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Autore: germangirl    20/04/2015    6 recensioni
La gelosia è una maledizione e la presenza di Jack Keeter accanto a Mac provoca a Harm un dolore nell’anima e… nel corpo.
Traduzione di “The dance” di NettieC
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Poteva aver trascorso la sua intera esistenza in Marina – giorni e notti passati in blu e in bianco – ma in quel momento era verde.

Molto, molto verde.

Ancora una volta, Jack Keeter era appena entrato nell’ufficio di Mac e aveva chiuso le tapparelle, non prima di aver strizzato l’occhio ad Harm, in modo fin troppo ammiccante. Non volendo fare una scenata, Rabb rigirò sui tacchi e si diresse verso la propria stanza per raccogliere i suoi effetti personali e dichiarare conclusa la giornata. Il pensiero di Mac e Jack insieme era decisamente troppo.

Visto che la sua relazione con Sarah ondeggiava ancora fra l’amicizia e “forse” qualcosa di più, Harm era stato felice di sapere che il suo vecchio amico Jack sarebbe stato stanziato a Washington per alcune settimane. Questa occasione gli avrebbe permesso di recuperare il loro cameratismo, uscire insieme e magari sfidarsi in un paio di partite. Tutto questo finché Jack non sganciò la bomba durante la loro seconda uscita serale in un bar.

“Tu e Mac” iniziò, dopo aver gustato un paio di sorsi della sua prima birra. “Hai niente da dichiarare?”

“Nossignore” rispose Harm, negando persino con la testa. Anche se ci fosse stato qualcosa da dire, non lo avrebbe confessato a Jack a questo punto.

“Bene bene” borbottò, scuotendo il capo a sua volta. Ebbene, questa non era la risposta che Harm si era immaginato. Si aspettava che Jack lo prendesse in giro per la sua incapacità di agire, non certo che reagisse così.

“Cosa intendi dire con bene?” lo sfidò Harm, posando il proprio bicchiere.

“Beh, provi qualcosa per lei da quanto? Cinque, sei anni ormai?” gli chiese, senza aspettare una risposta. “Pensavo che, se fosse stato qualcosa di serio… insomma, se tu fossi stato innamorato di lei, a quest’ora avresti fatto l’uomo e glielo avresti confessato.”

“E cosa c’è di buono in tutto questo?” gli domandò, ancora confuso.

“Visto che tu non lo hai fatto, ci posso provare io” dichiarò e Harm quasi si strozzò con la birra che aveva sorseggiato.

“Tu?” gli chiese incredulo. “Provarci con Mac? Perché?”

“Perché?” gli fece eco Jack. “Ma l’hai vista? Santo cielo, migliora con l’età… ha tutto, cervello, fisico, bellezza. Per non parlare del fatto che trasuda sex appeal” Harm rimase immobile a fissarlo. Poi Keeter riprese: “Dato che sono in città per un paio di settimane penso che sarebbe negligente da parte mia non offrirmi a lei”

“Non oseresti!” esclamò Harm, non credendo alla piega che avevano preso gli eventi. “Mac non ti prenderebbe in considerazione in ogni caso… conosce la tua storia…. Non ti si filerebbe nemmeno di striscio!”

“Non ti ha detto che abbiamo cenato insieme quando era giù in Florida per l’inchiesta Appleby?” dichiarò con un sorriso alla risposta di Harm. “Due volte” aggiunse per la precisione.

“No, non me ne ha parlato” replicò Harm.

Quella conversazione era avvenuta due settimane prima e Jack era stato un visitatore frequente al JAG in quel periodo, presentandosi solitamente sul calar della sera. Spariva nell’ufficio di Mac, tirava le tapparelle e riemergeva 20-30 minuti più tardi, accaldato e con un’espressione di totale compiacimento sul volto. Harm sapeva anche che Mac e Jack si erano visti al di fuori del lavoro, più di una volta. Aveva provato a convincere Mac a raccontargli i dettagli durante una chiacchierata informale, ma lei non si era sbottonata, dicendogli che non aveva tempo, e questo lo aveva irritato ancora di più.

