Poteva
aver trascorso la sua intera esistenza in Marina –
giorni e notti passati in blu e in bianco – ma in quel
momento era verde.
Molto,
molto verde.
Ancora
una volta, Jack Keeter era appena entrato
nell’ufficio di Mac e aveva chiuso le tapparelle, non prima
di aver strizzato
l’occhio ad Harm, in modo fin troppo ammiccante. Non volendo
fare una scenata,
Rabb rigirò sui tacchi e si diresse verso la propria stanza
per raccogliere i suoi
effetti personali e dichiarare conclusa la giornata. Il pensiero di Mac
e Jack
insieme era decisamente troppo.
Visto
che la sua relazione con Sarah ondeggiava ancora
fra l’amicizia e “forse” qualcosa di
più, Harm era stato felice di sapere che
il suo vecchio amico Jack sarebbe stato stanziato a Washington per
alcune
settimane. Questa occasione gli avrebbe permesso di recuperare il loro
cameratismo, uscire insieme e magari sfidarsi in un paio di partite.
Tutto
questo finché Jack non sganciò la bomba durante
la loro seconda uscita serale
in un bar.
“Tu
e Mac” iniziò, dopo aver gustato un paio di sorsi
della sua prima birra. “Hai niente da dichiarare?”
“Nossignore”
rispose Harm, negando persino con la testa.
Anche se ci fosse stato qualcosa da dire, non lo avrebbe confessato a
Jack a
questo punto.
“Bene
bene” borbottò, scuotendo il capo a sua volta.
Ebbene, questa non era la risposta che Harm si era immaginato. Si
aspettava che
Jack lo prendesse in giro per la sua incapacità di agire,
non certo che
reagisse così.
“Cosa
intendi dire con bene?” lo sfidò Harm, posando il
proprio bicchiere.
“Beh,
provi qualcosa per lei da quanto? Cinque, sei anni
ormai?” gli chiese, senza aspettare una risposta.
“Pensavo che, se fosse stato
qualcosa di serio… insomma, se tu fossi stato innamorato di
lei, a quest’ora
avresti fatto l’uomo e glielo avresti confessato.”
“E
cosa c’è di buono in tutto questo?” gli
domandò,
ancora confuso.
“Visto
che tu non lo hai fatto, ci posso provare io”
dichiarò e Harm quasi si strozzò con la birra che
aveva sorseggiato.
“Tu?”
gli chiese incredulo. “Provarci con Mac?
Perché?”
“Perché?”
gli fece eco Jack. “Ma l’hai vista? Santo
cielo, migliora con l’età… ha tutto,
cervello, fisico, bellezza. Per non
parlare del fatto che trasuda sex appeal” Harm rimase
immobile a fissarlo. Poi
Keeter riprese: “Dato che sono in città per un
paio di settimane penso che
sarebbe negligente da parte mia non offrirmi a lei”
“Non
oseresti!” esclamò Harm, non credendo alla piega
che
avevano preso gli eventi. “Mac non ti prenderebbe in
considerazione in ogni
caso… conosce la tua storia…. Non ti si filerebbe
nemmeno di striscio!”
“Non
ti ha detto che abbiamo cenato insieme quando era
giù in Florida per l’inchiesta Appleby?”
dichiarò con un sorriso alla risposta
di Harm. “Due volte” aggiunse per la precisione.
“No,
non me ne ha parlato” replicò Harm.
Quella
conversazione era avvenuta due settimane prima e
Jack era stato un visitatore frequente al JAG in quel periodo,
presentandosi solitamente
sul calar della sera. Spariva nell’ufficio di Mac, tirava le
tapparelle e
riemergeva 20-30 minuti più tardi, accaldato e con
un’espressione di totale
compiacimento sul volto. Harm sapeva anche che Mac e Jack si erano
visti al di
fuori del lavoro, più di una volta. Aveva provato a
convincere Mac a
raccontargli i dettagli durante una chiacchierata informale, ma lei non
si era
sbottonata, dicendogli che non aveva tempo, e questo lo aveva irritato
ancora
di più.
