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Autore: Carlos Olivera    16/04/2015    1 recensioni
Dimmi una cosa, principessa Angelise.
Tu sei davvero sicura di aver portato a termine Libertus? Di aver salvato i Norma? Hai condannato i Norma di questa Terra ad estinguersi poco a poco, e abbandonato quelli dell'Altra Terra in balia di una guerra senza fine con gli esseri umani che innalza tuttora montagne di corpi. E ora, in nome del finto ideale di un mondo non tuo, ti frapponi tra noi e l'unica cosa che potrebbe evitare la scomparsa di quel mondo che hai abbandonato, e del quale sembra non importarti più nulla; il mondo dei Norma. Il tuo mondo.
Tu non hai liberato proprio nessuno. Hai fatto quello che ho fatto anch'io.
Hai fallito. In tutto

Sequel di Cross Ange - Il Rondo di Angeli e Draghi, di Mitsuo Fukuda
Genere: Drammatico, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Ange, Nuovo personaggio, Silvya
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Secondo molti Sophia era semplicemente l’insediamento più inespugnabile e meglio organizzato di tutto Misurugi.

Sylvia aveva impegnato quasi due anni a metterlo in piedi, organizzandolo secondo principi democratici ma ferrei, con un consiglio di reggenza che amministrava ogni cosa, dalla distribuzione del cibo alla difesa dei territori confinanti.

Entro la sua sfera di influenza era stato perfino possibile rimettere in funzione fattorie, centrali energetiche e perfino ripristinare in parte la rete stradale dell’impero, il tutto difeso egregiamente dal piccolo ma molto agguerrito manipolo di soldati accuratamente addestrati.

Era sorto dal niente, in un fazzoletto di terra incolta a pochi chilometri dall’antica capitale, ma nel giro di poco tempo era diventata una vera e propria cittadina, tanto che con il passare del tempo agli edifici in lamiera e detriti andavano sostituendosi case vere e proprie, embrione di una città che, nelle intenzioni dei suoi fondatori, sarebbe dovuta diventare il cuore del nuovo impero di Misurugi.

Le ragazze vi fecero ritorno quasi a mezzogiorno del giorno successivo, varcando con il Bulldog i due diversi cancelli posizionati che formando una chiusa fornivano un ulteriore deterrente contro le incursioni e gli ospiti indesiderati, e come le altre volte il loro ritorno fu salutato con entusiasmo dalle persone che, complice il bel tempo e l’arrivo di alcune carovane di mercanti, si erano riversate nelle strade.

Per la maggior parte si trattava di abitanti dell’antica capitale, e c’era da rimanere sorpresi nel constatare come tra di loro regnasse una insolita armonia.

D’altra parte, era la regola fondamentale per essere ammessi a Sophia: distinzioni di qualunque genere, a cominciare da quella supposta tra umani e Norma, erano bandite, in favore di una assoluta coesione che, come Sylvia ripeteva spesso, costituiva l’unico modo per poter sperare in un nuovo futuro per il mondo intero.

Più volte Sylvia si era vista costretta a ricorrere a metodi drastici per far rispettare le regole, ma per il bene di tutti aveva deciso di essere inflessibile, anche al costo di apparire crudele: con tutto quello che stava succedendo, non c’era tempo per farsi prendere da sentimenti xenofobi ormai superati ed egoismo individuale.

La bambina, che aveva detto di chiamarsi Hilda, subito dopo l’arrivo venne messa nelle mani capaci della signora Carmody, l’anziana in pensione che da qualche mese dirigeva una scuola che agli occhi di tutti rappresentava il simbolo di una ritrovata speranza per il futuro.

Anche Ashley e Mayu vennero congedate, dirigendosi rispettivamente alla mensa e alle docce, mentre Ruka si incaricò di portare la sua creatura al magazzino per scaricare il materiale recuperato quindi ai garage, per fare la manutenzione al bulldog e coordinare l’invio di altri mezzi a recuperare il resto della refurtiva.

Quanto a Sylvia, disfatasi come da regolamento di tutte le armi affidandole ad una delle guardie perché fossero portate in armeria, percorse a piedi le poche centinaia di metri che separavano il piazzale d’ingresso al villaggio, in realtà più simile ad una specie di enorme caserma che ad una cittadina vera e propria, dal quartier generale, un vecchio condominio che aveva funto da punto di partenza per la costruzione dell’intero complesso.

