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Autore: Floffy_95    15/04/2015    1 recensioni
Un principe valoroso che cerca di proteggere la sua famiglia e un astuto Signore di Doni intenzionato a dominare l'intera Arda. Chi è Angmar? dov'è nato, qual'è la sua storia? ma soprattutto: cosa lo ha reso quello che è divenuto famoso per essere il grande Re Stregone temuto da tutti? Questa è la storia di un uomo chiamato Isilmo, fratello della regina di Númenor, che per spezzare il suo destino finì per decretarlo, per liberarsi dal peso della morte finì per diventare parte di essa, per salvare la sua famiglia finì per condannarla.
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fic.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nazgul, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo VI:

Drúwaith Iaur


Trascino i piedi nel fango, incespicando nel groviglio di mangrovie e piante acquatiche che mi intrappolano in questa palude.

Ho il fiato corto, sento freddo e i miei piedi sono viscidi.

Le liane mi si attorcigliano intorno al corpo, mi avviluppa le braccia e le gambe.

Mi divincolo inutilmente.

Urlo a pieni polmoni ma mi agito con scosse sempre più deboli.

Una liana striscia intorno al mio collo, simile a una serpe.

Sento la mia gola contrarsi, mentre la mancanza d'aria mi fa boccheggiare.

Annaspo con foga avvinghiando le liane con le dita, ma le mie mani scivolano sulla superficie viscida delle mangrovie.

Morirò!” penso, mentre sento la vita sfuggirmi lentamente dal corpo.

Chiudo gli occhi.

le braccia mi cadono sui fianchi, molli e inerti.

Lacrime silenziose mi rotolano sulle guance.

«Anariën.» riesco solo a mugolare mentre le liane possedute da una forza misteriosa mi stritolano a morte.



Mi alzo con un sussulto sul letto, i capelli incollati alla fronte dal sudore.

È notte fonda e riesco a vedere solo una cieca bruma.

«Anariën...» gracchio, senza voce.

Mi porto una mano alla gola.

Solo un brutto sogno.”

Mi distendo nuovamente sul mio talamo.

Allungo una mano nell'oscurità, tastando alla cieca il materasso.

Al mio fianco non vi è nessuno.

Il lenzuolo è freddo.

«Isilmo...»

La voce calda di mia moglie mi fa sussultare.

Mi alzo a sedere sul letto.

«Anariën? Dove sei?»

«Isilmo, ti prego... aiutami!»

Mi alzo con uno scatto e avanzo scalzo lungo il corridoio buio, tastando le pareti come un cieco.

«Isilmo!» la voce di mia moglie si trasforma in un lamento.

«Ti prego!»

Raggiungo il soggiorno.

Il camino è spento e l'aria è fredda.

Un brivido mi percorre la spina dorsale.

«Amore? Amore, dove sei?»

«Li hai uccisi... li hai uccisi tutti...» la voce di Anariën è lamentosa e incrinata dal pianto.

Rimango immobile.

Il camino si accende improvvisamente, lanciando le ombre sul soffitto della camera.

Lingue arancioni si sprigionano dalla cenere spenta, crepitando.

All'improvvisa luce che invade la stanza, scorgo delle forme scure che si stagliano contro il camino.

Stringo gli occhi, abbacinato.

Sembrano... sembrano...

Spalanco gli occhi, la bocca piegata in una smorfia di orrore.

Sono bare!”

«Li hai uccisi... ci hai uccisi tutti.» geme Anariën da qualche parte dietro di me.

Mi volto ma non c'è nessuno alle mie spalle.

«CI HAI UCCISI!»

La lunga tavola di quercia che ci ha regalato mio cognato al matrimonio mio e di Anariën è sparita.

Al suo posto, cinque bare sono allineate davanti al fuoco.

Faccio un passo avanti.

So già cosa mi aspetta.

Faccio un altro passo, poi un altro e un altro ancora.

Arrivo davanti alle bare.

Prendo fiato e mi sporgo in avanti.

I miei quattro figli giacciono pallidi e composti nelle bare scure.

Anariën è al centro, il ventre gonfio.

Vacillo.

Il suo viso è bolso e verdognolo, i suoi capelli sono bagnati.

«No!» faccio un passo indietro.

«No, non può essere!»

Corro via, sbattendomi la porta del salone alle spalle.

Sento la sabbia fra le dita dei piedi.

Mi schermo il viso con una mano dal sole cocente.

Appena i miei occhi si abituano alla luce scorgo una spiaggia assolata fiancheggiata da una cornice rocciosa.

Vicino alla battigia un uomo sta scavando usando una pala.

Muovo qualche passo verso di lui.

È canuto e la barba lunga e incolta è sporca di sabbia.

Veste di stracci che un tempo forse erano una lunga casacca di pelle istoriata, arrotolata sui gomiti.

È scalzo e indossa dei calzoni di lana strappati all'altezza delle ginocchia.

Una bandana sbrindellata gli cinge il capo, sventolando ad ogni suo colpo di pala.

Il vecchio continua a scavare come se nulla fosse.

Ed è allora che lo noto.

