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Autore: SagaFrirry    21/04/2015    0 recensioni
Stregoni, Scienziati e Guerrieri si fanno battaglia. Un giovane stregone dovrà scegliere se lottare contro la sua stessa famiglia oppure…e se quello strano ragazzino dai capelli verdi potesse aiutarlo? Magia, armature, famiglia e complotti. Vincerà il buon senso o la follia dei mortali?
Questa storia la scrissi nel 2013, spero nel frattempo di essere migliorata!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XVI

 

INFERNO E PARADISO

 

“Papà, alzati!” ordinò la bambina, piombando sul letto del genitore con un salto lanciato e finendogli con i piedi sulla schiena “Sono già tutti di sotto”.

Reahu, il padre in questione, mugugnò e gemette, senza far fuoriuscire il capo dal cuscino in cui era sprofondato. Cosa serviva urlare tanto?

“Dai, sbrigati!” insistette la bimba, tirandolo per un braccio.

Aveva sette anni e, com’era tipico della sua età, non capiva il desiderio del genitore di restare a dormire. Ma capì che tirarlo era inutile. Quel pelandrone non si sarebbe mosso. Sbuffò.

“Manchi solo tu!” urlò.

“Sono certo che non è così” biascicò il signore del cielo, rigirandosi come un tricheco in spiaggia.

Lo sguardo della sua piccola era accigliato. La trovò buffa, e ridacchiò.

“Non c’è niente da ridere!” si offese la bimba “Io e la mamma siamo sveglie da ore”.

Reahu rotolò di lato di nuovo. Effettivamente, Clio non era lì a dormire al suo fianco.

“Muoviti, muoviti, muoviti!” insistette la bimba “O lo dico a zio Ihanez”.

“Tremo di terrore al sol pensiero” ghignò il padre, e la piccola tornò a saltargli sulla schiena.

Il signore del cielo, giunto allo sfinimento, si arrese all’evidenza. Si doveva svegliare e basta. Strisciò giù dal letto, avvolto dalle lenzuola.

“Sei inguardabile” notò la figlia, alzando un sopracciglio.

Con i capelli spettinati e le occhiaie, Reahu non se la sentì di darle torto. Ma del resto non aveva ordinato lui la sveglia ad un orario poco congeniale. Si preparò senza troppa cura ed entusiasmo, lasciando la camera a passi strascicati. Sbadigliando, notò che in effetti molti abitanti della casa erano svegli e fermi in quella che un tempo era l’ala dedicata al padre di Rashnu. Ora quello spazio era una sorta di ampio corridoio che accumunava le quattro torri dei quattro pilastri. Nirrita occupava quella nera, mentre la sorella Nirriti risiedeva agli inferi di sua volontà. Reahu fissò Ihanez, tutto sorridente sulla soglia della sua torre bianca. Al suo fianco, Lahar e la loro bambina Alinn, di qualche anno più giovane dell’unigenita di Reahu, alla quale aveva dato il nome di Hennay. Si salutarono con un gesto della testa, non potendosi parlare da un capo all’altro della piccola folla riunitasi. Erano le campane a festa di Rashnu ad averli richiamati lì, e quasi tutti sapevano il perché. Fra loro, Ihanez notò Gudis, divenuto signore degli scienziati, e si fece strada per raggiungerlo. Ovviamente, gli abitanti si scansarono non appena lo videro muoversi. Gesto che il signore della vita non aveva mai preteso, ma che era sempre accaduto. I due fratelli si abbracciarono, iniziandosi a raccontare varie cose successe e ridendo. Aer ed Aura, risvegliatasi rispettivamente come signori della vittoria e delle armi, stavano accanto a Petbe, il loro maestro. Thesan, signora dell’aurora, era riuscita nel suo intento, divenendo la compagna di Egres e sorrideva felice, salutando l’appena svegliato Reahu.

Che atmosfera strana, si ritrovò a pensare il signore del cielo. Ancora non riusciva ad abituarvici. Era stato così immerso nella guerra fin da giovane, che tutti quei sorrisi lo mettevano a disagio e si chiedeva come mai gli altri non provassero la stessa sensazione. Forse perché lui, nonostante la bambina e Clio, ci aveva messo un po’ per placare quel senso di vuoto che la morte del fratello aveva lasciato nel suo animo. Ihanez si era trovato immerso nel senso di colpa, per aver ucciso il padre, ed era stata Lahar, la sua attuale compagna, a fargli capire che non doveva vedere le cose in quel modo. Rashnu, dal canto suo, era assolutamente certo di aver fatto l’unica cosa possibile, la cosa giusta. Reahu si chiedeva spesso se era davvero solo lui a pensarla diversamente, e si chiedeva il perché lo facesse. Perché avere dubbi? La guerra era finita, la gente era felice, la sua famiglia al sicuro. Ma a volte, ripensando a tutto ciò che era stato costretto a subire, una voce nella mente gli diceva che parte del pensiero di Ogmios non era scorretto. Si scosse. La sua bimba voleva essere presa in braccio, per non perdersi fra la gente. Clio era lì, e lo salutò con un “buongiorno pigrone”.

