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Autore: beagle26    17/04/2015    6 recensioni
Londra. Elena Gilbert, giovane scrittrice di belle speranze, dopo mille porte in faccia è riuscita a pubblicare con successo il suo primo romanzo.
Il merito è dovuto soprattutto all'intervento del giovane editore titolare della casa editrice “Tristesse”, che tra consigli non richiesti e qualche modifica di troppo, ha portato il libro in vetta alle classifiche di vendita.
Ma cosa succederà quando Elena verrà colta improvvisamente dal famigerato blocco dello scrittore?
AU - TUTTI UMANI
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Elijah, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO – Elena Gilbert, professione scrittrice
 
 
E così vorresti fare lo scrittore…
 
… a meno che non ti esca
dall'anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia
o al suicidio o all'omicidio,
non farlo.
a meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.
quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sé
e continuerà
finché tu morirai o morirà in te.
non c'è altro modo.
e non c'è mai stato.
 
 Charles Bukowski
 
 
 
Damon
 
Per la terza volta in meno di mezz’ora la nonnetta incazzata spunta sul pianerottolo, guardandomi come se fossi sul punto di scassinare la porta con un piede di porco.
Mentre blatera parole incomprensibili, continua ad agitarmi la scopa sotto il naso con fare poco amichevole, ignara del fatto che, se volessi intrufolarmi di nascosto in questa casa, saprei esattamente come fare. Dopotutto l’ho già fatto, più di una volta, ma la mia carriera come topo d’appartamento è senza ombra di dubbio terminata dopo quell’episodio con Stefan.
 
“Calma, calma. Metta giù quell’affare, ok? Vengo in pace!” mormoro scocciato, alzando gli occhi al cielo e le mani in segno di resa.
 
Elena era solita descrivere la sua vicina ungherese con affermazioni del tipo “è tanto cara!” e “una signora deliziosa”. Tipico buonismo alla Gilbert.
In ogni caso è comprensibile che la cara vecchietta non sia del tutto convinta delle mie buone intenzioni. Sono qui da un pezzo, a fissare ogni dannata crepa della porta di casa di Elena e sentirmi un coglione coi fiocchi, mentre reggo tra le mani il sacchetto di plastica dove ho raccolto tutto ciò che mi è rimasto di lei: un mucchietto scomposto di terra e radici che ho trovato sui gradini dell’ingresso della Tristesse.
Riesco ad immaginarmi alla perfezione la scena: Elena che scaraventa il vaso per terra imprecando contro di me, per poi volatilizzarsi nel nulla senza lasciarmi il tempo di raggiungerla e spiegare.
Già, spiegare. Spiegare che cosa poi?
Nell’ordine: che si, sono entrato in casa sua come un cazzo di ladro seminando malinconia, ho finto che la sua adorata pianta si fosse suicidata, ho cercato di sabotarle il rapporto fresco di riconciliazione con il padre e quello col fidanzato giusto perché mi ero messo in testa che renderla infelice potesse farle terminare il romanzo, salvando la Tristesse Books dai debiti e il sottoscritto dal fallimento personale e professionale.
Ok, mi pento di ogni cosa.
Beh, quasi.
Salverei giusto la parte che riguarda Mikaelson. Solo un patetico stronzo come lui poteva credere che Julie Plec – si, quella dei vampiri – potesse interessarsi alle sue sceneggiature da quattro soldi. Stefan l’ha pensata proprio bella, non c’è che dire.
Già, mio fratello. Lo stesso che, poco fa, mentre raccoglievo i cocci dall’asfalto, stava a guardare in silenzio, ricordandomi tutti i miei sbagli con un muto ma ugualmente incisivo “te l’avevo detto” stampato a caratteri cubitali su quella faccetta da bravo ragazzo.
 
“Vedi di piantarla Stef.” l’ho minacciato, mentre già pregustavo la sbronza mattutina con cui avevo intenzione di lobotomizzarmi e annegare la mia ultima conversazione con Elena.
 
È in quel momento che ho intercettato gli occhi impietositi di Barbie, lì, arrampicata sul braccio di mio fratello come un koala su un ramo di eucalipto.
Mi sono sentito un perfetto idiota.
Si perché il piccolo Salvatore, a differenza mia, ce l’ha fatta.
Ha superato le sue paure.
Lui ha la ragazza. Io ho un bonsai in fin di vita.
Caroline, intuitiva come solo una donna impicciona può essere, deve aver notato il mio momentaneo stato confusionale.
 
