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Autore: berlinene    25/12/2008    7 recensioni
...proprio come il sonno della ragione genera mostri! Ed eccomi qua dunque a presentarvi il "mio" mostriciattolo... Scritta per il contest "Gli elementi del contenuto" (combinazione: Doccia e cioccolata) ma anche perchè "dovevo"... In questa one-shot ho voluto approfondire da un punto di vista "esterno" il rapporto fra i due gemelli Price, con la scusa di un episodio un po' triste ma con risvolti...divertenti. Può essere letta anche senza conoscere il "Diario".
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Nuovo personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Diario di Irene Price genera storie'
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Non so quanti potranno apprezzare questa storia ma l’ho scritta perché dovevo farlo e il contest non è stata che una mera scusa. O forse un’utile scintilla iniziale. Lo dovevo alla mia long fic, perché volevo per una volta parlare della stessa materia in terza persona, con uno sguardo più oggettivo e adulto. Lo dovevo a Benji, che per anni è stato il mio fratello “immaginario”, il migliore che si possa avere, ma forse è solo che non ne avuti davvero. E glielo dovevo perché negli ultimi due mesi mi sono sentita di nuovo molto vicina a lui e ai suoi sentimenti nel momento di cui parlo. E glielo dovevo perché per una volta anche lui esprime i suoi sentimenti. Infine lo dovevo all’Olanda e ai ricordi e alle persone che nella mia mente sono legati a questo Paese.

Grazie a chi ha organizzato il concorso, a Saretta che me l’ha segnalato e a chi avrà la bontà di leggere e, magari, lasciare un commentino…

Irene

- Benjamin! Vuoi deciderti a uscire da quella doccia, sì o no?

- Ci sono sei stramaledetti bagni in questa cazzo di casa, devi venire proprio a rompere le palle a me?

Questo era il succo, Irene lo sapeva. “Vado a fare la doccia” nella lingua di suo fratello voleva dire “Non immischiarti”, anche se lui parafrasava altrimenti. Era sempre stato così, anche da piccoli al campetto della S. Francis la frase “andiamo a fare la doccia” sanciva la fine dell’allenamento o della partita dove si giocava tutti insieme, uguali e liberi: poi loro andavano a fare la doccia e lei andava a farla a casa o eventualmente in qualche spogliatoio vuoto. Proprio come allora appoggiò la schiena alla porta e si lasciò scivolare fino a sedersi a terra. Quante volte in quella posizione aveva origliato i discorsi, gli scherzi e le risate dei suoi amici. A volte ridendo alle battute gridate al di là della porta, ma per lo più piangendo.

Ora invece da dietro quella porta non veniva altro suono che lo scrosciare dell’acqua eppure lei sapeva, sentiva, che stavolta a piangere era suo fratello.

Il giorno prima una brutta caduta durante l’allenamento della neonata New Team gli aveva procurato un infortunio alla gamba sinistra ma non sembrava grave così, quella mattina, Freddie aveva acconsentito ad aiutarlo ad andare giù in palestra per fare almeno gli esercizi per le braccia, ma la gamba si era gonfiata e, dopo la doccia, sarebbero andati in ospedale.

“Vedrai se dopo te ne starai fermo” aveva intimato Freddie, mascherando per l’ennesima volta dietro un atteggiamento burbero il grande affetto nutrito per il suo pupillo.

Irene si rimise in piedi e con un gesto deciso aprì la porta. Un attimo dopo l’acqua veniva chiusa e lo scorrevole della cabina aperto. Benji sbarrò gli occhi e si affrettò a coprirsi con le mani.

- Ma sei scema?

- Credevo avessi bisogno di aiuto – rispose Irene porgendogli l’accappatoio.

- Non ho bis…- muovere il passo con la gamba infortunata gli strappò una smorfia di dolore e gli fece perdere l’equilibrio. Irene fu però svelta ad afferrarlo impedendogli di cadere.

- Grazie.- mormorò il ragazzo fra i denti.

- Tutti questi anni ad allenarmi con te, saranno pur serviti a qualcosa.- rispose lei semplicemente, sistemandogli l’accappatoio e approfittando dell’occasione per un timido abbraccio.