“Non sono un pigrone” ghignò “Io lavoro, sai?”.

“Lo so, lo so. Scherzavo”.

“Lo so”.

“Allora, stellina, sei pronto?” domandò Ihanez, trullallando allegramente per la sala e facendo spostare gli altri a suo piacimento.

“E per che cosa?” domandò Reahu.

“Oh, lo sai! Sai perché siamo qui”.

“Ovvio, ma non sono io quello che dev’essere pronto. Io ho già dato”.

“Tutto merito mio. La tua bambina, è tutto merito mio”.

“Se non ricordo male, sono stato io a far sì che fosse concepita”.

“Sì, ma poi a tutto il resto ho pensato io”.

“Ma non penso proprio!”.

“Il tuo lavoro è stato minimo, amico”.

“Ma senti questo…”.

“Che intende dire, papà?” domandò la piccola del cielo, sulle spalle del padre e con le mani immerse fra i suoi capelli blu.

“Niente” si affrettò a dire Reahu, trovando inopportuno parlare di concepimento ad una bambina di sette anni.

“Mai pensato di averne un altro?” riprese Ihanez.

“Senti, tizio della vita, una come lei vale per otto. Fa tanto di quel casino, che mi sembra di essere il padre di un esercito, non di una creatura sola”.

“Che esagerato”.

“Fanne tu di altri. La vita la rappresenti tu, non io”.

“Ci stavamo proprio pensando, ma dobbiamo riflettere. Non so se un secondo figlio possa in qualche modo interferire con la faccenda degli unigeniti”.

“Le decidiamo noi le interferenze, no? Decidiamo del destino del mondo e non del nostro?”.

“Ti do ragione”.

“Papà” chiamò Hennay “Dov’è zia Veda? E zio Rashnu?”.

“Arrivano subito, tranquilla. E, Ihanez, a proposito di figli, dovresti andare a rompere le scatole a Nirriti e Nirrita, non a me!”.

“Ma loro sono giovani ancora”.

“Non è vero! Tu sei più giovane di loro”.

“Sì, è vero, ma mamma diceva sempre che ero frettoloso”.

Si guardarono e risero. La porta della torre oro si stava aprendo e Rashnu faceva capolino, quasi timidamente, sovrastando i presenti per pochi scalini. In braccio, stringeva un esagitato mucchietto di stracci che si dimenava come un gattino.

“Vivace, la creatura” mormorò Gudis “Come sua madre”.

Rashnu scostò un po’ quegli stracci, mostrano uno sguardo chiaro ed un ciuffo di capelli verdi che già tentavano di imitare la tipica forma a palma di quelli di Rashnu.

“Una femmina” parlò proprio Rashnu “È una femmina”.

Figlia sua e di Veda, il signore dai capelli verdi la mostrò con orgoglio.

“Veda sta bene” aggiunse, per rassicurare i fratelli della sua sposa, Gudis e Ihanez.

“A quanto pare…” commentò Reahu “…la nuova generazione sarà femmina”.

“Bene, mi piace” sorrise Ihanez, guardando sua figlia.

Quella bambina, dai capelli arancioni e lo sguardo scuro della madre, un giorno avrebbe preso il suo posto. Così come la creatura arrampicata e seminascosta fra i capelli del signore del cielo avrebbe acquisito il potere del padre. Ed ora era arrivata anche l’erede di Rashnu. La figlia di quel dio dallo sguardo da fanciullo, nata in un mondo di pace e sorrisi.

 

   

 

Oltrepassando la cappa di tenebre che avvolgeva alcuni stretti corridoi, si apriva un’immensa sala al cui centro zampillava una fontana d’acqua limpida e scintillante. Dal soffitto e dal pavimento, stalagmiti e stalattiti di cristalli colorati riflettevano le migliaia di luci argentee che rendevano il soffitto simile alla volta del cielo. Fra le volte, sospesa nel buio, una sfera nera conteneva l’animo di Ogmios, che lanciava scintille. Quella era la sala degli inferi riservata agli antichi signori. La musica e le luci rendevano gradevole la permanenza, interrotta però continuamente dai continui lamenti del prigioniero nella bolla.

“Chiudi la bocca, Ogmios!” sbottò Ipalnemoa.

Il passato signore della vita cercava di rilassarsi, in quell’angolo del regno dei morti, ma il borbottio sommesso e continuo del collega rendeva la cosa difficile. Poco più in la, Onyame e Mantus osservavano la nuova arrivata nella famiglia attraverso una sfera azzurra.

“Non dovresti lamentarti tanto” lo rimproverò Onyame, sentendo che Ogmios non accennava a far silenzio “Oggi sei diventato nonno, vedi?”.