Ora,
tornando a casa, Rabb era passato dall’essere semplicemente
irritato alla fase incazzato nero. Ma chi cavolo pensava di essere Jack
Keeter,
che si presentava a Washington e faceva perdere la testa a Mac? Lei era
sua,
dannazione. Sua! Frenando di colpo a un semaforo rosso di cui si era
accorto
all’ultimo momento, Harm scosse la testa e mormorò
una lista di improperi. Mac
era sua e Jack lo sapeva; cavolo, lo sapevano tutti!
Ripartendo
dopo che il semaforo era diventato verde, Harm
improvvisamente si rese conto di essere furioso con
quell’intruso del suo amico
ma non con Mac. Avrebbe dovuto essere seccato anche con Sarah, che
intratteneva
il suo amico a tutte le ore del giorno e probabilmente della notte.
Avrebbe
dovuto essere più che incazzato nero di fronte al fatto che
Mac lo stesse
ignorando, preferendogli Jack, ma in qualche modo non lo era e non
riusciva a
capacitarsi del perché.
Dopo
un altro episodio del viavai caotico del venerdì
pomeriggio, in cui se l’era cavata per un pelo, Harm decise
che per il bene suo
e degli altri conducenti avrebbe dovuto accantonare ogni pensiero su
Jack e Mac
fino al suo arrivo a casa.
Il
viaggio verso il loft non fece nulla per migliorare il
suo umore e se in passato non era mai stato vittima di attacchi
d’ira per il
traffico, quella sera si imbatté in una serie di
automobilisti idioti, cretini
e imbecilli che non lo aiutarono certo a calmarsi. Spalancando la porta
di
ingresso, Harm si precipitò in casa e richiuse
l’uscio dietro di sé. Per quanto
lo riguardava, l’intero mondo poteva andare a farsi fottere,
pensò salendo in
un balzo i tre scalini che lo conducevano nella sua camera e
togliendosi
l’uniforme nel frattempo.
La
doccia non esercitò alcun potere rilassante o
rigenerante sul suo umore, così chiuse il rubinetto, si
avvolse un asciugamano
alla vita e pensò che forse una birra avrebbe compiuto il
miracolo.
Sfortunatamente, la combinazione di piedi bagnati, parquet e passo
infuriato
gli fece saltare il primo scalino e piombare con un tonfo atroce sul
suo
didietro sull’ultimo gradino, prima di rovinare sul pavimento
in una posizione
tutt’altro che diritta. Seguì un’altra
sfilza di improperi.
Fu
solo quando tentò di alzarsi che Harm si rese conto di
essersi fatto più male di quanto pensasse. Mentre i suoi
arti sembravano
funzionare bene, lo stesso non si poteva dire della sua schiena e
provare a rigirarsi
per tornare in piedi si rivelò impresa ardua. Da una prima
autodiagnosi si
convinse che non era niente di grave, ma gli ci vollero dieci minuti
per
mettersi in modo tale da poter usare mobili e suppellettili per
guadagnare la
posizione eretta.
Niente
da fare.
Giunse
alla conclusione che gli serviva aiuto. Stette
alcuni minuti a pensare, per poi decidersi a chiamare il suo superiore.
Doveva
trattarsi di qualcuno che fosse vicino e avesse la chiave. Strisciando
a
sinistra, Harm tirò il filo del telefono e
aspettò che l’apparecchio cadesse
dal mobile, sperando di afferrarlo prima che piombasse sul pavimento o
gli
colpisse il volto. Ahimè, nonostante gli sforzi, nessuno
rispose e Harm dovette
riattaccare, riluttante.
Chiamare
Jen non era un’opzione percorribile, visto che
era partita per Blacksburg direttamente dall’ufficio. Bud e
Harriett sarebbero
arrivati in un istante ma non avevano la chiave. Sembrava che
l’unica vera soluzione
fosse Mac, ma mai e poi mai l’avrebbe chiamata per chiederle
aiuto. Mai e poi
mai, finché, dopo un’ora e innumerevoli altri
tentativi infruttuosi di rimettersi
in piedi, non gli rimase altra scelta: la sua collega o i paramedici.
Questi
ultimi sarebbero arrivati con i vigili del fuoco per tirare
giù la porta,
pertanto Mac rappresentava il male minore… seppure di poco.