“Si può sapere cosa aspetti capo?” mi ha incitato con aria saccente, tirandomi per un braccio e sistemandomi la giacca “Corri da lei! Muoviti!”
 
Insomma, eccomi qua.
A fissare questa stramaledetta porta perché non riesco a trovare le parole per scusarmi con Elena. Il che è strano, dato che io con le parole in teoria dovrei saperci fare.
Il suo sguardo di poco fa mi ritorna in mente, insieme a quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco che qualcuno potrebbe definire senso di colpa.
Le sue lacrime trattenute a stento, le ultime parole che mi ha detto… beh, non proprio le ultime, quelle subito prima di stronzo, ti odio e tutto il resto.
 
“Ero disperata, non sapevo dove altro andare.”
 
È qui il punto. C’è qualcosa che io non so. Un minuscolo appiglio a cui aggrapparmi, il motivo che l’ha spinta a venire a cercarmi nonostante poco prima mi avesse liquidato con un sms del cazzo, dicendomi di voler stare per il resto della sua vita con il suo mediocre sceneggiatore, vivere con lui felice e contenta e bla bla bla.
Stronzate.
Suppongo che sia giunto il momento di fare qualcosa.
Potrei semplicemente rompere gli indugi ed entrare, usando la solita, benedetta chiave di riserva nascosta in cima allo stipite. Ma quando sfioro la maniglia dorata soppesando quell’eventualità, decido che no, non è così che voglio che vada. Mi piacerebbe fare le cose per bene e che per una volta fosse lei a darmi il permesso di farmi spazio nella sua vita.
 
Busso piano.
 
Silenzio.
 
“Elena… Elena sei in casa?”
 
Ancora silenzio.
 
Eppure mi sembra di sentire qualcosa, un impercettibile fruscio ad annunciarmi la sua presenza. Premo ancora la mano contro il legno bianco. Se la conosco un po’ se ne sta dall’altra parte, a dannarsi pur di non darmi la soddisfazione di rispondere.
Se ha deciso di giocare la tattica del silenzio per mandarmi fuori di testa, si sbaglia di grosso.
Di certo non mi impedirà di dirle quello che penso.
 
“Sono preoccupato per te, Elena. Apri questa porta.” insisto, cercando di sembrare convincente.
 
Inarco un sopracciglio, aspettandomi una scarica di insulti o, peggio, il lancio in pieno viso di qualche oggetto particolarmente contundente, ma nulla di tutto questo accade.
 
“E così ho pensato… a te.”
 
“Dannazione!” impreco, vincendo la tentazione di colpire l’uscio con un pugno.
 
Poi appoggio l’orecchio contro la superficie fredda e lo sento. Un suono ovattato di passi che si avvicinano cauti per poi bloccarsi. Decido di interpretarlo come un segnale positivo. Che almeno abbia deciso di ascoltarmi?
 
“Lo so che sei lì. Perciò ora, ti prego, stammi a sentire. È difficile da credere, me ne rendo conto, ma volevo aiutarti. Voglio dire, dicevi di essere così felice ma non riuscivi più a scrivere. Così ho pensato che se ti avessi resa un po’ più… beh… diciamo, malinconica, avresti terminato il romanzo.”
 
Mentre snocciolo le mie assurde verità, ho quasi l’impressione di poter sentire il calore del suo corpo farsi sempre più vicino e attraversare il muro che ci divide. Allora ricompaiono gli stramaledetti ricordi di tutte quelle volte che le nostre menti sembravano fondersi in una sola.
Con lei, mentre correggevamo Lieto Fine, ho litigato come con nessun altro: le peggiori discussioni e le migliori notti in bianco della mia vita. E penso che sia inutile barricarsi dietro fottute giustificazioni, che se fossimo stati un po’ più sinceri e un po’ meno noi, se lei fosse stata meno cocciuta e io non avessi avuto la sensibilità di una scimmia, forse adesso non starei qui a parlare con una porta chiusa rischiando di farmi prendere a calci in culo da lei o – peggio – dalla sua vicina coi baffi.
 