Cinque tumuli di sabbia sono ammonticchiati al suo fianco con infilati su ogni cima uno stecco

con legata una bandiera ricavata da uno straccio.

Muovo qualche passo incerto verso di lui.

Quando sono abbastanza vicino da poterlo toccare si volta repentino.

I suoi occhi grigi come i miei mi incontrano.

Vi leggo follia e smarrimento.

«Maledetto! Sei maledetto! Li hai fatti morire! Li hai fatti morire tutti!» gracchia con voce roca.

«No!»

Mi ritraggo, il volto contratto dalla paura.

«No! Non è vero! Non è vero! Non è possibile!»

Di colpo capisco: quel vecchio sono io!

«Maledetto!» grida «Maledetto!»



Mi riscuoto con un sussulto tanto forte da graffiarmi le cosce e le natiche con la ruvida corteccia del pino marittimo.

Emetto un lungo sospiro, detergendomi con le mani la fronte, umida di sudore.

Mi passo una mano sugli occhi.

Attraverso le dita vedo il sole scivolare in mare.

Il cielo azzurro e arancio è solcato da nuvole rosa e argento.

«Solo un incubo.» sussurro.



Il sole de mattino mi accoglie pigramente sorgendo dalle montagne coperte di foreste alle mie spalle.

Il cielo è sereno ma coperto.

Il mio stomaco brontola ma tento di ignorarlo.

Metto le mani sui fianchi e inspiro la dolce brezza che soffia dalla foresta.

Punto gli occhi dritti sul muro di roccia che mi sovrasta.

Oggi tenterò di salire sulla cornice per cercare da mangiare e vedere se posso ottenere una vista migliore da lassù.

Per prima cosa mi infilerò le brache, così sarò più protetto.

Sono asciutte ma umide e odorano di sale.

Le scrollo e me le infilo, legandole in vita.

Mi afferro con ambedue le braccia al tronco del pino marittimo.

Con un colpo di reni mi isso su.

Contraggo i fianchi e stringo le cosce.

Come una scimmia mi tiro via via più in alto, incurante del dolore acuto che provo ai genitali.

Sono arrivato in cima al pino.

Con uno sforzo mi afferro alla roccia.

La selce friabile si sbriciola fra le mie dita.

Dopo qualche tentativo, azzardo un balzo sul costone roccioso.

Scivolo in basso e mi aggrappo con tutte le mie forze alla roccia che però si spezza sotto il mio peso e frana giù, portandomi con sé.

Rovino a terra, sbattendo forte la schiena contro la sabbia compatta e i sassi.

Dalle labbra mi scappa un lamento.

In bocca sento il sapore del sangue.

Con un gesto brusco mi rialzo a sedere.

Ho fallito.

Mi massaggio la schiena, piena di contusioni.

«Ohi, ohi, povero me!»

con gesto rabbioso mi passo una mano fra i capelli pieni di sabbia.

Scrollo le spalle.

Sospiro profondamente.

Mi isso in piedi, facendo forza con le mani sulle ginocchia.

Mugugno un po' e poi mi stiracchio.

Inizio ad avanzare sulla sabbia rovente in direzione del mare.

I miei piedi scottano e ho le vertigini per la botta che ho preso.

Nonostante il caldo afoso che inizio a sentire comincio a sudare freddo.

Infilo i piedi nell'acqua fredda con sollievo.

Mi chino nell'acqua bassa e mi porto le mani a coppa sul viso, tenendo gli occhi chiusi.

Mi detergo un po', facendo scorrere l'acqua sui miei capelli seccati dal sole.

Il refrigerio è inebriante, sento il frescore calmare i miei fuochi interni.

Una scarica di brividi mi percorre la schiena.

Mi passo una mano sugli occhi chiusi.

La testa mi gira.

La pelle mi scotta.

Noto che le mie spalle e il mio petto sono arrossati.

Mi raddrizzo sulla schiena con un gemito.

Un lampo di dolore mi attraversa.

«Ossë24 salvami...»

Massaggiandomi la schiena torno verso il pino.

Cammino lento, nonostante i miei piedi gridino pietà per la sabbia che scotta.

Raggiungo il pino e mi infilo le calze.

Sento fastidio ai piedi ma almeno così sentirò meno dolore.

Tasto la casacca, i calzoni e la camicia.

La camicia è asciutta ma i calzoni e la casacca sono più umidi delle brache, quasi bagnati e ancora un po' viscidi.

Lego la camicia sulla fronte per ripararmi dal sole e stendo sulla sabbia vicino al pino il resto.

Almeno, con un po' di fortuna, si asciugheranno, anche se il cielo è coperto infatti, l'aria è ancora molto calda.

Umida. L'aria è umida. C'è un sentore di pioggia nella brezza marina.”

La mia gola è riarsa e le mie labbra sono spaccate.

Devo bere.”

Schiocco la lingua secca sul palato.

Devo trovare un fiume. Anche un piccolo rigagnolo andrà bene.”

Avanzo con passo cadenzato sulla sabbia calda, dirigendomi nella direzione da cui sono arrivato la mattina prima.

La testa mi duole e pulsa in modo frustrante.

Tengo i piedi sulla battigia dove la sabbia è fresca e molle.

