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Autore: Feynman    14/04/2015    2 recensioni
Doveva essere una cena fra vecchi compagni di classe del liceo, dopo vent'anni di buio.
Noemi, Massimo e Alberto, sono gli unici che sono rimasti insieme - nonostante il tempo dell'adolescenza fosse passato.
Tra vecchi ricordi, bicchieri di vino, litigi idioti, amori del passato e ritorni di fiamma, un sabato sera qualunque può cambiare intere vite.
***
Forse, si dice, avrà anche lui la sua possibilità di rivivere l’adolescenza, ma non è ancora arrivato il tempo: Giulia ha bisogno di lui, non di un sedicenne con l’acne che le dica di buttarsi nel fiume, per dimostrare di valere qualcosa.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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I remember


 
 
Alberto rincasa e posa le chiavi nel piattino, sul mobile dell’ingresso. Non accende la luce, perché spera che Giulia stia dormendo, nel suo letto, anche se sono solo le nove della sera ed è sabato. Le ha detto, prima di uscire, di ordinarsi una pizza o di chiamare il giapponese e farsi portare la cena, perché quella mattina si era dimenticato di andare a fare la spesa e in casa non c’era niente. Giulia aveva roteato gli occhi e gli aveva detto che, senza di lei, sarebbe sicuramente morto di stitichezza, visto le schifezze che continuava a mangiare. Lui le aveva sorriso e le aveva detto di farsi una vita sociale, invece di pensare a lui.
 
Alberto l’avrebbe voluto davvero che Giulia pensasse a vivere, piuttosto che rimanere sveglia fino a tardi, con la cena tenuta calda dentro al forno per lui e un sorriso a tirarle le labbra, quando rientrava dal lavoro. Avrebbe voluto che fosse menefreghista quanto la madre e non ansiosa come lui, sempre amorevole e pronta per farsi in quattro per chi ne aveva bisogno.
 
«Già tornato? Avete fatto baldoria, tu e il prof, eh». La voce di Giulia – non così stridula, come lui pretendeva che fosse – gli arrivò dal divano. La ragazza era distesa, con il computer sulle gambe e con una cuffietta nell’orecchio. Giulia era cresciuta tanto, da quando la scuola era finita; ormai svettava su tutte le altre ragazza, arrivando all’altezza delle sue orecchie. Sua figlia era bella quanto la madre e sfortunata, quasi quanto lei.
 
«Che guardi?» le chiese, non veramente interessato perché lui, di quelle cose moderne, non ci capiva un granché – in realtà non ci aveva capito un cazzo neanche quando sedici anni, li aveva lui.
«Iron Man».
«Il mio?».
«Ovvio, quello che è uscito il mese scorso fa schifo anche ai ciechi» gli risponde, sedendosi a gambe incrociate e abbassando lo schermo del portatile. «Che è successo, papà?».
Giulia è intelligente, e Alberto lo sa. Maledice il cervello della figlia, ogni volta che capisce, solo guardandolo negli occhi, quello che gli passa per la testa. La figlia anticipa ogni sua mossa, prevede ogni suo desiderio e puntualmente glielo sbatte in faccia – dannata adolescenza ribelle.
«Niente di che» le dice, sprofondando nel divano, accanto a lei.
«Hai litigato con Noemi?» gli chiede, mettendo in pausa il film. Alberto nota a malapena l’espressione di Robert Downey junior, nel momento in cui il film è stato bloccato.
 
Stavolta, l’uomo vorrebbe chiederle come ha fatto a capirlo. Le vorrebbe dire che la dovrebbe finire di leggersi tutti i libri sulla Scienza della deduzione – quella dannata roba che scrivono quelli della sua generazione, cercando di mantenere vivo un mito – e che potrebbero prenderla per strega, se continua su questa strada.
 
Alberto sospira e lascia andare la testa sulla spalla della figlia, che inizia a massaggiargliela e a tirargli i capelli. «Da cosa l’hai capito, genio?».
«Elementare. Ogni volta che stai così da schifo è perché Noemi ti ha fatto capire quanto sei stupido – e io non finirò mai di darle ragione» gli dice, tirandogli una ciocca con più forza, per sottolineare il concetto.
«Ah, grazie» scherzò, alzando la testa. «E pensare che i figli dovrebbero dare supporto e conforto».
«Per il supporto ci sono le stampelle e niente è meglio della cioccolata, per il conforto».
«Sei peggio di lei, certe volte» le confessò, alzandosi dal divano e dirigendosi in cucina. «Che hai mangiato, per cena?».
«Ho ordinato una pizza anche per te; è in microonde» gli rispose Giulia, riprendendo la visione del film.
Alberto diede un paio di minuti alla pizza e ritornò a sedersi, accanto alla figlia sul divano. «Perché ti piace tanto, ‘sto film?».
«La maggior parte dei film della tua generazione, sono veramente geniali. Alcuni fanno piangere, per quanto sono brutti… però, altri, sono talmente pregni di significato…».
«Parli come Massimo, certe volte».
«Il professor Biagi è un grande uomo, papà!» gli disse Giulia, entusiasta.
 
Sì, pensò, Massimo era sempre stato un grande uomo, anche quando erano solo tre ragazzi che non credevano nel futuro che gli veniva offerto; Noemi sognava di scoprire buchi neri e di passare l’intera vita, col naso puntato verso il cielo. Massimo voleva diventare uno scrittore, un regista, uno sceneggiatore e, alla fine, non si era allontanato dal loro vecchio liceo, dove insegnava Letteratura alle Nuove Menti. L’amico gli diceva sempre, che i suoi ragazzi erano completamente diversi dagli adolescenti che erano loro: sanno di avere molte più possibilità, perché la generazione di Alberto ha risollevato il mondo – senza l’aiuto di leve – e credevano di avere tante possibilità di scelta, forse troppe. Erano ragazzi cresciuti da genitori che o ce l’avevano fatta, o avevano fallito miseramente – se i primi erano affamati, i secondi sarebbero riusciti a divorare il mondo.
 
