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Autore: Aron_oele    15/04/2015    10 recensioni
Judith Montgomery è una ragazza bionda ed americana.
Judith Montgomery è una ragazza alta, che fuma Marlboro light e che vive a New York.
Judith Montgomery è una ragazza che ha vissuto tre mesi in Giappone, ospite di una famiglia strampalata.
Judith Montgomery sono io, e questa è la mia storia.
***
Per la serie "Non vi libererete mai di me" ecco a voi una nuova storia, senza trama, in cui frammenti di vita a Nerima, attimi, spezzoni, giorni, fotografie, Ranma, Akane, momenti, avventure, persone, pensieri e parole, vengono mostrati a voi dal punto di vista di due occhi castani ed estranei, quelli di Judith, appunto.
Ps: Lo sapete che non so fare le introduzioni!
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ricordo perfettamente il giorno in cui arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con loro, la prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che apparteneva a “qualcuno che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente il giorno in cui quel qualcuno fece il suo ritorno.

***

L'udito è un senso pigro, va costantemente tenuto in allenamento, altrimenti si abitua a certi suoni e non sembra nemmeno captarli più.
Le macchine che suonano il clacson, la gente che urla per strada, un aereo che passa.
Questo è quello che succede quando si vive per tanto tempo in una casa: i rumori intorno a noi diventano normali, ci si abitua e non ci si fa più caso.
La televisione che dà un film in prima serata, la musica a tutto volume, lo scrosciare dell'acqua nella doccia.
Casa Tendo, come la mia casa materna e l'appartamento nel college che divido con le mie coinquiline, aveva dei rumori tutti suoi, come dei tratti distintivi e particolari, confortevoli e familiari, suoni di casa.
Kasumi che canticchia mentre cucina con la sua voce dolce e melodiosa, il ticchettio delle pedine dei giochi da tavolo di Soun e Genma, Nabiki che sgranocchia un biscotto al cacao, il dottor Tofu che suona il campanello alle sette di ogni sera, Ranma e Akane che litigano.
I suoni più bizzarri di quella casa, poi, provenivano sempre dal dojo.
Dopo un po' avevo persino imparato a riconoscerli.
Verso metà mattina, di solito, si udivano rumori fragorosi, come di corpi che si scontravano l'uno contro l'altro, e delle potenti grida di incitamento: gli allievi senior che combattevano fra di loro.
Il primo pomeriggio invece si sentivano come dei tonfi sordi -gli allievi junior che cadevano rovinosamente- e delle risate sguaiate -i due maestri, Soun e Genma, che li prendevano in giro-.
Subito dopo cena, poi, avevo imparato a distinguere i rumori che accompagnavano l'allenamento quotidiano di Ranma. Era facile capire che si trattava di lui perché i colpi secchi e cadenzati, la musica rock e i kiai andavano avanti per ore e ore allo stesso ritmo ed intensità, e solo lui era capace di fare una cosa del genere.
La mattina presto invece, prima ancora che la casa si svegliasse, se si sentiva del trambusto provenire dal dojo, era sicuramente Akane che faceva i suoi esercizi.
Altre volte, un gran fracasso misto a frasi come “preparati a morire”, che poteva giungere a tutte le ore del giorno e della notte, era indice che Ryoga era arrivato e che aveva trovato Ranma.
Se invece i rumori erano forti, come di teste di legno e paglia che volavano via dal manichino, anche queste a qualunque ora, allora sicuramente Ranma aveva fatto arrabbiare Akane e lei si stava sfogando.

