Non
so quanti potranno apprezzare questa storia ma l’ho scritta
perché dovevo farlo
e il contest non è stata che una mera scusa. O forse
un’utile scintilla
iniziale. Lo dovevo alla mia long fic, perché volevo per una
volta parlare
della stessa materia in terza persona, con uno sguardo più
oggettivo e adulto.
Lo dovevo a Benji, che per anni è
stato il mio fratello “immaginario”, il migliore
che si possa avere, ma forse è
solo che non ne avuti davvero. E glielo dovevo perché negli
ultimi due mesi mi
sono sentita di nuovo molto vicina a lui e ai suoi sentimenti nel
momento di
cui parlo. E glielo dovevo perché per una volta anche lui
esprime i suoi
sentimenti. Infine lo dovevo all’Olanda e ai ricordi e alle
persone che nella
mia mente sono legati a questo Paese.
Grazie
a chi ha organizzato il concorso, a Saretta che me l’ha
segnalato e a chi avrà
la bontà di leggere e, magari, lasciare un
commentino…
Irene
-
Benjamin! Vuoi
deciderti a uscire da quella doccia, sì o no?
-
Ci sono sei
stramaledetti bagni in questa cazzo di casa, devi venire proprio a
rompere le
palle a me?
Questo
era il
succo, Irene lo sapeva. “Vado a fare la doccia”
nella lingua di suo fratello
voleva dire “Non immischiarti”, anche se lui
parafrasava altrimenti. Era sempre
stato così, anche da piccoli al campetto della S. Francis la
frase “andiamo a
fare la doccia” sanciva la fine dell’allenamento o
della partita dove si
giocava tutti insieme, uguali e liberi: poi loro
andavano a fare la
doccia e lei andava a farla a casa o eventualmente
in qualche
spogliatoio vuoto. Proprio come allora appoggiò la schiena
alla porta e si
lasciò scivolare fino a sedersi a terra. Quante volte in
quella posizione aveva
origliato i discorsi, gli scherzi e le risate dei suoi amici. A volte
ridendo
alle battute gridate al di là della porta, ma per lo
più piangendo.
Ora
invece da
dietro quella porta non veniva altro suono che lo scrosciare
dell’acqua eppure
lei sapeva, sentiva, che stavolta a piangere era suo fratello.
Il
giorno prima
una brutta caduta durante l’allenamento della neonata New
Team gli aveva
procurato un infortunio alla gamba sinistra ma non sembrava grave
così, quella
mattina, Freddie aveva acconsentito ad aiutarlo ad andare
giù in palestra per
fare almeno gli esercizi per le braccia, ma la gamba si era gonfiata e,
dopo la
doccia, sarebbero andati in ospedale.
“Vedrai
se dopo
te ne starai fermo” aveva intimato Freddie, mascherando per
l’ennesima volta
dietro un atteggiamento burbero il grande affetto nutrito per il suo
pupillo.
Irene
si rimise
in piedi e con un gesto deciso aprì la porta. Un attimo dopo
l’acqua veniva
chiusa e lo scorrevole della cabina aperto. Benji sbarrò gli
occhi e si
affrettò a coprirsi con le mani.
-
Ma sei scema?
-
Credevo avessi
bisogno di aiuto – rispose Irene porgendogli
l’accappatoio.
-
Non ho bis…-
muovere il passo con la gamba infortunata gli strappò una
smorfia di dolore e
gli fece perdere l’equilibrio. Irene fu però
svelta ad afferrarlo impedendogli
di cadere.
-
Grazie.-
mormorò il ragazzo fra i denti.
-
Tutti questi
anni ad allenarmi con te, saranno pur serviti a qualcosa.- rispose lei
semplicemente, sistemandogli l’accappatoio e approfittando
dell’occasione per
un timido abbraccio.
Benji
non aveva
voluto che la sorella lo accompagnasse in ospedale, così
Irene, per ingannare
il tempo, era andata al centro commerciale. Visto che suo fratello
sarebbe
tornato molto nervoso – leggasi incazzato e intrattabile
– magari avrebbe
trovato un regalino per rasserenargli la giornata.