Continuo ad avanzare, ancora, ancora e ancora.

Cammino per ore.

Alzo in alto gli occhi.

Il cielo si sta facendo scuro.

Dev'essere in arrivo una tempesta.”

Sorrido con amarezza.

Una come quella che mi ha sbattuto qui.”

I tuoni cominciano a squarciare l'aria, mentre lampi sempre più forti accendono le nubi plumbee che mi sovrastano.

La pioggia inizia a scrosciare sopra di me, infradiciandomi completamente.

Mi fermo, restando immobile sotto il diluvio.

Alzo lo sguardo.

Le gocce di pioggia mi frustano il viso.

Apro la bocca, mettendo le mani a coppa vicino al viso per trattenere più acqua che posso.

Bevo con foga quello che posso dalle mani rese ruvide dal sale e dal sole.

Sospiro profondamente e cado in ginocchio.

«Anariën, bambini.»

mi porto le mani al viso.

Sento le lacrime pungermi gli occhi e rigarmi le guance, mescolandosi alla pioggia.

«Amori miei!»

Cado prono, scosso ormai da singhiozzi incontrollabili.

«QUANDO VI RIVEDRÒ?»

Ti supplico Eru, fa' che li riveda...”

Ormai esausto mi abbandono al pianto e lascio che la pioggia lavi via la mia amarezza.



Il temporale è passato e così il mio dolore.

Arien25 guida la nave del sole nel cielo terso e sgombro di nuvole.

Ho proseguito il cammino, mettendo un piede dopo l'altro, avanzando ancora, ancora e ancora.

Stringo i pugni.

Il sole mi fa girare la testa.

Improvvisamente noto una figura di fronte a me.

Aguzzo la vista, schermandomi gli occhi con una mano: È una donna.

Sgrano gli occhi.

Dèi! Non può essere!”

A una ventina di passi da me una donna velata d'azzurro dai lunghi capelli neri come la notte sta dritta in piedi e mi fissa.

I suoi occhi sono velati di lacrime.

«Anariën!» grido senza fiato.

Allungo un braccio verso di lei.

«Aspettami!»

Con uno scatto la raggiungo.

Anariën scoppia in un pianto accorato.

«Amore mio, non piangere! Ci sono qui io! Non resterai più sola!» le grido.

Tento di stringerla a me, di farla sentire al sicuro contro il petto su cui così tante volte ha sospirato.

Mi ritrovo ad abbracciarmi da solo.

Le mie dita scivolano su sé stesse.

Cado in ginocchio.

Soltanto un'illusione.”

Sento il lamento di Anariën da qualche parte intorno a me.

Il vento porta via le sue parole.

Mi stropiccio gli occhi con convinzione.

Devo svegliarmi.”

Lentamente mi alzo sulle ginocchia e mi isso in piedi.

Lancio uno sguardo di sfuggita alla scogliera:

A quanto pare le rocce sono più basse qui, e la sabbia è ghiaiosa.

Con passo barcollante mi dirigo verso la cornice rocciosa.

Facendo leva sulle braccia mi arrampico sugli scogli squamosi di selce.

I miei muscoli bruciano per lo sforzo.

Con un sospiro mi getto sopra un cespuglio di mirto.

Ci sono riuscito. Sono salito sopra la scogliera.

Troppo stanco per fare alcunché, mi stendo a fianco del cespuglio, sull'erba secca e mi addormento.

Dopo un po' mi alzo in piedi e sempre barcollando mi dirigo nella macchia.

Cespugli di rosmarino fragrante e ginestra spinosa si abbarbicano alla dura terra per una lungo tratto della costa.

Macchie di mirto e alloro si confondono sulle colline ondulate, oltre le quali si staglia una remota foresta.

Continuo ad avanzare fino al crepuscolo.

La notte mi sorprende sotto un ulivo selvatico dal grosso tronco argentato.

Sfinito mi appoggio al suo fusto dopo aver fatto incetta di piccole olive amare, scure e legnose.

La bocca del mio stomaco gorgoglia per l'acidità e la fame ma senza curarmene scivolo nel sonno.



Ho passato tutto il mattino successivo nella foresta di alte querce scure.

I miei piedi mi conducono nel fitto della vegetazione.

Con un po' di fortuna trovo un melo selvatico e alcuni noccioli.

Dopo essermi sfamato tendo le orecchie in tutti i sensi per captare il rumore dell'acqua.

Non odo nulla.

Ho paura di perdermi, così torno al limitare del bosco.

Dopo ore buttate a tentare di accendere un fuoco torno nella foresta.

Il mio stomaco gorgoglia e la pancia mi brucia.

Dolorosi crampi cominciano ad opprimermi il ventre.

Con una smorfia lacero la camicia che tengo in testa e ne lego un lembo al ramo di un albero.

Così spero di non perdermi.”

Con una lancia ricavata da un ramo aguzzo mi inoltro nel profondo degli alberi.

Devo trovare al più presto della selvaggina se non voglio morire di fame.”

Raggiungo una radura in mezzo all'intrico degli alberi.

Mi fermo di colpo, restando immobile.

Il mio torace scottato dal sole si alza e si abbassa ritmicamente.