Come entrò nella sala riunioni al terzo piano, il Capitano Viktor, una guardia imperiale che l’aveva servita fedelmente già da prima dell’Apocalisse, e che ora occupava il posto di comandante delle truppe regolari di Sophia, si irrigidì nel saluto militare.

«Vostra Altezza.»

«Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Vostra Altezza» disse Sylvia fingendosi scocciata. «Ormai Misurugi non esiste più.»

«Con il dovuto rispetto mia Signora, voi forse potete aver smesso di considerarvi la legittima sovrana di questo Paese, ma le garantisco che le persone che vivono qui la pensano diversamente.»

«Io ho solo cercato di sopravvivere. E di salvare quello che poteva ancora essere salvato.»

«No, voi avete fatto molto di più. Avete radunato questa gente, avete dato loro speranza, e siete persino riuscita a far capire loro quanto fossero sbagliate molte di quelle convinzioni che avevano sempre date per scontate.

Tutte qualità proprie di una vera guida. Quindi, per noi, voi sarete sempre Sua Altezza Sylvia I, imperatrice di Misurugi

La ragazza sospirò, preferendo pensare ad altro.

«Se posso permettermi Altezza, chi è la ragazzina che avete portato con voi?»

«Si chiama Hilda. È originaria di Enderant. Ha detto di essersi separata da sua madre subito dopo l’Apocalisse, quando il loro villaggio è stato attaccato da dei predoni. L’hanno presa e portata a Misurugi, poi gli abitanti di Dolkin l’hanno liberata e presa con loro.»

«Circolano gran brutte voci su Enderant. Laggiù regna la più completa anarchia. Alcune città stato sono riuscite a riorganizzarsi, ma per il resto le bande di umani e Norma si scannano senza sosta tra di loro.»

«E se và avanti di questo passo, temo che presto potrebbe succedere la stessa cosa anche qui.»

Notando l’espressione preoccupata, quasi avvinta della sua signora, Viktor si preoccupò: doveva essere successo qualcosa di molto grave per riuscire a turbare persino una ragazza forte e determinata come lei.

«Che intendete dire, Altezza?»

Sylvia raccontò allora quanto aveva visto a Dolkin, scioccando con il suo racconto persino uno come Viktor, che come lei negli ultimi due anni ne aveva viste di tutti i colori, saggiando in prima persona le bassezze raggiungibili dal genere umano.

Eppure, a racconto finito, Sylvia notò qualcosa di strano nell’espressione del suo attempato generale, come se quel genere di racconti non gli fossero del tutto nuovi.

«Ne avevi già sentito parlare?» domandò allora

«Al di là delle montagne, verso Gallia. Credevo fossero solo chiacchiere da mercanti. Parlavano di insediamenti piccoli e grandi decimati o scomparsi nel nulla nel giro di una notte. I corpi rimasti erano mummificati, come se chi li aveva uccisi avesse bevuto loro tutti gli organi interni.»

«Non sembra il modo di agire di una qualunque banda di predoni.»

«Se i racconti sono veri, temo che di tutto possa trattarsi meno che di comuni rapinatori. Ma cosa può giustificare una tale ferocia?»

Sylvia stette a lungo in silenzio, mentre un brivido le percorreva la schiena.

«Non possiamo fare altrimenti. Aumentiamo i controlli. Sorveglianza giorno e notte all’interno dell’insediamento e nelle zone limitrofe.»

«Sarà fatto, Altezza.»

«Ma cercate di essere discreti. È già abbastanza difficile mantenere l’ordine così, l’ultima cosa che ci serve è il panico incontrollato.»

In quella, dalla finestra aperta, giunsero degli schiamazzi, ed affacciatasi la ragazza si avvide di una piccola folla radunata nel cortile centrale dinnanzi all’edificio, dagli animi decisamente poco distesi.

«Ecco, appunto.» sbuffò lasciando la stanza, seguita a breve dal suo uomo di fiducia.

 

Quando Sylvia e Viktor raggiunsero il cuore della protesta questa era già sul punto di tramutarsi in una rissa, ma in qualche modo non furono sorpresi quando, fattisi strada fino al centro del gruppo, si trovarono dinnanzi ad una ragazza dai capelli di un colore marrone tendente al rosso vino, la carnagione scura e l’espressione truce.

