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Autore: __Ele__    17/04/2015    1 recensioni
One shot ambientata alla conclusione del secondo episodio della quarta stagione.
Olivia, dopo l'incontro con Fitz, si ritrova nel suo appartamento a fare un bilancio delle sue giornate dopo aver lasciato l'isola, di fronte a lei un calice di vino e una ciotola di pop corn.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia prima storia su questa Serie tv di cui sono totalmente innamorata. Ho sempre trovato difficile scrivere su Serie tv americane, che trovo molto spesso perfette già di loro nella trama, a maggior ragione se ancora in corso, ma durante la pausa invernale l'ispirazione ha avuto la meglio.
Ci ho messo un po' prima di convincermi a finirla e soprattutto a pubblicarla qui, proprio per i motivi detti sopra non mi sembrava mai all'altezza dell'originale.
Ammetto poi di shippare disperatamente Olivia e Fitz (lui ha non pochi difetti ma quando quei due sono vicini mi sciolgo, c'è poco da fare! XD ) ma questa OS è ambientata subito prima della conclusione della 4x02, quindi potete immaginare come la conclusione non sarà esattamente Olitz. Ho voluto proprio dare una mia ricostruzione dei pensieri di Olivia che l'hanno portata a presentarsi da Jake.
Detto questo spero che la storia possa piacervi almeno quanto a me è piaciuto scriverla.
Buona lettura! 
       




