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Autore: AnAngelFallenFromGrace    25/12/2008    1 recensioni
*ALTERNATIVE ENDING* "E' strano pensare a quante cose possa riservarti il futuro. Talvolta nulla. Talvolta un sogno. La seconda opzione sembra di gran lunga preferibile. Ma siamo sicuri che lo sia? Il momento di svegliarsi e aprire gli occhi, di riaffacciarci al mondo reale, arriva sempre. Presto o tardi. E fa male." Una ragazza normale, un viaggio per sfuggire alla realtà, un incontro molto particolare, l'inizio di un sogno. Ma quanto potrà durare? Dal mio lato romantico e poco sadico (XD) eccovi questa ff^^ Dedicata alla mia "Arianna", la mia mentora XD
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se non siete rimasti soddisfatti dal finale,

Se il vostro cuoricino romantico desiderava un vero happy ending…

 

 

 

 

             

Chapter 28 – Second edit

Alternative ending

 

Forever and always

Polyglot love

 

22 Maggio

 

Contrariamente ad ogni mia aspettativa, il giorno successivo sembrò assecondare ogni previsione fatta da Ville. Tanto da farmi riflettere sul fatto che, forse, il nomignolo di pessimista cronica, riferito alla mia persona, non era poi lontano dal vero.

 

Tutto cominciò quel mattino: mentre io e Arianna preparavamo i tavoli per il pranzo nel ristorante dove lavoravamo come cameriere, fui richiamata dalla direttrice di sala nell’ingresso.

Intento a sbirciare i pesci multicolori di un acquario, trovai il chitarrista degli HIM.

“Linde?” esclamai sorpresa.

Lui si voltò, posando lo sguardo prima sul mio viso e poi, subito dopo, sulle forchette che ancora impugnavo.

“Hai deciso di pugnalarmi?” ridacchiò, alzando un sopracciglio.

“Cosa?” mi accorsi che il modo in cui tenevo le posate non era proprio raccomandabile “Oh, no, che stai dicendo” borbottai imbarazzata, lasciandole cadere nella tasca del grembiule. “By the way, cosa diavolo ci fai qui?”

Lui non riuscì a trattenere un altro sorriso divertito.

“Ehm cioè, volevo dire, come mai da queste parti?” Volevo sprofondare.

 

“Ti ho portato questo” mi spiegò, porgendomi un pezzo di carta plastificata.

Lo presi, titubante, e lo osservai curiosa: si trattava di un invito. L’invito per la festa di beneficenza di quella sera.

“Come lo hai avuto?”

Lui alzò le spalle: “Che importanza ha?”

Mi morsi la lingua, sorridendo: “Nessuna, immagino”

“Vuoi venire?” mi interrogò, facendo una faccia buffa.

 

Ci pensai qualche istante: non ero sicura di voler affrontare tutte quelle persone. Non sarebbe stata più la stessa cosa, adesso che si sapeva tutto di me e Ville. D’altra parte era forse egoistico lasciarlo far fronte a tutto, ancora una volta, da solo.

“Sì” assicurai infine, stringendo più forte il biglietto “Grazie”

Lui si sfiorò la visiera del cappello, in atto di saluto: “A stasera”.

 

***

 

La festa era stata organizzata in un antico palazzo dell’inizio del secolo. Attraversai lentamente l’ingresso, seguendo alcuni invitati che si dirigevano al piano superiore. Percorsi una lunga scalinata, lasciando scivolare le dita su un liscio corrimano dipinto d’oro. All’entrata della sala principale sollevai il capo, con un sospiro: i soffitti, altissimi erano decorati con stucchi e affreschi; angeli dalle lunghe ali posavano i loro occhi stanchi su donne e uomini elegantemente vestiti.

 

Mi domandai quanti ricevimenti avessero visto quegli angeli, quali balli, quali abiti, quali intrighi, quali segreti.

Sorrisi della mia fantasia troppo fervida e passai oltre.

