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Autore: Phantom13    18/04/2015    9 recensioni
Potete voi affermare in piena e cosciente onestà che una convivenza pacifica con una razza aliena - i mobiani - sia possibile?
Potete voi ritenere che, con la società e la mentalità attuale, una fusione di due culture planetarie così opposte sia fattibile?
Riusciamo a malapena a sopportare noi stessi: ipoteticamente, saremmo noi pronti a ospitare e coesistere con un'altra forma di vita?
Personalmente, ho i miei dubbi.
Genere: Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Coesistenza?
 
La topolina mobiana salì sull’autobus, mostrò il biglietto al conducente e prese posto. Sorrideva, tra sé e sé, tra le mani stringeva un pacchetto. Era la fine della giornata, stava tornando a casa.
Due file di sedili più in dietro, una donna di mezza età, con i capelli accuratamente sistemati a crocchia, con le guance truccate di rosa e un abito svolazzante color prugna, osservava con occhi stralunati il roditore gigante sedutosi appena davanti a lei. Si portò una mano inguantata e inanellata davanti alla bocca, mascherando un’espressione di disgusto. Osservava la coda rosea della mobiana, che lei si era arrotolata in grembo per evitare che qualcuno la calpestasse per sbaglio. Fissava con orrore crescente il pelo argenteo che la ricopriva. Udiva con estremo fastidio il suo fischiettare allegro e spensierato.
-Ratti, che esseri disgustosi.- mormorò la donna, arricciando il naso schifata. –Perché permettono loro di utilizzare i nostri stessi autobus? Portano malattie, i ratti. E insudiciano tutto con il loro pelo …-
Il fischiettio spensierato s’era zittito. Le orecchie rotonde erano voltate all’indietro, ad ascoltare. E sul muso della mobiana non c’era più traccia di allegria, solo un’espressione ghiacciata. Una madre, seduta accanto al figlioletto, aveva la fronte corrugata: evidentemente aveva sentito tutto pur avendo l’udito umano, e non raffinato come quello dei mobiani. Posò una mano sulla spalla della topolina, ancora esterrefatta e pietrificata. –Non l’ascoltare.- disse la donna. –È solo una stupida arrogante.-
Il sorriso non tornò però sul musetto della mobiana.

 
***
 
Il parco giochi risuonava delle risate dei bambini. Chi si divertiva sugli scivoli. Chi gridava sulle altalene. Chi costruiva castelli e fossati nella sabbia. Chi correva per il prato. Chi giocava a nascondino.
Due donne, che mai s’erano conosciute prima, sedevano sulla stessa panchina osservando i relativi figlioletti. Con occhi vigili ne osservavano i movimenti, controllando che non si facessero male o che non creassero guai di sorta. All’ombra del grande faggio, le due donne sedevano in silenzio, ognuna con un vago sorriso intenerito sulle labbra.
Lo sguardo di quella di destra cadde per puro caso ai margini del parco giochi, dove le attrazioni per i più piccoli erano più rade e dunque c’era più spazio per correre. Lì, due bambini mobiani giocavano felici.
La madre strabuzzò gli occhi, il suo sorriso si allargò ancor di più, piacevolmente sorpresa da ciò che vedeva: un giovane lupo nero e verde stava giocando A Prendersi con una pecorella bianca e rossa, dalle piccole corna ricciolute. Ma era la pecora ad inseguire il lupo. I due ridevano di gusto, saltando e correndo a velocità impressionanti. Poi il lupo inciampò e la pecorella gli cadde addosso. Il manto nero dell’uno e la lana bianca dell’altra si unirono. Risero, si rimisero in piedi e ripresero ad inseguirsi, questa volta con i ruoli invertiti
Ora anche la seconda donna osservava i due, ma a differenza della prima sul suo volto c’era solo ostilità. Schiccò la lingua, irritata. –Che forzatura delle leggi naturali.- sibilò. –Mi sono sempre chiesta se i mobiani si mangiano tra loro. Quei due laggiù sicuramente non dovrebbero essere amici.-