“Sai che ti dico Elena? Non importa se non vuoi perdonarmi. Me lo merito. E non mi importa più nemmeno del libro, tanto lo so che hai firmato con la ABP. Al diavolo il romanzo e la Tristesse. Ho deciso di chiudere. Tanto come editore sono un disastro, l’unica cosa degna di nota nella mia carriera sei stata tu… E sono disposto a tutto. Ti comprerò un altro bonsai, scriverò di cavalli per vivere, anche di dromedari se sarà necessario…”
 
Silenzio.
 
“Solo dimmelo in faccia che starai bene. Dimmi che sei… felice, davvero, davvero felice e ti lascerò in pace.”
 
Un sospiro. Il rumore di qualcosa che si trascina sul pavimento.
La serratura scatta con lentezza estenuante e io mi ritrovo a sistemarmi i capelli, controllando il mio riflesso sul vetro della finestra che si affaccia sul pianerottolo.
Coglione. Per caso l’ho già detto?
 
“Molto commovente. Complimenti, Damon. Una dichiarazione degna della scena di un film.”
 
Non è esattamente la reazione che mi aspettavo.
Ma quel che è peggio, non è la persona che mi aspettavo.
Il buon vecchio Elijah, lo sceneggiatore pirla che ha donato ad Elena gioia e felicità a palate, se ne sta sulla porta con una faccia asettica, gli occhi che mi squadrano diffidenti.
Realizzare di aver appena aperto il mio cuore a questo tizio con i capelli alla playmobil mi fa venire una gran voglia di prenderlo a schiaffi.
 
“Che fai, parti per una vacanza?” chiedo invece, indicando il grosso trolley su cui appoggia la mano.
 
Oh no, aspetta… fammi indovinare. Qualche produttrice famosa ti ha convocato per un colloquio!
 
Con uno sforzo sovraumano tengo per me la battuta, ma non gli risparmio un sorrisetto ironico a cui lui risponde con un’occhiata truce.
 
“Veramente sto traslocando. A giudicare dal tuo discorsetto di poco fa, immagino sarai lieto di sapere che io ed Elena ci siamo lasciati.” mi informa, in tono del tutto piatto.
 
“Ah. E… perché?”
 
“Differenze di vedute. Diciamo che non ha gradito che per la mia ultima sceneggiatura io mi sia vagamente ispirato a Lieto Fine. Credevo che ne sarebbe stata come minimo entusiasta, invece… ah, ovviamente non concepiva che avessi reso il tutto un po’ meno drammatico e un po’ più divertente, eliminando tutte quelle pippe mentali che… beh, lo sai no?” risponde, senza perdere l’occasione di caricare di sarcasmo l’ultima parte della frase.
 
Ok, fermi tutti. Ero certo che questa patetica testa di cazzo stesse prendendo per il culo Elena, ma addirittura scopiazzarle il romanzo!
È troppo perfino per uno stronzo di fama mondiale come me!
In un attimo tutti i tasselli ritornano al proprio posto. Elena, colei che per un semplice titolo cambiato mi ha giurato odio eterno, doveva essere sconvolta quando si è presentata a casa mia, e il fatto di trovare le prove delle mie cospirazioni nei suoi confronti deve averle dato la mazzata finale.
Il mio senso di colpa si trasforma rapidamente in una voragine senza via d’uscita. Stefan sarebbe fiero di me in questo momento.
 
“Dov’è lei ora?” chiedo, perentorio.
 
“Immagino che stia sguazzando nell’autocommiserazione. Dopotutto le riesce bene.” commenta piatto, controllandosi le unghie con aria disinteressata.
 
“Tu. Sei. Un bastardo.” scandisco, fulminandolo con uno sguardo di ghiaccio, per poi allungare un passo verso di lui con tutta l’intenzione di togliergli dalla faccia quell’aria di superiorità.
Ma lui è più veloce di me e con uno scatto fulmineo ha già chiamato l’ascensore. Le porte si aprono con il loro tipico dlin dlon  e lui si infila dentro in men che non si dica, col suo aplomb da lord inglese.
 
“Non ti conviene avere a che fare con me Damon. Sappi che pratico boxe thailandese. E ora ti saluto. Buona fortuna.”
 