Ingoiando
il suo orgoglio, Harm compose il numero del
colonnello MacKenzie e aspettò facendo appello alla pazienza
che gli era
rimasta. “Hey, Harm” rispose la donna, sorpresa di
ricevere una sua telefonata
dopo la sua rapida partenza e il suo comportamento degli ultimi giorni.
“Ciao,
Mac” disse lentamente. “Spero di non aver
interrotto nulla” aggiunse, non riuscendo a celare la sua
irritazione.
“Come
posso aiutarti?” replicò, ignorando sia il
commento
che il tono dell’uomo.
“Ecco…
io…. Se non ti è di troppo disturbo, ho bisogno
che tu venga qui” spiegò lentamente, prima di
aggiungere “per favore”
“Venire
qui dove? A casa tua?” chiese, non sapendo bene
dove fosse.
“Ah,
sì” rispose. “Se non ti è di
troppo disturbo…” ripeté.
Inizialmente,
Mac avrebbe voluto rispondere di no. Non
aveva programmi per la serata ma poiché Harm di recente non
l’aveva degnata di
grande considerazione, non aveva voglia di essere a sua completa
disposizione.
Tuttavia, dato che la voce dell’uomo le era sembrata strana e
che per ben due volte in due frasi aveva detto “se non
ti è di troppo disturbo”, decise che
c’era qualcosa che non andava.
“A
che ora pensavi?” gli domandò, non volendo fargli
credere che avrebbe piantato qualsiasi cosa stesse facendo per volare
da lui. “A
me andrebbe bene alle 20.00”
Harm
guardò l’orologio della cucina. Segnava
impietosamente
le 18.36. “Beh, prima è meglio è, ma se
prima delle 20.00 non ce la fai va bene
così” disse prima di muoversi e, così
facendo, provocarsi un dolore atroce che
gli corse lungo la schiena. Non riuscì a trattenere un
lamento e Mac si mise in
allerta.
“Cosa
sta succedendo, Harm?” gli chiese diretta.
“Ho
solo bisogno che tu venga qui prima che puoi… per
favore…” la pregò. “E,
Mac… entra con la tua chiave”
40
minuti più tardi Mac infilò la sua chiave nella
toppa
e aprì la porta, sorpresa di trovare il loft nella totale
oscurità.
“Non
mi pestare” disse Harm e Mac accese la luce prima di
precipitarsi accanto a lui.
“Harm,
cosa diavolo…” esclamò, osservando con
attenzione
la scena davanti ai suoi occhi. “Stai bene?”
“Starò
bene… ho solo bisogno di aiuto per rimettermi in
piedi” rispose, allungando le braccia. “Ho provato
a girarmi e rigirarmi ma mi
fa troppo male… stavo pensando che se riesci a tirarmi su
poi dovrei farcela.”
“Cosa
è successo?” lo interrogò, posando le
sue cose
sulla poltrona prima di mettersi davanti a lui.
“Avevo
i piedi bagnati, sono scivolato sugli scalini e
sono atterrato qui” snocciolò, cercando di non dar
troppo peso alla faccenda,
ma Mac lo conosceva bene. Harm raramente chiedeva aiuto e ancor
più raramente
ammetteva il dolore, quindi se l’aveva chiamata la situazione
doveva essere
grave.
Non
vedendo traccia di acqua da alcuna parte, se non i
capelli ancora umidi e scompigliati, Mac dedusse che l’uomo
aveva fatto la
doccia appena rientrato a casa. “Quando è
successo?”
“Quasi
due ore fa” rispose, afferrando entrambe le mani
di lei.
“Perché
non me lo hai detto?” gli domandò, sentendosi
colpevole per essere rimasta seduta in auto per almeno 15 minuti.
“Non
ti volevo disturbare” replicò, facendo una smorfia
quando iniziò a muoversi in avanti.
“Sei
sicuro che vuoi che ti sollevi in questo modo?”
chiese. “Potrei chiamare il 911”
“No,
no” disse scuotendo la testa. “Una volta tirato su
starò bene… non è una
tragedia.”
Ci
vollero alcuni minuti e diversi tentativi, ma con un
ultimo strattone vigoroso, Mac rimise Harm in piedi. Lo slancio lo
spinse in
avanti e lei lo prese fra le braccia, raddrizzandolo contro il proprio
corpo.