Posso sentire il battito del mio cuore.

Finalmente riesco a sentirlo.

Questo è rumore d'acqua!”

Le ombre degli alberi si allungano nella radura e sento i crampi al ventre farsi sempre più forti.

Mi gira la testa e cerco di concentrare lo sguardo sull'intrico di rami davanti a me.

Una cieca sete si impossessa di me.

Acqua. Acqua!” non riesco a pensare ad altro.

Correndo come un folle mi fiondo nella direzione che credo mi conduca a un torrente ma quando arrivo

getto la lancia e mi butto carponi, rigirandomi fra le mani foglie morte e ghiaia.

Ho effettivamente trovato il letto di un fiumiciattolo ma è secco da tempo.

Il fango sul greto è secco e polveroso, ciuffi d'erba spuntano qua e là fra i sassi.

Mi passo le mani sugli occhi, le faccio scivolare sulla fronte e mi stringo i capelli scarmigliati.

Sto impazzendo. Sto diventando matto.”

Soffoco un gemito, nascondendo il viso fra le mani.

«Anariën...»

Un lampo attraversa la mia mente, offuscando il mio dolore.

Devi essere forte per loro! Solo così li rivedrai!”

Stringo i denti, cacciando le lacrime indietro.

Devo essere forte!”

Con un sospiro mi alzo in piedi e afferro la lancia improvvisata.

Per Anariën per i bambini!”

con passo stanco mi trascino verso l'uscita della foresta.

Come un fulmine, un'ombra scura e snella schizza fuori dai cespugli, sfrecciando davanti a me.

Sgrano gli occhi e spalanco la bocca per la sorpresa.

Un camoscio mi è appena passato davanti?”

Senza pensare stringo più forte la lancia e mi precipito al suo inseguimento.

Un lampo di dolore mi acceca per un istante.

Stramazzo al suolo.

Mi rannicchio su me stesso, incurante del camoscio, stringendo la caviglia destra.

Devo essermela storta.”

Co un lamento mi alzo in piedi, zoppicando.

Mi guardo attorno.

Il camoscio è svanito nel fitto della boscaglia.

Sempre zoppicando mi incammino verso l'uscita del bosco.

Quando infine esco dalla foresta il sole è scivolato in mare e le ombre del crepuscolo si sono fatte lunghe e scure.

Sbadigliando mi accascio in terra e lì dove sono caduto, come un bambino, mi addormento.

Al mio risveglio noto che le stelle brillano su di me.

Metto un braccio dietro la testa e cerco la Falce dei Valar, messa a protezione della terra contro il Nemico.

Fisso le stelle, commosso.

In loro rivedo i tuoi occhi, Faelëar.”



Il vento scompiglia i miei capelli bruciati dal sole.

Il mattino successivo al mio incontro con il camoscio sono tornato sulla spiaggia e sono tornato al punto di partenza.

Lì ho indossato la casacca e i calzoni e ho ripercorso nuovamente la spiaggia in tutti i sensi.

Ma non ho trovato nessun indizio sul passaggio di Kadom o Rianni.

Niente di certo, perlomeno.

Il richiamo dei gabbiani mi fa voltare.

Mi passo una mano sulla mascella.

Il camoscio è troppo veloce e io sono troppo stanco. Ma un pesce...

Rimediata la lancia mi dirigo dove lo stridio dei gabbiani è più forte e dove più alte sono le grida dei pulcini.

Arrampicatomi sulla scogliera con qualche sforzo nella sua parte più bassa mi dirigo di soppiatto sul crinale, fin sopra il faraglione.

Sotto di me le onde si infrangono contro la dura roccia aguzza, lanciandosi in alto in barbe di schiuma.

Il vento gelido mi soffia in faccia, rombando cupo.

Alzo lo sguardo.

Nuvole d'argento attraversano l'azzurro del cielo, preannunciando pioggia.

Cammino sul ventre come una di quelle lucertole giganti che i mercanti hanno portato una volta a palazzo dalle torride lande del sud.

Mi avvicino a uno dei nidi.

Attendo che uno dei gabbiani si avvicini con il pesce in bocca e mi getto su di lui.

Per il terrore che io voglia assalire il suo nido il gabbiano lascia andare il giovane tonno che tiene nel becco e si scaglia su di me, mirando agli occhi.

Mi schermo con il braccio sinistro e con la mano libera tasto le rocce alla ricerca del pesce.

Un brivido mi percorre quando lo trovo.

È viscido e freddo.

Lo afferro per la coda che ancora si dimena e corro giù per il crinale, inseguito dal gabbiano.

Dopo un po' l'uccello torna nel suo nido e io riesco con grande sforzo a discendere sulla spiaggia.

Lo stomaco mi brucia come se avessi dei tizzoni ardenti nella pancia, tuttavia non ho intenzione di mangiare il tonno crudo.

La sola idea mi ripugna.

Legna!”- mi rammento -“Ho bisogno di legname e di qualcosa per accendere un fuoco.”

«Oh! Se solo avessi appreso l'arte di accendere il fuoco ora non sarei in questa situazione!»

Con passo svogliato mi sto incamminando verso la scogliera quando avvisto qualcosa in mare.

