmente di madrelingua e possibilmente bendisposto verso una sconosciuta in difficoltà.

 

Finalmente vede qualcuno, ed è l’ultima persona che si aspettava di trovare in quel corridoio, illuminato da una luce bassa e un po’ angosciante.

Brian non ha bevuto altro che la sua solita tisana durante il concerto, ed era assolutamente tranquillo. O molto bravo a simulare. Ora sembra un po’ stordito , è appoggiato al muro con tutto il corpo e tiene gli occhi semichiusi, i capelli spettinati e ancora umidi.

Potrebbe essere solo stanchezza. Ma quando lei lo chiama, e lui la guarda, sembra che ci sia qualcos’altro. Lei apre e chiude la mano come una bambina per salutarlo, e lui alza la sua, che ricade subito pesantemente lungo il fianco.

“Sto andando… devo tornare con gli altri.”

 

Lei tace, un po’ imbarazzata.

“Perché sei ancora qui?”

“E’ impossibile trovare un taxi, è più di un’ora che ci provo, sto morendo di freddo e non ho più batteria. Ecco perché sono ancora qui.”

Occhi ancora chiusi.

“…facciamo così. C’è una macchina che può accompagnarti. Ma mi fai stare un po’ fuori di qui.”

 

 

 

                               Sei nell’anima

E lì ti lascio per sempre

Sei in ogni parte di me

Ti sento scendere

Fra respiro e battito

Gianna Nannini

 

 

Si dice che forse Brian, semplicemente, non ha voglia di vedere gli “altri”, chiunque siano. Annuisce brevemente, e lo segue fino alla fine del corridoio, che sbuca in un cortile, dove un uomo, alla guida di un van grigio chiaro, aspetta, mentre digita qualcosa su un cellulare.

Si siedono l’una di fronte all’altro, e lei fa il nome del suo albergo, sono solo pochi minuti di viaggio nel buio della città,spazzata da un vento gelido e abbastanza deserta.

Per fortuna la macchina è riscaldata e può dimenticare il freddo che c’è la fuori.

Ma è l’espressione di Brian che pian piano diventa più lucida a metterla a disagio. Lui guarda fuori e non parla, perso in qualche pensiero, che disegna piccole rughe sulla sua fronte.

Ogni tanto Brian si gira verso di lei e le fa un sorriso breve, ineccepibilmente educato, ma per il resto sembra assorbito da qualcosa, in cui lei non c’entra.

“Brian. Qualche problema?”

Brian inclina la testa e le lancia uno dei suoi sguardi sprezzanti. “Nessun problema. E grazie, ti ho solo offerto un passaggio, non è necessario ricambiare il favore con una seduta di psicanalisi.”

Lei china la testa e sorride, sarcastica. “Ti farà piacere sapere che non girano voci infondate sul tuo carattere. Le maldicenze sono sempre spiacevoli”. Un veloce sguardo di sufficienza, e Brian torna a guardare fuori.

 

Probabilmente non c’è mai stato un momento, in cui ha avuto più chiaro il fatto che lui non è suo, in nessuna piccola parte. Non lo è di più, solo perché è una presenza costante da molti mesi nella sua testa, o perché si sbatte in continuazione con le loro canzoni e perché è andata a così tanti concerti, o perché invece lei lo sente in ogni parte di sè.

 

O perché non ha mai avuto davanti qualcuno, da cui sia stata più attratta in tutta la sua vita, per cui la testa prima ancora che il corpo sia andata così fuori giri e che sia riuscito a rovesciare d’un colpo tutte le regole, che gli altri usano per governare il gioco.

A lui non servono.

Lei, invece, si sente già nuda.

 

 

And it all breaks down

At the role reversal

Got the muse in my head

She’s universal

Spinning me round

She’s coming over me

 

 

Sono arrivati, e quando salgono in camera, succede tutto molto più velocemente di quanto vorrebbe.