“Aspetta, fai con calma” lo esortò,
dandogli una pacca sulla schiena.
Posando
la propria testa su quella di Sarah, Harm si
prese qualche altro minuto per essere sicuro di poter stare in
posizione
eretta. Lentamente, la lasciò andare e con cautela fece un
passo indietro.
“Grazie,
Mac” le disse. “Lo apprezzo”
“Quando
vuoi” rispose, studiandogli il volto. “Aspetta
che ti prendo un po’ d’acqua” decise,
dirigendosi verso l’angolo cottura prima
che lui potesse replicare. “Hai degli analgesici da qualche
parte?”
“Sì,
nell’armadietto nel bagno” rispose e Mac
andò a
cercarli.
Dopo
averli presi, Harm iniziò a camminare per il loft
cercando di sciogliere il dorso, mentre Mac osservava ogni sua azione
con
grande attenzione. Dopo essersi sciolto le spalle e il collo, Harm mise
i palmi
delle mani sul tavolo e cercò di flettere la schiena. Fu
mentre stava inarcando
la zona lombare che la salvietta che si era legato in vita cadde ai
suoi piedi.
Mac dovette far ricorso a tutto l’addestramento militare per
mantenere gli
occhi sul volto dell’uomo e impedire al suo sguardo di vagare
altrove. Seppe
all’istante che Harm aveva realizzato di essere nudo
poiché arrossì
immediatamente.
“Non
riuscirai a raccoglierlo, vero?” gli chiese,
mordendosi il labbro per evitare di ridere.
“Nossignora”
rispose, gli occhi ancora fissi sul tavolo.
“Ah,
vuoi che…” si offrì, indicando
l’asciugamano.
“Sì”
esclamò, evitando di guardarla.
Nel
compiere i tre passi che la separavano da lui Mac non
riuscì a non apprezzare il corpo di Harm. Poteva anche
andare per i quaranta ma,
accidenti a lui, quell’uomo era in una forma impeccabile.
Aveva un fisico teso
e asciutto e non le sfuggì che aveva un didietro
tutt’altro che peloso come
aveva immaginato. Non era peloso per nulla.
“Mac…
l’asciugamano” disse Harm, realizzando che lei non
lo stava raccogliendo.
Piegandosi,
Mac raccolse la salvietta blu ma
risollevandosi notò una contusione orizzontale sulla zona
lombare di Harm o,
per essere più precisi, sul suo tonico didietro.
“Non
mi stupisco che tu abbia dolore, Harm” disse,
toccando delicatamente l’ecchimosi. “Sei sicuro di
non esserti danneggiato il
coccige?”
“Starò
bene, Mac…. L’asciugamano… per
favore” la pregò,
felice che la donna non vedesse l’imbarazzo che gli si era
dipinto sul volto.
“No,
ti serve del ghiaccio” dichiarò, passandogli la
salvietta.
Ritornando
verso l’angolo cottura, Mac usò un sacchetto
di plastica per improvvisare una borsa del ghiaccio. Lo avvolse in un
pezzo di
carta cucina per evitare che gli danneggiasse la pelle e lo
portò dall’uomo,
regalandosi un’altra occhiata al suo bel fisico.
“Puoi
stare seduto?” gli chiese, prima di rispondersi da
sola di no. “Ok, allora” lo prese per mano e lo
accompagnò su per i tre scalini
fino alla sua camera. “Stenditi a pancia sotto sul letto e io
ti metto il
ghiaccio”
“Mac,
davvero non è necessario” protestò
l’uomo, ma senza
troppa convinzione.
“Impacco
di ghiaccio o Bethesda” disse semplicemente e
aspettò la sua risposta.
“Bene”
brontolò prima di mettersi in ginocchio sul letto
e abbassarsi lentamente. “Figlio di…”
imprecò quando l’impacco di ghiaccio
entrò in contatto con la pelle.
“Oh,
dai, non è così male” lo
rimproverò Mac prima di
coprirlo con la trapunta e accarezzargli i capelli.
Per
alcuni minuti nessuno fiatò finché Harm non
riuscì a
tenere ancora la bocca chiusa.
“Apprezzo
davvero tutto ciò che hai fatto, Mac, ma adesso
dovresti andare” la esortò, voltandosi verso di
lei.