 

Mi confusi nella folla, incrociando curiosi sguardi, fuggendo volti sconosciuti.

Mentre giravo in tondo, guardandomi intorno senza posa, urtai accidentalmente qualcuno. E persi quella stupida borsetta che avevano insistito che portassi come accompagnamento al mio abito.

“Mi dispiace” mi scusai, alzando una mano alla fronte.

“No, scusami tu” replicò lo sconosciuto, chinatosi rapidamente ai miei piedi. Mi porse la borsetta con un sorriso, ed io rimasi a lungo a fissare i suoi lunghi e bellissimi capelli biondi.

“Ti sei persa?” domandò, notando il mio spaesamento.

“Ehm…in un certo senso” biascicai, grattandomi il collo “Non riesco a trovare delle persone”

“Beh in questa folla è più che normale” notò. Lo guardai meglio in faccia, e mi accorsi che aveva un naso davvero strano. Mi resi anche conto che quel viso non mi era estraneo…

“Se vuoi posso accompagnarti al tavolo del buffet. Li è più facile trovare qualcuno” ridacchiò, allungando un braccio come per indicarmi la strada.

“Grazie” gli sorrisi, lasciandomi guidare.

 

Fu in quel momento che intravidi Manna e Luisa, sedute ad un tavolino.

“Ho appena visto la mia ancora di salvezza” lo informai, fermandomi e sfiorandogli il braccio.

“Benissimo” accolse la notizia con un altro mezzo sorriso “Allora il mio compito si è concluso. Ora devo fuggire, oh donzella in difficoltà. Alla prossima” e con un profondo inchino si dileguò tra la folla.

 

Raggiunsi le due donne, che all’inizio quasi non mi riconobbero. Il lungo abito di raso blu, lungo fino alle caviglie, che mi era stato prestato da Katriina, non era di certo molto da me.

Così come quegli stupidi tacchi che non potevo sopportare, e i capelli legati stretti in uno chignon sopra la testa.

“Olivia ti avrebbe scambiata per una principessa” mi rivelò Manna “Anche se non avrebbe visto di buon occhio i tuoi capelli imprigionati in quel modo”

Insieme attendemmo che i diversi gruppi che erano stati invitati si esibissero su un piccolo palco che era stato montato per l’occasione e che forse stonava un pochino con il resto del palazzo.

 

Gli HIM suonarono per terzi, subito dopo gli Apocalyptica. Mi diedi mentalmente dieci mila volte della stupida, quando riconobbi tra i tre violoncellisti il mio salvatore.

Era strano vedere Ville vestito in giacca e cravatta. Uno spettacolo davvero buffo. Dopotutto, non sembravo essere l’unica persona non proprio a suo agio quella sera.

Mi tenni nascosta il più possibile, sebbene fossi sicura che Ville non avrebbe mai alzato tanto gli occhi sulla folla, per evitare di esserne distratto. Cantò Wicked Game, e subito dopo The funeral of hearts.

Mi sentii stringere il cuore quando le sue labbra si incurvarono in un sorriso, forse mentre ripensava alla sera precedente.

 

Pochi minuti dopo la fine della loro esibizione il gruppo ci aveva già raggiunto. Tutti gli HIM, meno un componente.

Incrociai lo sguardo di Linde, mordendomi la lingua per non comportarmi come una bambina, ed essere discreta, senza chiedere immediatamente dove fosse finito.

“Non sa che sei qui” mi disse il chitarrista, leggendomi nel pensiero “Voleva essere una sorpresa, giusto?”

“Oh” mormorai, piuttosto confusa dalle sue parole “Credo di sì”

“E’ in una delle stanze nel corridoio dietro il palco” mi informò “La quarta porta a destra, non ti puoi sbagliare. E’ la stanza che ci hanno dato per prepararci, e per gli strumenti”

Un sorriso affiorò immediatamente sulle mie labbra: “Allora vado…” sussurrai, incerta, non sapendo bene se mi fosse permesso.

