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Autore: SagaFrirry    14/04/2015    1 recensioni
La Dea Atena risveglia i suoi cavalieri, condannati nella roccia dopo aver abbattuto il muro del pianto. Tutti gli Dei greci richiamano i loro sottoposti e creano alleanze. Perché? Non me ne vogliano i puritani della mitologia..in questa storia gli Dei greci lottano contro le divinità romane. L'Olimpo è troppo piccolo!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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XXIII

 

L’ILLUSIONE

 

“Oh, Tomei!” si stupì Camus, entrando nella grande biblioteca del tempio “Sono il primo che apprezza nel vedere un giovanotto come te chino sui libri ma..è molto tardi!”.

“Ammetto di non essermi accorto del tempo che passa” rispose il giovane.

“Tua madre sarà in pensiero”.

“No, lo sa che sono qui. Poi non sono un bambino..”.

“Che vai cercando fra questi volumi, ragazzo?”.

“Risposte. Visto che voialtri al tempio non parlate mai di certe cose..”.

“Ti riferisci alla guerra contro i romani?”.

“Già..”.

“Tomei, non è argomento da trattare per chi, come te, ha appena ottenuto l’armatura d’oro. Dovresti essere fuori a festeggiare, non qui a farti domande senza risposta”.

“Ma io..”.

“Lodo la tua sete di conoscenza. E, visto che oggi è un giorno speciale, ti concederò alcune risposte. Avanti..cosa vuoi sapere?”.

 

“Dov’è mio nipote?” domandò Kanon, entrando alla tredicesima.

“Non te lo so dire” ammise Kiki “Ho avuto la gioia di affidargli l’armatura stamattina ma poi non l’ho più visto”.

“Quel ragazzo è strano..”.

“Ha l’animo tormentato e inquieto del padre..”.

“Con la differenza che il padre ne aveva ragione, lui no”.

“Sai perché ha lottato per ottenere l’armatura..”.

“E la cosa mi preoccupa assai”.

“Non riuscirai ad impedirlo. Spero solo che la sua affannosa ricerca non lo porti verso l’oblio”.

“Lo impedirò”.

“Non puoi, Kanon. Sai bene che, per quanto ti possa sforzare, sei comunque solo un tutore”.

“E maestro. Ho allevato io quel ragazzo e sua sorella Ipazia!”.

“Ma comunque la sorte seguirà il suo corso. Devi solo sperare che un giorno trovi la pace, senza dover incontrare la morte”.

 

“Tu dici che lui capisca?” domandò il giovane.

“Lui chi?” rispose Camus.

“Mio padre. Credi che capisca quel che accade?”.

“No. Non ne è in grado”.

“E tu come lo sai?”.

“Tutti gli Dei guaritori hanno tentato di trovare una soluzione ed Hypnos stesso, che governa i sogni, ha detto che non si può fare niente”.

“Ci deve essere un modo!”.

“Tomei..la mente ed il corpo di tuo padre hanno subito gravissimi danni in quella guerra. È solo grazie all’Ikor che scorre in lui che è ancora in vita. Ed è solo per colpa di Ares, che lo impedisce, che ancora non c’è stato qualcuno che ha posto fine alla sua esistenza. Fosse per me, l’avrei staccato già da tempo da quelle macchine, lasciandolo morire”.

“Meno male che c’è nonno Ares..”.

“Se per te è così..”.

“Lui è cosciente. Mi ha sorriso! Prima, quando gli ho mostrato l’armatura, ha sorriso!”.

“Non sorride a te, ragazzo. La sua mente è persa in un’illusione che ha generato per riuscire a rimanere in vita. Chissà che cosa vede ed immagina!”.

“Però sorride..”.

“Sì, è vero. Ho servito per anni tuo padre Arles e, salvo ghigni malefici, non ho visto spesso un sorriso su quel volto. Perciò non so quanto sia giusto tentare di liberarlo dal mondo che si è creato. Da una parte perché probabilmente andrebbe incontro alla morte, e dall’altra perché in quel suo mondo immaginario credo si trovi meglio”.

“Ma è immaginario! Non vive! E resterà lì in eterno!”.