                                              Popcorn & Red wine



La spirale metallica del cavatappi scese silenziosa penetrando nel sughero morbido, decisa come la presa della donna che un attimo più tardi fece saltare via il tappo con un gesto totalmente naturale.
Era così per Olivia.
Ogni volta che si ritrovava a trascorrere la sera sola nel suo appartamento ecco che una bottiglia di vino rosso compariva sul bancone della cucina, sempre nello stesso angolo, pronta a diventare preda di quel cavatappi, probabilmente l’unico utensile da cucina che usciva regolarmente dai tanti, inutili, cassetti.
Una donna e una bottiglia di vino.
Triste avrebbe potuto dire qualcuno, magari anche squallido se solo non si fosse trovata in uno dei quartieri più lussuosi di Washington e quel mezzo litro di liquido rosso non fosse costato più di duecento dollari. Era il suo rito, il suo angolo di tranquillità, e per quanto potesse sembrare assurdo si sposava benissimo con la sua vita, con quel ritmo frenetico, con quei discorsi così normali per lei ma che nessun americano medio, nessuno di quelli che avrebbero potuto giudicarla, avrebbe mai potuto immaginare. Loro probabilmente se ne stavano seduti attorno ad un tavolo a chiacchierare delle loro giornate, all’oscuro dell’immensa macchina che girava attorno a loro, quella stessa macchina di cui lei non riusciva a smettere di fare parte.
Strinse più forte il collo della bottiglia, allungando la mano libera verso la ciotola colma di popcorn, i bordi di vetro leggermente opachi per il vapore caldo che ancora usciva dai fiocchi bianchi, e si diresse a passi svelti verso il divano, accoccolandosi su un cuscino, le ginocchia strette al petto e il calice colmo per metà che le sfiorava le labbra. Prese un piccolo sorso di quel Bordeaux appena stappato lasciando che le invadesse la bocca, solleticandole la lingua con il suo gusto pieno, dolce e rassicurante, mentre lasciava andare la testa contro lo schienale morbido.
Non era così che si era immaginata la sua serata solo una settimana prima. Avrebbe dovuto essere distesa su un lettino adagiato sulla sabbia bianca, a guardare la luna specchiarsi nel mare con il suo Du Bellay del ’94 e Jake al suo fianco, oppure a godersi il sole, qualsiasi fosse l’ora al largo di Zanzibar in quel momento, cosa che non aveva alcuna intenzione di mettersi a calcolare.
Il vino era ancora lì, all’angolo opposto della cucina. Le prime quattro bottiglie le aveva finite senza rendersene conto in quei lunghissimi giorni, mentre cercava di organizzare il funerale di Harrison. Solo l’ultima era rimasta lì, sembrava guardarla ma non aveva avuto il coraggio di aprirla, quasi volesse tenerla conservata per il suo ritorno sull’isola.
Come se avesse potuto esserci davvero un ritorno.
Aveva provato a convincersi che fosse possibile prendere un aereo, passare quarantotto ore a Washington e poi andarsene di nuovo come se nulla fosse. Non poteva andare via, non ci era mai riuscita. Nemmeno quattro mesi prima.
Lei non se n’era andata, lei era scappata.
Per la prima volta la situazione si era fatta insostenibile anche per Olivia Pope, non c’era più niente da aggiustare, tutto era stato ridotto in polvere. Lei era così a pezzi che per la prima volta non aveva più trovato la forza di reagire. E così quell’aereo e quell’isola sperduta in Africa si erano rivelati l’unica soluzione possibile, per tutti. Un nuovo nome, una vita completamente opposta a quella che aveva vissuto per anni, e Jake accanto. Allungò una mano verso la ciotola lasciata sul tavolino di fronte a lei, recuperando due popcorn che lasciò schioccare sotto i denti, cercando di allontanarsi da quei pensieri fin troppo vividi nella sua mente. Una vita da sogno, finalmente libera. Giornate sempre uguali, solo la pelle di Jake che si faceva via via più ambrata a ricordarle lo scorrere del tempo. Solo quel vino, quelle cinque bottiglie pregiate, il suo unico legame con il mondo che credeva di aver abbandonato per sempre.
Ma non era così.
Per quanto potesse sforzarsi, per quanto essere Julia Becker potesse sembrare la soluzione a tutti i problemi, la sua vita, quella vera, alla fine tronava sempre, anche a migliaia di chilometri di distanza.
Aveva ragione Jake, quella lettera era stata il vaso di Pandora, e se non ne erano usciti tutti i mali del mondo di certo l’avevano strappata dal suo paradiso personale. Un paradiso alla luce del sole e non all’ombra della Casa Bianca. Un paradiso lontano dall’uomo che continuava a vedere muoversi sullo schermo del televisore. Fitz era lì, davanti ai suoi occhi e ancor più nella sua mente. Dimagrito, gli occhi lucidi, i muscoli contratti mentre, di fronte a tutta l’America, parlava della morte di Jerry, quella morte assurda di cui non riusciva a smettere di sentirsi colpevole. Erano passate ore da quel discorso, ma i telegiornali continuavano a mandarlo in onda, portando l’immagine del Presidente davanti a lei, riuscendo a paralizzarla ancor prima di pensare di cambiare canale.
Le era bastato tornare, rimettere piede in America perché Jules tornasse ad essere Liv. Ancora una volta era Jake l’unico ad aver predetto tutto. Loro tornavano e lui spariva, eclissato dalla presenza di quell’uomo da cui lei poteva solo scappare.
Strinse più forte il calice avvicinandolo con urgenza alle labbra, lasciando che il vino scivolasse velocemente lungo la gola, senza più preoccuparsi del gusto, aveva solo bisogno di quel gesto, di quel rituale rassicurante.
Chiuse gli occhi e inclinò appena il collo, cercando di rilassare i muscoli, di rivivere la pace che per mesi l’aveva cullata. Il tepore del sole sulla faccia, l’infrangersi regolare delle onde sulla riva e il pizzicore della sabbia fine sulla pelle ogni volta che lei e Jake facevano l’amore sulla spiaggia. Strinse più forte le palpebre cercando di aggrapparsi ad un’immagine, un ricordo, ma tutto era spazzato via da quella voce, la voce di Fitz. Non quella che usciva dal televisore, quella impressa nella sua mente, quel modo di sussurrare il suo nome, un sussurro, quasi una preghiera che entrava in lei così a fondo da ricoprirle la pelle di brividi. E poi i suoi occhi che la cercavano, si fissavano nei suoi senza più allontanarsi, come non potesse fare a meno di lei. Più si imponeva di tornare su quell’isola più qualcosa di lui riaffiorava, dettagli, piccoli gesti, uno più indelebile e fondamentale dell’altro.
Non poteva dimenticarlo, lui era sempre lì.
“E’ il turno di Fitz da quando siamo tornati.” Un altro punto a favore di Jake, si disse mentalmente ricordando le sue parole di qualche giorno prima. Poteva far finta di nulla ma sapeva fin troppo bene che era tutto vero. Scosse la testa prima di bere un altro, lungo, sorso di vino. Non doveva essere così. Il turno di Fitz si era concluso sul palco di quel comizio, quando Jerry si era accasciato a terra, per colpa di sua madre. O forse per colpa sua, per colpa sua e di quell’amore a cui non era riuscita a rinunciare. In quell’attimo i giochi si erano chiusi, e così avrebbe dovuto essere sempre, poco importava se a separarli vi era un oceano o pochi isolati.
Si allungò sul tavolino stringendo il telecomando, la presa che si fece via via più debole mentre gli occhi si posavano sull’angolo della cucina, catturata dalla bottiglia ferma sul ripiano di marmo, e per un attimo le sembrò di avere una risposta. Quel vino pregiato l’aveva tradita, strappandola al suo nuovo mondo, riportandola in quella spirale che già l’aveva schiacciata una volta. Le possibilità di fuga ormai le aveva esaurite, restava solo una scelta da prendere: tornare a farsi schiacciare e lasciare che tutto ciò che amava fosse distrutto a casa sua o riprendere in mano la sua vita, tenere solo le parti migliori sia di Olivia che di Julia. E sapeva fin troppo bene che tra i pregi della seconda c’era lui. Jake, l’uomo apparentemente perfetto, o perlomeno non il Presidente degli Stati Uniti, quello che solo quattro ore prima aveva spinto di nuovo tra le braccia della moglie.
Si alzò di scatto e sollevò finalmente quella bottiglia, consapevole della persona con cui l’avrebbe bevuta, quella stessa notte. Sfiorò il vetro con due dita, soffermandosi su un angolo arricciato dell’etichetta nel sentire qualcosa graffiarle i polpastrelli.
Granelli di sabbia.  Sorrise tra sé e continuò a farli scorrere sulla pelle, forse era davvero la scelta giusta, si sarebbe ritagliata il suo angolo di isola lì, all’ombra della Casa Bianca.
  
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