 
***

Lo sguardo incredulo sui volti dei tre mobiani rischiò seriamente di mandare in crisi il bagnino. Le piscine, alle sue spalle, scintillavano al sole coronate dalla perenne aureola di risate e schizzi e tuffi.
-Mi dispiace, ragazzi. Dal profondo del cuore. Ma non so cosa potrebbe succedere se il vostro amico dovesse entrare in acqua.-
Indicò il membro centrale del trio: un coccodrillo giallo-arancione.
Il rettile deglutì, scambiando un’occhiata allibita con i due amici, una lontra e un pellicano.
Il bagnino si passò una mano sul volto. –Dipendesse da me non avrei problemi a farvi passare. Ma conoscendo la gente che c’è laggiù … insomma, non vorrei che qualcuno andasse nel panico a dover nuotare insieme ad un coccodrillo!-
Gli occhi smarriti del bestione da due metri buoni d’altezza e la sua incredulità fecero tremare il cuore del bagnino. Sperò con tutto sé stesso che i tre si decidessero in fretta, non avrebbe retto ancora per molto i loro sguardi e la loro delusione.
I tre girarono sui tacchi e se ne andarono, teste basse e code tra le gambe. Il bagnino non potè fare a meno di sentirsi una merda.

 
***

Sulla metropolitana, la donna starnutì violentemente per la quarta volta nel giro di due minuti. Un gatto mobiano alzò lo sguardo, la osservò, perplesso.
Lei si passò un fazzoletto sul naso. Aveva gli occhi arrossati, quasi lacrimanti.
-Sta bene?- domandò il gatto, piegando la testa di lato.
La poveretta, dall’aria terribilmente imbarazzata, quasi non osò incrociare il suo sguardo. –È solo la mia allergia. Nulla di grave.-
Il gatto si rilassò un poco. –Ah, come la capisco. Capita sempre anche a me, se ci sono pollini di betulla nell’aria. Lei a cosa reagisce?-
La donna arrossì fino alla punta dei capelli. Esitò a lungo, balbettò, fece di tutto per non guardare in faccia il mobiano e infine sussurrò. –Pelo di gatto.-
Il felino impiegò qualche secondo a fare il collegamento. –Oh, per Chaos!- esclamò. –Allora mi sposto subito.-
La donna, gli occhi come due pomodori, sorrise. –No! Per carità! Lei non si deve scostare di un millimetro da dove si trova: quella con il problema sono io. Lei non ha colpa di alcun genere.- starnutì a raffica tre volte. –Ma mi dispiacerebbe infinitamente offenderla, spostandomi.-
Il gatto aveva gli occhi sgranati. –Offendermi?! Signorina, lei mi sta praticamente schiattando davanti agli occhi!-
Lei starnutì ancora due volte. –Sono sinceramente mortificata … io … Oh, è così imbarazzante!-
Il gatto rise. –Ma si figuri! Ora se ne vada, però. Quello in imbarazzo sono io, a causarle così tanti problemi.-
I due si guardarono, stiracchiarono entrambi un sorrisetto di scuse e si mossero contemporaneamente in direzioni opposte.
Un vecchio, con un giornale piegato sulle ginocchia, aveva osservato tutta la scena. Fece l’occhiolino al gatto. –Purtroppo, noi umani abbiano anche questo tipo di difetti. Prenda me, per esempio: terribile allergia ai cani.-
-Spero solo che la signorina si riprenda … non immaginavo di poter causare una tale crisi semplicemente stando di fianco ad una persona.- disse invece il gatto, pensieroso. Avrebbe avuto molte difficoltà a camminare liberamente in città, da quel giorno in avanti, pensava.
La metropolitana si fermò. Alcuni passeggeri scesero, altri salirono. Compresa un intera famiglia di cani. O forse lupi.
Il gatto si voltò verso il vecchio quando il primo starnuto si fece udire. Qualcuno rise, tra la gente presente.  

 
***

-Mi scusi …-
-AGHHHH!- L’urlo terrificato della segretaria, completamente inaspettato, fece sobbalzare anche il mobiano, che indietreggiò di un passo.
I due continuarono a fissarsi fino a quando il respiro della donna rallentò e si calmò del tutto.
-Io … io le chiedo scusa. Sono … mortificata dalla mia reazione … non l’ho sentita arrivare e non l’avevo nemmeno vista e … Oh, che disastro che sono!-
Il mobiano sbattè le palpebre. –Solo per questo ha urlato? Solo perché non mi ha visto o sentito arrivare?-
La donna dietro la scrivania annuì. –Per cos’altro, sennò?-
Il ragno mobiano si diede una rapida occhiata. Sollevò le otto mani verso l’altro. –Ma, non saprei.-
L’espressione della segretaria divenne improvvisamente seria. –Lei mi sta dicendo che talvolta la gente urla per strada se la vede passare?! Perché lei è un aracnide?!- L’incredulità della sua voce commosse il ragno.
Il mobiano abbassò lo sguardo. –Ieri ho fatto svenire una vecchietta … è cascata a terra come un sasso.- confessò.
La mandibola della segretaria parve imitarne il movimento.
Il ragno ridacchiò. Gli piaceva, quella donna. Una delle poche che poteva reggere la sua presenza senza crisi di panico incontrollato. Le offrì un altro aneddoto. –Una volta una donna con un velo e una croce sul petto ha cominciato a blaterare filastrocche in latino, sventolando la croce verso di me. Tremava talmente tanto che me ne sono andato solo per paura che le venisse un infarto …-
La segretaria rimase anche più imbambolata di prima. –Questo è indecente. Semplicemente indecente.- mormorò.
Il ragno si grattò la testa, un po’ in imbarazzo. –Beh … lo potrei avere un appuntamento con il dottor Rossi, allora?-
 