Giulia era una ragazza diversa, anche grazie all’influenza positiva di Noemi. Alberto, senza una figura femminile, aveva dovuto aiutare la figlia con la sua prima delusione d’amore, con le mestruazioni e con tutto ciò che comportavano; Alberto, per Giulia, si era fatto donna. Non si pensa, quando si diventa genitori, a tutte le complicazioni che arriveranno, ai no che si diranno, alle notti insonni aspettando che rientri a casa – anche se sono solo le undici di sera, e le ragazze fanno molto più tardi.
 
«Non dovresti pensare così tanto, sai» gli disse, appoggiandosi alla sua spalla e spegnendo il computer. «Corrughi la fronte, quando sei arrabbiato. Non mi piace».
«Lo so, che non ti piace» sospirò, arreso dall’evidente superiorità intellettiva della figlia. «Mi è impossibile non pensare; sono un filosofo, dopotutto».
«La zia Nemi, stavolta, deve averti proprio buttato a terra, eh».
«Perché chiami Noemi “zia” e Massimo no?».
«Massimo, è un mio professore. Il primo giorno di scuola, quest’anno, l’ho chiamato “zio” e in classe è sceso il silenzio» gli raccontò lei, imbarazzata. «Sai che non sopporto essere chiamata “cocca del professore”. Pensano che mi esimi dallo studiare…».
«Lasciali perdere. I ragazzini, alla tua età, sono tutti dei coglioni».
Giulia sospira e chiude il portatile, lasciando Iron Man orfano di attenzione: «Io vado a dormire. E la tua pizza è pronta da mezz’ora».
«Buonanotte, Gioggiò».
«’Notte, vecchio». Giulia gli posò un semplice bacio sulla guancia e, con il computer sotto braccio, se ne andò. Il soggiorno era più spoglio, adesso. Alberto era solito chiamare “minimal”, lo stile di casa sua quando era semplicemente “mancanza di grana” – pensava potesse far star meglio sua figlia, invece serviva a lui per sentirsi meno in colpa.
Non avrebbe mai capito cosa frullasse nella testa dell’ex-moglie, quando aveva deciso di rinunciare all’affidamento di Giulia. Le donne, si era detto, sono programmate per fare le madri; nascono praticamente apposta per mettere al mondo altri figli…
 
Ignorò il suono snervante del microonde e lasciò che la pizza si raffreddasse, di nuovo. Si ritrovò a pensare, senza cognizione di causa, come in un libro di Joyce, che lui aveva amato per primo, Massimo e Noemi. Li aveva amati e sostenuti quando non c’era nessuna Teresa o Nicola, all’orizzonte e quando le loro uniche preoccupazioni era quale gusto di gelato scegliere, una volta finita la pizza.
Quando uscivano assieme, Noemi era sempre raggiante e riposata, anche quando gli esami si stavano avvicinando e trascorreva più tempo a studiare da sola, che con loro.
Alberto ricordava, quel periodo, come uno dei migliori nella sua vita e aveva paura, per quando sarebbe toccato a sua figlia.
 
Il liceo aveva lasciato cicatrici profonde, in tutti loro.
Non cresci, dopo cinque anni di liceo; impari solo a cavartela da solo e come superare le sbornie del sabato sera. Si esce di lì, con la consapevolezza di non essere stati compresi appieno dalle persone che hai visto per trenta ore a settimana, che hai odiato e amato. Hai pianto e riso, per colpa loro. Hai fatto a botte per loro e con loro. Le hai conosciute, si dice Alberto, senza conoscerle del tutto, neanche dopo vent’anni.
 
Quella, era stata una serata sbagliata sotto molti punti di vista. Dovrebbe chiamarli, Noemi e Massimo, ma sapeva che avrebbe disturbato.
Noemi e Massimo, quella sera, si staranno riscoprendo adolescenti fra le braccia di altri e cullati dai loro respiri che non sanno di innocenza e gioventù.
Alberto può dire di essere l’unico adulto, fra loro tre. Ma chi ha detto che è un complimento?
 
Si stiracchia, lamentandosi per il dolore alla schiena. Si alza dal divano, apre la porta della sua camera da letto e trova Giulia, con le coperte sul fondo del letto, che dorme beata.
 
Forse, si dice, avrà anche lui la sua possibilità di rivivere l’adolescenza, ma non è ancora arrivato il tempo: Giulia ha bisogno di lui, non di un sedicenne con l’acne che le dica di buttarsi nel fiume, per dimostrare di valere qualcosa.
 
Entra in camera, si sdraia accanto a sua figlia e le scosta una ciocca di capelli biondi, dal viso. Le augura, tra un respiro e l’altro, le migliori cose di questo mondo e le promette che, niente e nessuno, le farà il male che lui ha fatto agli altri.
 
Le promette che, per lei, sarà diverso.
Diverso e uguale.
Alberto ricorda e culla, la sua bambina, con le canzoni che Noemi suonava con la chitarra e che Massimo cantava. 






 
**Angolo Autrice**

Una storia senza alcun senso ma che avevo voglia di scrivere, per prendermi una pausa. 
Ognuno può vederci ciò che vuole e per me, forse, è solo un ritorno alle origini. 

Alla prossima,

Feynman
   
 
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