Ma quella mattina non riuscii a riconoscere i suoni che arrivavano vigorosi e ben distinti dal dojo.
Era come se qualcuno stesse... rompendo qualcosa?
Soun mi aveva raccontato che avevano ristrutturato la palestra proprio pochi mesi prima del mio arrivo. Che stessero dando gli ultimi ritocchi? O forse stavano aggiustando qualche trave di legno che si era rotta in uno scontro?
Quei rumori strampalati, che ad un orecchio poco avvezzo avrebbero sicuramente dato fastidio, erano diventati confortanti per me. Riconoscendoli, avevo la sensazione di essere più vicina ai miei amici, sapevo se Ryoga era in casa, riuscivo a capire l'umore di Akane, avvertivo la presenza di Ranma durante la notte, e sapere che lui era sveglio mi faceva addormentare tranquilla.
Ma quella mattina quei suoni non mi parlavano, non riuscivo a comprenderne l'origine, così decisi di andare a vedere.
La sera prima, memore delle ultime incursioni notturne di Kodachi, che mi aveva sorpresa con una camicetta da notte corta e troppo trasparente, avevo indossato dei pantaloncini di cotone verdi e una canottiera bianca e, vestita così, attraversai il vialetto coperto che collegava la casa al dojo.
Bussai con delicatezza alla porta senza ottenere nessuna risposta, così la spinsi leggermente e ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta.
Nell'interno caldo della palestra, proprio al centro dell'enorme stanza di legno chiaro, c'era Akane.
Concentrata, determinata, sudata e bellissima, stava rompendo delle tegole di pietra con una mano sola.
Mi incantai ad osservarla.
La tecnica era la stessa per ogni blocco massiccio e grigio: prima lo fissava, come se fosse un nemico in carne ed ossa, con gli occhi socchiusi e lo sguardo severo, quasi volesse comunicargli qualcosa, ed infine ci appoggiava lentamente la mano, come a sfiorarlo, per poi risalire altrettanto lentamente, prendere fiato e scagliargli contro tutta la potenza che aveva in corpo con un movimento fulmineo e preciso.
Quando la sua piccola mano destra scattò, riducendo in mille pezzi il suo avversario, sussultai.
Akane era una ragazza minuta, quasi tenera agli occhi altrui, sembrava aver bisogno di protezione. In realtà però, chi la conosceva bene, sapeva che era tanto forte dentro quanto fuori. La forza che animava i suoi intenti aveva lo stesso vigore di quella che muoveva le sue braccia. Era piccola ma le scorreva il fuoco dentro.
Continuava a spaccare, una dopo l'altra, durissime tegole con una precisione quasi chirurgica e una potenza che di sicuro non le arrivava da quelle belle braccia esili e delicate.
Ogni volta che la sua mano toccava un pezzo di pietra -e quello ovviamente si spaccava come se fosse stato colpito da una bomba- Akane, da rigida e composta che era, sembrava tirare fuori la tensione assieme al suo respiro, e si rilassava visibilmente. Sorrideva quasi.
Quando ormai le mancava solo l'ultima tegola si accorse di me.
<< Ciao Jude! Vieni, entra, ti ho svegliata? >>
<< No, no, ero già sveglia... cosa fai? >> chiesi e, anche se la domanda poteva sembrare ovvia, lei mi capì al volo.
<< Si chiama tecnica di rottura di potenza >> cominciò a spiegare << È una tecnica piuttosto difficile, la può praticare solo chi ha abbastanza esperienza. Ci vuole un'ottima preparazione, forza fisica, una notevole capacità di concentrazione, una buona tecnica di respirazione e un pizzico di coraggio. Bisogna riuscire a raggiungere una concentrazione totale, così profonda da non sentire più quello che si ha intorno >>
A quelle parole ricordai come appariva assorto il suo sguardo solo pochi minuti prima, mentre rompeva le tegole, tanto fisso ed intento da sembrare quasi assente. Non sbatteva neanche le palpebre, guardava un unico punto con gli occhi tanto carichi di quello che aveva dentro che riuscivano a comunicare senza parlare.
<< E come si fa a raggiungere questo livello di concentrazione? >> chiesi io sempre più affascinata e curiosa.
<< Respirando. Bisogna respirare lentamente e profondamente, l'aria deve circolare in tutto il corpo. La devi sentire, perché l'aria è energia. Deve affluire dal basso ventre e giungere fino alla mano per darti la forza necessaria... >>
Mentre parlava continuava ad accarezzare la ruvida tegola grigia: << … E non forza fisica. Sai, romperla è un'eccellente prova con se stessi. Per farlo bisogna imparare ad essere determinati, lucidi, concentrati, sicuri di sé. Bisogna saper gestire le emozioni, eliminare le paure, le insicurezze, le esitazioni... >>
<< Ci vuole un gran fegato! >> dissi io con ammirazione.
<< Forse sì, ma riuscirci è la sensazione più bella del mondo. Ti senti così potente, soddisfatto, libero. È meraviglioso! E poi hai la possibilità di sfogarti, sfogare tutta la tua rabbia e le tue emozioni attraverso l'energia >>
Ad Akane brillavano gli occhi.
<< È doloroso? >> domandai.
<< Farlo no, arrivarci sì. Prima di poterci anche solo provare bisogna irrobustire le mani con degli esercizi e quelli sì che sono dolorosi >> disse lei porgendomi una mano << Quando questa parte, che si chiama “taglio”, è completamente ricoperta da calli duri, allora sei pronto. Tocca >> mi incitò.
Quel giorno in palestra per la prima volta toccai la mano di Akane.
All'apparenza, proprio come lei, era una bella mano, bianca, delicata, con le dita lunghe e affusolate.
Ma in realtà, proprio come lei, era ricoperta da una corazza, uno strato più duro che le conferiva protezione e forza.
La mano di Akane non era liscia e morbida come quella delle altre ragazze, la mano di Akane era ruvida.
Improvvisamente ricordai che anche le mani di Ranma, così grandi e calde, erano ruvide e anche quelle gentili di Ryoga.
Le mani degli artisti marziali sono ruvide.
Sono ruvide perché per essere potenti bisogna essere solidi, senza mai lasciarsi scalfire.
Sono ruvide perché devono essere resistenti al dolore e alla paura.
Sono ruvide perché per colpire prima bisogna essere stati colpiti.
Le mani degli artisti marziali sono come loro: ruvide all'esterno, dure, impenetrabili, pronte al dolore, alla sofferenza, forti e instancabili.
Lasciai andare la sua mano e lei tornò immediatamente a concentrarsi e a respirare, poi, con un altro colpo secco, spezzò in due parti l'ultima tegola rimasta.
Proprio in quel momento notai che quello che lei aveva chiamato “taglio della mano” era pieno di lividi e le stava sanguinando.
<< Ti fa male? >> le chiesi leggermente preoccupata.
<< Solo un po', ma non sai quanto sto bene dentro >> mi rispose lei massaggiandosela.
<< Dà qui >> disse una voce alle mie spalle.
Era Ranma che, dopo essere rimasto sulla porta ad ascoltare l'appassionante spiegazione di Akane, si era mosso verso di noi con in mano una boccetta scura e una piccola scatola rossa.
<< Ranma, sto bene, non preoccuparti >>
<< Non fare la scema e dammi la mano >> replicò prendendogliela con ferma delicatezza e costringendola a sedersi per terra accanto a lui.
Quando tutti e tre fummo sul pavimento tiepido, con una pazienza ed una dedizione che non credevo gli appartenessero, o che forse riservava a poche cose speciali, Ranma cominciò a massaggiarle la mano con un olio dal profumo buonissimo.
I movimenti erano lenti e delicati, come una coccola, ma Akane, ad ogni passata, stringeva un po' gli occhi.
<< Quante volte te l'ho detto, se vuoi farlo va bene ma poi devi lasciarti curare >> disse Ranma teneramente mentre la piccola mano di Akane si perdeva nelle sue e lui continuava a strofinare, stropicciare, sfregare.
Akane arrossì vistosamente smettendo di opporre resistenza e lasciandosi finalmente andare.
Io portai le ginocchia al petto e cercai di farmi piccola piccola mentre assistevo a quella scena affettuosa e intima.
<< Ti faccio male? >> le chiese lui mentre, le dita ricoperte di olio, scivolava lungo i palmi delle due mani.
<< No... >> sussurrò Akane chiudendo gli occhi.
Ranma continuò a massaggiarle la mano con le sue finché i lividi che aveva sul taglio non si furono completamente riassorbiti, poi le mise qualche cerotto e la fasciò con una benda bianca.
<< Così va meglio >> disse lui.
<< Grazie >> sorrise lei dolcemente.
Quando improvvisamente Kasumi fece il suo ingresso nel dojo, l'atmosfera magica svanì del tutto.
Le immagini, fino a quel momento calme, placide, quasi a rallentatore, divennero vivide e reali, tanto che Ranma e Akane si staccarono fulmineamente l'uno dall'altra.
Con le guance rosse e accaldate cercarono di guardare altrove e di far sfumare l'imbarazzo dalle loro espressioni come vino sul fuoco.
In quel preciso momento notai che Ranma e Akane si comportavano in modo diverso quando erano con le altre persone. Se intuivano che qualcuno li stava guardando, mutavano subito atteggiamento, invece da soli, o comunque nascosti ad occhi indiscreti, si concedevano quelle piccole tenerezze che facevano di loro quello che erano. Il “cosa” fossero ancora non lo sapevo, ma poter apprezzare quei dolci momenti intimi, nascosti agli occhi dei più ma mostrati senza alcuna vergogna ai miei, era abbastanza per farmi sentire speciale.
<< Eccoti, cara Judith, non ti trovavo! >> disse Kasumi con voce trafelata interrompendo i miei pensieri mentre Ranma si era alzato e si stava dirigendo a passi svelti fuori dal dojo << Ti vogliono al telefono >>