 
 
 
EXTRA:
A seimilatrecento metri d’altezza, un aereo volava. Al suo interno, un gruppo di uomini si accingeva a stringere cinghie, controllare lacci e a sistemare i paracaduti. Un mobiano, tra di loro, stava completamente fermo, senza tute, zaini o altro sulla sua persona. Osservava con sguardo incuriosito quel bizzarro fenomeno che gli si stava svolgendo davanti agli occhi. Gli umani sicuramente avevano fegato per fare quella cosa senza un paio di ali … o forse, più probabilmente, erano tutti pazzi da legare.
Lo sportello dell’aereo si aprì. Dopo qualche risata isterica, qualche preghiera e un urlo collettivo per darsi coraggio, i cinque uomini si buttarono fuori. Aprirono gambe e braccia e si lasciarono cadere.
Il mobiano si affacciò. Osservò i cinque matti che gridavano follemente. Osservò la rotondità dell’orizzonte terrestre, i campi, le foreste e lontanissimi monti che si intravvedevano in lontananza. Era abbastanza sicuro che lui fosse l’unico ad averle visualizzate, le montagne. La vista degli umani lasciava decisamente a desiderare.
Il mobiano fece un bel respiro, prese la ricorsa e saltò giù. Senza paracadute.
Non che a lui servisse: falco pellegrino, aveva un paio di ali attaccate alla schiena fin dalla nascita. E quello per lui sarebbe stato il tuffo più lungo della storia.
Appena fuori dall’aereo aprì le ali, le spalancò e rimase a galleggiare nel nulla. Soltanto il vuoto profondo e assoluto tutto attorno a lui. Più di seimila metri di aria ininterrotta. Sentì il sangue bollire d’eccitazione.
L’unico altro essere lì con lui, cioè l’aereo, s’era allontanato. Rimasto solo, il falco si godette la solitudine incondizionata che soltanto il cielo poteva regalare. L’aria gelida, freddissima, e l’abisso sotto di sé. Si sentì connesso con sé stesso, con la propria natura e la propria essenza: lui era nato per quello.
Con i suoi occhi, poteva vedere tutto. Tutto quanto, compresi i cinque scemi mille metri più in basso.
Prese un paio di altri respiri, soltanto qualche chilo di penne e piume gli permettevano di rimanere sospeso lassù, dove nessun altro oltre a lui poteva regnare incontrastato. A pensarci bene, erano impressionanti i risultati raggiungibili con una manciata di penne.
Sarebbe rimasto lassù anche tutto il giorno, ma un altro impulso, anche più forte, premeva in lui.
Il falco sorrise, colpo di ali, si rigirò di schiena e le ripiegò stringendole contro il corpo. Si buttò il picchiata.
La pressone dell’aria minacciò di spezzargli i polmoni, ma lui era stato creato con quello scopo preciso. Non gliene importò. Ruotò di qualche grado le ali, facendone sporgere le punte. Cominciò a ruotare, invertì la posizione delle ali e ruotò dall’altro lato.
Il vuoto allo stomaco gli stava mandando in defibrillazione il cervello. La sensazione più esaltante che potesse esistere. Con il cuore che gli martellava nelle orecchie, il falco raggiunse i compagni in un paio di secondi.
Probabilmente stava andando … a trecento, forse quattrocento chilometri all’ora.
Quando la terra fu sufficientemente vicina, aprì gradualmente le ali, frenando la discesa e convertendo la forza potenziale in forza cinetica. Il volo divenne orizzontale, la forza G per poco non gli troncò il respiro, ma continuò a volare, sfrecciando come mai aveva fatto prima su campi, alberi e fiumi talmente rapidamente che nemmeno i suoi, di occhi, potevano coglierne i dettali.
Tagliando l’aria, ringraziò dal profondo del cuore i cinque umani, imbrigliati nei paracaduti, che gli avevano permesso di fare quel tuffo sensazionale.





 
  
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