Benji non aveva voluto che la sorella lo accompagnasse in ospedale, così Irene, per ingannare il tempo, era andata al centro commerciale. Visto che suo fratello sarebbe tornato molto nervoso – leggasi incazzato e intrattabile – magari avrebbe trovato un regalino per rasserenargli la giornata.

Non era facile per niente fare un regalo a Benjamin Price. Primo per l’abusato ma mai smentito assioma per cui fare un regalo a un ragazzo è più difficile che farlo a una ragazza, secondo perché suo fratello non era uno di tante pretese – niente roba firmata o costosa nonostante potesse permettersela benissimo – e piuttosto restio alle novità ma attaccato come un koala alle sue “care vecchie cose” (vedi un certo cappellino rosso).

Mentre camminava distrattamente davanti alle vetrine, fu attratta da una galleria laterale harrodsianamente intitolata “Food Halls”. C’era una serie di negozi, ognuno ispirato a un diverso Paese e alle sue specialità. Mentre passeggiava per la zona europea si trovò a ripensare al meraviglioso viaggio attraverso il Vecchio Continente che i gemelli Price avevano fatto coi loro genitori. Era stata la prima volta, da che ricordassero, in cui erano stati così tanto con mamma e papà. Irene non aveva una gran simpatia per quei due, soprattutto perché, fondamentalmente, erano due estranei ma era rimasta affascinata da tutte le cose che sapevano e conoscevano di quelle terre straniere, luoghi, abitudini, cibi. Gli venne in mente l’insana passione che suo fratello aveva sviluppato in Olanda per i De Ruijter. Quei cosini che scappavano da tutte le parti, non erano poi ‘sto gran che (molto meglio la nutella!) ma suo fratello ci andava pazzo. Ecco l’idea-regalo!

Irene rovistò freneticamente tra gli scaffali “olandesi” e infine, incredibile, li trovò!

Rientrando soddisfatta del suo acquisto, vide Freddie fuori della porta che fumava nervosamente una sigaretta. Le bastò il suo sguardo per capire che la cosa era grave. Abbandonò la busta nel salone e si precipitò verso la camera di suo fratello. Esitò per un attimo di fronte alla porta chiusa. Poi aprì.

Benjamin era seduto sul letto: indossava il pigiama ma in testa aveva comunque il suo berretto-totem, ben calcato sulla fronte. Nonostante l’ombra della tesa gli coprisse gli occhi e un po’ di naso, Irene indovinò che lo sguardo fissava senza guardarla la tv accesa di fronte. La gamba sinistra era fasciata e tenuta alta da dei cuscini.

- Avevo detto che non volevo essere disturbato.

- Scusa, non lo sapevo. Volevo solo sapere come stai.

- Di merda.

- Ti fa male? – chiese la sorella accennando alla gamba.

- Non è quello.

Irene si avvicinò e si sedette sul letto: - Posso farti un po’ compagnia?

- Parli come se avessi scelta.

Irene rise: - E cosa guardavi?

- Boh.

Pausa.

- E allora cos’è?

- Cosa?

- Che ti fa male.

Benjamin volse o sguardo altrove e si morse le labbra.

- Quasi dimenticavo… ho comprato una cosa per te…- disse Irene per smorzare la tensione e fece per andarsene ma suo fratello la afferrò per un braccio, trattenendola seduta sul letto con la sua presa d’acciaio.

- Non potrò giocare il campionato nazionale.

- Cosa? Ma cosa ti sei fatto?

- Ma che ne so, manco sono stato ad ascoltare, quando mi hanno detto che dovevo stare a riposo completo per un mese, il mio cervello non sapeva far altro che contare le partite che mi sarei perso. Un mese a letto, Irene, senza neanche poter andare a vederle, le partite… un mese a letto, io impazzisco!

- Ma va, al massimo ti riposi. -Un sorriso increspò le labbra sottili dell’SGGK.- E starai un po’ con la tua sorellina. Oddio… forse questo è peggio del riposo forzato…

Benji rise e a Irene si aprì il cuore. Ma fu un attimo, poi un’ombra più pesante di quella del cappello si allungò sul volto del portiere.