Corsi verso il mobiletto basso e scuro vicino alla porta, dove tenevano il telefono, sicura di aver indovinato chi fosse, e non appena sentii la sua voce un moto di gioia mi pervase il cuore.
<< Ciao piccola, che fine ha fatto il tuo telefono? >> disse lui e la nostalgia di casa si impadronì di me.
Dall'altra parte della cornetta bianca, dall'altra parte del mondo, c'era Derek, mio fratello.
Derek era per me tutto ciò che una sorella può desiderare da un fratello.
Era più grande di me di quattro anni e avevamo sempre avuto un bellissimo rapporto.
Da bambini giocavamo a fare la lotta, oppure a pallacanestro visto che entrambi siamo molto alti -anche se lui mi supera di più di una spanna-, e poi escogitavamo insieme dei piani assurdi per saltare i pranzi della domenica a casa della zia Beth, con quei suoi cani che non ci andavano proprio giù e quella strana mania di non farci mangiare le caramelle.
Diventati più grandi, saltavamo insieme le lezioni per nasconderci dentro Central Park, rubavamo il fuori strada di papà per imparare a guidare, scappavamo insieme per fumarci una sigaretta, lui mi raccontava delle sue ragazze, mentre io -ovviamente- non potevo dirgli niente sui miei dato che era geloso marcio.
Derek era quello che mi capiva di più nella mia famiglia, senza bisogno di tante parole mi comprendeva e sapeva come tirarmi su il morale, con un cioccolatino alla menta il più delle volte.
Derek era quello che mi mancava di più, più della mia New York, più delle mie amiche, più del mio letto. Derek era forse l'unica cosa che mi mancava davvero, l'unica in grado di farmi venire nostalgia di casa.
<< Ciao piccola >> ripeté di nuovo.
<< Ciao scemo >>
<< Che fai? Piangi? >>
<< Non ci penso nemmeno >> era la prima volta che ci sentivamo a voce da quando ero partita.
<< Ah ecco, credevo che il Giappone ti avesse rammollita. A proposito, come va lì? >>
Derek era esattamente così, tutto il mio opposto. I miei capelli erano biondi mentre i suoi quasi neri, i miei occhi erano castani mentre i suoi grigi, io ero la persona più timida sulla faccia della terra mentre lui era uno sbruffone patentato. Mentalmente trovai parecchie affinità con Ranma.
Bello, bellissimo, tanto che tutte le mie amiche ne erano follemente innamorate, era simpatico e socievole, bravo negli sport e un po' meno nello studio, aveva tanto successo con le ragazze ma non riusciva mai a tenersene una per più di un mese.
<< Bene, è tutto bellissimo... ho un sacco di cose da raccontarti! >>
<< Beh allora comincia, ho tempo >> disse lui e lo sentii aspirare una boccata di fumo.
Così mi misi a raccontargli del mio arrivo, della mia prima giornata a casa Tendo, della mia nuova famiglia, di Akane e Ranma, delle arti marziali e delle lezioni che loro mi davano.
Di tutte le strampalate e meravigliose persone che avevo imparato a chiamare amici: Kuno, Kodachi, Hiroshi, Daisuke, Yuka, Sayuri, Ryoga, Ukyo, Shan-Pu, Mousse, Nabiki, Kasumi, il dottor Tofu e Alexander, ognuno con i suoi difetti e i suoi pregi, ognuno con le sue particolarità che lo rendevano tanto speciale e caro ai miei occhi.
Gli raccontai di tutte le avventure, del primo giorno di università, delle lezioni, dei pranzi e delle cene, delle feste, dei pigiama party, delle giornate al mare...
Rimasi al telefono a parlare a raffica e con tanta passione che persino lui ne restò incantato e anche un po' innamorato.
Improvvisamente, mentre gli stavo spiegando quello che avevo capito dei giochi da tavolo giapponesi, avvertii una sensazione strana, di calore, avvolgermi il fondoschiena come un guanto.
Lentamente mi voltai e ciò che vidi mi lasciò completamente senza parole.
Un vecchietto, con i corti capelli bianchi e cespugliosi e due piccoli baffetti sul viso rugoso, se ne stava comodamente appollaiato sul mio didietro strofinandoci contro le guance avvizzite e mormorando frasi in giapponese con tono godereccio.
Cercai di mantenere la calma mentre all'altro capo del filo Derek continuava a ripetere incessantemente il mio nome:
<< Derek, devo andare, ti richiamo dopo... >> cercai di dire mantenendo la voce più naturale possibile.
<< Tutto a posto? >>
<< Sì, sì... è che mi chiamano per il pranzo, dopo ti scrivo fratellone, ok? >>
<< Va bene piccola, a presto >>
<< Saluta tutti >> conclusi con un sibilo.
Quando riattaccai però urlai con quanto fiato avevo in corpo.
Il vecchietto non fece una piega, anzi, mi arpionò di più con le piccole mani raggrinzite continuando a dire qualcosa che io non capivo.
Così urlai ancora e ancora, cercando di scrollarmi di dosso quella specie di bambolotto incartapecorito e depravato.
Allora mi sembrò di aver urlato per ore e di aver tirato fuori tutta l'aria che avevo nei polmoni ma in realtà Ranma mi raggiunse in un baleno.
Appena misi a fuoco che era la sua l'ombra che si avvicinava a passo sicuro il mio cuore rallentò.
Mi mise una mano sulla spalla, spingendomi verso di sé, e contemporaneamente staccò via da me il vecchietto, strattonandolo per il retro del colletto di un'orrida tutina color prugna e lanciandolo con un sonoro calcio fuori di casa.
Quando smisi di sentire quella fastidiosa pressione sul fondoschiena mi rilassai visibilmente e, non sapendo cosa fare, mi appoggiai alla persona che mi era più vicina sospirando sonoramente e coprendomi il viso con le mani.
Nel frattempo anche tutto il resto della casa era accorso alle mie grida.
<< Jude!! >> gridò Akane e, non appena la vidi, corsi ad abbracciarla.
<< Che cos'era? >> chiesi rivolta al mio salvatore.
Ranma e Soun si scambiarono un cenno d'intesa.
<< Uh, ma non è nulla di grave, figliola, su su! È più innocuo di quel che sembra. Vieni, ti spiego >> iniziò a giustificarsi il capofamiglia accompagnandomi nel salone.

