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Autore: 9Pepe4    16/04/2015    8 recensioni
«Dobbiamo salutare Dáin» disse. «Domani torna a casa sua».
«Non voglio salutarlo».
Thorin sospirò. «D’accordo» disse, spostando di lato un mantello per guardar meglio il bambino, «perché non vuoi?»
Il labbro di Fíli tremò. «È stato cattivo».
«Cattivo?» ripeté Thorin, senza riuscire ad evitare di provare un certo allarme. Possibile che Dáin avesse…? No, era assurdo. Non avrebbe mai alzato le mani su un bambino, figurarsi se si trattava dell’erede al trono di Erebor.
Le parole successive di Fíli lo presero completamente in contropiede.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Dìs, Fili, Kili, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Ladri di nomi

La visita di Dáin ad Ered Luin aveva fatto a Thorin un immenso piacere. Negli ultimi anni, si erano tenuti in contatto attraverso una serie di missive, ma vedersi di persona era tutta un’altra cosa.
Thorin aveva mostrato al cugino ed al suo seguito le sale delle Montagne Azzurre, poi gli aveva presentato i propri nipoti.
Fíli e Kíli erano parsi piuttosto incuriositi da quello sconosciuto, e Dáin aveva proclamato di essere onorato di fare la loro conoscenza. Quando poi aveva visto Dís, l’aveva stretta in un abbraccio sfracellante, lasciandola senza fiato ma con un sorriso sulle labbra.
«Eccola, la mia cugina preferita!» aveva tuonato.
Il momento dopo, le aveva già proposto una sfida. A quel che pareva, il cinghiale che lui aveva cavalcato sino alle Montagne Azzurre era considerato da tutti una bestia indomabile.
«Ha disarcionato ogni Nano che abbia tentato di salirgli in groppa… a parte me. Tu riusciresti a domarlo?»
Subito, a Thorin non parve che quella proposta si addicesse a sua sorella, sempre così composta e orgogliosa… Si chiese quali ricordi Dáin serbasse di Dís. Forse, rammentava la bambina ostinata che giocava col fango e non piangeva mai quando si sbucciava le ginocchia.
Poi Dís mise la mano in quella di Dáin, replicando a testa alta: «Accetto la tua sfida, caro cugino», e Thorin pensò che forse quella proposta inusuale era proprio ciò di cui sua sorella aveva bisogno.
Da quando suo marito era morto, non molto tempo prima, era venuta a mancare una certa leggerezza nella sua vita.
Certo, i suoi sorrisi non erano scomparsi – non avrebbero mai potuto farlo, sinché Fíli e Kíli erano in questo mondo – ma un’ombra di tristezza aleggiava sempre su di lei.
Durante la sfida di Dáin, però, mentre stringeva le ginocchia sui fianchi di un cinghiale ribelle e si aggrappava al suo pelo nero e ispido, sorrise quasi tutto il tempo.
Thorin non le avrebbe staccato gli occhi di dosso neanche un istante, non fosse stato per il fatto che doveva tenere a bada i propri nipoti, gli unici spettatori all’infuori di lui e Dáin.
Fíli non era un grosso problema, ma Kíli continuava a cercare di sgusciare via. Thorin stette ben attento a trattenerlo, sapendo che probabilmente il bambino – complici un amore smisurato per gli animali ed un istinto di conservazione pari a quello di una prugna con aspirazioni suicide – si sarebbe lanciato ad abbracciare il cinghiale, e la cosa non sarebbe finita bene.
Per quanto si trattasse di un cinghiale di piccola taglia, dal punto di vista di un Nano non era poi così minuto… Senza contare la sua indole tutt’altro che mansueta.
Poi Dáin rise forte e proclamò Dís vincitrice, e lei smontò e gli andò incontro, e addirittura rise sommessamente – un risultato che, da quando era vedova, solo Fíli e Kíli potevano vantare di aver ottenuto.
Dáin le strinse vigorosamente la mano destra, e si fece improvvisamente serio. Con voce inusualmente sommessa, le porse le proprie condoglianze. Le aveva già incluse in una lettera a Thorin, per la verità, ma ci teneva a fargliele di persona.
Il marito di Dís era stato un Nano dei Colli Ferrosi, prima di conoscerla ed unirsi al popolo di Erebor.
Lei ringraziò suo cugino, per poi dirigersi verso Thorin ed i bambini. Kíli, improvvisamente dimentico del cinghiale, le tese le braccia con fare smanioso, e lei lo prese su, domandando: «Allora? Vi piace il cugino Dáin?»
«Ha tanta barba» rispose Fíli, in tono di apprezzamento.
In effetti, il signore dei Colli Ferrosi aveva una barba lunga e folta – rossiccia, ma striata di grigio e bianco. A Fíli doveva sembrare ancora più maestosa in confronto agli esempi che aveva davanti tutti i giorni.
