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Autore: LittleWillow_    14/04/2015    12 recensioni
Di un uomo e della sua chitarra.
Di George Harrison e della sua Gretsch Duo Jet.
"Tutti hanno una storia che vorrebbero raccontare; proprio tutti. Anche io: una cassa di risonanza laccata in nero, sei corde tese al massimo come lo era stata la mia vita, un velo di polvere, testimone del passaggio del tempo. "
[Storia scritta per "Drabble Event" indetto dal gruppo facebook "We are out for prompt". Si ringrazia Izzy Efp per il suo prompt, che diceva di scrivere qualcosa sul rapporto fra George e la sua chitarra e l'applicazione "George Harrison: Guitar Collection", promossa da Dhani Harrison, che raccoglie la storia di ognuna delle chitarre di George, e che mi ha quindi permesso di scrivere qualcosa di verosimile]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Harrison
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra."
[Fabrizio De André, Amico Fragile]
I look at you all, see the love there that's sleeping
While my guitar gently weeps


Tutti hanno una storia che vorrebbero raccontare; proprio tutti. Anche io: una cassa di risonanza laccata in nero, sei corde tese al massimo come lo era stata la mia vita, un velo di polvere, testimone del passaggio del tempo. Sembra essere passato così tanto tempo, ormai da quando suonavamo insieme, io e il mio vecchio proprietario. L’avevo visto crescere, l’avevo visto ridere, l’avevo visto arrabbiarsi contro quel circostante che gli impediva di vivere emozioni come incontrare un amico, andare a fare la spesa, fare due chiacchiere per strada, l’avevo visto imprecare contro quel mondo materiale che lo intrappolava e che gli era sempre stato stretto, ero stata parte del suo successo. L’avevo visto compiere diciotto anni e sorridere, imparare presto come diventare grande e arrabbiarsi contro sé stesso e contro di me, per quell’accordo che l’avanzare della malattia gli impediva di suonare ma di nuovo sorridere, e infine andarsene, senza smettere di sorridere.

I look at the floor and I see it need sweeping
Still my guitar gently weeps


Un rumore mi distrae da quella riflessione.
Un bambino sta entrando qua dentro, non avrà più di sette anni, ha gli occhi scuri ma i capelli più chiari rispetto a qualsiasi persona abbia mai sfiorato le mie corde. Non l’ho mai visto prima, ma lo vedo guardarsi intorno in quella sala che racchiude le numerose chitarre che hanno accompagnato la vita di George e posso percepire i suoi occhi fermarsi su di me e afferrarmi con una delicatezza nuova ma familiare, di casa. Sembra ironico che fra tutte le chitarre abbia scelto me, quella dai colori scuri , più datata ma con un grande bisogno di essere suonata e una storia lunga, intensa, semplice ma difficile da raccontare.
“Suona piccolo, ti racconterò una storia.” Sussurro, nel modo in cui solo una chitarra può sussurrare “ Una storia che non puoi neanche immaginare perché io, da tutti ritenuto essere inanimato, conosco la storia di un uomo e ho potuto ammirare tutte le sue emozioni. Ho visto i suoi primi amori, ho visto le sue sconfitte, l’ho visto diventare papà, ho visto il suo matrimonio. Ma soprattutto ho avuto l’onore di conoscere la sua anima, e l’anima di un uomo è la cosa più complessa e profonda che esista nell’universo. “

I don't know why
Nobody told you
How to unfold you love


La prima volta che l’avevo visto era vestito di nero dalla testa ai piedi, ed avevo pensato che tutto ciò che non volevo era finire a casa di un altro teppistello che non sapeva nemmeno mettere due note in croce ma aveva la presunzione di definirsi musicista, ma era bastata il suo gentilissimo “Posso toccarla?” in netta contrapposizione con quell’ ostentato e caricato abbigliamento da duro a farmi capire che George era di più. Aveva abbozzato con cura qualche nota, aveva sorriso entusiasta e poi aveva preso la sua decisione: “La voglio” aveva esordito.
Non sembrava curarsi del fatto che non fossi nuova sgargiante, continuava a guardarmi come se avesse avuto chissà quale tesoro fra le mani, senza mai spegnere quel sorriso che tradiva la sua giovane età e quell’entusiasmo che è tipico dell’infanzia, ma che lui non avrebbe mai perso, nemmeno nei giorni più bui della malattia. Aveva tirato fuori settantacinque sterline, ma quando il mio proprietario gli aveva detto chiaramente che non mi avrebbe ceduta per meno di novanta, aveva detto semplicemente “Capisco” senza sforzarsi nemmeno un po’ di nascondere la delusione, mentre mi restituiva a quello che sarebbe stato il mio destino ovvero prendere polvere su qualche scaffale.
Aveva salutato, rammaricato ma rispettoso, e quell’atteggiamento doveva aver intenerito Ivan, perché lo fermò e accettò la sua offerta.
Quando mi avrebbe presentata a Paul McCartney lo avrei sentito dire“E’ bellissima, Paul” e la commozione per il modo in cui pronunciò quella parola risuona ancora nella mia cassa.
Era l’inizio di una amicizia che sarebbe durata per tutti gli anni dei Beatles e anche dopo. Anni in cui era cresciuto e in cui aveva vissuto esperienze che avrebbero forgiato in maniera irreversibile il suo carattere, in cui aveva costruito amicizie che lo avrebbero accompagnato per tutta la sua esistenza, in cui era sprofondato e si era smarrito in un tunnel che sembrava essere un vicolo cieco, ma in cui era stato comunque capace di trovare la luce.