***

Ricordo perfettamente il giorno in cui arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con loro, la prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che apparteneva a “qualcuno che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente il giorno in cui quel qualcuno fece il suo ritorno.


Happosai era il maestro di Soun e Genma fin da quando erano poco più che bambini.
Aveva insegnato loro praticamente tutto ciò che sapevano sulle arti marziali, li aveva addestrati, aveva forgiato la loro tempra, gli aveva impartito lezioni di vita.
Insomma, era un vero e proprio sensei.
Il padrone di casa e il papà di Ranma avevano per lui un rispetto fuori dal comune, che andava al di là della semplice ammirazione, pareva quasi che lo osannassero.
In realtà Ranma, che non era solito prostrarsi davanti a nessuno, tanto meno al “vecchiaccio maniaco” come lo definì lui -ed io mi trovai immediatamente d'accordo-, mi spiegò che non era venerazione quella di suo padre e del signor Tendo, bensì paura.
Happosai infatti, dall'alto dei suoi anni -che non erano stati precisati, a quanto pare avevano tutti perso il conto-, conosceva delle tecniche micidiali e potentissime, con cui minacciava i suoi due sottoposti ogni volta che osavano contraddirlo.
In realtà minacciava anche Ranma, ma lui era caparbio e coraggioso di natura e lo sfidava in continuazione, cogliendo l'occasione per imparare sempre qualcosa di nuovo e migliorarsi, e arrivando talvolta persino a sconfiggerlo.
<< Sono due pappamolli >> concluse il ragazzo noncurante del fatto che entrambi potevano sentirlo.
<< Figlio degenere, non è vero, non parlare così di tuo padre! Jude cara non dargli retta, siamo solo molto rispettosi nei confronti del nostro maestro, cosa che questo zoticone invece non è affatto! >>
Il ragazzo, per tutta risposta, tirò fuori la lingua.
Il suo comportamento era bizzarro ai miei occhi. Ranma era un ragazzo estremamente disciplinato, almeno quando si parlava di arti marziali. Era sempre puntuale e praticava i suoi allenamenti senza risparmiarsi, partecipava ai tornei, cercava sempre di apprendere tecniche nuove e di imparare da chi ne sapeva più di lui, si metteva tenacemente alla prova con costanza e diligenza, non temeva la fatica, non si fermava di fronte al dolore. Era l'allievo perfetto.
Ma allora, mi chiedevo, perché si faceva beffa dei suoi maestri?
La risposta mi arrivò da Akane, seppur qualche tempo dopo. Mi spiegò che non dovevo vedere questo atteggiamento come una prova di superbia o di arroganza da parte sua, né di orgoglio o di poca umiltà. Semplicemente Ranma era arrivato al punto in cui l'allievo supera il maestro, ormai era lui il più forte e sconfiggeva praticamente sempre sia suo padre sia Happosai.
Per questo motivo, quel rispetto che ogni alunno prova per il proprio Sensei si era ridimensionato; viceversa aumentava sempre di più quello che i suoi maestri provavano nei suoi confronti. Genma non lo avrebbe mai ammesso, impegnato com'era a litigarci ogni giorno, ma era estremamente orgoglioso della forza e della bravura del figlio.