Lui annuì, ricambiando il sorriso.

 

***

 

Camminai svelta, quasi dimentica del male ai piedi e di quelle stupide macchine da tortura che indossavo.

Quando giunsi nel corridoio deserto mi misi a correre, proprio come una bambina.

La porta era chiusa, ma non a chiave. Mi bastò abbassare la maniglia, e sospingerla lentamente, perché la stanza mi fosse accessibile.

 

Proprio mentre stavo per fare un passo dentro, il cellulare iniziò a vibrare nella mia borsetta, come impazzito.

Sollevai lo sguardo, incrociando quello del darkman che mi fissava inebetito, il cellulare ancora appoggiato all’orecchio.

Ci guardammo negli occhi per qualche istante, prima di scoppiare entrambi a ridere.

 

“Cosa ci fai qui?” domandò, pigiando un tasto e chiudendo una comunicazione che non era mai nemmeno cominciata.

“Mh” mormorai, fingendomi pensosa “Sono venuta ad ascoltare gli Apocalyptica. Ti ho mai detto di quanto trovi affascinanti i suonatori di violoncello?”

Mi avvicinai, lasciando che la porta si chiudesse dietro le mie spalle.

“No” mi assicurò lui, sbuffando e squadrandomi torvo, appoggiato contro un muro.

“Si, si” rincarai la dose, abbandonando la borsetta su un tavolino “E sai una cosa? Ho incontrato anche Eicca là fuori. Ed è stato tremendamente gentile”

 

“Non mi dire” borbottò Ville, alzando gli occhi al cielo “E come mai allora sei venuta qui?” mi fece notare, abbandonando la sua posizione per venirmi incontro e posare le sue mani sui miei fianchi.

“Non potevo mica perdermi l’occasione di prenderti in giro!” gli spiegai, scuotendo il capo, come se la sua fosse stata la domanda più sciocca e inutile che avessi mai sentito “A proposito, la cravatta ti dona molto”

“Ahh spiritosa” fece una smorfia, prima di piegare il capo per sfiorare con le labbra il lobo del mio orecchio “Mi piacciono le ragazze con il senso dell’umorismo”

“Tutte le ragazze con il senso dell’umorismo?” chiesi, impostando un buffo broncio.

“Solo una” sussurrò, affondando appena un poco i denti nella cartilagine.

 

Lasciai che la sua bocca scivolasse lungo il profilo del mio viso e poi sul mio collo.

“Mhhh” sospirai “Forse ripensandoci preferisco i cantanti che sanno usare bene la lingua”

Il suo corpo tremò tutto, scosso da una roca e profonda risata, ed io, stretta nel suo abbraccio, con lui.

“Per snocciolare bene le parole delle loro canzoni, si intende” puntualizzai, sorridendo.

“Naturalmente”

 

Mi diede un ultimo dolcissimo bacio sulla fronte e poi mi lasciò, ahimè, andare.

“Dovremmo uscire di qui” osservò, seppure a malincuore.

“Dobbiamo proprio?” mi lamentai, cercando di convincerlo con gli occhi da cucciolo ferito che forse non era davvero necessario.

Ottenni l’unico risultato di farlo ridere di nuovo: “Ricordami di insegnarti a come commuovere i tuoi ascoltatori. Così non va proprio”

Mi spazientii, incrociando le braccia al petto.

“Dobbiamo andare per forza” mi sollecitò, prendendo la mia mano e traendomi verso l’uscita “Devo presentare ad un po’ di persone la nuova fiamma di Ville Valo”

“Sei sicuro?” domandai, pregandolo di pensare davvero attentamente alla sua risposta. Giurai a me stessa che sarebbe stata l’ultima volta.

 

Ville mi fissò serio, dritto negli occhi, mentre il mio cuore batteva forte, rapido quanto il mio respiro irregolare.

“Sì” garantì, stringendo più intensamente la mia mano.

