XVI
INFERNO
E PARADISO
“Papà,
alzati!” ordinò la bambina, piombando sul letto
del genitore con un salto
lanciato e finendogli con i piedi sulla schiena “Sono
già tutti di sotto”.
Reahu,
il padre in questione, mugugnò e gemette, senza far
fuoriuscire il capo dal
cuscino in cui era sprofondato. Cosa serviva urlare tanto?
“Dai,
sbrigati!” insistette la bimba, tirandolo per un braccio.
Aveva
sette anni e, com’era tipico della sua età, non
capiva il desiderio del
genitore di restare a dormire. Ma capì che tirarlo era
inutile. Quel pelandrone
non si sarebbe mosso. Sbuffò.
“Manchi
solo tu!” urlò.
“Sono
certo che non è così”
biascicò il signore del cielo, rigirandosi come un
tricheco in spiaggia.
Lo
sguardo della sua piccola era accigliato. La trovò buffa, e
ridacchiò.
“Non
c’è niente da ridere!” si offese la
bimba “Io e la mamma siamo sveglie da ore”.
Reahu
rotolò di lato di nuovo. Effettivamente, Clio non era
lì a dormire al suo
fianco.
“Muoviti,
muoviti, muoviti!” insistette la bimba “O lo dico a
zio Ihanez”.
“Tremo
di terrore al sol pensiero” ghignò il padre, e la
piccola tornò a saltargli
sulla schiena.
Il
signore del cielo, giunto allo sfinimento, si arrese
all’evidenza. Si doveva
svegliare e basta. Strisciò giù dal letto,
avvolto dalle lenzuola.
“Sei
inguardabile” notò la figlia, alzando un
sopracciglio.
Con
i capelli spettinati e le occhiaie, Reahu non se la sentì di
darle torto. Ma
del resto non aveva ordinato lui la sveglia ad un orario poco
congeniale. Si
preparò senza troppa cura ed entusiasmo, lasciando la camera
a passi
strascicati. Sbadigliando, notò che in effetti molti
abitanti della casa erano
svegli e fermi in quella che un tempo era l’ala dedicata al
padre di Rashnu.
Ora quello spazio era una sorta di ampio corridoio che accumunava le
quattro
torri dei quattro pilastri. Nirrita occupava quella nera, mentre la
sorella
Nirriti risiedeva agli inferi di sua volontà. Reahu
fissò Ihanez, tutto
sorridente sulla soglia della sua torre bianca. Al suo fianco, Lahar e
la loro
bambina Alinn, di qualche anno più giovane
dell’unigenita di Reahu, alla quale
aveva dato il nome di Hennay. Si salutarono con un gesto della testa,
non
potendosi parlare da un capo all’altro della piccola folla
riunitasi. Erano le
campane a festa di Rashnu ad averli richiamati lì, e quasi
tutti sapevano il
perché. Fra loro, Ihanez notò Gudis, divenuto
signore degli scienziati, e si
fece strada per raggiungerlo. Ovviamente, gli abitanti si scansarono
non appena
lo videro muoversi. Gesto che il signore della vita non aveva mai
preteso, ma
che era sempre accaduto. I due fratelli si abbracciarono, iniziandosi a
raccontare varie cose successe e ridendo. Aer ed Aura, risvegliatasi
rispettivamente come signori della vittoria e delle armi, stavano
accanto a
Petbe, il loro maestro. Thesan, signora dell’aurora, era
riuscita nel suo
intento, divenendo la compagna di Egres e sorrideva felice, salutando
l’appena
svegliato Reahu.
Che
atmosfera strana, si ritrovò a pensare il signore del cielo.
Ancora non
riusciva ad abituarvici. Era stato così immerso nella guerra
fin da giovane,
che tutti quei sorrisi lo mettevano a disagio e si chiedeva come mai
gli altri
non provassero la stessa sensazione. Forse perché lui,
nonostante la bambina e
Clio, ci aveva messo un po’ per placare quel senso di vuoto
che la morte del
fratello aveva lasciato nel suo animo. Ihanez si era trovato immerso
nel senso
di colpa, per aver ucciso il padre, ed era stata Lahar, la sua attuale
compagna, a fargli capire che non doveva vedere le cose in quel modo.
Rashnu,
dal canto suo, era assolutamente certo di aver fatto l’unica
cosa possibile, la
cosa giusta. Reahu si chiedeva spesso se era davvero solo lui a
pensarla
diversamente, e si chiedeva il perché lo facesse.
Perché avere dubbi? La guerra
era finita, la gente era felice, la sua famiglia al sicuro. Ma a volte,
ripensando a tutto ciò che era stato costretto a subire, una
voce nella mente
gli diceva che parte del pensiero di Ogmios non era scorretto. Si
scosse. La
sua bimba voleva essere presa in braccio, per non perdersi fra la
gente. Clio
era lì, e lo salutò con un “buongiorno
pigrone”.
“Non
sono un pigrone” ghignò “Io lavoro,
sai?”.
“Lo
so, lo so. Scherzavo”.
“Lo
so”.