Non può essere!”

Sgrano gli occhi per la sorpresa e lascio andare il pesce sulla sabbia.

Per tutti gli Dèi e tutte le Dee e per Eru santissimo, quella è una nave!”

«Ehi!»

Mi sbraccio, grido a squarciagola e quasi salto per l'eccitazione.

«Ehi, sono qui!»

Salto più in alto e mi dimeno più che posso.

Tutto inutile.

La nave presto si allontana e svanisce nella foschia.

Mi getto a terra, incurante del pesce.

Sento gli occhi pungermi mentre stringo le mani per la frustrazione.

«Avevo... avevo la possibilità di salvarmi, di tornare a casa... ma non sono stato neppure in grado di accendere un fuocherello.

Oh Dèi! Perché mi punite così? Cosa ho fatto di male per meritarmi di rimanere qui, sperduto nelle terre selvagge, lontano da coloro che amo?»

Batto i pugni a terra.

«Non è giusto! È troppo crudele.

Se devo morire voglio farlo fra le braccia di coloro che amo, non qui! Voglio tornare a casa! Voglio tornare a casa, maledizione!»

Quando ho smesso di piangere mi asciugo le lacrime con le mani e mi rialzo a fatica, respirando a grandi boccate.

Voglio vivere. Devo vivere. Loro mi stanno aspettando. Devo tornare da loro.”

Metto il pesce ormai morto nella tasca dei pantaloni.

È terribilmente freddo e umido.

Avanzo sulla battigia, camminando ancora, ancora e ancora.

Metto un piede davanti a l'altro e mi dirigo verso la parte scalabile della scogliera.

Cammino per ore.

Devo aver superato il punto scalabile da tempo.

Ormai ho perso la percezione del tempo.

I minuti e le ore scorrono inesorabili.

Lo stomaco mi brucia come se vi si aprissero le porte di Angband26.

La testa mi gira.

Sento un forte dolore ai polpacci e alla schiena.

I piedi mi sono diventati quasi insensibili.

Ogni passo è un dolore.

Crampi sempre più dolorosi mi percorrono le gambe e la schiena.

Anariën.”

Arranco nella sabbia, quasi zoppicando.

Sento la pioggia picchiettarmi addosso.

Alzo lo sguardo.

Il cielo sopra di me è coperto di dense nuvole scure.

Minastir.”

La pioggia scroscia abbondante su di me, frustandomi il viso.

Odo un ruggito e un brontolio sommesso fra le nubi accese dai lampi.

Tarion.”

Abbasso lo sguardo.

Elmo.”

Incespico in un sasso.

Cado in ginocchio.

Mi rialzo.

Anarwen.”

Crollo al suolo, il viso contro la sabbia fradicia.

L'oblio scivola sui miei occhi.



La prima cosa che avverto è qualcosa che mi trascina per le spalle.

Sento la sabbia sotto di me e poi qualcosa di morbido e di terribilmente fetido.

Odora di sangue e di selvatico.”

Vicino a me, sento il calore di un fuocherello che scoppietta.

Arriccio il naso e stringo le palpebre.

Il sole vi filtra attraverso in modo fastidioso.

«Anariën...» riesco a biascicare con la voce impastata.

La testa mi gira e il collo e le gambe mi bruciano come se fossero cosparsi di fuoco.

Sento le schiena indolenzita e dolorante.

Odo un respiro affannoso simile al soffio di un mantice di fianco a me.

«Per tutti i Bogov!27 Alla fine si è svegliato!»

Apro lentamente gli occhi.

Ciò che vedo davanti a me mi fa sgranare gli occhi per la sorpresa.

Un testone rasato e cotto dal sole troneggia davanti a me, adombrandomi, i piccoli occhi neri stupiti.

«Eru santissimo! Siete vivi!» grido con voce eccitata.

Kadom scopre i denti bianchissimi in un sorriso beffardo.

«Puoi dirlo forte, mio signore! E a quanto pare sei vivo anche te, anche se non sembri al meglio.

Rianni! Da brava, ragazza, dagli un po' da bere.»

Alla mia destra spunta la ragazza, sulle labbra un dolce sorriso.

«Mio signore! Sono così contenta che siate vivo!»

Rianni mi si getta addosso.

Nei suoi occhi colgo un guizzo.

Arrossisce violentemente.

«Perdonate l'irruenza, mio signore. Sarete stremato, bevete!» dice stappando una borraccia di pelle e porgendomela timidamente.

Le rivolgo un ringraziamento silenzioso e mi rovescio il contenuto della sacca in gola.

L'acqua brucia nella mia gola riarsa come fuoco liquido ma bevo comunque a sazietà.

Lancio un lungo sospiro e mi ridistendo sulla pelle.

Chiudo gli occhi.

«Dove siamo?»

Kadom emetto un verso secco.

«Per quanto ne so io, mio signore, ovunque. So navigare sui fiumi e sul placido mare di Rhun.

Non conosco il Grande Mare. Chissà dove ci hanno sbattuto le onde.»

Annuisco grave.

Riapro gli occhi.

«È già una fortuna esserci ritrovati.»