Tornando ad Happosai, dopo aver capito che ruolo aveva in quella strampalata famiglia, chiesi con curiosità il perché non si fosse fatto mai vedere da quando io ero arrivata, in fondo viveva con loro stabilmente da anni ormai ed era uno di famiglia.
<< Ecco, bambina... ehm... noi,noi... abbiamo cercato di... come dire... di allontanarlo! Il maestro ha delle inclinazioni un po'... particolari, te ne sarai accorta, e noi non volevamo che ti desse fastidio... >> mi spiego Soun imbarazzato, mentre si torturava le mani dall'altro capo della tavola, nel grande salone illuminato.
Il mio viso assunse evidentemente un'espressione disgustata al ricordo di quell'esserino piccolo e godereccio che si strusciava contro il mio sedere.
<< Ma non è pericoloso! >> aggiunse in fretta il mio buon padrone di casa << Non ha mai fatto del male a nessuno... semplicemente... beh... gli piacciono le donne... >> aggiunse poco convinto.
<< La realtà è che è un maiale! >> disse con la sua tipica schiettezza Nabiki, in piedi accanto alla porta scorrevole, << È un maniaco depravato! Cerca continuamente di rubarci la biancheria, ci palpeggia, ci spia sotto la doccia, combina un mucchio di casini e nel quartiere tutte le donne sono arrabbiate con lui! >>
Venni a sapere, dai racconti della mezzana che si faceva pochi problemi ad elencare le “qualità” del “maestro”, che Happosai aveva una preziosissima collezione di mutandine da donna e reggiseni -da lui definiti “zuccherini”- che teneva chiusa a chiave nella sua stanza e che cercava continuamente di arricchire, rubando nottetempo, con la sua “pesca grossa”, i preziosi capi alle donne del quartiere.
In più, mi raccontò Ranma non senza una smorfia di fastidio, Happosai aveva una passione smodata nei confronti di Akane -e chi non l'aveva del resto?- e cercava di fidanzarsi con lei o di sposarla ogni tre per due.
<< Io volevo rinchiuderlo in una cassa e spedirlo a Timbuctù >> disse Ranma con fare rassegnato, << Ma non hanno voluto! Ed ora è anche piuttosto arrabbiato perché lo avete escluso dalla conoscenza del nuovo zuccherino >> aggiunse indicandomi con un cenno della mano mentre io arrossivo a sentirmi chiamare così e Soun e Genma deglutivano rumorosamente al pensiero della collera del vecchio maestro.
<< Troveremo un modo >> concluse alla fine il capofamiglia.
<< È davvero così terribile come sembra? >> sussurrai ad Akane, la mia più grande amica e confidente in quella casa.
<< Mmm... >> mugugnò lei pensosa << Le volte in cui si è arrabbiato davvero ha ricoperto la casa di muffa e ha fatto perdere a Ranma tutta la sua forza... senza contare le mutandine e i reggiseni spariti che ogni tanto riaffiorano in mani improbabili >> aggiunse arrossendo lievemente << Ma non è cattivo! A volte, quando fa la persona seria, sa dare ottimi consigli, è un po' come un nonno! >>
E con queste premesse, che non saprei se definire incoraggianti o terrificanti, cominciò la mia ennesima avventura in Giappone, a casa Tendo.

***

La settimana passò fra gli agguati del vecchio Happosai.
Sistematicamente il vecchio maestro spiava Nabiki sotto la doccia, cercava di entrare nella camera di Akane mentre lei dormiva -ricevendo, nemmeno a dirlo, pesanti scariche di pugni sia dalla diretta interessata, sia da Ranma che accorreva sempre- e si nascondeva nei mobili della cucina per guardare di nascosto sotto la gonna di Kasumi.
Il mercoledì, uno di questi “innocenti scherzetti” come li definiva lui, riguardò anche me.

Era mattina e Kasumi, Nabiki, Akane ed io stavamo sedute intorno al tavolo del salone intente a scegliere i vestiti per le damigelle.
Ognuna di noi (ebbene sì, Kasumi, la dolcezza fatta persona, aveva chiesto anche a me di farle da damigella) avrebbe avuto il modello che più le piaceva e meglio si adattava al suo corpo, ma il colore doveva essere lo stesso per tutte e ovviamente ciascuna aveva una sua opinione in merito.
Nabiki li voleva di qualche colore acceso, rosso o amaranto magari, forte e sexy; Akane invece propendeva per qualcosa di tenue, un giallo pastello o un turchese chiaro ad esempio, ed io, dal canto mio, preferivo i colori eleganti e adatti alle cerimonie, come il grigio perla o un color champagne.
Kasumi, accomodante e gentile per natura, non sapeva scegliere fra le nostre proposte.
<< Ma dai Akane, lei sarà vestita di bianco, noi dovremmo farle da contrasto! Un bel verde bottiglia? O blu elettrico? Che ne dite? Io non mi vesto color canarino! >> disse Nabiki << E per di più i colori pastello
non vanno affatto di moda quest'anno! >> sentenziò poi con tono esperto.
<< Il verde è un bel colore... >> provò a dire Kasumi.
<< Sì, allora perché non nero e con tutta la schiena scoperta? Nabiki dobbiamo essere discrete... >>
<< Ma tu i film americani non li guardi proprio mai? Da quando in qua le damigelle sono discrete? La sposa sarà la più bella, ma visto che sarà già impegnata (povera lei) anche noi dovremmo farci notare! >>
<< E da chi, di grazia? >> chiese la sorella minore con voce ironica.
<< Non ti viene in mente proprio nessuno a cui piacerebbe vederti con uno sconvolgente abito rosso scarlatto? >>
L'unica cosa rosso scarlatto che ci fu data di vedere in quel momento fu la sfumatura che assunse il volto di Akane al tono insinuante della sorella.
<< Io... veramente... non credo che... ecco... >> balbettò lei mentre il sopracciglio destro della mezzana si alzava in un'espressione ironica e maliziosa.
Per fortuna un “Ehm-ehm” tossicchiato dalla porta richiamò la nostra attenzione.
Ranma se ne stava in piedi con l'espressione più imbarazzata che gli avessi mai visto in viso e per un momento pensai davvero che fosse perché aveva ascoltato il nostro discorso e si era sentito chiamato in causa in qualche modo, ma poi avanzò con passo incerto, cercando di dirci qualcosa, con un tono talmente sommesso e confuso che alle nostre orecchie risultò del tutto incompresibile.
<< Happosai... notte... trovato... queste... >> furono le uniche parole che riuscimmo a capire e Ranma le bofonchiò tirando fuori dalla tasca un paio di mutandine.
Se le appese al dito indice, tenendole a vista per mostrarcele, ed io riconobbi la stoffa semi trasparente e bordata di pizzo delle mie culotte.
<< Sono... sono di qualcuna di voi? >> riuscì infine a dire lui.
Al pensiero che Ranma avesse visto le mie mutandine e che le stesse reggendo in mano in quel momento, avvampai per la vergogna e mi coprii il viso con entrambe le mani.
Mi alzai velocemente, sempre con una mano sul volto per nascondermi dal suo sguardo blu, e gliele sfilai con rapidità dal dito, come si fa mentre si gioca a “ruba bandiera”, per poi correre a passi svelti nella mia stanza.
Mi lasciai cadere contro la porta e tolsi finalmente la mano dagli occhi, continuando a scuotere la testa incredula mentre le risate per la figuraccia appena fatta già mi facevano sobbalzare le spalle.
Non ebbi il coraggio di guardare in faccia Ranma per tutta quella giornata e buona parte di quella dopo.
Ma non potevo sapere che il peggio doveva ancora arrivare.