“Ti fidi di me?” aggiunse poi, così piano da farmi rabbrividire.

“Sempre”

 

***

 

Qualche ora dopo ero seduta sul cornicione del grande terrazzo del palazzo, mentre Ville mi stringeva la vita, per essere sicuro che non cadessi.

Teneva la testa appoggiata alla mia spalla e potevo percepire distintamente il suo respiro caldo sul mio collo.

Non eravamo soli: un sacco di persone si trovavano su quella terrazza, aspettando l’inizio dei fuochi.

 

Ma Ville sembrava essere perfettamente a suo agio. Come era parso per tutto il resto della serata del resto: aveva parlato con forse la metà degli ospiti della festa, presentandomi a tutti, nessuno escluso, come la sua nuova ragazza.

Ogni volta era un nuovo tuffo al cuore. Mi sarebbe servito molto, molto tempo per abituarmi. Ma non sarebbe stato poi questo gran sacrificio…

 

Alcuni si rivelarono felici per lui, altri invece mormorano le loro congratulazioni con falsi sorrisi e smorfie contrariate. Lui rispose sempre cortese, senza lasciarsi impressionare.

 

“Hai visto? Non è poi così difficile” mormorò al mio orecchio, facendomi sussultare “E anche se lo sarà, riusciremo a superarlo. Insieme”

Voltai il capo, cercando le sue labbra, mentre uno spettacolo di luci e colori riempiva all’improvviso il cielo di Helsinki.

 

“C’è un ultima cosa che voglio mostrarti…” mi confidò alla fine, prendendomi per mano.

 

***

 

Il silenzio regnava sempre sovrano nel grande e meraviglioso parco dove generazioni di famigliari e amanti riposavano per sempre, sepolti nella terra, sotto l’ombra di alti ed eleganti alberi.

Di notte, quel silenzio era quasi materiale; come un velo, o una cupola di vetro forse.

Quel cimitero, se mai si fosse potuto chiamare tale, era una delle cose che più mi aveva impressionato di Helsinki e dalle quali era più rimasta affascinata. Un giorno mi sarebbe piaciuto essere sepolta in un luogo simile.

Restava comunque un posto curioso per un appuntamento…

 

Decisi di farglielo notare.

“Ville? Perché mi hai portato qui? Non che non sia bello, ma…” bisbigliai, mentre camminavamo mano nella mano.

Sul suo volto si dipinse un sorriso obliquo: “Te l’ho detto, volevo mostrarti una cosa”

Scossi il capo, rassegnata: perché stupirsi? Dopotutto parlavamo sempre di Ville Valo…

 

Lo seguii così in silenzio, mentre si avventurava nella zona originaria del cimitero. Le tombe si facevano sempre più frequenti e procedere diveniva sempre più difficile, tanto che rischiai di cadere un paio di volte.

Ci fermammo all’improvviso, davanti ad un piccolo sepolcro.

 

Era formato da due lapidi, accostate una all’altra. Era molto antico, la pietra non nascondeva i segni del tempo trascorso. I ritratti, racchiusi dentro a piccole finestrelle ovali, erano ormai troppo rovinati per essere distinti; tuttavia, le incisioni che riportavano i nomi e le date, erano ancora ben visibili.

Si trattava di una coppia, due persone anziane, morte a pochi giorni di distanza, quasi mezzo secolo prima.

Le due lapidi erano divise dal resto del parco da un basso cancelletto ormai arrugginito. All’interno di quest’ultimo era stata posta anche una piccola panchina in ferro battuto, dalle linee sottili e i bracci decorati.

 

“Chi sono?” domandai piano, rivolgendomi a Ville.