“Non
me ne vado” dichiarò lei. “Almeno, non
ancora”
“Non
voglio impedirti di fare… altre cose” disse,
cercando inutilmente di non palesare l’amarezza che provava.
“Quali
altre cose?” lo sfidò Mac. Sapeva che doveva
essersi fissato su qualcosa e forse adesso sarebbe riuscita a scoprire
di
preciso cosa fosse.
“Beh,
è venerdì sera, Jack era nel tuo ufficio
prima… ho
pensato che voi due poteste avere fatto… dei
programmi” le spiegò e la vide
spostarsi dal punto della stanza in cui era in piedi per mettersi in
ginocchio
all’altro lato del letto, così da poterlo guardare
dritto negli occhi.
“Sei
geloso” dichiarò con un sorrisetto.
“Non
è vero” mentì, incrociando le braccia e
posando il
mento su di esse.
“Sì
che è vero” disse scuotendo la testa.
“Perdonami per
aver monopolizzato il suo tempo. Sono sicura che sarà libero
nel fine settimana
se ti va di uscire con lui”
“Cosa?”
chiese Harm cercando di mettersi seduto, ma il
dolore lo inchiodò nella precedente posizione.
Istintivamente,
la mano di Mac gli accarezzò la spalla,
tentando di alleviare la sua pena. “Voglio solo dire che non
avevi alcun motivo
di essere geloso se trascorro tante ore con Jack. Sono sicura che
avrà tempo
anche per te”
“Non
sono geloso di te, sono geloso di lui” esclamò
senza
pensare, per poi abbassare la fronte.
“Perché
sei geloso di lui?” chiese Mac spalancando gli
occhi. Con la testa ancora posata sulle braccia, Harm scosse il capo.
In nessun
modo avrebbe portato avanti questa conversazione. “Harm?
Hey?”
Facendo
forza sulle braccia l’uomo cercò di spostarsi
all’indietro
così da potersi mettere di nuovo in piedi. Tuttavia, questa
azione fece scivolare
l’impacco di ghiaccio che a sua volta si trascinò
dietro la salvietta che lo
teneva fermo. Tentando di afferrare la borsa con una mano e
l’asciugamano con
l’altra, Harm perse l’equilibrio e cadde di nuovo
sul letto, a peso morto sul
volto. In un baleno Mac era accanto a lui.
“Ti
farai di nuovo del male se non la prendi con calma”
lo avvertì, riposizionando l’impacco di ghiaccio
al proprio posto. “Cerca di
rilassarti, ok?” Gli accarezzò la schiena mentre
lui mormorava qualcosa contro
le coperte.
“Cosa
hai detto?” gli domandò.
“Niente”
rispose, voltandosi nella sua direzione. “O
almeno nulla che voglio ripetere”
Dopo
aver trascorso i successivi 15 minuti in uno strano
silenzio, Mac decise che era giunto il momento di togliere
l’impacco e Harm fu
immediatamente d’accordo. Dopo averlo aiutato ad alzarsi dal
letto, l’uomo dichiarò
di stare molto meglio e la invitò ad andarsene.
Sarah
gli si mise in piedi di fronte, guardandolo
intensamente. “Harmon, se davvero vuoi che me ne vada lo
farò. Non voglio
imporre la mia presenza dove non sono gradita”
“Non
stai imponendo niente e sai che sei sempre la
benvenuta qui” disse, tenendo la salvietta stretta fra le
mani.
“Allora
perché continui a insistere che me ne vada?” lo
sfidò.
“Io…
ecco… tu e Jack…” farfugliò,
scuotendo la testa.
“Esattamente
cosa pensi che stia succedendo fra me e
Jack?” gli chiese, sollevandogli il volto che aveva
nuovamente abbassato.
“Harm?”
“Lo
so…” disse lentamente. “E voglio che
questa cosa mi
stia bene ma non ci riesco.”
“Cos’è
che sai?” gli chiese confusa.
“Che
tu e Jack siete… beh, non so se stiate davvero
uscendo insieme, ma sicuramente vi vedete” ammise con un
sospiro.
“E
quando dici che ci vediamo intendi che andiamo a letto
insieme?” lo interrogò, sforzandosi di non ridere.
“Beh,
sì” rispose, distogliendo lo sguardo.