Sia Thorin che Dís, infatti, portavano la barba corta – il primo in memoria delle vittime di Smaug, la seconda come segno di lutto per suo marito.
«È vero» sorrise Dís, mentre Kíli le accarezzava la guancia con aria beata. «Da grande potresti averla così lunga anche tu».
Fíli s’illuminò a quell’idea, e Thorin pensò che la visita di Dáin era davvero una benedizione di Mahal.
E poi, circa un giorno più tardi e senza un motivo apparente, l’atteggiamento di Fíli verso il loro ospite cambiò.
Solitamente, Fíli era un amore di bambino, anche se non distribuiva sorrisoni a tutti come faceva Kíli. Allo stesso tempo, però, era dotato della spiazzante capacità di guardare gli adulti dall’alto al basso… Ed era proprio in quel modo che si era messo a fissare Dáin.
Un paio di volte, a Thorin parve che suo cugino si contorcesse a disagio sotto lo sguardo truce del bambino, e non poté proprio biasimarlo.
Persino Dwalin se ne accorse. «Cos’è successo con Dáin?» chiese una sera. «Fíli lo guarda come se lo avesse offeso a morte».
Thorin si limitò a portarsi alle labbra la propria pipa. Non ne aveva idea… Supponeva semplicemente che i bambini dell’età di Fíli fossero un po’ volubili.
Quando giunse la sera che precedeva la partenza dei Nani dei Colli Ferrosi, fu organizzato un banchetto nella sala grande delle Montagne Azzurre.
«Thorin, hai visto Fíli?» domandò Dís, mentre Kíli – seduto sul pavimento – cercava di infilarsi le calze da solo senza troppo successo.
Thorin scosse la testa, accigliandosi e guardandosi attorno.
«Fíli!» chiamò Dís, dirigendosi verso la stanza dei bambini.
Kíli si infilò una calza in bocca e sorrise a Thorin, che in quel momento si accorse di avere una manica bucata.
Imprecando sommessamente, si affrettò a tornare nella propria stanza, aprì le ante del guardaroba… E dentro vi trovò Fíli, seduto sul fondo dell’armadio e seminascosto tra i suoi vestiti.
«Fíli?» chiese, incredulo. «Cosa ci fai qui? Dís ti sta cercando».
Il bambino occhieggiò prudentemente la porta. «Perché?»
«Dobbiamo andare a cena» rispose Thorin, pensando che questo l’avrebbe invogliato ad uscire dal proprio nascondiglio. «Faremo un banchetto in onore di Dáin».
Fíli si corrucciò, ritraendosi appena tra gli abiti di suo zio. «Non voglio venire».
Thorin sbatté le palpebre. Non era da Fíli fare simili capricci. «Dobbiamo salutare Dáin» asserì. «Domani torna a casa sua».
«Non voglio salutarlo».
Thorin sospirò. «D’accordo» disse, spostando di lato un mantello per guardar meglio il bambino, «perché non vuoi?»
Il labbro di Fíli tremò. «È stato cattivo».
«Cattivo?» ripeté Thorin, senza riuscire ad evitare di provare un certo allarme. Possibile che Dáin avesse…? No, era assurdo. Non avrebbe mai alzato le mani su un bambino, figurarsi se si trattava dell’erede al trono di Erebor.
Le parole successive di Fíli lo presero completamente in contropiede.
«Ti ha rubato il nome, zio!»
Thorin impiegò cinque secondi buoni per reagire, e a quel punto tutto ciò che riuscì ad emettere fu uno stupido «eh?».
«Ti ha rubato il nome per darlo a suo figlio» insistette Fíli, e finalmente lui provò un barlume di comprensione.
Il figlio di Dáin – un bambino più piccolo di Kíli – si chiamava Thorin a sua volta.
Ripensando agli avvenimenti dei giorni precedenti, Thorin realizzò che l’atteggiamento di Fíli era cambiato proprio nel momento in cui gli era stato presentato il suo cuginetto.
Ti ha rubato il nome per darlo a suo figlio.
Thorin non poté farne a meno. Rise, e Fíli gli rivolse un’occhiata a metà tra l’oltraggio e la confusione.
«Oh, Fíli» sospirò poi Thorin, chinandosi per tirare suo nipote fuori dall’armadio e sollevarlo tra le proprie braccia. «Ti sono grato per quanto vuoi difendermi, ma non ce n’è bisogno, davvero».
Nel girarsi, vide Dís che lo fissava dalla soglia con aria accigliata, e le fece segno di dargli un momento.
Sua sorella annuì, scoccando uno sguardo intenso a lui e al bambino prima di ritirarsi.
Fíli non si accorse affatto di quello scambio silenzioso, impegnato com’era a tirare una ciocca dei capelli scuri di suo zio.
«Ti mostro una cosa» gli disse Thorin.