Si spogliano l’un l’altra, e si ritrova sul letto, supina, con la testa leggermente sollevata da un cuscino, e ciononostante si sente la testa vuota come per mancanza di ossigeno, come se stesse sotto 10 metri d’acqua e non riuscisse a tornare su, e vedesse il mondo allontanarsi.

Brian è a cavalcioni sul suo bacino, l’espressione sembra distante, ma non può dirlo con certezza, ha il viso e gli occhi leggermente coperti dai capelli, che gli ricadono sulle guance.

“Se non vuoi continuare, è il momento di dirlo.”

Lei scuote impercettibilmente la testa, non dice niente, e gli poggia le mani sui fianchi. Come se in quel modo potesse trattenerlo lì per sempre. Ma Brian deve giudicarlo un contatto troppo intimo, comunque più di quello che possa sopportare, perché le prende le mani, e tenendole tra le sue, le porta sopra le loro teste, e si sdraia sopra di lei. Sente la sua erezione, ma non può fare nulla, non è molto pesante, ma è il modo in cui la guarda, ad essere insostenibile.

 

Cercherebbe di convincersi che è reale, se non fosse che la mente è fottuta già da un po’, e non riesce a staccare gli occhi da quei capelli, sul viso di lui, che sfiorano il proprio.

Conosce l’odore di quello shampoo, e si ritrova improvvisamente in un’altra stanza, in un altro letto, con la luce di Parigi che filtra dalle tende.

Ora Brian tiene le sue mani imprigionate in una delle sue, e con l’altra finalmente si scopre il viso, portandosi le ciocche dietro le orecchie, e si abbassa di nuovo sul viso di lei, ma non la bacia.

La accarezza, ma non la bacia.

Entra in lei, ma non la bacia.

Porta la mano sulle sue labbra, e lei sente il calore delle sue dita in bocca, e lo sente dentro, con più dolore di quanto si aspettasse, ma sa che lui non è davvero lì.

 

Poi Brian le lascia le mani, alza la testa e chiude gli occhi. Per un attimo sembra perdere il controllo e non reagisce quando lei si avvicina e cerca la sua bocca. E’ bello sentire le labbra di nuovo tra le sue, accarezzare i suoi denti con la lingua, per cercare un varco.

Ripensa a quando un paio di ore prima l’ha visto sul palco, durante i momenti finali del concerto, mentre applaudiva al pubblico per salutarlo. Si è scostato i capelli dal viso, e ha sorriso. Proprio come una donna, e questo l’ha paralizzata per un attimo.

Una donna. Non sono i capelli, e non è l’eyeliner. E’ che mentre ti sta scopando, tu hai una dannata voglia di invertire i ruoli, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Nonostante il fatto che lo senti ancora muoversi in te e stai per venire, ed è già finita, e non è stato nulla, ti rimarrà solo questo.

 

Lo guarda spostarsi e sdraiarsi accanto a lei, perso di nuovo. Si accende una sigaretta e respira piano tra una boccata e l’altra. “Se volevi essere una groupie… beh, direi che ci sei riuscita.”

“Sbagliato. Ho avuto il tuo corpo, ma volevo la tua anima, che non ho visto.” Sorriso amaro, un altro tiro.

“Sbagliato. Probabilmente ora sai come mi sono sentito per tanto tempo, dopo le esibizioni, dopo i tour infiniti, dopo i photoshoot, dopo le interviste e dopo tutto quello che dovevo farmi per non morire. Usato da sconosciuti per il proprio personale piacere, senza aver avuto indietro niente, per cui ne valesse davvero la pena.”

Altro sbuffo di fumo. Le porge il pacchetto stancamente. “Se ora ti senti male, se domani starai ancora peggio... hai avuto un pezzo della mia anima”.

 

Lei fa quello che lui si aspetta, e si accende una sigaretta. Tace per un paio di lunghissimi minuti, in cui assapora il tabacco, e assapora il dolore, che sente scendere piano piano nel sangue come un liquore forte, aspettando che le dia alla testa.