Kadom mi lancia uno sguardo in tralice.

«Se non fosse arrivato Kadom, ora saresti nei guai, mio signore.»

«Come mi avete trovato? Vi siete incontrati da molto? Dove avete trovato da bere? »

«Calma, Calma! Una domanda per volta, mio signore.

Abbiamo vagato sulla spiaggia sperando di trovarti e così, con un po' di fortuna è stato.

Io e Rianni siamo stati sbattuti dalla tempesta nello stesso posto, altrimenti la ragazza non sarebbe sopravvissuta a lungo.

Per quanto riguarda l'acqua abbiamo trovato un piccolo torrente potabile che sfocia in mare.»

«Ti devo la vita, cavaliere! Te la dobbiamo entrambi.»

Sento Kadom ridacchiare.

«Non c'è di che, mio principe. Ma sarà meglio conservarla adesso! Fra poco mangeremo...»

Il rumore di carne che viene dilaniata mi fa girare su un fianco.

Kadom sta facendo a pezzi un animale, forse un cervide usando la sua enorme scimitarra.

Il gigante, vedendomi accigliato mi rivolge un sorriso fiero.

Si liscia i lunghi baffi con una mano.

«Questo bel camoscio se ne scorrazzava per la foresta là sopra. L'ho trafitto e ho steso la sua bella pelle al sole.»



Quella sera, dopo aver cenato con il camoscio arrostito su fuoco e aver cantato delle canzoni mi stendo sulla pelle, osservando il cielo pieno di stelle.

Rianni e Kadom sono al mio fianco.

«Nelle Terre Selvagge, si dice che il Grande Cacciatore percorra il firmamento con la sua muta di cani ogni notte,

suonando forte il suo corno di uro selvatico e cacciando le tenebre al suo passaggio.» borbotta Kadom, agitando una mano contro il cielo in modo vago.

«Da noi si dice che la Regina delle Stelle abbia posto il Carro Celeste a sfida contro il Nemico, tanto tempo fa...» sussurra Rianni.

Sorrido beatamente, scrutando gli astri.

«Il mio popolo ha tradizioni simili, ma chiama quelle stelle la “Falce dei Valar” e dice che Avradî28 protegga coloro che le invocano sul proprio cammino.»

Sospiro profondamente.

Vorrei essere con voi adesso, amori miei.”

«Chissà se ritorneremo mai a casa...»

Sento Rianni singhiozzare nell'oscurità.

Forse avrei dovuto starmene zitto.”

Kadom sospira stancamente.

«Dormi ora, mio signore. Avrai bisogno di forze per domani. Ci attende un lungo viaggio...»

 

 

Il mattino successivo è caldo e soleggiato.

Kadom e io Affiliamo delle lance improvvisate e anche Rianni da una mano,

annodando della fibra vegetale sui manici dei bastoni e raccogliendo dei sassi da usare come arma.

Quando è tutto pronto ci dirigiamo sulla scogliera e dopo un'aspra salita raggiungiamo la foresta.

Acquattati a terra senza far rumore ci dirigiamo nel folto degli alberi.

Camminiamo per circa un'ora nella profondità del bosco.

Improvvisamente sento un rumore provenire alla mia destra.

Mi volto per controllare ma è troppo tardi.

Prima che me ne possa rendere conto una rete si solleva sotto i nostri piedi chiudendoci in trappola.

La rete si issa su fino a due metri d'altezza, fissandosi ad un ramo abilmente camuffato.

Mentre cerco di dare un senso alla cosa, sento un bisbiglio continuo provenire dagli alberi.

Uno dopo l'altro, una dozzina di piccoli uomini tatuati ci circonda, parlottando fra loro con voci roche e profonde.

Li adocchio sorpreso.

«Sono drûgin!»

Quello che sembra il capo, un tipo più magro e alto ma anche con lo sguardo più torvo squadra Kadom in modo insolente.

Le parole che escono dalla sua bocca sono inquisitorie e cariche d'ira.

Stringo le mani intorno ai fori della rete, sporgendomi in avanti.

«Che cosa dicono, Rianni?»

Rivolgo alla ragazza uno sguardo penetrante.

Rianni sembra turbata quanto me.

Scuote il capo.

«Non capisco molto bene. Parlano uno strano dialetto, questi drûgin. È complicato seguirli.

Ma aspetta! Parlano di pietre... asce di pietra e sangue e teste e... ah! Non riesco proprio a comprendere.»

Il capo dei nativi si mette a berciare qualcosa di incomprensibile all'indirizzo di Kadom, gesticolando in modo nervoso.

Gli wose si affrettano a muovere gli argani che ci tengono legati e calano la rete fino a terra.

«Guardate!» Grido a Rianni e Kadom «Ci tirano giù!»

Kadom agita la coda di cavallo come un puledro scalciante.

«Se provano a toccarci gli farò assaggiare la punta della mia scimitarra!»

I drûgin sciolgono la rete e ci liberano con gesti bruschi, ma subito tentano di ghermirci.

Mi volto verso Kadom.

Il gigante di Rhûn sfodera repentino la scimitarra ricurva che compie un guizzo e sfavilla nella luce maculata della foresta.