Elijah scompare dalla mia vista. Per un secondo rimango spiazzato, ma ora come ora le mie priorità sono altre. Dove accidenti si sarà cacciata Elena?
 
“Maledizione!” esclamo stizzito, lanciando a terra i resti del bonsai che tenevo ancora in mano. Seguo la traiettoria del sacchetto che finisce proprio in cima alle scale.
 
“Che diavolo fai? Così lo ammazzerai del tutto!” mi sento rimproverare, mentre una mano che conosco fin troppo bene solleva con cautela la busta di plastica.
 
È Elena, con la sua solita borsa di tela piena di fogli e gli occhi gonfi dietro i grandi occhiali da vista che, a quanto ricordo, usa per lavorare. La osservo per qualche istante per valutare il suo livello di incazzatura nei miei confronti, ma sul suo viso è dipinta un’espressione a dir poco illeggibile. Faccio un passo verso di lei, ma la mia solita disinvoltura è come scomparsa.
 
“Elena io…”
 
“Sai, torno dalla biblioteca.” mi interrompe, “Sarai lieto di sapere che ero davvero, davvero depressa. Elijah mi ha copiato Lieto Fine trasformandolo in una specie di cinepanettone.”
 
“Ho saputo”
 
“E poi tu…” aggiunge, con tono di rimprovero.
 
“Posso spiegarti…”
 
“Ma la cosa incredibile” mi blocca, mettendo una mano davanti a sé “è che mi è venuta una gran voglia di scrivere. Più che voglia, lo definirei un bisogno viscerale. E così…”
 
Con un gesto plateale, estrae dalla sua borsa un mucchio di fogli stropicciati che mi piazza sotto il naso con una certa soddisfazione.
 
“Ho terminato il romanzo. Avevi ragione Damon, a quanto pare avevo giusto bisogno di un po’ di malinconia per sbloccarmi.” esclama, concludendo la frase con un sorrisetto sarcastico.
 
Rimango imbambolato come un ebete, clamorosamente senza parole. Elena però non sembra arrabbiata, anzi. È piuttosto divertita. Le punto contro un indice accusatorio.
 
“Un momento! Da quanto tempo sei qui?”
 
“Uhm. Abbastanza.” risponde, caustica.
 
“E… quindi?”
 
“Quindi penso sempre che tu sia un bastardo, cinico, egoista e...” dice tutto d’un fiato, elencando i miei difetti sulle dita della mano. Mentre parla, però, l’espressione sul suo viso si addolcisce poco a poco. Restiamo a fissarci per qualche secondo, senza aggiungere nient’altro, fino a che lei non distoglie lo sguardo, quasi intimidita, e si sposta i capelli dietro l’orecchio con fare impacciato. È dannatamente bella e, quando i suoi occhi tornano nei miei, il suo viso è di nuovo sereno. Forse felice.
 
 
 
Elena
 
“…e vorrei dedicare la mia vittoria come autrice dell’anno ai miei genitori. A mio padre, il mio più accanito sostenitore. E mia madre. Ovunque tu sia spero tu sia fiera di me. Grazie.”
 
La platea mi applaude e io mi allontano con fierezza dal palco, cercando di non incespicare sui tacchi. Certe cose non cambiano mai.
 
Più tardi, al party post cerimonia, anche Caroline si complimenta con me. “Quello si che era un discorso! Niente a che vedere con la tua prima volta agli English Fiction Awards!” mi dice, distribuendo sorrisi smaglianti e agitando i boccoli biondi a destra e a sinistra. È favolosa nel suo luccicante abito bianco a sirena, ma anche Stefan, accanto a lei, fa la sua figura.
 
“Care ha ragione, sei diventata molto più sicura di te.” pontifica lui, con l’atteggiamento di uno che la sa molto lunga. E in effetti, se lo dice lui, posso esserne sicura. Ha appena pubblicato il suo primo saggio: “Psicologia applicata, casi pratici.”
 
Un volume targato Tristesse, ovviamente.
 