“Comunque non
sono affari miei e…”
“No,
Harm, in effetti non sono affari tuoi” confermò,
afferrandolo per un braccio e spostandosi così da essergli
di nuovo di fronte.
“Ma per amore di precisione e per evitare che tu ti faccia
ulteriormente del
male, Jack e io non siamo mai andati a letto insieme e non ci vediamo in nessun altro senso.”
“Ma”
provò a controbattere, senza pensarci. “Tutte
quelle
sessioni nel tuo ufficio con le tapparelle chiuse… un sacco
di movimento… Jack
che esce tutto accaldato e con un’espressione tanto
compiaciuta spiattellata
sul volto.”
A
quel punto Mac scoppiò in una risata fragorosa, che
aumentò a dismisura la frustrazione di Harm: ora quella
donna stava ridendo di
lui. “Felice di sapere che lo trovi divertente.”
“Sei
davvero carino quando sei geloso, flyboy” disse Mac,
continuando a ridere.
“Quindi
ammetti che c’è qualcosa di cui essere
gelosi” le
rispose a tono, scuotendo la testa.
“No,
non c’è niente” gli disse lentamente.
“Ma tu non mi
credi, vero?”
“Ti
credo” dichiarò con gli occhi fiammeggianti.
“E’ di
Keeter che non mi fido.”
“Giusto
per capire, cosa ti ha detto Keeter?” gli domandò,
chiedendosi se non fosse il caso di rimettere Jack in riga.
“Meglio
che tu non lo sappia” replicò Harm.
“Diciamo che
quelle piccole sessioni intime nel tuo ufficio la dicevano
lunga.”
“Stavo
dando a Jack…” iniziò, ma Harm
sollevò una mano. “No,
non lo voglio sentire” la interruppe, oltrepassandola e
allontanandosi da lei.
“Non sono affari miei.”
“Lezioni
di ballo, Harm. Stavo dando a Jack delle lezioni
di ballo.”
Harm
si voltò con la velocità che la sua schiena
dolorante gli permise. “Lezioni di ballo?”
“Lezioni
di ballo” ripeté Mac. “Jack ha
intenzione di
portare Daphne in un ristorante chic domani sera e di chiederle di
sposarlo.”
“Daphne?
Sposarlo? Cosa?” Harm scosse la testa, ormai preda
della più totale confusione.
“Daphne
Miller” spiegò Mac. “Si frequentano da
un po’
ormai. Lei ama ballare e lui è totalmente negato, quindi mi
ha chiesto di
dargli delle lezioni.”
“Lezioni
di ballo?” era ancora incredulo.
“Sì,
Harm” rispose, scuotendo la testa e dirigendosi
verso gli scalini. “Sono una brava ballerina e Jack aveva
bisogno di qualche
suggerimento.”
Così
dicendo scese i gradini e andò verso l’angolo
cottura per preparare del caffè. Ad Harm ci vollero alcuni
minuti per digerire
ciò che gli aveva confessato Mac, poi sostituì la
salvietta con dei boxer a
quadretti rossi e la raggiunse. Quando lo vide apparire sulle scale,
Mac ne
osservò ogni movimento e notò che sembrava un
po’ meno contratto. La sua più
grande costatazione, però, fu quanto fosse dannatamente sexy
con quei boxer.
“Ti
va un caffè?” riuscì a chiedergli
appena ritornò in
possesso della sua capacità di parlare.
“No,
grazie” rispose. “Hai mangiato?”
“No”
disse e negò anche con la testa. “Tu?”
“Ah,
no, ero un po’ inabile” ammise con un sorrisetto.
“Visto
che non è il caso di uscire…” decise
Mac per lui,
“Che ne dici se ordiniamo una pizza?”
“Ottima
idea” replicò “carnivora per te,
naturalmente…”
aggiunse mentre prendeva il cellulare dal tavolino.
“Naturalmente”
gli confermò con un sorriso.
Aspettando
la consegna della pizza parlarono del più e
del meno finché Mac non notò la pelle
d’oca sulle braccia di Harm. “Ti stai
raffreddando” osservò. “Vado a prenderti
una vestaglia”
Tornando
in un attimo, lo aiutò a indossarla,
stringendogliela alla vita con la cintura. “Sarei riuscito a
farlo anche da
solo” le disse ridendo.