Ora, tornando a casa, Rabb era passato dall’essere semplicemente irritato alla fase incazzato nero. Ma chi cavolo pensava di essere Jack Keeter, che si presentava a Washington e faceva perdere la testa a Mac? Lei era sua, dannazione. Sua! Frenando di colpo a un semaforo rosso di cui si era accorto all’ultimo momento, Harm scosse la testa e mormorò una lista di improperi. Mac era sua e Jack lo sapeva; cavolo, lo sapevano tutti!

Ripartendo dopo che il semaforo era diventato verde, Harm improvvisamente si rese conto di essere furioso con quell’intruso del suo amico ma non con Mac. Avrebbe dovuto essere seccato anche con Sarah, che intratteneva il suo amico a tutte le ore del giorno e probabilmente della notte. Avrebbe dovuto essere più che incazzato nero di fronte al fatto che Mac lo stesse ignorando, preferendogli Jack, ma in qualche modo non lo era e non riusciva a capacitarsi del perché.

Dopo un altro episodio del viavai caotico del venerdì pomeriggio, in cui se l’era cavata per un pelo, Harm decise che per il bene suo e degli altri conducenti avrebbe dovuto accantonare ogni pensiero su Jack e Mac fino al suo arrivo a casa.

Il viaggio verso il loft non fece nulla per migliorare il suo umore e se in passato non era mai stato vittima di attacchi d’ira per il traffico, quella sera si imbatté in una serie di automobilisti idioti, cretini e imbecilli che non lo aiutarono certo a calmarsi. Spalancando la porta di ingresso, Harm si precipitò in casa e richiuse l’uscio dietro di sé. Per quanto lo riguardava, l’intero mondo poteva andare a farsi fottere, pensò salendo in un balzo i tre scalini che lo conducevano nella sua camera e togliendosi l’uniforme nel frattempo.

La doccia non esercitò alcun potere rilassante o rigenerante sul suo umore, così chiuse il rubinetto, si avvolse un asciugamano alla vita e pensò che forse una birra avrebbe compiuto il miracolo. Sfortunatamente, la combinazione di piedi bagnati, parquet e passo infuriato gli fece saltare il primo scalino e piombare con un tonfo atroce sul suo didietro sull’ultimo gradino, prima di rovinare sul pavimento in una posizione tutt’altro che diritta. Seguì un’altra sfilza di improperi.

Fu solo quando tentò di alzarsi che Harm si rese conto di essersi fatto più male di quanto pensasse. Mentre i suoi arti sembravano funzionare bene, lo stesso non si poteva dire della sua schiena e provare a rigirarsi per tornare in piedi si rivelò impresa ardua. Da una prima autodiagnosi si convinse che non era niente di grave, ma gli ci vollero dieci minuti per mettersi in modo tale da poter usare mobili e suppellettili per guadagnare la posizione eretta.

Niente da fare.

Giunse alla conclusione che gli serviva aiuto. Stette alcuni minuti a pensare, per poi decidersi a chiamare il suo superiore. Doveva trattarsi di qualcuno che fosse vicino e avesse la chiave. Strisciando a sinistra, Harm tirò il filo del telefono e aspettò che l’apparecchio cadesse dal mobile, sperando di afferrarlo prima che piombasse sul pavimento o gli colpisse il volto. Ahimè, nonostante gli sforzi, nessuno rispose e Harm dovette riattaccare, riluttante.

Chiamare Jen non era un’opzione percorribile, visto che era partita per Blacksburg direttamente dall’ufficio. Bud e Harriett sarebbero arrivati in un istante ma non avevano la chiave. Sembrava che l’unica vera soluzione fosse Mac, ma mai e poi mai l’avrebbe chiamata per chiederle aiuto. Mai e poi mai, finché, dopo un’ora e innumerevoli altri tentativi infruttuosi di rimettersi in piedi, non gli rimase altra scelta: la sua collega o i paramedici. Questi ultimi sarebbero arrivati con i vigili del fuoco per tirare giù la porta, pertanto Mac rappresentava il male minore… seppure di poco.