Ai suoi piedi c’era una giovane donna, piuttosto malconcia, che a giudicare dai segni doveva avere steso lei stessa con la spranga che aveva in mano.

All’arrivo del Comandante, secondo epiteto più diffuso con cui la gente di Sophia era solita chiamare Sylvia, si formò immediatamente un cerchio, lasciando lei e la responsabile di tutto quel trambusto l’una di fronte all’altra circondate da un cordone di spettatori tenuti indietro dalle guardie.

«Dovevo immaginarlo che c’eri di mezzo tu, Akiho» disse sicura, benché quella ragazza dovesse avere cinque o anche sei anni più di lei. «Che è successo stavolta?»

«È ora di finirla!» strillò la ragazza fuori di sé. «Noi umani siamo stufi di morire di fame mentre queste parassite Norma e i loro parenti senza onore si ingozzano come porci!»

«Che storia è questa? Ognuno qui ha esattamente le stesse razioni, siano essi umani, Norma o parenti di Norma.»

«Tutte balle! Io l’ho visto! Ho visto gli inservienti nelle cucine! Sono tutte Norma! E ogni volta che vedono un’altra Norma, subito le riempiono il piatto!»

«Se quello che dici è vero, saranno redarguite. Ma onestamente ne dubito. Io mangio insieme a voi tutti i santi giorni, e non ho mai, mai visto un piatto più o meno abbondante del mio.

Secondo me questa è solo la tua ennesima sparata dettata da un fanatismo cieco che al punto in cui siamo non ha ragione d’esistere.

Te, io, tutte queste persone. Ormai siamo tutti Norma. Anzi, siamo tutti umani. Esseri umani. Che ti piaccia o no.»

«Balle! Non mettermi sullo stesso piano di quei parassiti! Tu non sei mai finita nelle mani di una Norma! Io ci sono passata, e so di che cosa sono capaci!» quindi, nei suoi occhi comparve un terrore tale da far pensare che fosse sul punto di farsela addosso. «Ho visto i suoi occhi indemoniati, la sua follia distruttrice, la sua convinzione malvagia di avere ragione nonostante tutto. Come si fa a dire che i Norma sono uguali a noi? Questo è al di là della logica.»

«No» tagliò corto Sylvia. «Al di là della logica è che a distanza di tutto questo tempo ci sia ancora chi come te si perde dietro a simili idiozie.

E per tornare alla questione del cibo, perché di questo di parlava, ribadisco che questi favoritismi per i Norma esistono solo nella tua testa. Se però vuoi procurarti da sola del cibo extra e mangiartelo per conto tuo nessuno te lo impedisce.»

«Ma tu sei l’Imperatrice! La nostra guida! Non è compito dei reali provvedere al fabbisogno del loro popolo?»

«Provvedere al fabbisogno non significa soddisfare ogni capriccio. I tempi del della cuccagna sono finiti. Ora se vuoi qualcosa te la devi sudare, come è giusto che sia. Vuoi mangiare di più? Prendi una vanga e comincia a zappare, o prendi un arco e vai a caccia, senza aspettare che il cibo ti piova dal cielo.»

Akiho si guardò attorno, notando atterrita che non solo i Norma, ma anche quelli che fino a quel momento sembravano essere stati d’accordo con lei, la stavano fissando con occhi di ghiaccio.

Detto questo, Sylvia si girò per tornare sui suoi passi, e allora Akiho perse la testa.

«Tu, maledetta amica dei Norma!»

Ma non fece in tempo a sollevare del tutto la spranga che Sylvia, velocissima, le fu addosso, assestandole una tale ginocchiata che un attimo dopo la ragazza era inginocchiata a terra a vomitare tutto quello che aveva nello stomaco.

«Mi sono stancata delle tue sparate, stupida sgualdrina. Se ti becco di nuovo a creare problemi, ti rimetto nelle mani delle stesse persone da cui ti ho salvata.

E allora vedrai fin dove può arrivare davvero la rabbia repressa di molti Norma che quelli come te hanno fomentato per secoli.»

A quel punto, Sylvia se ne andò davvero, salutata con un rispettoso inchino da tutti i presenti.

«È già la terza volta che causa problemi da quando è arrivata» osservò Viktor camminando qualche passo dietro a lei. «È sicura che sia una buona idea mostrare tanta indulgenza?»