Lui scosse la testa, guardando quel sepolcro così particolare: “Non l’ho mai saputo. Scoprii questa tomba quando ero un ragazzo. Ne rimasi subito colpito e tornai qui molto spesso, a pensare”

Rimase qualche istante in silenzio, sorridendo tra sé e sé: “Sono rimasti insieme fino alla fine, vedi? Poi se ne sono andati uno dopo l’altro, quasi non potessero sopravvivere l’uno senza l’altra” mi fece notare, indicandomi con le dita le date sulle lapidi “E vedi quelle frasi?”

Annuii, poggiando un mano sul suo braccio: “Cosa dicono?”

“Dice: ‘Per sempre insieme, sulla nostra panchina, nella vita come nella morte’”

Non appena recitò le parole, un alito di vento più forte scosse le foglie degli alberi, e passò attraverso il mio cappotto slacciato, carezzando le pieghe del mio abito.

Rabbrividii, stringendomi di più a Ville.

 

Lui ridacchiò, sbirciandomi con un’espressione di scherno: “Non avrai mica paura dei fantasmi vero?”

Mi allontanai di scatto, dandogli una spinta e facendo il broncio, offesa: “Sai sempre come rovinare la magia”

Come al solito, il mio comportamento lo fece soltanto divertire di più.

Ma non gli diedi retta; riportai la mia attenzione sulla panchina, accorgendomi di un fiore di pietra posato sulla base.

 

Il fatto era che ai fantasmi io ci credevo, eccome. Non che la mia fosse una vera paura, più che altro un fascino forse un po’ morboso. Chiusi gli occhi, cercando di distinguere, tra le note del vento, la voce dei due innamorati.

 

Sussultai quando Ville prese la mia mano, ma cercai di non darlo a vedere.

“Vieni” mormorò, guidandomi ancora oltre, verso l’albero che cresceva proprio ai piedi del sepolcro.

“Da allora ho sempre cercato l’amore vero, quella persona che avrebbe atteso con me la morte sulla nostra panchina” sospirò, fissando il tronco. Prese la mia mano e la appoggiò sul legno: mi resi subito conto che la superficie non era regolare, ma era stata sicuramente incisa. Mi avvicinai, tentando di leggere, ma l’ombra dei rami rendeva l’impresa impossibile.

 

Ville si fece immediatamente avanti, illuminando il tronco con il suo accendino, tenendolo comunque a debita distanza da foglie e legno.

All I want is  you to take my into your arms, when love and death embrace” recitai ad alta voce, percorrendo le linee di ogni lettera con le dita.

 

Ville abbassò l’accendino, illuminando un’altra porzione di corteccia graffiata: nel legno era stato inciso il suo nome e una semplice congiunzione.

“Ville e…?” domandai curiosa, in un sussurro. Premetti più forte le dita contro il tronco, ma null’altro era stato inciso.

 

Ville non rispose. Con delicatezza, spinse il mio braccio perché mi scostassi; poi, estrasse dalla tasca un coltellino e, aiutandosi con la luce della fiamma, sotto il mio sguardo sbigottito, incise il mio nome accanto al suo.

Ammutolii, pietrificata.

Quando ebbe terminato, allungai una mano per sfiorare il suo lavoro con le dita che tremavano. Una lacrima scivolò, senza che potessi trattenerla, lungo la mia guancia.

Lui se ne accorse immediatamente e, preso il mio volto tra le mani, per asciugarla con le sue labbra.

 

“Che fai, piangi?” ridacchiò, respirando più forte contro il mio collo e facendomi il solletico.

“No” mentii, prendendolo in giro “Sono allergica alle manifestazioni di romanticismo troppo marcato”

“Oh” borbottò, sollevando immediatamente il capo per potermi guardare negli occhi “Potrebbe essere un problema. E se io facessi qualcosa di peggio potrebbe venirti anche una crisi asmatica?”

 

Non riuscii a trattenere una risata, soprattutto a causa della sua espressione così seria.

“Di peggio?” indagai sospettosa.

“Tu rispondi” controbatté testardo.