Ingoiando il suo orgoglio, Harm compose il numero del colonnello MacKenzie e aspettò facendo appello alla pazienza che gli era rimasta. “Hey, Harm” rispose la donna, sorpresa di ricevere una sua telefonata dopo la sua rapida partenza e il suo comportamento degli ultimi giorni.

“Ciao, Mac” disse lentamente. “Spero di non aver interrotto nulla” aggiunse, non riuscendo a celare la sua irritazione.

“Come posso aiutarti?” replicò, ignorando sia il commento che il tono dell’uomo.

“Ecco… io…. Se non ti è di troppo disturbo, ho bisogno che tu venga qui” spiegò lentamente, prima di aggiungere “per favore”

“Venire qui dove? A casa tua?” chiese, non sapendo bene dove fosse.

“Ah, sì” rispose. “Se non ti è di troppo disturbo…” ripeté.

Inizialmente, Mac avrebbe voluto rispondere di no. Non aveva programmi per la serata ma poiché Harm di recente non l’aveva degnata di grande considerazione, non aveva voglia di essere a sua completa disposizione. Tuttavia, dato che la voce dell’uomo le era sembrata strana e che per ben due volte in due frasi aveva detto “se non ti è di troppo disturbo”, decise che c’era qualcosa che non andava.

“A che ora pensavi?” gli domandò, non volendo fargli credere che avrebbe piantato qualsiasi cosa stesse facendo per volare da lui. “A me andrebbe bene alle 20.00”

Harm guardò l’orologio della cucina. Segnava impietosamente le 18.36. “Beh, prima è meglio è, ma se prima delle 20.00 non ce la fai va bene così” disse prima di muoversi e, così facendo, provocarsi un dolore atroce che gli corse lungo la schiena. Non riuscì a trattenere un lamento e Mac si mise in allerta.

“Cosa sta succedendo, Harm?” gli chiese diretta.

“Ho solo bisogno che tu venga qui prima che puoi… per favore…” la pregò. “E, Mac… entra con la tua chiave”

40 minuti più tardi Mac infilò la sua chiave nella toppa e aprì la porta, sorpresa di trovare il loft nella totale oscurità.

“Non mi pestare” disse Harm e Mac accese la luce prima di precipitarsi accanto a lui.

“Harm, cosa diavolo…” esclamò, osservando con attenzione la scena davanti ai suoi occhi. “Stai bene?”

“Starò bene… ho solo bisogno di aiuto per rimettermi in piedi” rispose, allungando le braccia. “Ho provato a girarmi e rigirarmi ma mi fa troppo male… stavo pensando che se riesci a tirarmi su poi dovrei farcela.”

“Cosa è successo?” lo interrogò, posando le sue cose sulla poltrona prima di mettersi davanti a lui.

“Avevo i piedi bagnati, sono scivolato sugli scalini e sono atterrato qui” snocciolò, cercando di non dar troppo peso alla faccenda, ma Mac lo conosceva bene. Harm raramente chiedeva aiuto e ancor più raramente ammetteva il dolore, quindi se l’aveva chiamata la situazione doveva essere grave.

Non vedendo traccia di acqua da alcuna parte, se non i capelli ancora umidi e scompigliati, Mac dedusse che l’uomo aveva fatto la doccia appena rientrato a casa. “Quando è successo?”

“Quasi due ore fa” rispose, afferrando entrambe le mani di lei.

“Perché non me lo hai detto?” gli domandò, sentendosi colpevole per essere rimasta seduta in auto per almeno 15 minuti.

“Non ti volevo disturbare” replicò, facendo una smorfia quando iniziò a muoversi in avanti.

“Sei sicuro che vuoi che ti sollevi in questo modo?” chiese. “Potrei chiamare il 911”

“No, no” disse scuotendo la testa. “Una volta tirato su starò bene… non è una tragedia.”