“Ci sono cose a cui non vi è rimedio..”.

“Io..io voglio che sia fiero di me! Voglio che viva e sorrida in questo mondo. Non sa nemmeno che esisto..”.

“Di questo non devi parlare con me, ma con Aiolos e tua madre, che erano presenti negli ultimi attimi di coscienza del tuo genitore”.

 

Ipazia suonava la lira ed Atena sorrideva. A fianco della Dea, un giovane dai lunghi capelli mori ascoltava la canzone, anche se con non troppo entusiasmo. Egli era Zeus, figlio di Atena ed Ares. I genitori avevano deciso di dargli quel nome, in ricordo del padre divino deceduto. La musica non rientrava fra i suoi interessi e trovava noioso quel concertino. Sperava di non essere il solo ma attorno a lui vedeva solo cavalieri felici, o mezzi addormentati. Molti di loro avevano ricevuto in dono da Era, come premio per la loro fedeltà in battaglia, la giovinezza, anche se non tutti l’avevano accettata. Deathmask e Shura, un tempo cavalieri d’oro ed ora maestri, stavano giocando a carte. Sul volto, portavano pesanti cicatrici in ricordo dello scontro contro Saturno, che li aveva visti vincitori. Aphrodite era momentaneamente sull’Olimpo, assieme a Persefone, sfruttando i sei mesi estivi che aveva a disposizione. Milo, grazie a Mirina, aveva imparato a cavalcare e passava molto tempo fra le amazzoni. Mur, che come Lemuriano non aveva bisogno del dono della giovinezza di Era, stava insegnando ad una giovane della sua specie i segreti delle armature, sgravando così Kiki di quel compito. Shaka si era ritirato in un lontano tempio in India, deciso a raggiungere in Nirvana senza aiuto divino. Aldebaran era ospite fisso delle divinità Olimpiche, perché bravissimo a cucinare oltre che a mangiare. Dohko era tornato ai cinque picchi. Ioria aveva volontariamente lasciato il tempio, seguito da Marin. Camus ed Aiolos, rifiutando il dono di Era, erano saggi insegnanti. Kanon, con sangue divino, aveva addestrato il nipote Tolomeo, che tutti chiamavano Tomei, ed Ipazia. Aveva fatto loro da padre, anche se non si era mai ritenuto tale.

 

Aiolos ricordava con una certa tristezza quel giorno. Ma quel ragazzo era insistente e doveva rispondere alle sue domande. Camus, sicuro che fosse la cosa giusta, aveva condotto Tomei al cospetto dell’antico Sagittario e Discordia.

“Ditemi quel che è successo” incalzò il giovane.

“Perché?” domandò Discordia “Cosa cambia?”.

“Sono un uomo, ormai. É tempo che sappia..”.

I capelli rossi di Tolomeo stavano mutando leggermente, segno che stava iniziando ad irritarsi.

“E va bene..” sospirò Aiolos “..è vero, io c’ero quando tuo padre ha perso coscienza per sempre. Era appena stato trafitto dalla lancia di Marte, che ne aveva trapassato il petto. Non se ne rendeva conto, probabilmente, perché cercava in ogni modo di combattere ancora. Il cuore però gli si fermò, per via del potere del Dio romano. Io feci di tutto per rianimarlo ma giunsi tardi. La sua mente, come Dio delle illusioni, era stata in grado di creare un mondo alternativo, per proteggere la vita di Arles”.

“Quindi lui è praticamente morto nel bel mezzo della guerra contro i romani. Non sa della mia esistenza..”.

“Non ne sono sicura” rispose Discordia “Io ero accanto a lui e gli rivelai di essere incinta, prima che chiudesse gli occhi. Mi ha sorriso, credo che lo sappia”.

“Ma poi..cosa è successo?”.

“Mio fratello Ioria svelò i suoi piani ed Ares lo attaccò” riprese Aiolos “Phobos, ferito gravemente, quel giorno si salvò per un pelo. Fu solo grazie ad Atena che il Leone ebbe salva la vita. E fu solo grazie a Discordia se tuo nonno Marte non finì impalato all’ingresso del tempio”.