I look at the world and I notice it's turning
While my guitar gently weeps


“Papà, mi suoni qualcosa di rilassante, per favore?”
Erano in vacanza alle Hawaii, il tramonto screziava il cielo di un rosa delicato e Olivia aveva appoggiato la testa sulla spalla di George, mentre Dhani raccoglieva la palla con cui stava giocando, ed esausto, raggiungeva i suoi genitori, accoccolandosi in braccio alla sua mamma, dopo aver abbracciato il suo papà, un po’ per non far ingelosire nessuno, un po’ per convincerlo a suonare per lui.
“Ruffiano” lo aveva ammonito scherzosamente George, mentre gli scompigliava i capelli e Olivia rideva.
Aveva imbracciato me ed aveva scelto “Soft Touch”, così adatta e in perfetta sintonia con l’infrangersi delle onde contro gli scogli, mentre la luna cominciava a fare capolino nel cielo.
Se quella notte fossi potuta scomparire, l’avrei fatto e se una chitarra potesse arrossire, sarebbe successo anche quello, perché quel momento di pura serenità e pace era qualcosa di intimo e privato, così intimo che quella sera se a qualsiasi estraneo sarebbe mai capitato di posare lo sguardo su di loro, sarebbe stato costretto a spostarlo velocemente, imbarazzato per aver fatto intrusione anche solo per un secondo nel loro clima familiare.

With every mistake we must surely be learning
Still my guitar gently weeps


Era il 2000, eravamo in casa di George con Dhani e stavamo provando da tempo “Stuck inside a cloud” perché il mio proprietario sembrava non riuscire a seguire il tempo e continuava a pizzicare le mie corde in maniera rabbiosa, fino a spezzarne una. Non si arrendeva, però. Respirava come una locomotiva e provava ancora e ancora, e poi di nuovo ancora ed è forse uno dei più drammatici momenti che gli avevo mai visto attraversare. Fu Dhani a mettere fine a quello strazio, nascondendo quella mesta tristezza negli occhi.
“Continuiamo domani, papà. Sono stanco”
George annuì, guardando il vuoto, ed entrambi vollero credere, solo per quella sera che fosse quello il motivo per cui si erano fermati. Quando rimanemmo soli, mentre George riaggiustava le corde, mi parlò per la prima volta.
“Dhani ha paura, ha mentito, lo sai. Vuole rassicurarmi, sta crollando ma vuole rassicurare me. Non sa che non ne ho bisogno. So perfettamente cosa sta per succedere. Ma io non ho paura, sono stato qui abbastanza. Che altro dovrei volere? Ho vissuto una vita privilegiata e ho sperimentato tutto ciò che chiunque vorrebbe sperimentare. Se venissi chiamato adesso, è giusto così. Credimi, non ho paura.”
Non fu solo la prima volta in cui George si rivolse a me.
Fu anche la prima volta in cui la sua canzone assunse un reale significato, e io, dolcemente e sommessamente, piansi.

I don't know how
You were diverted
You were perverted too



“George! Dhani è venuto a prenderti!”
Vedo Olivia far capolino dalla porta e il bambino smette immediatamente di giocherellare maldestramente con le mie corde, rivolgendo un sorriso alla donna dai capelli di bruni, quella compagna di vita che per George è sempre sembrata così complementare. Poco dopo appare anche Dhani.
“George, saluta, dobbiamo andare….” L’uomo dai capelli scuri esita nel vedere me fra le mani del bambino, ed è sempre più evidente che la mia sensazione che quel tocco delicato fosse familiare non è solo una sensazione. “Quella chitarra piaceva tanto a papà, ti ricordi, mamma?”
Olivia annuisce, sorridendo nostalgica per quei bei tempi che sembrano ormai così lontani, ma che nel suo cuore sono ancora così vicini.
“Piace tanto anche a me, nonna. Posso venirla a suonare qualche volta?”
“Certo, George” acconsente Olivia, gli occhi carichi di emozione. “Tutte le volte che vuoi”
Sorrido e so che da qualche parte George può percepire la sua chitarra ridere dolcemente
.


Note dell'autrice.
Questa fanfic
è stata scritta per il prompt di Izzy Efp al "Drabble Weekend" indetto dal gruppo facebook "We are out for prompt". Mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul rapporto di George con la sua chitarra e io, aiutata dall'applicazione di Dhani Harrison "George Harrison: Guitar collection" dove sono narrate le storie delle varie chitarre di George ho scelto la sua Gretsch Duo Jet, la sua prima chitarra buona. Parte degli avvenimenti che ho descritto - come la compravendita- sono davvero accaduti, altri come Dhani che ha un figlio che si chiama George sono frutto della mia mente distrubata - e del mio cuoricino che impazzirebbe nel sapere Dhani con un figlio, e con un figlio con quel nome!-
Ringrazio Izzy per avermi incoraggiato a pubblicare, visto che non ero affatto convinta e tutti voi in anticipo per eventuali recensioni ^^

D.


 
  
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