Ci vollero alcuni minuti e diversi tentativi, ma con un ultimo strattone vigoroso, Mac rimise Harm in piedi. Lo slancio lo spinse in avanti e lei lo prese fra le braccia, raddrizzandolo contro il proprio corpo. “Aspetta, fai con calma” lo esortò, dandogli una pacca sulla schiena.

Posando la propria testa su quella di Sarah, Harm si prese qualche altro minuto per essere sicuro di poter stare in posizione eretta. Lentamente, la lasciò andare e con cautela fece un passo indietro.

“Grazie, Mac” le disse. “Lo apprezzo”

“Quando vuoi” rispose, studiandogli il volto. “Aspetta che ti prendo un po’ d’acqua” decise, dirigendosi verso l’angolo cottura prima che lui potesse replicare. “Hai degli analgesici da qualche parte?”

“Sì, nell’armadietto nel bagno” rispose e Mac andò a cercarli.

Dopo averli presi, Harm iniziò a camminare per il loft cercando di sciogliere il dorso, mentre Mac osservava ogni sua azione con grande attenzione. Dopo essersi sciolto le spalle e il collo, Harm mise i palmi delle mani sul tavolo e cercò di flettere la schiena. Fu mentre stava inarcando la zona lombare che la salvietta che si era legato in vita cadde ai suoi piedi. Mac dovette far ricorso a tutto l’addestramento militare per mantenere gli occhi sul volto dell’uomo e impedire al suo sguardo di vagare altrove. Seppe all’istante che Harm aveva realizzato di essere nudo poiché arrossì immediatamente.

“Non riuscirai a raccoglierlo, vero?” gli chiese, mordendosi il labbro per evitare di ridere.

“Nossignora” rispose, gli occhi ancora fissi sul tavolo.

“Ah, vuoi che…” si offrì, indicando l’asciugamano.

“Sì” esclamò, evitando di guardarla.

Nel compiere i tre passi che la separavano da lui Mac non riuscì a non apprezzare il corpo di Harm. Poteva anche andare per i quaranta ma, accidenti a lui, quell’uomo era in una forma impeccabile. Aveva un fisico teso e asciutto e non le sfuggì che aveva un didietro tutt’altro che peloso come aveva immaginato. Non era peloso per nulla.

“Mac… l’asciugamano” disse Harm, realizzando che lei non lo stava raccogliendo.

Piegandosi, Mac raccolse la salvietta blu ma risollevandosi notò una contusione orizzontale sulla zona lombare di Harm o, per essere più precisi, sul suo tonico didietro.

“Non mi stupisco che tu abbia dolore, Harm” disse, toccando delicatamente l’ecchimosi. “Sei sicuro di non esserti danneggiato il coccige?”

“Starò bene, Mac…. L’asciugamano… per favore” la pregò, felice che la donna non vedesse l’imbarazzo che gli si era dipinto sul volto.

“No, ti serve del ghiaccio” dichiarò, passandogli la salvietta.

Ritornando verso l’angolo cottura, Mac usò un sacchetto di plastica per improvvisare una borsa del ghiaccio. Lo avvolse in un pezzo di carta cucina per evitare che gli danneggiasse la pelle e lo portò dall’uomo, regalandosi un’altra occhiata al suo bel fisico.

“Puoi stare seduto?” gli chiese, prima di rispondersi da sola di no. “Ok, allora” lo prese per mano e lo accompagnò su per i tre scalini fino alla sua camera. “Stenditi a pancia sotto sul letto e io ti metto il ghiaccio”

“Mac, davvero non è necessario” protestò l’uomo, ma senza troppa convinzione.

“Impacco di ghiaccio o Bethesda” disse semplicemente e aspettò la sua risposta.

“Bene” brontolò prima di mettersi in ginocchio sul letto e abbassarsi lentamente. “Figlio di…” imprecò quando l’impacco di ghiaccio entrò in contatto con la pelle.

“Oh, dai, non è così male” lo rimproverò Mac prima di coprirlo con la trapunta e accarezzargli i capelli.

Per alcuni minuti nessuno fiatò finché Harm non riuscì a tenere ancora la bocca chiusa.