“Ma i greci hanno vinto..”.

“Sai bene che quella guerra è stata generata dalla gelosia. Ma noi greci ci siamo trovati in vantaggio nella battaglia finale perché precedentemente avevamo sconfitto alcuni romani. Loro avevano perso Giove e Giunone, noi avevamo ancora Era, che è stata decisiva. Speravamo nell’intervento del Fato, o di Destino, ma a nessuno di loro due importa delle sorti della loro gente. Quasi tutti i romani vennero sterminati o fatti prigionieri. A Marte è toccata una sorte diversa perché gemello di tua madre, che ha chiesto per lui la grazia. I pochi romani rimasti sono stati cacciati dall’Olimpo ed ora vi dimorano alcuni greci. Ovviamente noi ellenici siamo stati in pace fra noi per poco ed Atena ha dovuto sigillare di nuovo Poseidone ed Hades, con i sigilli generati da tuo padre. Atena, come sai, è a capo degli Dei greci e, con Ares come consorte, governa quelli che sono rimasti. Questo, mio caro, fa di te un principe e dovresti esserne fiero”.

“Lo sono. Però..”.

“Efesto, Apollo ed Ermes si sono subito presi cura di tuo padre, senza riuscire a risvegliarlo. Se fossi intervenuto qualche istante prima, forse..”.

“Non dire questo, Aiolos!” lo interruppe Discordia “Hai fatto il possibile”.

Tolomeo annuì. Fuori era notte fonda e per il tempio udiva la musica della sorella Ipazia. Ignorando i divieti di Atena, raggiunse di nascosto il luogo in cui era custodito il padre. Un tempo l’antico sacerdote era seguito da molte persone e non era mai solo. Con il passare degli anni, però, le cose erano cambiate. Quella notte, nel buio, Arles era abbandonato. Efesto l’aveva avvolto in una sorta di baccello di vetro. In piedi, perché secondo i medici dell’Olimpo era la cosa migliore, era collegato a complicati macchinari. Galleggiava nell’Ikor. In quel momento aveva gli occhi chiusi, ma a volte capitava che li aprisse. Vitrei e vuoti, scrutavano l’illusione creata dalla sua mente, ignorando la realtà. Sul cuore ancora si poteva vedere il segno lasciato dalla lancia di Marte.

“Ciao, papà” salutò Tolomeo “Sono io, Tomei. Sì, lo so, sono passato prima. Spero tu sia fiero di me, ora che indosso la tua armatura”.

Il ragazzo ne fu assolutamente certo: il padre sorrideva! Però tutti dicevano che sorridesse per altro, non per quel che accadeva nella realtà.

“Quest’armatura l’ho avuta grazie a te, papà. È la mia volontà a guidarmi ed il mio coraggio lo metterò al tuo servizio. A costo di girare per il mondo intero, troverò un modo per farti uscire da lì. E, ti prometto, sorriderai anche nella realtà. Sono venuto a salutarti. Parto e spero di tornare vincitore”.

Con un inchino, il giovane si congedò ed uscì da quella caverna a pochi passi dal santuario. Kanon, a guardia del luogo dove era custodito il fratello, vide il nipote. Fece per fermarlo, vedendo allontanare dal tempio, ma alle spalle del giovane percepì un cosmo tremendamente familiare.

“Ovunque tu vada, Tomei..” mormorò lo zio “..tuo padre Arles ti proteggerà. Spero solo che un giorno, sia tu che il mio amato fratello, possiate trovare la pace nell’animo. Buona fortuna”.

Tolomeo parve sentirlo, perché si voltò proprio verso lo zio. I capelli rossi mossi dal vento ne coprirono in parte lo guardo, lievemente malinconico come quello del padre.

“Scusami, zio” parlò al vento il ragazzo “..ma rischio di impazzire restando qui. Tornerò, l’ho promesso a mia sorella. Non stare in pena per me”.

Kanon non udì quelle parole. Osservò il corpo del fratello e sospirò: Arles sorrideva.

 

Ok, eccoci alla fine. Insultatemi pure per questo capitolo. A presto, con nuove follie!

   
 
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