«Quella ragazza è stata sodomizzata, stuprata e quasi linciata dai genitori di alcune bambine Norma che aveva denunciato» disse quasi dispiaciuta. «Voglio darle una possibilità.

Dopotutto, era anche amica di mia sorella.»

«Amica!? Io c’ero quando incitava le guardie ad impiccare la nobile Angelise

«Dopo che io l’avevo frustata dandole colpe non sue.

Tu sei un’eccezione, Viktor. Tu hai visto molto prima di molti di noi. Ma io, lei, e tutti gli altri… noi eravamo diversi. Orribili.

Mi sono ripromessa di non fare mai più gli stessi errori.»

Poi, però, Sylvia si riscosse, e guardandola di nuovo Viktor quasi stentò a riconoscerla.

«Però hai ragione.

Questa è davvero l’ultima possibilità. Se causa altri problemi avrà modo di pentirsene.»

«Intendete davvero riconsegnarla a quelli che l’hanno quasi uccisa?»

«Non c’è bisogno di arrivare a tanto. Ma la farò assegnare a qualche lavoro pesante, e vedrai che alla fine si calmerà.»

«Sapete sempre come essere giusta ma risoluta, Vostra Altezza. Una qualità molto rara, persino tra i sovrani.»

«O forse solo molto ingenua» sorrise lei. «Alle volte penso che dovrei fare come mia sorella, una palla in testa e via.»

 

Sylvia provò a far passare i postumi della notte in bianco concedendosi qualche ora di sonno, ma il suo riposo, oltre che breve, non risultò neanche facile.

Le immagini, spaventose, di Dolkin le apparivano in sogno come spettri infernali.

Le sembrava quasi di vederli, i responsabili di quella carneficina, mentre assalivano il villaggio, bruciavano le case, e bevevano come animali il sangue e gli organi degli abitanti, lasciando dietro di sé null’altro che distruzione e morte.

E il risveglio non fu migliore.

Era appena riuscita ad addormentarsi sul serio, libera finalmente da quelle visioni spaventose, quando il rumore della porta della stanza che sbatteva con forza la fece sobbalzare per lo spavento.

«Vostra Altezza!» disse Helen, la sua fedele cameriera fin dai tempi dei suoi genitori, apparendo sull’uscio bianca come un fantasma. «Dovete venire, subito.»

«Che è successo?» domandò con il terrore di sapere già la risposta.

Pochi minuti dopo, la ragazza era di nuovo nella sala riunioni, stavolta in compagnia del suo intero consiglio di reggenza.

Oltre a Viktor, c’erano la signora Carmody, che oltre a gestire la scuola era anche la responsabile dell’accoglienza dei profughi, il signor Stouble, rappresentante delle fattorie e delle altre attività agricole attorno a Sophia, e Rick, il giovane ma molto capace commerciante di frutta divenuto da un giorno all’altro responsabile della gestione delle risorse alimentari.

«Ce l’hanno detto i contadini appena arrivati dalle fattorie per il mercato di domani» spiegò Viktor. «E una nostra pattuglia l’ha confermato.

Il villaggio di Bodani, dall’altra parte delle rovine della capitale, è stato attaccato durante la notte.

Non si sa chi sia stato, ma stando ai racconti dei tenutari delle fattorie più vicine all’abitato parlano di esplosioni, raffiche di armi automatiche udibili anche a grande distanza e strane luci provenienti dal mare.

Abbiamo provato a contattarli via radio, ma senza avere risposta. A questo punto dobbiamo ipotizzare che siano tutti morti.»

Tutti i presenti abbassarono gli occhi, sui quali comparve a poco a poco la paura più vivida.

«È possibile possa trattarsi di comuni predoni?» domandò Stouble. «Piuttosto che di quelli che hanno assalito Dolkin

«Non possiamo escluderlo. Non ho ancora trovato qualcuno disposto ad accompagnarmi a fare un sopralluogo. Ma è anche vero che con l’eliminazione della banda che agiva nei dintorni dell’insediamento non vi sono altri gruppi armati a noi noti in tutta la zona al di qua delle montagne, per quanto ne sappiamo.

Ma visto che i testimoni parlano chiaramente di qualcosa venuto dal mare, non possiamo escludere che si tratti di qualche banda proveniente da oltre di confini di Misurugi

«Ma come sarebbe possibile?» chiese la signora Carmody. «Ora che il mana non c’è più, con le nostre attuali tecnologie sarebbe impossibile navigare lungo la costa senza essere notati.»