***

Il sabato di quell'assurda settimana, per lasciarci dietro imboscate, trappole e furti di biancheria intima almeno per un giorno, Ranma, Akane e Nabiki decisero di portarmi alle onsen, le tipiche sorgenti termali giapponesi all'aperto.
Io ne fui subito entusiasta. Quelle enormi vasche di acqua bollente e fumante che avevo spesso visto negli anime alle sette di sera sulla tv americana avevano per me tutto il fascino della tradizione.
I ragazzi chiesero a Ryoga, Ukyo ed Alexander di accompagnarci e, ovviamente, non appena lo seppero, anche Kuno, Shan-pu e Mousse si unirono al gruppo.
Così partimmo all'insegna di un week-end senza nuvole all'orizzonte.

L'albergo che ci ospitava era piccolo e caratteristico, tutto di legno scuro e profumato, con due anziani proprietari gentili e molto rispettosi delle tradizioni.
Appena arrivati si prodigarono in profondi inchini, tutti ricambiati ossequiosamente, e permisero anche ai due “yankee”, come definirono Alexander e me, di accedere alle terme, anche se non eravamo giapponesi. Sospetto ancora fortemente che una lauta mancia da parte di Nabiki -estorta a Kuno si intende- sia stato il motivo per cui abbiano cambiato idea così di buon grado.
Ci offrirono il tè e, seduti intorno ad un tavolo di vecchio noce, ci spiegarono tutte le regole.
Prima di immergerci nelle acque termali avremmo dovuto farci una doccia, le vasche degli uomini e delle donne erano ovviamente separate e, regola più importante di tutte ma che mi gettò in una profonda inquietudine, i vestiti non erano ammessi, nemmeno i costumi da bagno.
L'anziana proprietaria, capendo forse il mio sgomento o scambiandolo per timidezza, sentimento molto caro ai giapponesi, tentò di spiegarmi che per loro la nudità comune è molto importante, perché serve ad abbattere le barriere e a conoscersi più intimamente in un'atmosfera rilassata e familiare.
Le altre ragazze erano estremamente tranquille, abituate forse, ma il pensiero di non avere niente a coprirmi, anche se solo di fronte a loro, tutte donne e tutte amiche, non mi lasciava comunque tranquilla.
<< Porterete con voi un asciugamano >> aggiunse la signora << Che vi servirà per spostarvi dai lavatoi ai bagni. Piccola yankee, questo ti tranquillizza? >> chiese lei in giapponese, prontamente tradotta da Nabiki.
<< Sì, un po', grazie >> risposi.
<< Dopo il bagno indosserete questi, >> proseguì la proprietaria dai capelli d'argento indicando dei vestiti posti in un baule di legno scuro, << e verrete a cena. Tutto chiaro? Quando siete pronti potete andare >> aggiunse e sparì oltre la soglia con il marito.
Shan-pu e Ukyo corsero immediatamente verso la cassapanca e ne estrassero dei vestiti con stoffe sgargianti.
<< Cosa sono? >> chiesi ad Akane che mi era seduta di fianco.
<< Quelli sono yukata, una specie di kimono informale. Sono abiti tradizionali giapponesi che si usano in occasione delle nostre feste oppure nei ryokan dopo il bagno. Yukata infatti vuol dire proprio “abito da bagno” >> spiegò lei con la solita pazienza << Sono di cotone, freschi e comodi, ti insegnerò a metterli, non è difficile. Vieni, andiamo a sceglierli >> e, così dicendo, mi condusse per mano vicino alle altre ragazze e all'enorme baule aperto che straripava di colori.
Istintivamente ne presi uno molto lungo -ché Akane mi aveva spiegato che avrebbe dovuto quasi toccare a terra- bianco con dei bellissimi disegni rosa che parevano rami ricoperti da fiori di pesco, e con abbinata una larga cintura rossa, che si chiama obi. Akane scelse il suo gemello, con la stessa fantasia ma lo sfondo nero come la notte.
Shan-pu ne prese uno molto vivace, con ricami che sfumavano dal verde acqua al rosa scuro e al viola chiaro, mentre quello di Ukyo era blu scuro con disegnate rose lilla e indaco, in abbinamento ad una cintura color glicine.
Kasumi lo scelse più serioso, celeste tenue con dei minuscoli fiorellini gialli e la cintura bianca, mentre la frizzante Nabiki lo prese rosso lacca, con dei bellissimi disegni bianchi e verdi e delle farfalle marroni e la cintura ricoperta della stessa fantasia.
Quelli degli uomini invece erano tutti monocolore: neri, blu scuri o grigio ardesia.
<< Allora ragazze, ci vediamo dopo >> disse Ryoga non appena tutti ebbero il proprio yukata in mano << Fate le brave >> aggiunse poi guardando con i suoi begli occhi verdi sia me che Ukyo.
<< A dopo mia amata, rilassati e divertiti! >> gridò Mousse con tono aulico ad una sedia, beccandosi un sonoro pugno sulla testa accompagnato da un “sono qui, scemo!”.
Infine, mentre Kuno sproloquiava sulla “bellezza incantevole del luogo ove sono custodite le più antiche origini del paese” e non riusciva a capire il perché di vasche separate per uomini e donne, Ranma fece un gesto della mano in segno di saluto trascinandoselo via e Alexander ci sorrise.
Così ci separammo.