“Pensi
di riuscire a fare anche qualcos’altro?” gli
chiese, sentendosi spavalda.
“Certo”
le rispose, sebbene non fosse poi così sicuro di
essere in grado di fare molto.
“Ballare
con Jack non era male ma tu sei sempre stato il
mio compagno di ballo preferito” ammise.
“Non
c’è la musica” commentò,
avvicinandosi a lei.
“Non
importa” replicò. “Sei ferito, andremo
al nostro
ritmo.”
In
breve furono l’uno nelle braccia dell’altra,
ondeggiando serenamente al ritmo di una musica interiore; movimenti
lenti,
ritmati, che somigliavano più a un dondolio gentile che a
dei passi di danza.
Sapendo che a breve sarebbero stati interrotti dal ragazzo delle
consegne, Harm
decise di prendere in mano la situazione.
“Non
voglio che tu balli ancora con Jack” dichiarò.
Mac
alzò gli occhi verso di lui, si allontanò dalla
sua
presa e iniziò a protestare: “Ti ho detto che era
solo…”
Scuotendo
la testa, Harm la avvicinò di nuovo a sé.
“Lo
so… non voglio che tu balli più con
Jack” ripeté. “Non voglio che tu balli
più
con nessun altro.”
A
quel punto Mac si staccò di nuovo da lui. Cosa cavolo
stava dicendo?
“Voglio
che tu… vorrei che tu… prendessi in
considerazione
l’idea di ballare solo con me” disse, stringendole
di nuovo le mani. “Lo
facciamo così bene… potremmo fare altre cose
altrettanto bene…”
“Harm,
litighiamo continuamente” gli ricordò, anche se il
suo cuore batteva all’impazzata.
“Lo
so, e facciamo bene anche quello” le rispose
sorridendo. “Non credi?”
“Vero”
concordò. “Quindi cosa intendi? Vuoi ballare solo
ed esclusivamente con me?”
“Ballare…
uscire…” elencò lentamente.
“Andare a cena…”
aggiunse quando qualcuno bussò alla porta.
Dopo
aver preso le pizze e chiuso la porta, Harm si
rivolse di nuovo a Mac. “Non voglio anticipare nulla,
Mac” disse mettendo le
scatole sul tavolo. “Ma non voglio starmene seduto a un lato
della strada
mentre qualcuno arriva in picchiata e ti porta via. Non voglio che
qualcun
altro sia la ragione per cui tu tiri giù le tapparelle del
tuo ufficio. Non
voglio…” Mac scosse la testa e Harm smise di
parlare. “Cosa?”
“Non
voglio… non voglio… non
voglio…” ripeté le sue
ultime frasi. “Ma tu cosa vuoi?”
“Te”
disse semplicemente. “Voglio te” Per un tempo
lunghissimo Mac non proferì parola e alla fine Harm non
riuscì a trattenersi
dal chiederle. “Allora?”
“Sono
tua” fu la sua risposta. “Sono tua.”
E
mentre la serata non implicò nient’altro che una
cena,
un ballo lento e ulteriori impacchi di ghiaccio, alla fine si
ritrovarono sulla
stessa pagina del libro della vita, pronti a dare inizio alla
più bella delle
danze: quella che sarebbe durata fino alla fine dei tempi.
Nota
della traduttrice
Come
ho confessato al mio angelo custode, oltre al fatto che questa sia
indubbiamente una bella storia, sono due i veri motivi per cui ho
deciso di
tradurla.
Il
primo è puramente ormonale: non ho un addestramento militare
su cui fare
affidamento, pertanto quando è caduta quella salvietta il
mio sguardo ha “vagato
altrove” e vi lascio immaginare le conseguenze ;-)
Il
secondo motivo è lo scambio di battute finale, che ricorda
troppo un momento
cruciale di Castle – altra mia grande passione –
per non trovarlo
irresistibile.
NettieC
è stata tanto carina da concedermi l’onore di
tradurre questa deliziosa storia
in italiano. L’originale è qui: https://www.fanfiction.net/s/10405992/1/The-Dance
Grazie
per avermi dedicato il vostro tempo!
Un
abbraccio,
Deb