“Allora,
stellina, sei pronto?” domandò Ihanez,
trullallando allegramente per la sala e
facendo spostare gli altri a suo piacimento.
“E
per che cosa?” domandò Reahu.
“Oh,
lo sai! Sai perché siamo qui”.
“Ovvio,
ma non sono io quello che dev’essere pronto. Io ho
già dato”.
“Tutto
merito mio. La tua bambina, è tutto merito mio”.
“Se
non ricordo male, sono stato io a far sì che fosse
concepita”.
“Sì,
ma poi a tutto il resto ho pensato io”.
“Ma
non penso proprio!”.
“Il
tuo lavoro è stato minimo, amico”.
“Ma
senti questo…”.
“Che
intende dire, papà?” domandò la piccola
del cielo, sulle spalle del padre e con
le mani immerse fra i suoi capelli blu.
“Niente”
si affrettò a dire Reahu, trovando inopportuno parlare di
concepimento ad una
bambina di sette anni.
“Mai
pensato di averne un altro?” riprese Ihanez.
“Senti,
tizio della vita, una come lei vale per otto. Fa tanto di quel casino,
che mi
sembra di essere il padre di un esercito, non di una creatura
sola”.
“Che
esagerato”.
“Fanne
tu di altri. La vita la rappresenti tu, non io”.
“Ci
stavamo proprio pensando, ma dobbiamo riflettere. Non so se un secondo
figlio
possa in qualche modo interferire con la faccenda degli
unigeniti”.
“Le
decidiamo noi le interferenze, no? Decidiamo del destino del mondo e
non del
nostro?”.
“Ti
do ragione”.
“Papà”
chiamò Hennay “Dov’è zia
Veda? E zio Rashnu?”.
“Arrivano
subito, tranquilla. E, Ihanez, a proposito di figli, dovresti andare a
rompere
le scatole a Nirriti e Nirrita, non a me!”.
“Ma
loro sono giovani ancora”.
“Non
è vero! Tu sei più giovane di loro”.
“Sì,
è vero, ma mamma diceva sempre che ero frettoloso”.
Si
guardarono e risero. La porta della torre oro si stava aprendo e Rashnu
faceva
capolino, quasi timidamente, sovrastando i presenti per pochi scalini.
In
braccio, stringeva un esagitato mucchietto di stracci che si dimenava
come un
gattino.
“Vivace,
la creatura” mormorò Gudis “Come sua
madre”.
Rashnu
scostò un po’ quegli stracci, mostrano uno sguardo
chiaro ed un ciuffo di
capelli verdi che già tentavano di imitare la tipica forma a
palma di quelli di
Rashnu.
“Una
femmina” parlò proprio Rashnu
“È una femmina”.
Figlia
sua e di Veda, il signore dai capelli verdi la mostrò con
orgoglio.
“Veda
sta bene” aggiunse, per rassicurare i fratelli della sua
sposa, Gudis e Ihanez.
“A
quanto pare…” commentò Reahu
“…la nuova generazione sarà
femmina”.
“Bene,
mi piace” sorrise Ihanez, guardando sua figlia.
Quella
bambina, dai capelli arancioni e lo sguardo scuro della madre, un
giorno
avrebbe preso il suo posto. Così come la creatura
arrampicata e seminascosta
fra i capelli del signore del cielo avrebbe acquisito il potere del
padre. Ed
ora era arrivata anche l’erede di Rashnu. La figlia di quel
dio dallo sguardo
da fanciullo, nata in un mondo di pace e sorrisi.
● ●
●
Oltrepassando
la cappa di tenebre che avvolgeva alcuni stretti corridoi, si apriva
un’immensa
sala al cui centro zampillava una fontana d’acqua limpida e
scintillante. Dal
soffitto e dal pavimento, stalagmiti e stalattiti di cristalli colorati
riflettevano le migliaia di luci argentee che rendevano il soffitto
simile alla
volta del cielo. Fra le volte, sospesa nel buio, una sfera nera
conteneva
l’animo di Ogmios, che lanciava scintille. Quella era la sala
degli inferi
riservata agli antichi signori. La musica e le luci rendevano gradevole
la
permanenza, interrotta però continuamente dai continui
lamenti del prigioniero
nella bolla.
“Chiudi
la bocca, Ogmios!” sbottò Ipalnemoa.
Il
passato signore della vita cercava di rilassarsi, in
quell’angolo del regno dei
morti, ma il borbottio sommesso e continuo del collega rendeva la cosa
difficile. Poco più in la, Onyame e Mantus osservavano la
nuova arrivata nella
famiglia attraverso una sfera azzurra.
“Non
dovresti lamentarti tanto” lo rimproverò Onyame,
sentendo che Ogmios non
accennava a far silenzio “Oggi sei diventato nonno,
vedi?”.
Si
udì un ringhio, e poi il borbottio riprese. Gli antichi
signori sospirarono.
Nirriti, la padrona di casa, aveva proposto loro più volte
di occupare un luogo
diverso degli inferi, tranquillo, ma loro avevano sempre rifiutato.