Finita la doccia, coperte solo da striminziti -seppur morbidi e profumati- asciugamani bianchi, percorremmo il corridoio che dal lavatoio portava ai bagni, affacciandosi sulle terme.
Quello che il piccolo porticato di legno scuro nascondeva era uno spettacolo da togliere il fiato.
L'acqua bollente pareva tanto calda da diventare quasi densa, si perdeva in spesse bolle, tanto che pareva di stare nella bocca di un vulcano e che ad attenderci per il bagno fosse una distesa densa e misteriosa fatta di lava incandescente.
Il fumo grigio e corposo che saliva conferiva al posto un'atmosfera fantastica, come se il sole si fosse offuscato e una tiepida sera argentea fosse scesa su quel luogo umido.
Le polle d'acqua erano delimitate da grossi massi grigi che ne disegnavano il contorno quasi fosse uno stagno naturale.
A sinistra, una piccola cascata sulla pietra e a destra una canna di bambù, che versava altra acqua nel lago caldo e accogliente, davano l'impressione di trovarsi in un quadro.
Tutt'intorno la cornice erano foglie verdi e pesanti di gocce di rugiada.
Era uno spettacolo per gli occhi.
Al di là del muro di sassi più lungo e massiccio che faceva da divisorio erano situate le vasche degli uomini ma le loro voci non si sentivano, si perdevano nella selvaggia tranquillità di quella natura.
Rimasi estasiata a contemplare quel piccolo cuore di Amazzonia giapponese mentre le mie compagne si toglievano gli asciugamani e si acconciavano i capelli con delle grandi fasce bianche.
Il caldo mi imperlò immediatamente la pelle e quell'acqua cristallina e infuocata era così invitante che anche io lasciai cadere l'unica copertura che avevo sul bordo ed entrai nella vasca.
La sensazione di essere nudi sotto il cielo all'imbrunire, con la brezza che rinfresca in viso bagnato, l'acqua calda agisce come un balsamo sui sensi e ristora i cuori, immersi nel bel mezzo di un placido paradiso, che pare riparato ma in realtà è esposto a tutto e tutti, è indescrivibile a parole.
La vista leggermente appannata dai tiepidi vapori, mi soffermai un attimo a guardare le bellezze rilassate delle mie amiche.
Kasumi se ne stava in disparte, quasi coperta da una roccia, giocando con la superficie trasparente dell'acqua; Nabiki nuotava qui e lì, toccando le pietre lisce del fondo e risalendo a respirare i vapori alla lavanda; Shan-pu, estranea a qualsiasi pudore, aveva spalle e braccia allargate appoggiate al bordo della grande vasca, con la testa inclinata all'indietro e gli occhi chiusi, in un gesto rilassato che metteva in evidenza il suo generoso petto; Akane, appoggiata anche lei al bordo, mostrava invece solo la schiena, mantenendo il peso sugli avambracci contro le pietre bagnate e Ukyo, immersa fino alle clavicole, guardava verso ovest dove stava nascendo la sera.
Improvvisamente, circondati dal tepore e dal silenzio, i sensi delle artiste marziali si misero all'erta. Nabiki, furba e scaltra al pari di una combattente, notò subito i loro nervi tesi e chiese:
<< Chi va là? >>
Non ci fu nessuna risposta se non un fruscio fra gli alberi.
Gli occhi allungati di Shan-pu, ridotti ad una fessura tanto sottile che li faceva sembrare chiusi, saettavano di qua e di là, mentre Akane e Ukyo avevano assunto la posizione di difesa.
Kasumi si strinse di più alla sua roccia ed io guardai preoccupata oltre il muro di cinta.
Veloce quanto un fulmine un'ombra corse nella nostra direzione e l'unica cosa che riuscii a sentire fu un urlo, forse dato proprio da me, mentre chiudevo gli occhi e mi preparavo all'impatto.
Uno... due... tre... ma non accadde nulla.
Lentamente riaprii gli occhi.
Nabiki e Kasumi, prontamente uscite e coperte, erano già oltre il porticato; Ukyo teneva le braccia attorno al busto, così come Akane, mentre Shan-pu, a suo agio con la propria nudità, si limitava a guardare trucemente qualcosa.
Davanti a me, in tutta la sua imponenza, si stagliava la schiena cesellata di Ranma. Intarsiata da muscoli che parevano disegnati al carboncino, nascondeva ai miei occhi quel che teneva in mano.
<< E dai! Coraggio! Cosa vi ho fatto? Ranma, lascia che questo povero vecchio allieti le sue ultime ore di vita con la visione delle prosperità di queste meravigliose sirene! >> disse una voce lagnosa e graffiante che -stranamente- intuii subito a chi apparteneva.
<< Schifoso, vecchio, maniaco! >> gridarono in coro i quattro combattenti, con un fortissimo pugno, lo tramortirono mettendolo K.O. per un bel pezzo.
Usciti dalla vasca, lo legarono ad una massiccia trave di legno del porticato.