Si, è ufficiale: quella casa editrice sgangherata è sopravvissuta alla tempesta e Damon Salvatore non è diventato il caporedattore di Cavallo Magazine. E questo non ha nulla a che vedere con il fatto che le vendite del mio romanzo Confessioni di una mente contorta siano andate alla grande, addirittura meglio di quelle di Lieto Fine.
Semplicemente, Care ha deciso di investire qualche soldo su Damon. Si sono messi in società: Barbie macchinetta, come la chiama lui, si occupa di far quadrare i conti, mentre a lui è rimasta la parte creativa. Le relazioni esterne sono compito di Stefan, decisamente più diplomatico del fratello.
 
Quando i piccioncini si allontanano per salutare qualche collega, decido di fare un giro per la sala piena di gente. Tra una tartina e un flûte di champagne, incrocio lo sguardo di Mr. Spencer, immancabilmente incorniciato da un paio di occhialetti rossi.
Il proprietario della casa editrice ABP mi fa un cenno di saluto con la mano, che io ricambio con un sorriso imbarazzato. Ancora non si è fatto una ragione del perché io non sia entrata a far parte della scuderia dei suoi autori.
Si perché su una cosa Damon si era sbagliato: io non ho mai firmato con la ABP.
Proprio non ce l’ho fatta, quella mattina di tanto tempo fa. Alla fine sono stata colta da una specie di attacco di panico e me la sono svignata inventandomi la scusa di una zia malata o qualcosa del genere. Credo che Mr. Spencer sia ancora convinto che io sia matta da legare per aver preferito a lui l’egocentrico, per nulla professionale, infantile e stronzo Damon Salvatore.
 
“Eccoti qui Gilbert. Finalmente ti ho trovata.”
 
Bello da togliere il fiato, dannatamente sexy e sicuro di sé nell’elegantissimo smoking nero pescato chissà dove, il mio editore tiene gli occhi fissi su di me e mi saluta con un immancabile sorriso sbilenco.
 
“Credevo che tu non frequentassi questo genere di feste.” lo stuzzico.
 
“In effetti hai ragione. Ma non volevo perdermi la premiazione della mia migliore autrice” bisbiglia, attirandomi a sé per un polso e toccandomi casualmente un fianco con un movimento sicuro e deciso “e poi…” aggiunge, sfiorandomi l’orecchio con le labbra e accarezzandomi leggermente la schiena con le dita, “penso che dovremmo discutere di una cosa.”
 
Damon lascia la presa sul mio polso lasciandomi leggermente insoddisfatta ed estrae da una tasca un foglio spiegazzato, che mi porge subito dopo.
 
“Il nuovo contratto con la Tristesse Books? Seriamente?!? Vuoi parlarne adesso?”
 
“Chi ha tempo non aspetti tempo. Non vorrei distrarmi e rischiare che qualche altro editore ti porti via da me. Ovviamente il mio è puro interesse professionale.”
 
“Ovviamente.” rispondo, guardandolo negli occhi che, sotto le luci della sala, sembrano più azzurri e luminosi del solito.
 
“Ok, facciamola finita. Altri tre libri e non se ne parla più, va bene?”
 
“Stai scherzando? Posso sopportarti al massimo per un altro romanzo.” Rispondo. Poi straccio il foglio e faccio svolazzare i coriandoli di carta di fronte a me. Damon scoppia a ridere, io lo seguo a ruota.
 
“Che ne dici di andare a casa Elena?”
 
“Ma la festa è appena cominciata!” protesto.
 
Lui mi prende sottobraccio. “Hai presente la bozza che mi hai lasciato sulla scrivania? Ho un sacco di correzioni da farti.” sorride, afferrando con nonchalance una bottiglia di champagne da un tavolino poco distante.
 
 
 

The (happy) end

*********
Ciao a tutte! Se siete arrivate qui vuol dire che vi siete raccapezzate con la storia, anche se non la aggiornavo da mesi. Io stessa ho dovuto rileggerla per riprendere mano con i personaggi. è stato un periodo frenetico, tra la nanetta e un lavoro che non sempre va come vorrei, ma mai  e poi mai l'avrei lasciata incompiuta.
Per il resto, il mio animo di fanwriter è rimasto intatto, quindi.... stay tuned!
Grazie a chiunque abbia letto, seguito, preferito la storia. Siete preziose! 
Vi abbraccio forte
Sempre vostra, 
Chiara

 
  
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