Si udì un ringhio, e poi il borbottio riprese. Gli antichi signori sospirarono. Nirriti, la padrona di casa, aveva proposto loro più volte di occupare un luogo diverso degli inferi, tranquillo, ma loro avevano sempre rifiutato. Erano una famiglia e, qualsiasi cosa avesse fatto Ogmios, non se la sentivano di abbandonarlo da solo in un angolo di buio.

“Se la cavano bene i nostri eredi” commentò Mantus.

“Concordo” annuì l’antico signore del cielo.

Lì accanto, Tarhunt ed Akerbeltz stavano giocando a carte. Videro di sfuggita Ipalnemoa alzarsi e dirigersi verso la sfera dove Ogmios era rinchiuso.

“Smettila di borbottare” ordinò “La colpa è tua. Sei lì dentro, perché te la sei cercata”.

“Tu lo sai che io avevo ragione. Questo mondo non meritava di essere salvato”.

“Smettila! Vincendo, tuo figlio ti ha dimostrato il contrario”.

“E credi sarà sempre così? Pensi davvero possa resistere questo periodo di pace e risatine sceme?”.

“Sei il solito menagramo”.

“Ragiona: i nostri figli sono nati migliaia di anni dopo la nostra venuta. Com’è che le loro creature sono già a questo mondo, così presto? Questo per te non è indice che il destino dei tanto acclamati unigeniti non sarà poi così roseo e lungo?”.

“Che intendi dire?”.

“Intendo dire che gli unigeniti nascono non quando lo si decide ma quando è giusto che accada. O almeno così tu mi hai sempre detto”.

“Rashnu ci ha messo duemila anni prima di risvegliarsi. Accadrà lo stesso con queste bambine”.

“Ne sei sicuro? Ti ricordo che io ho combattuto parecchio per mantenere il mio ruolo e non farlo svegliare. Contrariamente a quanto fatto da te. E Ihanez a poco più di trent’anni era pronto”.

“Non esistono regole fisse a riguardo”.

“Te lo dico io. Fidati di me, quei tre, coloro che già hanno un’erede, non dureranno a lungo”.

“Beh, tu non potrai di certo interferire con la loro vita”.

“Non ne ho bisogno. Questo mondo non necessita di un aiuto per distruggersi”.

“Finiscila! Sei noioso!”.

“Sono realista. Io lo sento. Sento che l’odio non è svanito, la paura ed i dubbi si insinuano in ogni mente. Non riusciranno a reprimere in eterno queste voci. Un giorno, vedrai, esploderanno”.

Ipalnemoa lo fissò, accigliato. Certi discorsi non li sopportava. Lui si fidava di suo figlio Ihanez, come credeva nelle capacità di Rashnu, Reahu e dei gemelli di Mantus. Avevano lottato duramente per ottenere ciò che ora possedevano e la nascita delle bambine era un evento lieto, non un motivo di preoccupazione. Su questo non aveva dubbi. Ignorò Ogmios e si diresse verso gli altri suoi colleghi, unendosi al gioco di carte. L’antico signore, dall’interno della sua bolla, rise. Sciocche e patetiche essenze, che credevano nella pace eterna ed in altre stronzate simili! Presto i pilastri si sarebbero indeboliti, con il crescere delle loro figlie con i loro poteri. Ed allora come credevano di mantenere sotto controllo tutto l’odio che serpeggiava nell’animo di quelle creature imperfette e monoclasse? E come potevano pretendere di tenere sotto controllo lui, Ogmios, l’unico e solo vero dio? Rashnu era assolutamente certo di riuscirci, di sapere come prendersi cura dell’universo, con il sostegno degli altri pilastri, ma non aveva idea di ciò che realmente lo attendeva. Presto o tardi, Ogmios ne era certo, si sarebbe ritrovato con l’acqua alla gola. Svanite le certezze, sarebbe anche svanito quel sorrisetto felice che ultimamente aveva sempre stampato in faccia. Il ghigno di Ogmios, al contrario, pure di quello era certo, si sarebbe solamente allargato ulteriormente. Lui aveva ragione, ne era sicuro. E presto tutti lo avrebbero visto. Sfiorò la sfera con le dita ed una potente scossa lo ricacciò indietro. Ringhiò. Il potere di coloro che lo avevano imprigionato era ancora forte, molto forte. Ma non sarebbe stato così per sempre. Già vedeva quella superficie incrinarsi ed il suo animo liberarsi, in cerca di un corpo in grado di ospitare la sua vendetta.

Già lo vedeva.

“Aspettami, Rashnu” mormorò, con la sua voce profonda e spaventosa “Godetevi la vostra felicità, primogeniti. Tornerò, è una promessa”.

 

 

Premetto: questa storia è stata uno spasso da scrivere e ci ho fatto anche un sacco di disegni (sono caricati su fb e devianart, cercate Frirry). Sono affezionata a più di qualche OC di questo racconto e spero che anche fra qualche lettore possa sbocciare “l’amore” per i miei “piccoli”. Fatemi sapere cosa ne pensate. A presto ;)

   
 
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