Posò suo nipote sul proprio letto, e Fíli rimase in piedi sul materasso, quindi tornò al guardaroba e ne tirò fuori un vecchio arazzo. Sulla stoffa blu chiaro si inseguivano gli intrecci del loro albero genealogico, a partire dal nome di Durin il Senzamorte.
Thorin andò a distenderlo sul proprio letto – Fíli piegò la testa con aria curiosa, poi si sedette per vedere meglio.
Thorin posò la mano accanto al proprio nome. «Sai che cos’è questo?»
Fíli parve pensarci su. «Il tuo nome?»
«Esatto» annuì Thorin. «E sai mio padre da dove lo ha preso?»
Il bambino fece segno di no, e suo zio fece risalire la propria mano di qualche generazione.
«Dal nonno del nonno di suo nonno» affermò. «Vedi? Eccolo. È lo stesso nome».
Senza staccare gli occhi dall’arazzo, Fíli si mordicchiò il lato della mano destra.
«Ci sono molti Nani, nella nostra famiglia» riprese Thorin, sommessamente, «che hanno avuto nomi uguali. Dáin si chiama come il nostro bisnonno, lo sapevi? È un modo per onorare i nostri antenati, è un segno di rispetto».
Fíli tese una manina e lisciò l’arazzo con aria concentrata. «Allora il cugino Dáin non è stato cattivo» disse infine.
«Il cugino Dáin non è stato cattivo» confermò Thorin. «Credo si meriti il tuo perdono… E anche un buon saluto».
Fíli fece un sorriso luminoso. «Ci sono anche degli altri Fíli e Kíli?» chiese poi, interessato.
Thorin iniziò a ripiegare l’arazzo. «No» rispose, «non tra i nostri antenati».
In quel momento, Dís si affacciò alla porta tenendo per mano Kíli. «Noi siamo pronti» annunciò. «Andiamo?»
Thorin non mancò di notare l’occhiata soddisfatta che sua sorella gli rivolse, e non poté fare a meno di chiedersi se lei avesse ascoltato parte della sua conversazione con Fíli.
Mentre uscivano – e Thorin era certo di aver visto Fíli infilarsi in tasca una delle sue trottoline di legno prima di unirsi alla madre e a Kíli – Dís fece cenno alla manica del fratello. «Ha un buco» gli fece notare, e per poco lui non imprecò a voce alta.
Con tutta la questione di Fíli, si era totalmente dimenticato di essere entrato nella propria stanza con l’intenzione di cambiarsi d’abito.
Fece per tornare sui propri passi, ma Dís lo fermò. «Siamo già in ritardo» gli ricordò. Poi, lasciando un momento la mano di Kíli, si girò verso di lui. «Su, fammi vedere».
Thorin obbedì, e in poco tempo lei gli sistemò la manica in modo che il buco non si notasse, dunque si rimisero in cammino.
La sala principale era una stanza dal soffitto alto, occupata da un lungo tavolo. Non veniva utilizzata spesso, dal momento che non avevano a disposizione le ricchezze di Erebor, ma solo in occasione di festività particolari o, come in questo caso, per un banchetto in onore di un ospite importante.
Dáin ed il suo seguito si trovavano già lì, così come gran parte dei Nani di Erebor che erano stati invitati a partecipare.
Fíli diede un’occhiata di traverso al piccolo Thorin III, che dormiva sonoramente tra le braccia di sua madre, quindi marciò con decisione sino a Dáin.
Quest’ultimo ne parve sorpreso, e si piegò in avanti per ascoltare il bambino.
«Cugino Dáin» annunciò Fíli, con voce sicura, come se stesse riferendo una realtà universale, «sei stato un bravo ospite. Sentiremo la tua mancanza quando andrai via».
Quindi, senza aspettare la risposta del Nano, tornò di corsa da Dís.
Più tardi, durante il banchetto, dopo aver rischiato di rovesciare un boccale di birra in seguito ad un brindisi particolarmente sentito, Dáin si rivolse a Thorin. «Fíli è in gamba» affermò, quasi urlando per sovrastare il chiacchiericcio. «Posso scommettere, cugino, che sarà un grande re».
Thorin gli fece un cenno col mento e si girò un momento a guardare Fíli, che stava staccando la carne di un cosciotto dall’osso, per poi passarla a Kíli e osservarlo mentre la divorava contentamente. Pensò al primogenito di Dís che, qualche momento prima di sedersi a mangiare, donava la propria trottola a Thorin III, e quasi sorrise.
Fíli era alto pressappoco tre mele e uno sputo, ma sembrava già avere più talento diplomatico di suo zio.
«Sì» concordò Thorin, tornando a guardare Dáin. «Lo credo anch’io».



















Note:
perché Dáin è fantastico e Fíli è il leoncino del mio cuore.
Spero vi sia piaciuta!
(E sì, per qualche motivo mi piace pensare che il padre di Kíli e Fíli non fosse originario di Erebor :D)
  
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