Erano una
famiglia e, qualsiasi cosa avesse fatto Ogmios, non se la sentivano di
abbandonarlo da solo in un angolo di buio.
“Se
la cavano bene i nostri eredi” commentò Mantus.
“Concordo”
annuì l’antico signore del cielo.
Lì
accanto, Tarhunt ed Akerbeltz stavano giocando a carte. Videro di
sfuggita
Ipalnemoa alzarsi e dirigersi verso la sfera dove Ogmios era rinchiuso.
“Smettila
di borbottare” ordinò “La colpa
è tua. Sei lì dentro, perché te la sei
cercata”.
“Tu
lo sai che io avevo ragione. Questo mondo non meritava di essere
salvato”.
“Smettila!
Vincendo, tuo figlio ti ha dimostrato il contrario”.
“E
credi sarà sempre così? Pensi davvero possa
resistere questo periodo di pace e
risatine sceme?”.
“Sei
il solito menagramo”.
“Ragiona:
i nostri figli sono nati migliaia di anni dopo la nostra venuta.
Com’è che le
loro creature sono già a questo mondo, così
presto? Questo per te non è indice
che il destino dei tanto acclamati unigeniti non sarà poi
così roseo e lungo?”.
“Che
intendi dire?”.
“Intendo
dire che gli unigeniti nascono non quando lo si decide ma quando
è giusto che
accada. O almeno così tu mi hai sempre detto”.
“Rashnu
ci ha messo duemila anni prima di risvegliarsi. Accadrà lo
stesso con queste
bambine”.
“Ne
sei sicuro? Ti ricordo che io ho combattuto parecchio per mantenere il
mio
ruolo e non farlo svegliare. Contrariamente a quanto fatto da te. E
Ihanez a
poco più di trent’anni era pronto”.
“Non
esistono regole fisse a riguardo”.
“Te
lo dico io. Fidati di me, quei tre, coloro che già hanno
un’erede, non
dureranno a lungo”.
“Beh,
tu non potrai di certo interferire con la loro vita”.
“Non
ne ho bisogno. Questo mondo non necessita di un aiuto per
distruggersi”.
“Finiscila!
Sei noioso!”.
“Sono
realista. Io lo sento. Sento che l’odio non è
svanito, la paura ed i dubbi si
insinuano in ogni mente. Non riusciranno a reprimere in eterno queste
voci. Un
giorno, vedrai, esploderanno”.
Ipalnemoa
lo fissò, accigliato. Certi discorsi non li sopportava. Lui
si fidava di suo
figlio Ihanez, come credeva nelle capacità di Rashnu, Reahu
e dei gemelli di
Mantus. Avevano lottato duramente per ottenere ciò che ora
possedevano e la
nascita delle bambine era un evento lieto, non un motivo di
preoccupazione. Su
questo non aveva dubbi. Ignorò Ogmios e si diresse verso gli
altri suoi
colleghi, unendosi al gioco di carte. L’antico signore,
dall’interno della sua
bolla, rise. Sciocche e patetiche essenze, che credevano nella pace
eterna ed
in altre stronzate simili! Presto i pilastri si sarebbero indeboliti,
con il
crescere delle loro figlie con i loro poteri. Ed allora come credevano
di
mantenere sotto controllo tutto l’odio che serpeggiava
nell’animo di quelle
creature imperfette e monoclasse? E come potevano pretendere di tenere
sotto
controllo lui, Ogmios, l’unico e solo vero dio? Rashnu era
assolutamente certo
di riuscirci, di sapere come prendersi cura dell’universo,
con il sostegno
degli altri pilastri, ma non aveva idea di ciò che realmente
lo attendeva.
Presto o tardi, Ogmios ne era certo, si sarebbe ritrovato con
l’acqua alla
gola. Svanite le certezze, sarebbe anche svanito quel sorrisetto felice
che
ultimamente aveva sempre stampato in faccia. Il ghigno di Ogmios, al
contrario,
pure di quello era certo, si sarebbe solamente allargato ulteriormente.
Lui
aveva ragione, ne era sicuro. E presto tutti lo avrebbero visto.
Sfiorò la
sfera con le dita ed una potente scossa lo ricacciò
indietro. Ringhiò. Il
potere di coloro che lo avevano imprigionato era ancora forte, molto
forte. Ma
non sarebbe stato così per sempre. Già vedeva
quella superficie incrinarsi ed
il suo animo liberarsi, in cerca di un corpo in grado di ospitare la
sua
vendetta.
Già
lo vedeva.
“Aspettami,
Rashnu” mormorò, con la sua voce profonda e
spaventosa “Godetevi la vostra
felicità, primogeniti. Tornerò, è una
promessa”.
Premetto:
questa storia è stata uno
spasso da scrivere e ci ho fatto anche un sacco di disegni (sono
caricati su fb
e devianart, cercate Frirry). Sono affezionata a più di
qualche OC di questo
racconto e spero che anche fra qualche lettore possa sbocciare
“l’amore” per i
miei “piccoli”. Fatemi sapere cosa ne pensate. A
presto ;)