Non
era facile
per niente fare un regalo a Benjamin Price. Primo per
l’abusato ma mai smentito
assioma per cui fare un regalo a un ragazzo è più
difficile che farlo a una
ragazza, secondo perché suo fratello non era uno di tante
pretese – niente roba
firmata o costosa nonostante potesse permettersela benissimo
– e piuttosto
restio alle novità ma attaccato come un koala alle sue
“care vecchie cose” (vedi
un certo cappellino rosso).
Mentre
camminava
distrattamente davanti alle vetrine, fu attratta da una galleria
laterale
harrodsianamente intitolata “Food Halls”.
C’era una serie di negozi, ognuno
ispirato a un diverso Paese e alle sue specialità. Mentre
passeggiava per la
zona europea si trovò a ripensare al meraviglioso viaggio
attraverso il Vecchio
Continente che i gemelli Price avevano fatto coi loro genitori. Era
stata la
prima volta, da che ricordassero, in cui erano stati così
tanto con mamma e papà.
Irene non aveva una gran simpatia per quei due, soprattutto
perché,
fondamentalmente, erano due estranei ma era rimasta affascinata da
tutte le
cose che sapevano e conoscevano di quelle terre straniere, luoghi,
abitudini,
cibi. Gli venne in mente l’insana passione che suo fratello
aveva sviluppato in
Olanda per i De Ruijter. Quei cosini che scappavano da tutte le parti,
non
erano poi ‘sto gran che (molto meglio la nutella!) ma suo
fratello ci andava
pazzo. Ecco l’idea-regalo!
Irene
rovistò
freneticamente tra gli scaffali “olandesi” e
infine, incredibile, li trovò!
Rientrando
soddisfatta del suo acquisto, vide Freddie fuori della porta che fumava
nervosamente una sigaretta. Le bastò il suo sguardo per
capire che la cosa era
grave. Abbandonò la busta nel salone e si
precipitò verso la camera di suo
fratello. Esitò per un attimo di fronte alla porta chiusa.
Poi aprì.
Benjamin
era
seduto sul letto: indossava il pigiama ma in testa aveva comunque il
suo
berretto-totem, ben calcato sulla fronte. Nonostante l’ombra
della tesa gli
coprisse gli occhi e un po’ di naso, Irene
indovinò che lo sguardo fissava
senza guardarla la tv accesa di fronte. La gamba sinistra era fasciata
e tenuta
alta da dei cuscini.
-
Avevo detto
che non volevo essere disturbato.
-
Scusa, non lo
sapevo. Volevo solo sapere come stai.
-
Di merda.
-
Ti fa male? –
chiese la sorella accennando alla gamba.
-
Non è quello.
Irene
si
avvicinò e si sedette sul letto: - Posso farti un
po’ compagnia?
-
Parli come se
avessi scelta.
Irene
rise: - E
cosa guardavi?
-
Boh.
Pausa.
-
E allora
cos’è?
-
Cosa?
-
Che ti fa
male.
Benjamin
volse o
sguardo altrove e si morse le labbra.
-
Quasi
dimenticavo… ho comprato una cosa per te…- disse
Irene per smorzare la tensione
e fece per andarsene ma suo fratello la afferrò per un
braccio, trattenendola
seduta sul letto con la sua presa d’acciaio.
-
Non potrò
giocare il campionato nazionale.
-
Cosa? Ma cosa
ti sei fatto?
-
Ma che ne so,
manco sono stato ad ascoltare, quando mi hanno detto che dovevo stare a
riposo
completo per un mese, il mio cervello non sapeva far altro che contare
le
partite che mi sarei perso. Un mese a letto, Irene, senza neanche poter
andare
a vederle, le partite… un mese a letto, io impazzisco!
-
Ma va, al
massimo ti riposi. -Un sorriso increspò le labbra sottili
dell’SGGK.- E starai
un po’ con la tua sorellina. Oddio… forse questo
è peggio del riposo forzato…
Benji
rise e a
Irene si aprì il cuore. Ma fu un attimo, poi
un’ombra più pesante di quella del
cappello si allungò sul volto del portiere.