Sento che la situazione sta precipitando.

«Rianni! Digli di lasciarci liberi! Di' loro che noi siamo amici dei drûgin!»

La ragazza esegue con voce tremolante e incerta, faticando con le aspirazioni.

Il capo degli aborigeni, sentendola parlare nella propria lingua ordina agli altri di fermarsi con un gesto secco della mano.

I suoi occhi scintillano.

Quando parla nuovamente la sua voce è più sorpresa che arrabbiata.

Rianni risponde e annuisce.

indica noi e la foresta, poi di nuovo noi.

Ad un mio sguardo preoccupato Rianni mi sorride incoraggiante.

«Sto spiegando che siamo loro amici e che siamo arrivati dal Mare a causa di una tempesta.»

Annuisco.

Fisso dritto negli occhi il capo degli wose.

Il piccolo uomo tarchiato ricambia con ostilità.

Improvvisamente lancia uno strillo acuto e i drûgin ci assalgono.

Mi volto verso Kadom.

L'uomo sta mulinando la sua fedele scimitarra dentellata e si sta pericolosamente avventando contro i nativi.

«Fermo! Non toccarli! Lascia che ci prendano! Se li aggredisci ora non potremo più trattare!»

Kadom stringe le mani sulla spada ed emette un ringhio di sfida.

«Ma loro non vogliono trattare!»

«Fa' come ti dico!» Sbraito.

Kadom emette un lungo sospiro e rinfodera la scimitarra.

Immediatamente gli abitanti della foresta ci afferrano.

Dopo averci legato le mani ci spintonano in modo rude, conducendoci nel cuore della foresta.

Camminiamo per circa un'ora a passo svelto nell'intrico degli alberi.

Finalmente arriviamo in un'ampia radura circondata da enormi querce millenarie.

Alzo lo sguardo.

Sopra gli alberi sono ammassate capanne a un solo piano dal tetto di frasche e lunghe passerelle traballanti di corda.

Ai piedi delle querce si alzano grandi pietre levigate e coperte di pittogrammi sconosciuti.

Molti bracieri rischiarano le ombre della foresta.

Ma è un'altra cosa ad attirare la mia attenzione:

Pile di teschi umani e animali sono impilati un po' ovunque.

Mentre passo nella radura noto i resti di un uomo infilzato sopra un palo.

Una scarica di brividi mi attraversa.

Sento l'angoscia attanagliarmi.

Mi rendo conto che sto temendo per la mia vita.

Kadom si agita dando strattoni alle corde che ci imprigionano.

«Ci mangeranno! Sono cannibali!»

Rianni tiene gli occhi bassi sotto il groviglio dei suoi capelli scuri.

È incredibilmente pallida.

A forza di spinte e strattoni veniamo condotti sotto una quercia più grande delle altre, coperta di disegni geometrici dalle spirali bizzarre.

Un volto umano è scolpito a metà del tronco e i suoi occhi e la sua bocca colano sangue.

Sotto la quercia, seduto sopra una pila di crani coperti da una pelle, sta un ometto tarchiato ed enormemente grasso.

La sua pelle scura è attraversata da tatuaggi neri e blu e i suoi capelli crespi e neri sono tagliati all'altezza delle sopracciglia, scure e irsute.

I suoi occhi neri e profondi come pozzi lampeggiano alla nostra vista.

La sua voce cavernosa esce quasi melliflua dalle labbra carnose infilzate da una spina di istrice.

Rianni rabbrividisce al sentirlo ma i drûgin chinano il capo.

Kadom gli lancia un'occhiata torva.

«Questo grassone ci infilzerà su un palo e ci farà arrosto sempre che non ci preferisca crudi, ammenoché non imbracciamo le armi. Subito!»

Mi volto verso di lui.

«No! Dobbiamo restare calmi! Rianni, cosa dice questo tipo? È il loro capo?»

Rianni deglutisce e lascia andare il fiato.

«Sì.»

Il capo clan si sporge in avanti, carezzandosi la mascella pendula.

Le sue parole suonano un misto di derisione e fastidio.

Rianni risponde timidamente, con voce quasi soffocata.

La ragazza mi rivolge uno sguardo d'intesa.

«il capo dei drûgin vuole sapere chi siamo e cosa ci facciamo nelle sue terre.

Io gli ho risposto che tu sei il principe degli Uomini Alti del Mare...»

Deglutisco.

«Chiedigli qual'è il suo nome e che cosa vuole farne di noi.»

Rianni risponde lentamente studiando bene le parole.

Il drûg si sistema sulla pelle, traballando come un budino.

Le sue parole suonano aspre e arroganti al mio orecchio.

Rianni annuisce.

La guardo attentamente.

Trema.

«Lui è Lôd-buri-Ghâr. Dice che noi abbiamo invaso le sue terre e che... che per questo noi... meritiamo la... la morte.» Mi sussurra.

Le annuisco e alzo lo sguardo.

I miei occhi grigi si incontrano con quelli scuri come la pece di Lôd-buri-Ghâr.

«Rianni! Digli che io sono un mezzo drûg. Digli che ho ricevuto il marchio degli spiriti!»