“Apprezzo davvero tutto ciò che hai fatto, Mac, ma adesso dovresti andare” la esortò, voltandosi verso di lei.

“Non me ne vado” dichiarò lei. “Almeno, non ancora”

“Non voglio impedirti di fare… altre cose” disse, cercando inutilmente di non palesare l’amarezza che provava.

“Quali altre cose?” lo sfidò Mac. Sapeva che doveva essersi fissato su qualcosa e forse adesso sarebbe riuscita a scoprire di preciso cosa fosse.

“Beh, è venerdì sera, Jack era nel tuo ufficio prima… ho pensato che voi due poteste avere fatto… dei programmi” le spiegò e la vide spostarsi dal punto della stanza in cui era in piedi per mettersi in ginocchio all’altro lato del letto, così da poterlo guardare dritto negli occhi.

“Sei geloso” dichiarò con un sorrisetto.

“Non è vero” mentì, incrociando le braccia e posando il mento su di esse.

“Sì che è vero” disse scuotendo la testa. “Perdonami per aver monopolizzato il suo tempo. Sono sicura che sarà libero nel fine settimana se ti va di uscire con lui”

“Cosa?” chiese Harm cercando di mettersi seduto, ma il dolore lo inchiodò nella precedente posizione.

Istintivamente, la mano di Mac gli accarezzò la spalla, tentando di alleviare la sua pena. “Voglio solo dire che non avevi alcun motivo di essere geloso se trascorro tante ore con Jack. Sono sicura che avrà tempo anche per te”

“Non sono geloso di te, sono geloso di lui” esclamò senza pensare, per poi abbassare la fronte.

“Perché sei geloso di lui?” chiese Mac spalancando gli occhi. Con la testa ancora posata sulle braccia, Harm scosse il capo. In nessun modo avrebbe portato avanti questa conversazione. “Harm? Hey?”

Facendo forza sulle braccia l’uomo cercò di spostarsi all’indietro così da potersi mettere di nuovo in piedi. Tuttavia, questa azione fece scivolare l’impacco di ghiaccio che a sua volta si trascinò dietro la salvietta che lo teneva fermo. Tentando di afferrare la borsa con una mano e l’asciugamano con l’altra, Harm perse l’equilibrio e cadde di nuovo sul letto, a peso morto sul volto. In un baleno Mac era accanto a lui.

“Ti farai di nuovo del male se non la prendi con calma” lo avvertì, riposizionando l’impacco di ghiaccio al proprio posto. “Cerca di rilassarti, ok?” Gli accarezzò la schiena mentre lui mormorava qualcosa contro le coperte.

“Cosa hai detto?” gli domandò.

“Niente” rispose, voltandosi nella sua direzione. “O almeno nulla che voglio ripetere”

Dopo aver trascorso i successivi 15 minuti in uno strano silenzio, Mac decise che era giunto il momento di togliere l’impacco e Harm fu immediatamente d’accordo. Dopo averlo aiutato ad alzarsi dal letto, l’uomo dichiarò di stare molto meglio e la invitò ad andarsene.

Sarah gli si mise in piedi di fronte, guardandolo intensamente. “Harmon, se davvero vuoi che me ne vada lo farò. Non voglio imporre la mia presenza dove non sono gradita”

“Non stai imponendo niente e sai che sei sempre la benvenuta qui” disse, tenendo la salvietta stretta fra le mani.

“Allora perché continui a insistere che me ne vada?” lo sfidò.

“Io… ecco… tu e Jack…” farfugliò, scuotendo la testa.

“Esattamente cosa pensi che stia succedendo fra me e Jack?” gli chiese, sollevandogli il volto che aveva nuovamente abbassato. “Harm?”

“Lo so…” disse lentamente. “E voglio che questa cosa mi stia bene ma non ci riesco.”

“Cos’è che sai?” gli chiese confusa.

“Che tu e Jack siete… beh, non so se stiate davvero uscendo insieme, ma sicuramente vi vedete” ammise con un sospiro.

“E quando dici che ci vediamo intendi che andiamo a letto insieme?” lo interrogò, sforzandosi di non ridere.