-
Ci tenevo,
sai, a portare l’insegna della squadra durante la cerimonia
d’apertura,
difendere la porta della mia squadra dal primo all’ultimo
minuto, senza lasciar
passare neanche un goal… Come l’anno scorso,
ricordi? Soprattutto a quel
Landers… - il pugno strinse convulsamente le lenzuola
– e invece sono
inchiodato qui, costretto chiamare
le
cameriere anche per pisciare…
-
Se preferisci…
ci penserò io.
-
Non vai ad
accompagnare a squadra?
La
ragazza fece
spallucce: - Tanto c’è Patty… non le
farà altro che piacere non avermi tra i
piedi. Invece che della squadra mi prenderò cura del mio
fratellino…
-
Davvero?
-
Se potessi ti
presterei una gamba ma non posso prestarti altro che
assistenza…
Benji
alzò gli
occhi al cielo. I giochini di parole di sua sorella lo frustravano e
lei glieli
faceva apposta.
-
Cos’è che mi
avevi comprato?
-
Ah, allora non
sei così sconvolto…
-
Sì, no cioè…
Irene
si alzò e
si precipitò giù per le scale seguita dagli
improperi della tata circa i suoi
modi afferrò la borsa poi andò in cucina a
fregarsi due sandwich vuoti e
ricomparve, ansimante, in camera del fratello.
-
Ta-daaan –
disse orgogliosa mostrando la scatolina di De Ruijter.
-
Nooo! Dove li
hai trovati? - chiese il fratello con sguardo cupido.
-
Attraverserei
mezzo mondo per far felice il mio fratellino – rispose con
enfasi. – Ma in
questo caso è bastato andare al centro commerciale qui
vicino.
Come
previsto di
lì a poco ci furono scagliette di cioccolato ovunque:
coperte, federe, vestiti,
mani, capelli… solo il cappellino rosso era miracolosamente
immacolato.
-
Che casino! –
Non
si era visto
nulla di simile da quando una volta, a cinque anni, qualcuno aveva
avuto la
malaugurata idea di regalare loro i colori a tempera. E come allora,
era
necessaria un’azione di commando.
Irene
controllò
che in corridoio non ci fosse nessuno. Portò una sedia e
vestiti puliti per
entrambi nel bagno di fronte alla stanza di suo fratello, poi
tornò in camera a
prendere Benji che, appoggiandosi a lei, zoppicò fino al
bagno. Qui Irene lo
fece sedere sulla sedia e lo aiutò a togliere il pigiama
imbrattato di
cioccolata e con una spugna ripulì le macchie che aveva
addosso. Si sentì
felice: non era proprio una doccia ma erano insieme.
Dopo essersi
ripulita a sua volta si affacciò a controllare che le
cameriere,
provvidenzialmente chiamate un attimo prima di sparire in bagno,
avessero
finito. Di sicuro più tardi la tata li avrebbe sgridati ma
evitare la
brontolata “a caldo” era già qualcosa. E
poi il racconto delle cameriere non
sarebbe stato che un pallido simulacro del casino sommo che i due
gemelli
avevano provocato…
Appoggiandosi
alla sorella , Benji tornò a letto. Quella mattina, in
ospedale mai avrebbe
pensato di passare il pomeriggio a ridere con sua sorella. Non aveva
mai
riflettuto su cosa provasse per lei. Era semplicemente naturale che
fosse lì.
C’era sempre stata ma mai come oggi si era reso conto di
quanto quella presenza
fosse salda, come la spalla che gli aveva offerto per appoggiarsi
camminando e
per… piangere.
Non
aveva
pianto, non era nel suo carattere eppure, proprio per la sua indole
quelle
poche parole con cui le aveva confessato i suoi crucci erano state
più intime
di un pianto disperato.
E
sua sorella lo
capiva. E lui sapeva che lei capiva. Quello che non sapeva è
che anche lei lo
vedeva saldo e presente, anche ora che era ferito e triste. Era fiera
di essere
lei per una volta l’ultima speranza a cui aggrapparsi,
l’ultima incrollabile
difesa.
Irene
si
accoccolò vicino al fratello e rimasero lì
abbracciati. Nessuno dei due avrebbe
mai lasciato andare l’altro. Era una promessa.
Credits:
Alcuni
personaggi ed elementi citati appartengono a Yoichi Takahashi.
Nutella® e De
Ruijter® sono due marchi registrati.