“Brian.” Si alza da letto, e comincia a vestirsi. Non per la vergogna di essere nuda, ma per prendere ancora tempo. “Forse siamo sconosciuti come dici, o forse no. Comunque, visto che ci stiamo dicendo addio, è stato un piacere conoscerti, Brian.”

Discussioni infinite su quegli occhi, che ora illuminano il buio della stanza, o perlomeno quello che li divide, più di quanto potesse credere possibile.

 

“Il piacere è stato mio. Ora, vuoi dirmi come ti chiami?”

“Ma lo sai. Mi hai autografato e dedicato il tuo libro. “

Sorriso compiaciuto di lui, mentre guarda la sigaretta tra le proprie dita.

“E comunque, hai torto. La cosa più stupida che abbia mai fatto per te non è il tatuaggio.”

La guarda interrogativo, come a dire, nemmeno io posso essere stato così bastardo.

“La cosa più stupida è stata comprare quel libro, pieno di errori.”

Brian ride. “E quindi, immagino che ora vorresti essere risarcita.”

“E quindi, ora me ne vado. Esco da questa stanza e tu farai la cosa più ragionevole. Mi dimenticherai in un attimo.”

Lui distoglie gli occhi dai suoi per una frazione di secondo, e poi torna a fissarla.

“Ci posso stare, ma ti chiedo un favore. Quel giorno in cui ti innamorerai di qualcuno in maniera folle, irragionevole. Ti sentirai talmente fregato, da desiderare di essere quella persona, ancora più che averla. E lo troverai così simile a te, o a quello che avresti voluto essere, da avere l’impressione di sentire i suoi pensieri e i suoi dolori, come se fossero i tuoi. Pensa a me un solo momento, perché avrai un pezzo della mia anima.”

 

Brian scuote la testa. Vorrebbe fermarla mentre esce da quella porta, vorrebbe dirle che non succederà mai, e ringraziarla, perché sa che ci ha provato davvero.

Ma questo non sarebbe da lui.

Perciò, mentre la porta si chiude, fa quello che è normale per uno come Brian, gira la testa, e la scaccia dalla propria mente. E’ l’unico modo per far tornare le cose come devono essere, far tornare quel maledetto buio dentro, un buio caldo in cui sta bene, che non lascia passare quasi nulla del mondo esterno. Nessun Sunshine, nessun maledetto Raggio di Luce. Nessun contatto con nessuno. Solo buio. Quello che, senza che lui sappia più come o perché, lo tiene ancora in vita.

Per quello che vale.

 

 

 

01/03/2015, Roma                                        

 She'll take a tumble on you

Roll you like you were dice

Until you come out blue

She's got Bette Davis eyes

Jackie DeShannon

 

Certo che il giorno dopo è peggio.

E probabilmente, lo sarà anche quello dopo.

Prende l’aereo e torna a casa e riprende la sua vita normale, o comunque, è facile far credere di essere ancora scombussolata dal concerto.

Torna al lavoro, sorride a tutti, è allegra, anche se c’è molto ancora da sistemare, perché sia tutto passato.

 

Sorride, perché c'è una cosa che Brian le ha insegnato.
Quando ti senti in cima al mondo, e quando ti senti nella polvere, senza amici e senza amore.

Quando con lo spettacolo che devi inscenare tutti i giorni trovi la gloria,  e quando piove e fa freddo e siete più sul palco, che giù in sala.

Ti sentirai solo, anche quando sarai con lui, che ti rimane sempre accanto, a proteggerti da te stesso, e ti sentirai in colpa, perché ti sembrerà che i sorrisi che gli regali ogni tanto in cambio non siano abbastanza per meritartelo.

Ma non ci puoi fare niente.

Perciò, continua a suonare.

E alla fine, inchinati, sorridi, e alza le mani in segno di vittoria.

Peace, and love.

 

 

  
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