“Beh, sì” rispose, distogliendo lo sguardo. “Comunque non sono affari miei e…”

“No, Harm, in effetti non sono affari tuoi” confermò, afferrandolo per un braccio e spostandosi così da essergli di nuovo di fronte. “Ma per amore di precisione e per evitare che tu ti faccia ulteriormente del male, Jack e io non siamo mai andati a letto insieme e non ci vediamo in nessun altro senso.”

“Ma” provò a controbattere, senza pensarci. “Tutte quelle sessioni nel tuo ufficio con le tapparelle chiuse… un sacco di movimento… Jack che esce tutto accaldato e con un’espressione tanto compiaciuta spiattellata sul volto.”

A quel punto Mac scoppiò in una risata fragorosa, che aumentò a dismisura la frustrazione di Harm: ora quella donna stava ridendo di lui. “Felice di sapere che lo trovi divertente.”

“Sei davvero carino quando sei geloso, flyboy” disse Mac, continuando a ridere.

“Quindi ammetti che c’è qualcosa di cui essere gelosi” le rispose a tono, scuotendo la testa.

“No, non c’è niente” gli disse lentamente. “Ma tu non mi credi, vero?”

“Ti credo” dichiarò con gli occhi fiammeggianti. “E’ di Keeter che non mi fido.”

“Giusto per capire, cosa ti ha detto Keeter?” gli domandò, chiedendosi se non fosse il caso di rimettere Jack in riga.

“Meglio che tu non lo sappia” replicò Harm. “Diciamo che quelle piccole sessioni intime nel tuo ufficio la dicevano lunga.”

“Stavo dando a Jack…” iniziò, ma Harm sollevò una mano. “No, non lo voglio sentire” la interruppe, oltrepassandola e allontanandosi da lei. “Non sono affari miei.”

“Lezioni di ballo, Harm. Stavo dando a Jack delle lezioni di ballo.”

Harm si voltò con la velocità che la sua schiena dolorante gli permise. “Lezioni di ballo?”

“Lezioni di ballo” ripeté Mac. “Jack ha intenzione di portare Daphne in un ristorante chic domani sera e di chiederle di sposarlo.”

“Daphne? Sposarlo? Cosa?” Harm scosse la testa, ormai preda della più totale confusione.

“Daphne Miller” spiegò Mac. “Si frequentano da un po’ ormai. Lei ama ballare e lui è totalmente negato, quindi mi ha chiesto di dargli delle lezioni.”

“Lezioni di ballo?” era ancora incredulo.

“Sì, Harm” rispose, scuotendo la testa e dirigendosi verso gli scalini. “Sono una brava ballerina e Jack aveva bisogno di qualche suggerimento.”

Così dicendo scese i gradini e andò verso l’angolo cottura per preparare del caffè. Ad Harm ci vollero alcuni minuti per digerire ciò che gli aveva confessato Mac, poi sostituì la salvietta con dei boxer a quadretti rossi e la raggiunse. Quando lo vide apparire sulle scale, Mac ne osservò ogni movimento e notò che sembrava un po’ meno contratto. La sua più grande costatazione, però, fu quanto fosse dannatamente sexy con quei boxer.

“Ti va un caffè?” riuscì a chiedergli appena ritornò in possesso della sua capacità di parlare.

“No, grazie” rispose. “Hai mangiato?”

“No” disse e negò anche con la testa. “Tu?”

“Ah, no, ero un po’ inabile” ammise con un sorrisetto.

“Visto che non è il caso di uscire…” decise Mac per lui, “Che ne dici se ordiniamo una pizza?”

“Ottima idea” replicò “carnivora per te, naturalmente…” aggiunse mentre prendeva il cellulare dal tavolino.

“Naturalmente” gli confermò con un sorriso.

Aspettando la consegna della pizza parlarono del più e del meno finché Mac non notò la pelle d’oca sulle braccia di Harm. “Ti stai raffreddando” osservò. “Vado a prenderti una vestaglia”

Tornando in un attimo, lo aiutò a indossarla, stringendogliela alla vita con la cintura. “Sarei riuscito a farlo anche da solo” le disse ridendo.