Chiusa nella stanza piccola e stretta che mi era stata assegnata, mentre ripetevo a mente i passaggi per chiudere lo yukata “lembo sinistro su quello destro, chiudi, piega, stringi l'obi”, ripensai a quanto accaduto quello strano pomeriggio.
Ripensai a Ranma e al suo sguardo imbarazzato e incentro, ma pur sempre da uomo, che voltandosi mi aveva rivolto; al viso di Akane, rossa per la vergogna e la rabbia mentre intimava al ragazzo di “chiudere gli occhi, brutto idiota!”; ai quattro bronzi di Riace che erano accorsi preoccupati, con le spalle larghe, la vita stretta coperta solo da un minuscolo asciugamano e i capelli scuri bagnati, belli da mozzare il fiato e tremendamente allarmati.
Ripensai allo sguardo di Ryoga, protettivo e incantato su di noi e sui nostri asciugamani bagnati e aderenti; a Mousse che correva incontro alla sua Shan-pu senza badare al resto, gridando “Shan-pu, mia amata, ti salvo io!!” e andando a sbattere contro il piede della piccola cinese alzato in aria con grazia per sferrargli un calcio.
Ripensai anche agli occhi di Alexander più scuri del solito, come se la pupilla si fosse dilatata squagliando il nero su tutta l'iride come una macchia di inchiostro.
Ripensai infine all'assurdità della situazione e le mie guance accaldate si tinsero dello stesso rosso del rossetto che stavo mettendo.
Legai i capelli in uno chignon basso, come da tradizione, e mi feci coraggio per uscire ed andare a cena. In fondo, pensai, venivo da un paese privo di tabù rispetto al loro, o forse no... Deglutii sonoramente e abbassai la maniglia con lentezza.
Nel corridoio, concentrata e intenta a camminare sui geta, i sandali tradizionali, andai a sbattere contro Ranma, anche lui a testa bassa.
<< Jude >> cominciò << Ehm... stai benissimo con lo yukata! >>
<< Grazie... >> sussurrai sentendo il viso avvampare e cercando velocemente con gli occhi una via di fuga.
<< Volevo dirti una cosa >> disse abbassandosi verso di me per cercare di intercettare il mio sguardo << Non... non essere imbarazzata per oggi pomeriggio! Ecco loro... loro non ti hanno vista, c'ero io davanti a te e Akane >>
A quell'affermazione il mio respiro si regolarizzò, ma l'agitazione non accennava nemmeno minimamente a scemare. Sapevo già che non potevano avermi vista, almeno non prima di essermi “coperta” con quella specie di salvietta, ma non significava nulla: era stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita, forse persino più della prima recita scolastica dove avevo cantato da solista. E comunque era una magra consolazione: Mousse non mi avrebbe notata nemmeno se fossi stata fosforescente, Kuno avrebbe dovuto avere tre occhi per dedicare a ciascuna di noi le attenzioni che avrebbe voluto, Ryoga probabilmente avrebbe guardato solo Ukyo, oppure sarebbe stato troppo galante per alzare lo sguardo e Alexander... scossi la testa a quegli assurdi pensieri e mi decisi a rispondere:
<< Meno male... almeno loro... tu invece... >> sussurrai senza avere il coraggio di guardarlo ma lui mi stupì, alzò la testa velocemente scoppiando in una fragorosa risata e portandosi le braccia dietro la nuca: << Non devi preoccuparti di me! Io non ti ho... ehm, non vi ho guardate! Stai tranquilla! Queste situazioni imbarazzanti capitano praticamente sempre in casa nostra! Pensa che il primo incontro fra me e Akane è avvenuto in bagno! >>
<< Davvero? >> chiesi io quasi sollevata.
<< Sì! Io facevo il bagno e lei è entrata non sapendo che ci fosse qualcuno dentro >>
<< E vi siete visti...? >>
<< Altroché! E Shan-pu si è infilata tante di quelle volte nella vasca mentre facevo il bagno che non ci faccio nemmeno più caso! >>
Arrossii lievemente, in effetti era proprio una cosa da Shan-pu.
<< Quindi... faccenda dimenticata? >>
<< Quale faccenda? >> chiese lui facendomi l'occhiolino << E poi >> aggiunse << Se Akane pensasse solo minimamente che ho osato guardarvi anche per meno di un nanosecondo, mi fracasserebbe la testa! >>
<< Oh sì, e ne sarebbe anche capace! >> assentii ripensando alla mattina di qualche giorno prima quando l'avevo vista spaccare in due e con una mano sola interi mattoni.
E così, ridendo e ripromettendomi di chiedere di più ad Akane su quel loro primo incontro, mi avviai con Ranma verso la sala della cena, dove tutti ci stavano aspettando.

I miei amici, seduti intorno al tavolo della sala del piccolo ryokan, che ci ospitava, erano bellissimi nei loro abiti tradizionali. Le ragazze, fra colori e fiori, sembravano delle fate dei boschi, mentre i ragazzi, nei loro yukata scuri, erano tremendamente affascinanti.
Mi misi seduta al fianco di Akane, di fronte ad Alexander e alle sue enormi spalle coperte dalla stoffa nera; mi sorrise con dolcezza, mimando un muto “sei bellissima” che fece sorridere anche me.
Attaccato al palo del porticato, praticamente tutto avvolto da una spessa corda, c'era ancora Happosai, legato. Senza mai smettere di lamentarsi e piagnucolare, il vecchio maestro continuò a gridare per tutta la durata della cena “Slegatemi, faccio il bravo lo giuro! Date un po' di cibo a questo povero vecchio! Akanuccia dolce, zuccherino mio, farfallina delicata, liberami tu!!!” e ricevendo sempre in risposa uno “Sta zitto, vecchiaccio” da Ranma.
Mi soffermai un secondo a guardare quel buffo vecchietto: di certo aveva un'insana passione e una visitina da qualche psicologo non gli avrebbe fatto male, ma, alla fine, dopo averci fatto l'abitudine, era anche divertente. Le stravaganti e incredibili situazioni in cui ci cacciava, passato l'imbarazzo iniziale, si tramutavano presto in uno splendido ricordo e tante risate. E così fu per quella sera, e anche per numerosi altri giorni di quell'ultimo mese che mi restava da passare a Nerima, in casa Tendo.
Nel frattempo, con quella strana e imbarazzante giornata alle terme, un nuovo piccolo amico era entrato a far parte della cerchia delle persone pazze, stravaganti ma assolutamente insostituibili che ebbi la fortuna di conoscere durante quel viaggio che mi cambiò la vita.

***

Buonasera a tutti!!
Ed eccomi qui, con il consueto ritardo (di cui mi scuso, come sempre!)
Non ho molte cose da dire se non che spero che il capitolo vi piaccia e che capiate la "battuta" del titolo!
Un ringraziamento particolare va alla mia motivatrice/supportatrice/beta Gretel85 e alla sua pazienza, e ci tenevo anche tanto a ringraziare Bethan_ che mi ha scritto una mail fantastica e dolcissima che, oltre ad avermi fatto un immenso piacere, mi ha spronata tantissimo a scrivere questo capitolo!
Grazie anche a tutti voi, che mi aspettate, mi leggete e un grazie poco poco più grande a chi trova il tempo di lasciarmi scritto il suo parere.
Immancabilmente grazie alle mie speciali Ladies.
Ci vediamo al prossimo aggiornamento, che riguarderà....?
Vostra, Aronoele (:

  
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