«Figuriamoci poi arrivare da qualche altra terra al di là dell’oceano» concluse Rick. «Per quanto ne sappiamo all’Apocalisse non è sopravvissuto alcun apparecchio capace di fare una cosa del genere, né mi risulta sia mai esistito.»

«E se si trattasse di quelle macchine usate dai Norma durante la guerra?» ipotizzò Stouble. «Se non sbaglio non necessitavano di mana per funzionare.»

«Con il clima che c’è a Sophia» osservò mestamente la signora Carmody. «Se si diffonde la notizia che potrebbero essere coinvolti i Norma ci scappa una rivolta generale.»

«Non solo i Norma sono capaci di guidare quei cosi» taglio corto Viktor. «I para-mail. Come ho detto, risposte certe non ce ne sono.»

I membri del consiglio volsero quindi lo sguardo verso Sylvia, che sembrò quasi volerli rifuggire.

«Vostra Altezza, il consiglio che mi sento di darle è di prendere in considerazione l’idea di abbandonare l’insediamento, almeno fino a quando non avremo stabilito con esattezza la natura di questi aggressori.»

«Lasciare Sophia!?» tuonò Rick. «Sei forse impazzito!?»

«Ha ragione, Viktor» disse la signora Carmody. «Questo è l’insediamento meglio protetto di tutta Misurugi. Dove altro potremmo essere al sicuro se non qui?»

«È evidente che chiunque sia il responsabile di questi attacchi è in possesso di tecnologie talmente potenti e distruttive da renderlo capace di spazzare via interi villaggi senza lasciare neanche un superstite.

Ma sappiamo anche che per l’appunto attaccano solo i grossi centri abitati, dove sono in grado di fare molte vittime.

Sophia è ben difesa, ma è anche un bersaglio allettante. Se restiamo qui siamo obiettivi potenziali.»

«Lo saremmo anche se ce ne andassimo» replicò Stouble. «Almeno qui abbiamo delle difese.»

«Che potrebbero non servire a nulla. Le gallerie d’emergenza non sono ancora pronte. Se dovessero attaccare, non ci sarebbe nulla a coprirci la fuga. Saremmo in trappola.»

«Resteremo qui.» mormorò Sylvia, gli occhi sul tavolo e i pugni serrati

Tutti, di nuovo, si voltarono verso di lei.

«Vostra Altezza…» disse Viktor

«Abbiamo impiegato due anni a costruire questo posto, e confido nelle sue difese. Non rischierò le vite di tutte queste persone mandandole allo sbaraglio alla ricerca di una sicurezza illusoria.»

«Però…»

«Finché stiamo qui abbiamo le postazioni anticarro, i cannoni automatici, persino le armi antiaeree. Là fuori saremmo abbandonati a noi stessi.»

Per la seconda volta, quando Sylvia alzò lo sguardo, non solo Viktor, ma tutti i suoi consiglieri quasi non la riconobbero.

«Noi non siamo Dolkin, o Bodani. Siamo Sophia. Siamo l’embrione da cui dovrà nascere il nuovo Impero di Misurugi. E chiunque cercherà di attaccarci, dovrà sapere che qui troverà pane per i suoi denti!»

Nessuno osò obiettare.

Dopotutto Viktor era l’unico in quella stanza a pensare che le speranze di salvezza fossero maggiori fuori dalle mura di Sophia, ma aveva servito la Famiglia Imperiale per troppo tempo per contestare le decisioni della sua Imperatrice.

«Come desiderate.» poté quindi limitarsi a dire.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Non c’è che dire, mi sto davvero divertendo a scrivere questa storia.

Era da tanto che una fan fiction non mi entusiasmava in questo modo, e scriverla mi viene di una facilità disarmante.

In verità questo capitolo doveva essere un po’ più lungo in origine, ma ho deciso di tagliarlo per non appesantirlo troppo, anche perché in questo modo mi riservo completamente l’azione per il successivo.

Grazie a Tenori Taiga per la sua recensione e i suoi consigli

Precisazione: per chi ha visto la serie, Viktor, Helen e Rick sono tre delle cinque persone che accompagnano Sylvia nell’ultima scena dell’anime (rispettivamente la guardia imperiale bionda, la maid e il giovane coi capelli neri); stesso dicasi per la già citata Ashley (la ragazza castana della medesima scena)

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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