“Pensi di riuscire a fare anche qualcos’altro?” gli chiese, sentendosi spavalda.

“Certo” le rispose, sebbene non fosse poi così sicuro di essere in grado di fare molto.

“Ballare con Jack non era male ma tu sei sempre stato il mio compagno di ballo preferito” ammise.

“Non c’è la musica” commentò, avvicinandosi a lei.

“Non importa” replicò. “Sei ferito, andremo al nostro ritmo.”

In breve furono l’uno nelle braccia dell’altra, ondeggiando serenamente al ritmo di una musica interiore; movimenti lenti, ritmati, che somigliavano più a un dondolio gentile che a dei passi di danza. Sapendo che a breve sarebbero stati interrotti dal ragazzo delle consegne, Harm decise di prendere in mano la situazione.

“Non voglio che tu balli ancora con Jack” dichiarò.

Mac alzò gli occhi verso di lui, si allontanò dalla sua presa e iniziò a protestare: “Ti ho detto che era solo…”

Scuotendo la testa, Harm la avvicinò di nuovo a sé. “Lo so… non voglio che tu balli più con Jack” ripeté. “Non voglio che tu balli più con nessun altro.”

A quel punto Mac si staccò di nuovo da lui. Cosa cavolo stava dicendo?

“Voglio che tu… vorrei che tu… prendessi in considerazione l’idea di ballare solo con me” disse, stringendole di nuovo le mani. “Lo facciamo così bene… potremmo fare altre cose altrettanto bene…”

“Harm, litighiamo continuamente” gli ricordò, anche se il suo cuore batteva all’impazzata.

“Lo so, e facciamo bene anche quello” le rispose sorridendo. “Non credi?”

“Vero” concordò. “Quindi cosa intendi? Vuoi ballare solo ed esclusivamente con me?”

“Ballare… uscire…” elencò lentamente. “Andare a cena…” aggiunse quando qualcuno bussò alla porta.

Dopo aver preso le pizze e chiuso la porta, Harm si rivolse di nuovo a Mac. “Non voglio anticipare nulla, Mac” disse mettendo le scatole sul tavolo. “Ma non voglio starmene seduto a un lato della strada mentre qualcuno arriva in picchiata e ti porta via. Non voglio che qualcun altro sia la ragione per cui tu tiri giù le tapparelle del tuo ufficio. Non voglio…” Mac scosse la testa e Harm smise di parlare. “Cosa?”

“Non voglio… non voglio… non voglio…” ripeté le sue ultime frasi. “Ma tu cosa vuoi?”

“Te” disse semplicemente. “Voglio te” Per un tempo lunghissimo Mac non proferì parola e alla fine Harm non riuscì a trattenersi dal chiederle. “Allora?”

“Sono tua” fu la sua risposta. “Sono tua.”

E mentre la serata non implicò nient’altro che una cena, un ballo lento e ulteriori impacchi di ghiaccio, alla fine si ritrovarono sulla stessa pagina del libro della vita, pronti a dare inizio alla più bella delle danze: quella che sarebbe durata fino alla fine dei tempi.

Nota della traduttrice

Come ho confessato al mio angelo custode, oltre al fatto che questa sia indubbiamente una bella storia, sono due i veri motivi per cui ho deciso di tradurla.

Il primo è puramente ormonale: non ho un addestramento militare su cui fare affidamento, pertanto quando è caduta quella salvietta il mio sguardo ha “vagato altrove” e vi lascio immaginare le conseguenze ;-)

Il secondo motivo è lo scambio di battute finale, che ricorda troppo un momento cruciale di Castle – altra mia grande passione – per non trovarlo irresistibile.

NettieC è stata tanto carina da concedermi l’onore di tradurre questa deliziosa storia in italiano. L’originale è qui: https://www.fanfiction.net/s/10405992/1/The-Dance

Grazie per avermi dedicato il vostro tempo!

Un abbraccio,

Deb

  
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