Scossi la testa: “Nessuna crisi asmatica, prometto”

Anche perché io non soffrivo d’asma…

“Bene” sorrise compiaciuto “Allora…” la sua bocca scivolò lungo il profilo del mio mento, fino a risalire all’orecchio, mentre il tono della sua voce si era fatto ancora più basso “c’è una cosa che devo confessarti”

Sbattei una volta le palpebre, cercando di restare lucida “Si?” boccheggiai.

 

“Ti amo” sussurrò piano, facendomi rabbrividire.

Mi allontanai di un passo, cercando i suoi occhi. Lui sostenne lo sguardo, senza vacillare, mentre lo fissavo sbigottita e disarmata, non soltanto dalla portata di quelle parole, ma anche dal modo in cui le espresse. Perché le sue parole, per quell’unica volta, non furono in inglese.

 

Sapeva che un ‘I love you’ non avrebbe significato nulla. Un ‘I love you’ non avrebbe mai potuto definire un sentimento. Qual è il filo sottile che divide affetto e amore? Quel verbo non riusciva a designarlo.

Pronunciò quell’unica frase nella mia lingua, lasciandomi senza parole.

 

“Dillo ancora, ti prego” lo supplicai, mordendomi il labbro inferiore.

Un sorriso increspò le sue labbra; posò le mani sulla mia vita e mi trasse di nuovo a sé.

“Ti amo” ripetè, con quel suo stranissimo accento “Ti amo, ti amo, ti amo”

Per riuscire a trattenere le lacrime ed evitare così di essere derisa per gioco, mi sollevai in punta di piedi ed incontrai le sue labbra.

 

Quando schiusi la bocca, per riprendere fiato, lasciai che la mia risposta si insinuasse leggera tra di noi.

“Rakastan sinua” mormorai, affondando le dita tra i suoi capelli.

 

Ci accoccolammo sotto quello che sarebbe diventato il nostro albero e restammo a lungo abbracciati, inframmezzando il silenzio con i baci, consci che da quel momento tutto sarebbe stato diverso.

“Una lingua non ci bastava più. Adesso sono tre” mi fece notare, lasciando scorrere le dita sul palmo della mia mano, avanti e indietro. Rise, facendo vibrare la sua scatola toracica ed io con essa.

“Siamo diventati poliglotti” scherzai, guardandolo di sotto in su.

Ville si sporse per baciarmi la punta del naso: “Mh. E’ carino”

 

“Je t’âme” cinguettai, utilizzando l’idioma del nostro poeta preferito.

“Seaw  deq” replicò, dopo essersi schiarito la gola.

 

Scostai la testa dalla sua spalla, corrugando la fronte: “E questa che lingua sarebbe?” lo interrogai.

Lui parve pensarci un attimo; poi, ammiccando, disse: “The Valo and Bonizzi’s language?”

Scoppiai a ridere, dandogli un colpetto contro il petto: “Che idiota che sei”

“Non ti piace?” domandò, fingendosi offeso.

“Certo che sì” riparai, scoccandogli un altro bacio sulla fronte.

Mi riappoggiai, contro il suo busto, volgendo il mio sguardo verso il cielo, dove qualche stella era appena appena visibile.

 

“Ville”

“Si?” mi invitò a continuare.

“Tuvak iw ert, ol byak ol somw”

Lui ridacchiò, soffiandomi tra i capelli: “Sono un po’ arrugginito. Questo cosa vuol dire?”

Presi la sua mano, portandola alle labbra: “Insieme per sempre, nella vita come nella morte”

In tutta risposta, Ville strinse più forte la mia mano.

 

“Seaw deq, Ville”

“Seaw deq, sweetheart”

 

 

 

                                                                                      The end

 

 

­­­­________________________________________________________________________________

 

Ed eccoci qui! Finalmente mi sono decisa a postare il finale alternativo xD

Appena torno dalle vacanzuole a Helsinkiiiiii <3 posto la seconda parte della storia ^-^

Buon Natale a tutti!

Bacini

La vostra

FallenAngel

  
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