- Ci tenevo, sai, a portare l’insegna della squadra durante la cerimonia d’apertura, difendere la porta della mia squadra dal primo all’ultimo minuto, senza lasciar passare neanche un goal… Come l’anno scorso, ricordi? Soprattutto a quel Landers… - il pugno strinse convulsamente le lenzuola – e invece sono inchiodato qui, costretto chiamare le cameriere anche per pisciare…

- Se preferisci… ci penserò io.

- Non vai ad accompagnare a squadra?

La ragazza fece spallucce: - Tanto c’è Patty… non le farà altro che piacere non avermi tra i piedi. Invece che della squadra mi prenderò cura del mio fratellino…

- Davvero?

- Se potessi ti presterei una gamba ma non posso prestarti altro che assistenza…

Benji alzò gli occhi al cielo. I giochini di parole di sua sorella lo frustravano e lei glieli faceva apposta.

- Cos’è che mi avevi comprato?

- Ah, allora non sei così sconvolto…

- Sì, no cioè…

Irene si alzò e si precipitò giù per le scale seguita dagli improperi della tata circa i suoi modi afferrò la borsa poi andò in cucina a fregarsi due sandwich vuoti e ricomparve, ansimante, in camera del fratello.

- Ta-daaan – disse orgogliosa mostrando la scatolina di De Ruijter.

- Nooo! Dove li hai trovati? - chiese il fratello con sguardo cupido.

- Attraverserei mezzo mondo per far felice il mio fratellino – rispose con enfasi. – Ma in questo caso è bastato andare al centro commerciale qui vicino.

Come previsto di lì a poco ci furono scagliette di cioccolato ovunque: coperte, federe, vestiti, mani, capelli… solo il cappellino rosso era miracolosamente immacolato.

- Che casino! –

Non si era visto nulla di simile da quando una volta, a cinque anni, qualcuno aveva avuto la malaugurata idea di regalare loro i colori a tempera. E come allora, era necessaria un’azione di commando.

Irene controllò che in corridoio non ci fosse nessuno. Portò una sedia e vestiti puliti per entrambi nel bagno di fronte alla stanza di suo fratello, poi tornò in camera a prendere Benji che, appoggiandosi a lei, zoppicò fino al bagno. Qui Irene lo fece sedere sulla sedia e lo aiutò a togliere il pigiama imbrattato di cioccolata e con una spugna ripulì le macchie che aveva addosso. Si sentì felice: non era proprio una doccia ma erano insieme. Dopo essersi ripulita a sua volta si affacciò a controllare che le cameriere, provvidenzialmente chiamate un attimo prima di sparire in bagno, avessero finito. Di sicuro più tardi la tata li avrebbe sgridati ma evitare la brontolata “a caldo” era già qualcosa. E poi il racconto delle cameriere non sarebbe stato che un pallido simulacro del casino sommo che i due gemelli avevano provocato…

Appoggiandosi alla sorella , Benji tornò a letto. Quella mattina, in ospedale mai avrebbe pensato di passare il pomeriggio a ridere con sua sorella. Non aveva mai riflettuto su cosa provasse per lei. Era semplicemente naturale che fosse lì. C’era sempre stata ma mai come oggi si era reso conto di quanto quella presenza fosse salda, come la spalla che gli aveva offerto per appoggiarsi camminando e per… piangere.

Non aveva pianto, non era nel suo carattere eppure, proprio per la sua indole quelle poche parole con cui le aveva confessato i suoi crucci erano state più intime di un pianto disperato.

E sua sorella lo capiva. E lui sapeva che lei capiva. Quello che non sapeva è che anche lei lo vedeva saldo e presente, anche ora che era ferito e triste. Era fiera di essere lei per una volta l’ultima speranza a cui aggrapparsi, l’ultima incrollabile difesa.

Irene si accoccolò vicino al fratello e rimasero lì abbracciati. Nessuno dei due avrebbe mai lasciato andare l’altro. Era una promessa.

Credits: Alcuni personaggi ed elementi citati appartengono a Yoichi Takahashi. Nutella® e De Ruijter® sono due marchi registrati.

   
 
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