La ragazza mi osserva con occhi dubbiosi.

Guarda lui, poi di nuovo me.

La sua voce suona debole e arrochita.

Gli occhi di Lôd-buri-Ghâr mandano scintille.

La sua risposta è secca e perentoria.

Rianni mi rivolge uno sguardo in tralice.

«Capo Lôd-buri-Ghâr chiede di mostrarglielo.»

alzo le braccia, mettendo in evidenza le corde che mi legano e le adocchio, scambiando un intenso sguardo il capo tribù.

La voce del wose è ancora più tagliente.

Cinque nativi mi si avvicinano circospetti.

Tre di essi mi tengono fermi mentre gli altri due mi slegano le braccia e alzano in alto il destro.

Un boato di sorpresa attraversa la radura.

Molti occhi sono puntati su di me.

Mi guardo attorno.

Questa tribù appare più numerosa rispetto a quella di Ghân-rani-Ghân.

Lôd-buri-Ghâr si china a parlottare con i suoi sottoposti.

Si rivolge a Rianni.

Questa volta il suo tono di voce è più caldo e accogliente.

Sorride scoprendo i piccoli denti giallastri in un ghigno che vorrebbe significare amicizia, forse.

Rianni annuisce e si volta verso di me.

Nei suoi occhi leggo paura.

«Lôd-buri-Ghâr dice: Bene! Sei un amico del mio... popolo, credo. Ma gli altri due? Chi sono?»

Fisso Rianni per un lungo momento.

«Digli che se toccano me o la ragazza li faccio a fettine così sottili che nemmeno cento vite basterebbero per rimetterle insieme!» sbraita Kadom.

Gli scocco un'occhiata accigliata e il gigante si zittisce.

«Calmati Kadom! Rianni, per favore, digli che voi siete sotto la mia protezione e che non intendo lasciare che vi facciano del male.»

Rianni annuisce e posso quasi vedere un sorriso speranzoso affiorarle sulle labbra.

Lôd-buri-Ghâr si passa una mano sulla mascella pendula, pizzicandosi il labbro inferiore.

La sua voce cresce in potenza e suona quasi di sfida.

Rianni sbianca.

Inizia a tremare.

«Lui... lui... io... io non...»

La guardo con apprensione.

«Per tutti i valar, Rianni, che succede?»

La ragazza si schiarisce la voce.

«Lui... lui dice... dice che tu puoi andare... ma non noi. Noi restiamo qui.»

«Glielo faccio vedere io cosa succede a quel ciccione arrogante se prova a fermarci!» ruggisce Kadom, stringendo le mani sul fodero della scimitarra.

«Aspetta! Rianni, digli che non me ne vado senza di voi, digli che anche tu sei un'amica dei drûgin e lo è anche Kadom.»

Deglutisco, saettando lo sguardo su Rianni, poi su Kadom e in fine sul capo tribù.

Lôd-buri-Ghâr posa il suo sguardo su Rianni e dopo un po', ridacchiando fra sé e sé si mette a parlare nella sua strana lingua.

Rianni pare sconvolta.

Tiene la bocca semichiusa e gli occhi sbarrati.

Con fatica, lentamente, riesce a tradurre.

«Ho deciso straniero. Tu e la donna che parla la nostra lingua potete andare, ma il... bestione... NO.»

«Rianni, digli che... Kadom, FERMO!»

Mi getto sul gigante di Rhûn e riesco a fermarlo appena in tempo prima che, scimitarra alla mano si getti sul capo clan.

I drûgin saltano indietro strillando.

Molti cercano riparo nelle case sugli alberi.

Ma Lôd-buri-Ghâr rimane immobile, gli occhi taglienti fissi sulla lama della scimitarra.

In silenzio, si alza dal suo scranno di teschi umani e allarga le braccia.

Tutti i presenti fanno silenzio, gli occhi di tutti sono fissi sul drûg.

Quando parla di nuovo, Lôd-buri-Ghâr sembra compiaciuto.

Rianni sembra rabbrividire ma tiene la testa alta.

«Lui dice: quello che ha tentato il tuo amico è gravissimo, l'unico modo di salvarlo è un... duello, credo, con cui potersi riscattare.

Se vincerà sarete tutti liberi, in caso contrario morirete tutti.

E visto che siamo nella mia... casa, lui... lui combatterà contro dieci dei nostri, dato che è così grosso...»

Poso il mio sguardo su Kadom, vedo i suoi muscoli lucidi contrarsi, osservo il suo respiro cadenzato.

I suoi occhi incontrano i miei.

Annuisce lentamente.

Alzo lo sguardo e fisso a lungo il capo tribù che ricambia con stolidità.

«D'accordo.» esclamo.

 


24Quenya, uno dei maiar al servizio di Ulmo

25Quenya, maia del Sole

26Sindarin, Prigione di Ferro

27Rhûnic, dèi

28Adûnaic, Varda

 

 


Angolo dell'Autore:

Non ci sono fonti certe sulla pratica del cannibalismo fra i drûgin a differenza degli orchi incontrati nel suo viaggio da Eärendil,

sebbene spesso si trovarono in conflitto con i númenóreani come a Lond Daer .

   
 
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